Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 18 dicembre 2019

Oreste Dito e il suo archivio


Nell'archivio di Oreste Dito
di Tiziana Carlino (Agosto 2019)

Le foto sono pubblicate per gentile concessione di Oreste Maria Dito

Parto da Catanzaro Lido prestissimo, in una mattina già calda ma ventosa - come potrebbe essere altrimenti? - diretta a Reggio Calabria, o più semplicemente a 'Reggio', come si dice da queste parti. Il treno viaggia sulla costa jonica regalando uno spettacolo la cui bellezza, che riempie gli occhi e il cuore, non può lasciare indifferenti. Una teoria di fermate si sussegue lungo un binario fatto di luce e mare: Soverato, Monasterace-Stilo, Roccella Jonica, Gioiosa, Locri, Siderno, Brancaleone, Bovalino, Bianco, Palizzi, Bova Marina, Melito Porto Salvo e, infine, Reggio. Per alcuni di questi luoghi - Brancaleone, Bianco, Bova Marina e Reggio - un'antica presenza ebraica è attestata da studi e reperti; per altri è solo un'ipotesi: si scrive, si cerca, se ne parla. È proprio l’ampio e fertile campo delle ipotesi a spingermi più a Sud. 
Per quanti si interessano alle origini e alle vicissitudini delle comunità locali, La Storia della Calabria e la dimora degli Ebrei di Oreste Dito è una tappa, sebbene datata, quasi obbligatoria. 
L’autore nacque a Scalea nel 1866 e morì a Reggio Calabria nel 1934. Fu professore di lettere classiche in diversi licei, massone, storico dalla prolifica attività editoriale e provveditore agli studi di studi di Reggio Calabria. Il libro in questione venne stampato per la prima volta a Napoli nel 1916 e ripubblicato poi da Brenner nel 1975. Ne conservo una fotocopia di lavoro per me preziosa, perché ottenuta negli anni napoletani, quando, leggendolo con attenzione, notai che tra i luoghi interessati da un insediamento ebraico si citava Gimigliano, il mio paese, in provincia di Catanzaro. Oreste Dito scrive che, nel XV secolo, il trattamento di favore fatto agli ebrei del Regno di Napoli ne aveva attirato molti da diverse parti d’Italia, dalla Francia e dalla Germania: «In Calabria, durante queste immigrazioni si costituirono altre colonie ebraiche, alcune delle quali in località che, per la loro posizione geografica, erano centri importantissimi di traffico: a Scalea, Paola, San Lucido, Amantea, Nocera Terinese, Mileto, Fiumara di Muro, Oppido, Giffone, Carinola, Sinopoli, Stilo, Sellia, Gimigliano» (p.329). Purtroppo l'affermazione non è circostanziata o accompagnata da note bibliografiche. Così, nel pochissimo tempo libero, mi dedico periodicamente a questa indagine. Da dove nasce l’affermazione di Dito? Quali sono le sue fonti? Domande senza risposta. Per ora.
L’inverno scorso, uno studioso di professione mi ha suggerito di andare all’origine, di cercare, cioè, una risposta nell'archivio di Dito, dove potrebbe persistere una piccola traccia, una parte del manoscritto, una nota omessa, un appunto dimenticato. A luglio contatto via email la soprintendenza di Reggio Calabria per avere l’autorizzazione necessaria alla consultazione dell’archivio e poi scrivo ad un erede, che si chiama quasi come lui, Oreste Maria Dito, per fissare un appuntamento. Mi ritelefona dopo poco, anzi pochissimo, con una gentilezza non solo di modi ma di intenti e di contenuti. Il fatto che gli storici si interessino ancora al lavoro di suo nonno lo riempie di entusiasmo. E questa facilità di comunicazione riempie di entusiasmo anche me. È la gioia del progrediens, mi dico. Pur non volendo intaccare la serenità del momento, ci tengo a sottolineare che non sono una storica, né potrei improvvisarmi tale.
