che quest'anno cade Shabbat 26 gennaio
Dal sito della Comunità ebraica di Roma
Il 15 di Shevat è Rosh Hashanà Lailanot,
capodanno degli alberi. La ricorrenza viene celebrata in vari modi: si
mangiano frutti di varie specie, in particolare quelli per cui è lodata Erez Israel
(uva, fichi, melograno, olive e datteri), si piantono alberi in Erez
Israel; la sera si fa il Seder Tu Bishvat, nel corso del quale si
mangiano frutti e si leggono brani secondo un ordine prestabilito. Tu Bishvat è un giorno feriale, ma per sottolineare il carattere speciale della giornata, ci si astiene dal dire Tachannun.
Seder Tu Bishvat - Si
usano leggere brani tratti dalla Bibbia e dalla successiva letteratura
ebraica (Mishnà, Midrash, Zohar). Si recita una speciale “preghiera per
gli alberi perché diano dei buoni frutti” e si mangiano vari tipi di
frutta, prodotti vegetali e dolci recitando prima le benedizioni
specifiche.
Sul sito Torah.it
si può scaricare e stampare il seder di Tu biShvat
composto da rav Bahbout
si può scaricare e stampare il seder di Tu biShvat
composto da rav Bahbout
Da Sullam, newsletter della Comunità ebraica di Napoli
Tu bishvat: Capodanno
degli alberi
Rav Scialom Bahbout, Rabbino capo
di Napoli e del Meridione
Foto da eTeacherHebrew
La scuola di Shammai e quella
di Hillel hanno un’opinione diversa circa la data in cui far cadere il
Capodanno degli alberi: il primo di shevat, secondo i primi, il quindici dello
stesso mese secondo gli altri, opinione questa accettata come norma.
1. Potenza e atto
Alla base di questa
discussione sta non solo una diversa valutazione del momento in cui ha inizio
il risveglio della natura dal torpore invernale, ma un diverso approccio al
mondo della natura e, di conseguenza, a quello dell’uomo stesso: mentre Shammai
ritiene che ogni evento debba essere analizzato e giudicato per ciò che è “in
potenza”, Hillel pone l’accento su ciò che si può osservare “in atto”, su ciò
che è in qualche modo misurabile.
Secondo Shammai il Capodanno
degli alberi va anticipato perché le prime gemme sono già pronte a spuntare due
settimane prima del momento in cui le osserviamo; per Hillel conta invece ciò
che è visibile e osservabile.
2. L’uomo è come un albero del campo (Deut.
20:19): questa frase permette di dire che, quando analizziamo le azioni dell’uomo,
dobbiamo applicare lo stesso sistema di valutazione usato per gli alberi:
possono essere oggetto di giudizio solo le azioni e non i pensieri.
Giocando sulle ambiguità del
testo biblico, il Midràsh attribuisce alla Terra la colpa di non aver obbedito
a una precisa parola divina: il Signore aveva ordinato alla Terra di produrre ‘ets perì, cioè alberi frutto in
cui il sapore dell’albero si identificasse con quello del frutto.
La Terra si limitò invece a
produrre ‘etz ‘osè perì, cioè alberi che fanno frutto, mancanti dell’identità tra
albero e frutto voluta da Dio: questa disobbedienza dell’albero
spiega la maledizione che colpì la Terra assieme a quella dell’uomo.
L’albero era stato creato per
costituire esso stesso un fine a se stesso (il
sapore dell’albero deve essere uguale a quello del frutto), ma esso rifiutò
questa sua condizione e preferì divenire solo un mezzo per la produzione dei frutti, limitando così
quelle che erano le sue potenzialità.
L’uomo, come l’albero, deve
far sì che ci sia una identità tra mezzi e fini e ricordarsi che il fine non
giustifica i mezzi, perché altrimenti l’uomo perde una parte rilevante delle
sue potenzialità.
Il rapporto esistente tra
uomo e albero può essere interpretato però in maniera antitetica.
Scrive infatti il Maharal di Praga: “l’uomo è chiamato albero del campo, ma
in verità è un albero capovolto, perché l’albero ha le radici in basso, fissate
in terra, mentre l’uomo ha le sue radici in alto: la sua radice è l’anima che è
di origine celeste… Perché l’uomo è un albero capovolto? L’albero ha radici in
basso perché deriva la sua vitalità dalla terra, mentre la vitalità dell’anima
umana deriva dal Cielo … e questo è il significato del precetto dei tefillin:
essi piantano l’uomo nel Signore.
Che sia questo uno
dei significati dell’uomo capovolto che è uno dei motivi ricorrenti dell’opera
di Marc Chagall? Se uniamo queste due affermazioni possiamo dire
che l’uomo ha le sue radici in terra e in cielo.
L’esperienza d’Israele può
essere rappresentata in sintesi nella scala di Giacobbe che era fissa per
terra, ma arrivava fino al cielo: tradurre in atto (in terra) ciò che viene rivelato
in potenza (in cielo) è compito di ogni ebreo.
