Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 18 dicembre 2019

Oreste Dito e il suo archivio


Nell'archivio di Oreste Dito
di Tiziana Carlino (Agosto 2019)

Le foto sono pubblicate per gentile concessione di Oreste Maria Dito

Parto da Catanzaro Lido prestissimo, in una mattina già calda ma ventosa - come potrebbe essere altrimenti? - diretta a Reggio Calabria, o più semplicemente a 'Reggio', come si dice da queste parti. Il treno viaggia sulla costa jonica regalando uno spettacolo la cui bellezza, che riempie gli occhi e il cuore, non può lasciare indifferenti. Una teoria di fermate si sussegue lungo un binario fatto di luce e mare: Soverato, Monasterace-Stilo, Roccella Jonica, Gioiosa, Locri, Siderno, Brancaleone, Bovalino, Bianco, Palizzi, Bova Marina, Melito Porto Salvo e, infine, Reggio. Per alcuni di questi luoghi - Brancaleone, Bianco, Bova Marina e Reggio - un'antica presenza ebraica è attestata da studi e reperti; per altri è solo un'ipotesi: si scrive, si cerca, se ne parla. È proprio l’ampio e fertile campo delle ipotesi a spingermi più a Sud. 
Per quanti si interessano alle origini e alle vicissitudini delle comunità locali, La Storia della Calabria e la dimora degli Ebrei di Oreste Dito è una tappa, sebbene datata, quasi obbligatoria. 
L’autore nacque a Scalea nel 1866 e morì a Reggio Calabria nel 1934. Fu professore di lettere classiche in diversi licei, massone, storico dalla prolifica attività editoriale e provveditore agli studi di studi di Reggio Calabria. Il libro in questione venne stampato per la prima volta a Napoli nel 1916 e ripubblicato poi da Brenner nel 1975. Ne conservo una fotocopia di lavoro per me preziosa, perché ottenuta negli anni napoletani, quando, leggendolo con attenzione, notai che tra i luoghi interessati da un insediamento ebraico si citava Gimigliano, il mio paese, in provincia di Catanzaro. Oreste Dito scrive che, nel XV secolo, il trattamento di favore fatto agli ebrei del Regno di Napoli ne aveva attirato molti da diverse parti d’Italia, dalla Francia e dalla Germania: «In Calabria, durante queste immigrazioni si costituirono altre colonie ebraiche, alcune delle quali in località che, per la loro posizione geografica, erano centri importantissimi di traffico: a Scalea, Paola, San Lucido, Amantea, Nocera Terinese, Mileto, Fiumara di Muro, Oppido, Giffone, Carinola, Sinopoli, Stilo, Sellia, Gimigliano» (p.329). Purtroppo l'affermazione non è circostanziata o accompagnata da note bibliografiche. Così, nel pochissimo tempo libero, mi dedico periodicamente a questa indagine. Da dove nasce l’affermazione di Dito? Quali sono le sue fonti? Domande senza risposta. Per ora.
L’inverno scorso, uno studioso di professione mi ha suggerito di andare all’origine, di cercare, cioè, una risposta nell'archivio di Dito, dove potrebbe persistere una piccola traccia, una parte del manoscritto, una nota omessa, un appunto dimenticato. A luglio contatto via email la soprintendenza di Reggio Calabria per avere l’autorizzazione necessaria alla consultazione dell’archivio e poi scrivo ad un erede, che si chiama quasi come lui, Oreste Maria Dito, per fissare un appuntamento. Mi ritelefona dopo poco, anzi pochissimo, con una gentilezza non solo di modi ma di intenti e di contenuti. Il fatto che gli storici si interessino ancora al lavoro di suo nonno lo riempie di entusiasmo. E questa facilità di comunicazione riempie di entusiasmo anche me. È la gioia del progrediens, mi dico. Pur non volendo intaccare la serenità del momento, ci tengo a sottolineare che non sono una storica, né potrei improvvisarmi tale.
In generale, non so improvvisare. Purtroppo. Oreste Maria risponde comprensivo: «Neanche io sono uno storico, faccio l'ingegnere».
Quando, in un pomeriggio di agosto mi conduce nella biblioteca di casa sua, dove sono serbati i beni del nonno, intercetto la passione con cui cerca di tenere in vita pezzi di storia familiare e storia locale, sperando così che la memoria dell'avo non venga dispersa o messa da parte. Oreste Dito ebbe dodici figli, uno dei quali, Armando, era il papà dell'ingegnere Dito, attuale custode di un archivio eterogeneo, costituito in parte da libri, corrispondenza, manoscritti e materiali vari (cartoline, un libretto universitario, ecc.). I volumi sono svariate centinaia per lo più di argomenti inerenti la Calabria e la storia della massoneria. Non a caso diversi esperti di cose massoniche si sono, nel tempo, interessati a questo stesso luogo. 
Su una parete campeggia il ritratto di Oreste Dito, un bel signore elegante, rassicurante e paffutello. Altre foto di famiglia in bianco e nero contribuiscono a rendere suggestiva l’atmosfera su cui grava, implacabile, la calura di agosto. Inizio a compulsare i testi di argomento ebraico, cercando una risposta alla domanda che mi ha fatto giungere fin qui. L'ingegnere Dito mi aiuta con generosa partecipazione, tira giù tutti i libri che mi interessano. Ragioniamo insieme. Poi passiamo ai raccoglitori che contengono quel che resta dei manoscritti. È la parte più emozionante. Occorre brevemente ricordare che Dito qui trascrive e cita le informazioni riferite da Minieri Riccio ne Il regno di Carlo d’Angiò dal 2 gennaio 1276 al 31 dicembre 1283 (si tratta, nello specifico, delle pagine 51 e 52). Gimigliano vi appare come Gaminianum (insieme a Pentonem). In una lista annessa alla Cedula, accanto alla versione toponomastica del XIII secolo, viene specificato il nome di ogni singolo luogo nella dicitura più attuale: Gaminianum è Gemilianum, cioè Gimigliano. Non trovo nient’altro che mi possa essere d’aiuto e, mentre saluto ringraziando ancora l’ingegnere Dito, mi sembra di andarmene quasi a mani vuote. Non è un gran bottino, mi dico.
La meticolosità con cui Oreste Dito compilava le schede preparatorie costituisce però per me un indizio: la frase che mi ha portata fin qui non può essere casuale. A quale fonte avrà attinto? De La dimora degli ebrei in Calabria non resta - ahimé - quasi alcun lavoro preliminare, solo una scheda di quattro pagine in cui viene ricopiata la Cedula subventionis in Iustitiariatu Vallis Crati et Terre Iordane del 1276, un noto elenco dei centri abitati che pagavano i tributi alla corte angioina. Eppure, se non fossi venuta fin qui, non lo avrei mai saputo.
Il quesito resta aperto, ma non voglio scoraggiarmi.
Questi ultimi due decenni in cui ho bazzicato, a vario titolo e in vario modo, la letteratura ebraica mi hanno lasciato l’impressione che una domanda senza risposta può divenire una riserva di scoperte mai finite e mai sopite.