In generale, non so improvvisare. Purtroppo. Oreste Maria risponde comprensivo: «Neanche io sono uno storico, faccio l'ingegnere».
Quando, in un pomeriggio di agosto mi conduce nella biblioteca di casa sua, dove sono serbati i beni del nonno, intercetto la passione con cui cerca di tenere in vita pezzi di storia familiare e storia locale, sperando così che la memoria dell'avo non venga dispersa o messa da parte. Oreste Dito ebbe dodici figli, uno dei quali, Armando, era il papà dell'ingegnere Dito, attuale custode di un archivio eterogeneo, costituito in parte da libri, corrispondenza, manoscritti e materiali vari (cartoline, un libretto universitario, ecc.). I volumi sono svariate centinaia per lo più di argomenti inerenti la Calabria e la storia della massoneria. Non a caso diversi esperti di cose massoniche si sono, nel tempo, interessati a questo stesso luogo. 
Su una parete campeggia il ritratto di Oreste Dito, un bel signore elegante, rassicurante e paffutello. Altre foto di famiglia in bianco e nero contribuiscono a rendere suggestiva l’atmosfera su cui grava, implacabile, la calura di agosto. Inizio a compulsare i testi di argomento ebraico, cercando una risposta alla domanda che mi ha fatto giungere fin qui. L'ingegnere Dito mi aiuta con generosa partecipazione, tira giù tutti i libri che mi interessano. Ragioniamo insieme. Poi passiamo ai raccoglitori che contengono quel che resta dei manoscritti. È la parte più emozionante. Occorre brevemente ricordare che Dito qui trascrive e cita le informazioni riferite da Minieri Riccio ne Il regno di Carlo d’Angiò dal 2 gennaio 1276 al 31 dicembre 1283 (si tratta, nello specifico, delle pagine 51 e 52). Gimigliano vi appare come Gaminianum (insieme a Pentonem). In una lista annessa alla Cedula, accanto alla versione toponomastica del XIII secolo, viene specificato il nome di ogni singolo luogo nella dicitura più attuale: Gaminianum è Gemilianum, cioè Gimigliano. Non trovo nient’altro che mi possa essere d’aiuto e, mentre saluto ringraziando ancora l’ingegnere Dito, mi sembra di andarmene quasi a mani vuote. Non è un gran bottino, mi dico.
La meticolosità con cui Oreste Dito compilava le schede preparatorie costituisce però per me un indizio: la frase che mi ha portata fin qui non può essere casuale. A quale fonte avrà attinto? De La dimora degli ebrei in Calabria non resta - ahimé - quasi alcun lavoro preliminare, solo una scheda di quattro pagine in cui viene ricopiata la Cedula subventionis in Iustitiariatu Vallis Crati et Terre Iordane del 1276, un noto elenco dei centri abitati che pagavano i tributi alla corte angioina. Eppure, se non fossi venuta fin qui, non lo avrei mai saputo.
Il quesito resta aperto, ma non voglio scoraggiarmi.
Questi ultimi due decenni in cui ho bazzicato, a vario titolo e in vario modo, la letteratura ebraica mi hanno lasciato l’impressione che una domanda senza risposta può divenire una riserva di scoperte mai finite e mai sopite.