Il giorno della memoria, che
è una data del calendario non ebraico e che ci trova sempre coinvolti, precede
quest’anno di pochi giorni il Capodanno degli alberi [l’articolo è dell’anno scorso: quest’anno Tu
biShvat coincide proprio con il Giorno della memoria].
Abbiamo detto che l’uomo è come un albero del campo.
Molti alberi sono stati
sradicati nei campi di concentramento e nei ghetti durante la Shoà: la
generazione che è sopravvissuta e noi che ne siamo gli eredi abbiamo il dovere
di piantare nuovamente noi stessi nella casa del Signore: Coloro che sono piantati nella casa del Signore, nei cortili del
nostro Dio fioriranno (Salmo 92).
Immagine da Keter leYisrael
Da Pensieridi Torah Domanda: Come
mai diamo tanto importanza al capodanno degli alberi?
Risposta: È
scritto nella Torà: “Poiché l’uomo è come l’albero del campo” (Deuteronomio
20,19).
Possiamo trarre
molti insegnamenti importanti dai nostri omologhi nel mondo vegetale, ecco
alcuni esempi:
A Continua
a crescere Un albero non smette mai di crescere; ogni anno diventa più alto
e più grosso e, non soddisfatto dei frutti prodotti nell’ultima stagione, ogni
anno continua a produrne di nuovi. Allo stesso modo, è bene che noi umani
continuiamo a crescere nella nostra conoscenza della Torà, nel nostro servizio
di D-o e nel nostro rapporto con il prossimo. Inoltre, le mitzvòt che abbiamo
prodotto ieri, la tzedakà che abbiamo dato, i tefillìn che abbiamo indossato, non
ci esonerano dal ripeterlo oggi.
B Ricorda
le tue radici Un albero non può sopravvivere né produrre un raccolto di qualità
se non ha radici forti. Analogamente, I nostri frutti, ovvero la Torà che
studiamo e le mitzvòt che osserviamo, devono basarsi su salde radici di fede in
D-o e sulla dedizione nel compiere il Suo volere. Colui che osserva le mitzvòt solamente
quando ne ha voglia o quando una mitzvà in particolare lo attira, è
paragonabile a un albero senza radici che può cadere anche a causa di un vento
debole.
C Cura
la piccola pianta Hai mai cercato di piantare e far crescere un albero? Se
hai vissuto quest’esperienza sai bene quanta cura è necessaria poiché anche una
minuscola lesione o intaccatura al seme o al giovane albero può causare una
grave malformazione nel suo sviluppo. Tuttavia, una volta che l’albero è
diventato adulto può occuparsi di se stesso e resistere perfino a grandi graffi
e ammaccature. L’educazione dei figli è molto simile a questo processo. La
mente ed il cuore di un bambino sono estremamente delicati ed è quindi
fondamentale assicurarsi che egli riceva l'educazione ebraica necessaria e che
non sia esposto a ‘lesioni o intaccature’ indesiderati. Meglio non attendere
nel dare tale educazione poiché quando i figli crescono spesso rifiutano ciò
che non hanno assimilato durante l'infanzia. Infine, Tu B’shvat è un giorno nel
quale festeggiamo il nostro rapporto particolare con la Terra Promessa e
cogliamo l’occasione di ringraziare il Sign-re per il raccolto generoso.
Di Rav Naftali Silberberg, per gentile
concessione di askmoses.com
Gli alberi e gli uomini
Esistono alberi
ed alberi. Ci sono quelli fruttiferi e quelli che non danno frutto; quelli che
sono alti e maestosi, come i cedri del Libano, e quelli piccoli, umili, come
gli arbusti spinosi; quelli rigogliosi e quelli silenti. Non esistono due
alberi uguali.
Esistono uomini
e uomini. Ci sono quelli le cui buone azioni sono come frutti succulenti e
quelli che vivono solo per sé stessi. Ci sono i superbi ed arroganti e gli
umili e modesti. Ci sono i vanitosi che adorano esibirsi e coloro che tengono
conto dei propri averi in silenzio e senza ostentazione. Non esistono due
uomini uguali.
"Poiché
l'uomo è come l'albero del campo", dice la nostra Torà.
Quando D-o parlò
per la prima volta con Moshè Rabbenu, Egli non lo chiamò da un cedro o una
palma, bensì da un cespuglio ardente. In questo modo D-o mostrò al primo
Pastore d'Israele che egli doveva cercare lo Spirito Divino nei cuori degli
esseri umili. D-o non dimora tra i superbi e gli arrogantì.
La rosa è regina
suprema tra i fiori e l'uva tra i frutti, perché da essa si ricava la più
antica e migliorè bibita per l'uomo - il vino. La rosa nasce da un arbusto
spinoso e l'uva da un modesto viticcio. Non ci dà forse in questo D-o, una
grande lezione di umiltà?
Un albero che
cresce vicino all'acqua e che ha radici lunghe e numerose è il simbolo che i
nostri Profeti e Savi usano molte volte per descrivere l'uomo giusto. Le radici
sono il simbolo della stabilità, della buona educazione e di carattere fermo.