L’autrice desidera ringraziare l’ingegnere Oreste Maria Dito
per il prezioso aiuto e la squisita disponibilità.


 (Io a mia volta ringrazio di cuore Tiziana Carlino per la sua collaborazione)


POSTILLA
Reggio: Intitolazione di Largo Oreste Dito (Da VeritasNews24.it)

Con una sobria cerimonia, la città di Reggio Calabria  presenti, in rappresentanza dell’Amministrazione e del Sindaco Giuseppe Falcomatà, i consiglieri comunali Antonio Ruvolo, Giuseppe Marino e Rocco Albanese, nonché il presidente della commissione toponomastica dr. Cantarella e il responsabile dr. Caridi, ha voluto rendere omaggio ad una figura di rilievo della storia cittadina intitolando Largo Oreste Dito per ricordare l’educatore, lo storico e lo scrittore che con la sua attività letteraria ha dato lustro alla città.
Il dr. Ruvolo ha ricordato brevemente Oreste Dito che, originario di Verbicaro, laureatosi in lettere presso l’università di Roma inizio la sua carriera nell’insegnamento non tralasciando la sua passione di ricercatore storico e nel 1909, all’indomani del terribile terremoto del 1908, si trasferì a Reggio Calabria in qualità di Preside del Liceo Classico che di fatto ricostruì dalle macerie.
Egli guidò l’istituto sino al suo pensionamento nel 1932 e fu una guida per tutti i suoi studenti per le sue indubbie capacità professionali, letterarie ma anche morali rivelandosi un vero educatore.
Nel corso della sua presidenza dovette anche affrontare l’incendiodel 1913 che distrusse il Liceo, ma in breve fu ricostruitocontinuando ad essere sempre luogo centrale di cultura.
Oreste Dito fu anche storico e scrittore e pubblicò la sua prima opera Velia colonia focese nel 1891 cui ne seguirono altre, sempre con temi storici, quali, per citarne i più famosi, La rivoluzione calabrese del ’48, L’influenza massonica nella storia calabrese dal 1789 a’ nostri giorni, In Calabria – Saggi critici di storia paesana, Massoneria, Carboneria e altre società segrete nella storia del Risorgimento italiano, La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria ed altri, e molti di questi sono stati, e lo sono ancora, di notevole interesse sia per gli studiosi che per il semplice lettore tant’è che sono stati ripubblicati ed hanno anche un vivace mercato sui web.
Ma la sua ricerca storica si rivolse anche al giornalismo tantè che fondò e guidò Rivista calabrese di Storia e Geografia, “Rivista Storica Calabrese”, “Calabria Vera”, e fu anche fondatore e Presidente della Deputazione di storia patria calabrese.
Nella sua vita, per come si può dedurre da suoi libri e dai suoi scritti fu anche un importante rappresentante della Massoneria di cui ricoprì le più alte cariche.
Al termine del suo mandato di Preside del Liceo-Ginnasio “Tommaso Campanella”, esattamente il 16 febbraio del 1933, fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere – Ufficiale della Corona d’Italia.
Già in passato, il 26 settembre del 1922, era stato insignito del Diploma di Benemerenza di 1ª classe con medaglia d’oro e, l’8 luglio del 1925, di quello di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Ultimamente, Nel Settembre del 2019, il “ICSAICStoria” (Istituto calabrese per la storia dell’Antifascismo e dell’Italia) lo ha inserito nel Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea tra le prime cento biografie di Calabresi illustri.
Alla cerimonia erano presenti il nipote Ing. Oreste Mario Dito, che ha ringraziato brevemente, ed i fratelli Antonio, Egle e Federico oltre alle famiglie. La targa è stata scoperta da due pronipoti di Oreste Dito, Alberta ed Armando.
Erano presenti anche amici della famiglia e cittadini amanti della cultura.
 

venerdì 26 luglio 2019

Sinagoghe di Calabria

Proseguendo il post precedente (LINK), ecco le altre tipologie di luoghi di culto e di preghiera ebraici, con ricerca minimale di eventuali riscontri in Calabria

II) Il luogo ormai abituale e consolidato della liturgia ebraica (accanto alle altre funzioni che svolge, come dicevo sopra) è proprio la sinagoga. Questa sorgeva dove c’erano comunità di una certa rilevanza numerica, che potessero avere costantemente il minyan, dove vi fossero abbastanza bambini, ragazzi, giovani e anche adulti da istruire, e che potesse mantenere agevolmente l’istituzione, con contributi di tutti i membri, e spesso da parte di uno o più benefattori che avessero una certa disponibilità economica.
Di sinagoghe in Calabria si hanno scarse informazioni, poche sono le sinagoghe individuate, e solo per una si è certi della localizzazione.
1) Si tratta della sinagoga di Bova Marina, la più antica e senza dubbio l’unica che ha lasciato ben visibili le sue strutture architettoniche e decorative.
2) Un’antichissima sinagoga sorgeva anche a Reggio, ma non ne è rimasta traccia che in una semplice iscrizione su tabella di pietra, in caratteri greci, fortunosamente rinvenuta tra i detriti del terremoto del 1908.
Nell’XI secolo si ricorda Moshè, hazan,  cantore della sinagoga di Reggio.
La sinagoga, in epoca angioina, sorgeva presso un’area popolata da cristiani, che lamentavano i clamori del culto ebraico durante le loro celebrazioni e ne chiedevano la demolizione o il ricollocamento all'interno della Giudecca. I governanti angioini decisero che i cristiani, che la sinagoga venisse demolita o che venisse utilizzata da loro, avrebbero dovuto dare agli ebrei la somma per permetterne la riedificazione nella Giudecca.
3) Una sinagoga vi era a Cosenza, ma sono state proposte tre o quattro ipotesi di ocalizzazioni, sulla quale ancora non vi è accordo tra gli studiosi. L'area più probabile sembra essere quella dove in seguito sorgerà il complesso monastico delle clarisse, detto delle Vergini.
4) Protagonista di una vicenda particolare fu la sinagoga di Castrovillari, che, insieme agli altri ambienti della Comunità, fu ceduta alla città in occasione dell’espulsione degli ebrei nel 1511, con l’impegno di restituirla se gli ebrei fossero tornati entro un determinato lasso di tempo. Infatti presto tornarono, e (cosa incredibile a quei tempi) l’amministrazione cittadina fu fedele ai patti. Espulsi di nuovo nel 1541, stabilirono con la città lo stesso accordo, ma da allora non tornarono più. Chissà se un avvocato può esaminare la cosa… (si scherza ovviamente, i termini sono ampiamente scaduti).
5) Un’altra vicenda particolare e controtendenza per quei tempi, riguardò la sinagoga di Montalto Uffugo, alla quale un frate si impegnò a fornire l’olio per l’illuminazione. Un po’ per cercare di convertirli, ma forse un po’ (è solo un mio pensiero) per genuino affetto.
6) Abbiamo poi citazioni della sinagoga di Gerace, che Carlo d'Angiò, Duca di Calabria, concesse di restaurare o anche ricostruire nel 1311, per le ingiurie subite dal tempo e dai periodici attacchi antisemiti.
È incerto che l’iscrizione marmorea trovata a Gerace si riferisca ad una sinagoga, ad un mikveh o ad altro, come hanno alternativamente ipotizzato i vari studiosi.
7 - 8) La stessa autorizzazione riguardò nel 1324 la sinagoga di Cotrone (Crotone) e la sinagoga di Rossano. Recentemente  è stato attribuito al cantore della sinagoga di Rossano, mentre prima era riferito ad uno scrittore russo, un commento alla Torah ritenuto di grande interesse in quanto presenta termini greci traslitterati in ebraico ed anche parole in volgare, il calabrese del tempo, sempre scritte in ebraico.
Ricordiamo che generalmente le leggi degli Stati cristiani prevedevano il divieto di costruire nuove sinagoghe, e il restauro di quelle già esistenti doveva essere autorizzato, garantendo che non sarebbero però state elevate o abbellite.
9) Una sinagoga sorgeva a Catanzaro, e a questa pare riferirsi una lapide marmorea (purtroppo dispersa) che recava in caratteri ebraici la scritta “travi di Mosé”, probabilmente da riferirsi al materiale in cui era costruita. La sinagoga, a detta dei maggiori studiosi, va individuata nella chiesa di Santo Stefano, che sorge nell’antica Judeca, dove ora si trova Palazzo Fazzari.
Tutte qui le sinagoghe calabresi di cui siamo a conoscenza, e tra queste solo di quella di Bova Marina abbiamo certezza della localizzazione.
A) Accesissimo è il dibattito sulla sinagoga di Nicastro, individuata per primo dallo studioso Vincenzo Villella, anche per il suo rosone a forma di stella a 6 punte, nella chiesa di sant’Agazio, che sorge all’interno del Timpone, il rione della città ritenuto sede della locale Judeca.

III) In alcune località, in cui la comunità era più piccola o più povera, poteva non esistere una sinagoga, ma un locale comunitario che ne svolgesse, anche parzialmente, le funzioni come luogo di incontro, di preghiera e di studio, accoglienza degli ebrei di passaggio e così via. Vi poteva essere anche un Sefer Torah, magari non come armadio, ma come nicchia incavata nella parete.
Questi ambienti dovevano essere più numerosi delle sinagoghe, ma per la loro modestia è difficile che abbiano lasciato tracce. Sospette di appartenere alla terza tipologia sono, senza evidenza di prove scientifiche, solo poche costruzioni.
B) L’altro edificio si trova a Caccuri (KR), ed ha maggiori possibilità di risultare un’antica sinagoga, come ipotizzato da una studiosa ebrea: purtroppo le ricerche non sono state approfondite e non è stato possibile trasformare l’ipotesi in certezza.

IV) Dove infine la comunità era veramente minuscola, molto povera e magari non percepiva la sua presenza come stanziale, poteva non esserci del tutto un ambiente comune, ma una famiglia tra quelle più benestanti si offriva di ospitare la tefillah, magari anche a rotazione tra varie famiglie.
Di questa tipologia non abbiamo nulla da rilevare, non perché mancasse, ma perché la modestia, precarietà e mancanza di particolari caratteristiche o strutture architettoniche non permette di individuarla.