Il frutto rappresenta le sue azioni meritorie. I rami sono le sue
evoluzioni spirituali.
Sono pochi gli
alberi perfetti supponendo che esistano. Generalmente c'è sempre un ramo secco
o una foglia bacata. Ma se le radici sono forti, sarà un albero sano. Il
giardiniere riconosce un buon albero da quello che non lo è, e sa cosa fare in
ogni caso. Ugualmente esistono pochi individui perfetti e D-o (il
'Giardiniere') sa come comportarsi con tutti.
Ai nostri
Profeti piaceva molto usare la metafora dell'albero per lodare Israele: la
vite, l'ulivo, il fico, la palma, il melograno e il noce. Tutti questi alberi
sono simboli favoriti d'Israele. Cerchiamo di descriverne alcuni.
L'ulivo è uno
degli alberi fruttiferi più importanti in Terra d'Israele perché è la fonte del
più puro, più soave e più prezioso tra gli olii. L'olio d'oliva era usato per
varie cerimonie: a) ungere re e Sommi Sacerdoti; b) accendere la sacra Menorà;
c) per offerte nel Beit Hamikdash; d) anche a scopo salutare.
L'ulivo è
eternamente verde. Il suo aspetto è sempre fresco e vivo, sia nella stagione
secca che in quella piovosa. Non meravigliatevi, quindi, se i nostri Profeti
comparivano amorosamente. Israele a quest'albero. Il nostro popolo non
invecchia con l'età. Come nazione, è vigoroso e giovane come l'ulivo
sempre-verde.Così come l'ulivo produce la luce più pura, anche il popolo
d'Israele è la « luce del mondo ». La santa Torà è la torcia che illumina il
cammino di tutte le nazioni.
L'olio non si
mischia con altri liquidi. Così Israele non si mischia con le altre nazioni e
preserverà sempre la sua identità. Israele non è stata solo dotata delle stesse
qualità e proprietà dell'olio d'oliva ma deve anche sottomettersi allo stesso
processo di estrazione. Ce lo descrivono i nostri Savi:
L'oliva, ancora
sull'albero, viene scelta per essere seccata; dopo, viene colta, battuta e
trasferita nei raccoglitori, collocata nella màcina e triturata. Si raccoglie
in reti e vi si collocano sopra pietre; e solo allora l'oliva produce il suo
olio.
Così anche
Israele. Già dai tempi di Abramo il nostro popolo fu scelto per essere la luce
delle nazioni. Fu necessario che passasse per la màcina e sotto il peso delle
pietre (oppressione, esilio, sofferenza), perché da questa oppressione Israele
ritorna a D-o, si conserva leale alla Torà e fedele al suo destino.
Come l'olio che
non emette nessuna eco quando viene travasato da un vaso ad un altro, così
Israele soffre in silenzio. Ma come l'olio si eleva sugli altri liquidi, così
Israele si solleverà quando le parole dei nostri Profeti si avvereranno "e
le nazioni andranno dietro la tua luce".
La melograna è
piena di semi. Simboleggia un individuo pieno di virtù e l'erudito trasbordante
cultura e sapienza. Rabbi Shimon ben Lakish, il grande Savio che conobbe i
settori più umili d'Israele, disse: "Anche i peccatori d'Israele sono
pieni di Mitzvot come una melograna tagliata nel mezzo (piena di semi)".
Circa le noci, i
nostri Savi ci parlano di alcune caratteristiche molto interessanti che si
possono applicare anche ad Israele. La caratteristica principale che
differenzia le noci dall'altra frutta è che la buccia protegge il suo
contenuto. Anche se la buccia risulta macchiata la polpa si conserva sana.
Così è per
Israele: nonostante esteriormente, pressato da circostanze avverse, un ebreo
possa essere alieno dall'osservanza dei precetti quotidiani che sono la sua
buccia protettrice, all'interno si preserva integro. La macchia può facilmente
essere rimossa dalla buccia e la noce può tornare perfetta in tutti i suoi
aspetti.
Il paragone
della noce è stato usato dai nostri Savi per descrivere i diversi gradi di
carità. Esistono tre specie di noci: morbide, medie e dure. Coloro che fanno la
carità spontaneamente e con bontà di cuore, sono le noci morbide. Coloro che
danno solo se sollecitati, sono le noci medie. E quelli che non danno anche
quando li si cerca, sono le noci dure.
Comunque,
quest'ultime quando cadono al suolo, si aprono. È così anche per gli ebrei
dal cuore duro: se colpiti dal dolore, aprono le mani ed i cuori e fanno atti
di carità. Ed ancora un altro paragone: non si può evitare il dazio doganale
per le noci, a causa del rumore che producono, tradendo il proprietario. Così è
per Israele. Nessun ebreo si può camuffare. Egli vien subito riconosciuto per
la sua capacità e buon carattere, come è scritto: "Tutti coloro che li
vedono riconoscono che essi sono la semenze che D-o benedisse".
Tratto
dal Lubavitch News n. 18, in
collaborazione con Chabad.it
Nessun commento:
Posta un commento