V) In alcuni casi si poteva trattare di sinagoghe nascoste, dopo la cacciata degli ebrei, usate dai Bené Anusim, i marrani che erano rimasti fingendo la conversione.
a) Trova qui posto la sospetta sinagoga di Castrovillari, situata nel Palazzo Salituri, che sorge nell’antica Judeca, su una cui parete è stato rinvenuto un affresco che sembrerebbe raffigurare la Menorah.
b) A Serrastretta, secondo Barbara Aiello che ne è originaria, la nicchia nel muro della casa in cui abita potrebbe indicare l’ambiente in cui si riunivano a pregare vicini alla Torah tenuta nella nicchia sulla parete, i Bené Anusim.
10) Devo citare questo ambiente come l’unica sinagoga attualmente attiva in Calabria, almeno in alcuni periodi dell’anno ed in particolari occasioni festive.

Quindi, il censimento delle sinagoghe calabresi è presto fatto.
Ne abbiamo 10 (numeri da 1 a 10) che erano senza dubbio delle sinagoghe; 2 potrebbero essere state delle sinagoghe, ma non ne abbiamo la certezza (A - Nicastro; B - Caccuri); altri due ambienti potrebbero essere stati luogo di raduno (a - Castrovillari; b - Serrastretta).
Si tratta di 14 sole sinagoghe rilevate o ipotizzate. Pare difficile che fossero davvero così poche, credo che in questo campo si apra un grande (ma sicuramente difficile) ambito di ricerca.

venerdì 19 luglio 2019

La sinagoga e il Tempio, e un cenno calabrese

Un argomento dibattuto è la questione delle sinagoghe presenti in Calabria, lungo tutta la sua storia ebraica.
Prima di approfondire il tema, è opportuno fare alcune premesse.


L’istituzione della sinagoga (dal greco συναγωγή, "raduno"), in ebraico בית כנסת (Bet Kenesset, "Casa dell'Assemblea", a volte anche ייהכנס, Kenessiyah, analogo ad Ecclesia, da cui il termine italiano Chiesa) sembra essere nata durante l'esilio babilonese (VI secolo aEV), dopo la distruzione del primo Tempio, portata in Israele dagli ebrei tornati dall'esilio; rav Jochanan Ben Zakkai (I sec. EV) ebbe l'intuizione di creare dei luoghi di preghiera ovunque vi fossero ebrei.
(in alto: la Sinagoga Hurva a Gerusalemme;
dal sito Jerusalem Foundation)
Dato il suo ruolo, oltre che di sede di preghiera, di istituzione educativa e di insegnamento, veniva spesso conosciuta come Scuola, šul (שול) in yiddish, Scola in Italia (vedi a Roma Piazza delle Cinque Scole). Oggi, comunemente, dato il suo ruolo in qualche modo sostitutiva o sussidiario del Tempio, in attesa che venga ricostruito (presto ai nostri giorni), viene anche chiamata Tempio.
Dunque la sinagoga svolge una molteplice funzione: luogo di raduno (e quindi di discussioni sia sacre che profane, scambio di informazioni, accoglienza di ebrei in transito); scuola e luogo di insegnamento, studio e riflessione; come Tempio, luogo della tefillah, preghiera. E molto altro ancora, anche come luogo dello shidduk: la “combinazione” di fidanzamenti e matrimoni.


Variabile per stili, architetture, forme, materiali di costruzione, riti particolari (ci può essere o meno la mezuzah alle porte d'entrata; qui deve essere costruita al piano superiore di una casa, perché non vi cammini nessuno sopra; lì invece il pavimento è incavato nel suolo per ricordare il salmo "Dal profondo ho gridato a te; tradizionalmente i fedeli erano su due file di banchi contrapposte con in mezzo la pedana per la lettura della Torah, oggi invece molto spesso i banchi, sono orientati verso l'Aron e sono disposti come nelle chiese...) ha però una costante fondamentale: la presenza dell’Aron haKodesh, l’Arca Sacra, un armadio orientato in direzione di Gerusalemme in cui si conservano uno o più Sefarim, rotoli della Torah, da leggersi parashah (porzione) dopo parashah ogni sabato, e negli altri giorni in cui va letta. Superfluo dire che questi bellissimi rotoli su pergamena e le loro custodie richiedono una cura non solo tecnica ma anche rituale nella loro preparazione (della pelle e dell’inchiostro), della scrittura (fatta da uno scriba esperto, di buona reputazione; i caratteri scritti sono solo le consonanti, senza vocali, accenti e indicazione dei toni per la lettura cantillata; custodie ornate e preziose, caratterizzate generalmente da una corona, che rappresenta la Torah, e dai rimmonim, campanellini ornamentali in forma di piccoli melograni).
Venezia: Scola Canton
(dal sito del Museo ebraico di Venezia)
Ma è la sinagoga l’unico luogo di preghiera degli ebrei? No. È luogo di preghiera anche il cimitero (ma le modalità e la frequenza di visita sono molto diverse, e minori, rispetto a quelle cristiane, mentre molto più impegnativo è il rito funebre ed il periodo del lutto, che in vario modo continua fino ad un anno, e prevede diverse usanze nel corso del tempo) e, in occasioni particolari, l’aria aperta (per esempio per la benedizione della luna), i corsi d’acqua (come alternativa al mikveh per la tevilah) o le loro rive (come nel tashlich di Rosh haShanah, in cui si svuotano le tasche della polvere e se stessi dal peccato).

Il luogo principe per la preghiera e i riti della fede è però la casa: secondo la tradizione, dopo la distruzione del Tempio la mensa domestica è diventata l’altare (a cui fa da corollario la celebre descrizione di gran parte delle feste ebraiche: “i nemici ci volevano distruggere, QBH ci ha salvati, e noi festeggiamo mangiando e bevendo” e, aggiungo io, cantando e ballando). Tradizionalmente (oggi le cose sono cambiate), i momenti più importanti della vita ebraica (oltre al parto, come dappertutto) si svolgevano nell’ambiente domestico: mascita e Berit Millah (circoncisione); fidanzamento e matrimonio (che avveniva di sera, per ricordare la promessa di QBH ad Abramo di una discendenza numerosa quanto le stelle); agonia e morte.
Questo spiega in parte la relativamente scarsa presenza di sinagoghe in Calabria (ed anche altrove). Infatti le nostre comunità erano piuttosto piccole, non sempre c’era il minyan assicurato (gruppo di almeno 10 ebrei maschi adulti necessari per la preghiera definita “pubblica”, che permette di leggere la Torah direttamente dai Sefarim).

Oltre l’ambiente domestico, possiamo dunque individuare cinque tipologie principali del luogo di preghiera:
I) Il Beth haMiqdash, il Tempio;
II) La sinagoga vera e propria;
III) Un locale comune che in parte vi supplisse;
IV) Un ambiente privato messo a disposizione della comunità;
V) Ambienti nascosti utilizzati dai Bené Anusim.

I) Il Beth haMiqdash (la Santa Casa, più o meno, nota come Tempio), meta delle tre festi annuali dette di pellegrinaggio (Pesach, Shavuot e Sukkot), unico luogo in cui si potessero fare sacrifici, di animali o incruenti, in cui ora il culto è stato abolito (o impedito), dopo che è stato distrutto la seconda volta dai Romani, e in cui si pregherà di nuovo quando verrà ricostruito ai tempi di Mashiach (presto ai nostri giorni).

La sinagoga di Ostia Antica
(dal sito della Ostia Foundation)
In qualche modo viene erroneamente percepito come sostitutivo del Tempio il cosiddetto Muro del pianto, che gli ebrei invece chiamano Kotel maaravì (Muro occidentale) o semplicemente Kotel (Muro), che in realtà oggi è una sinagoga ai piedi di quanto resta dell’antico Tempio, o meglio del suo sostegno. Il Muro ha una sua sacralità per il cuore di tutti gli ebrei, e vi sono legate alcune usanze tradizionali (per esempio, è possibile prendere foglioline dalle piante che vi crescono, capperaie per lo più, ma è proibito portar via anche un solo granello di polvere della pietra; molti usano allontanarsi dal Muro camminando all’indietro, per non volgervi le spalle; infine, tutti conoscono l’usanza di porre nelle sue fessure un foglietto con richieste e preghiere), non è però in alcun modo sostitutivo del Tempio.
C’è da dire però che talora, in alcuni luoghi singoli gruppi ebbero effettivamente altri luoghi di culto, celebre il caso della legione ebraica stanziata in Egitto sotto l’egida dell’Impero romano, che ad Eliopolis costruì un nuovo Tempio, e probabilmente non fu l’unico caso.

Particolare dei mosaici della sinagoga di Bova Marina (da Cultura Italia)
Sembrerebbe infatti (avevo letto tempo fa, ma non ricordo dove, oppure mi era stato detto da un ricercatore) che anche nella nostra sinagoga di Bova Marina siano stati trovati dei resti di sacrificio, ma non so se l’ipotesi è confermata: chiedo il parere degli studiosi più addentro alla materia.