L’autrice desidera ringraziare l’ingegnere Oreste Maria Dito
per il prezioso aiuto e la squisita disponibilità.


 (Io a mia volta ringrazio di cuore Tiziana Carlino per la sua collaborazione)


POSTILLA
Reggio: Intitolazione di Largo Oreste Dito (Da VeritasNews24.it)

Con una sobria cerimonia, la città di Reggio Calabria  presenti, in rappresentanza dell’Amministrazione e del Sindaco Giuseppe Falcomatà, i consiglieri comunali Antonio Ruvolo, Giuseppe Marino e Rocco Albanese, nonché il presidente della commissione toponomastica dr. Cantarella e il responsabile dr. Caridi, ha voluto rendere omaggio ad una figura di rilievo della storia cittadina intitolando Largo Oreste Dito per ricordare l’educatore, lo storico e lo scrittore che con la sua attività letteraria ha dato lustro alla città.
Il dr. Ruvolo ha ricordato brevemente Oreste Dito che, originario di Verbicaro, laureatosi in lettere presso l’università di Roma inizio la sua carriera nell’insegnamento non tralasciando la sua passione di ricercatore storico e nel 1909, all’indomani del terribile terremoto del 1908, si trasferì a Reggio Calabria in qualità di Preside del Liceo Classico che di fatto ricostruì dalle macerie.
Egli guidò l’istituto sino al suo pensionamento nel 1932 e fu una guida per tutti i suoi studenti per le sue indubbie capacità professionali, letterarie ma anche morali rivelandosi un vero educatore.
Nel corso della sua presidenza dovette anche affrontare l’incendiodel 1913 che distrusse il Liceo, ma in breve fu ricostruitocontinuando ad essere sempre luogo centrale di cultura.
Oreste Dito fu anche storico e scrittore e pubblicò la sua prima opera Velia colonia focese nel 1891 cui ne seguirono altre, sempre con temi storici, quali, per citarne i più famosi, La rivoluzione calabrese del ’48, L’influenza massonica nella storia calabrese dal 1789 a’ nostri giorni, In Calabria – Saggi critici di storia paesana, Massoneria, Carboneria e altre società segrete nella storia del Risorgimento italiano, La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria ed altri, e molti di questi sono stati, e lo sono ancora, di notevole interesse sia per gli studiosi che per il semplice lettore tant’è che sono stati ripubblicati ed hanno anche un vivace mercato sui web.
Ma la sua ricerca storica si rivolse anche al giornalismo tantè che fondò e guidò Rivista calabrese di Storia e Geografia, “Rivista Storica Calabrese”, “Calabria Vera”, e fu anche fondatore e Presidente della Deputazione di storia patria calabrese.
Nella sua vita, per come si può dedurre da suoi libri e dai suoi scritti fu anche un importante rappresentante della Massoneria di cui ricoprì le più alte cariche.
Al termine del suo mandato di Preside del Liceo-Ginnasio “Tommaso Campanella”, esattamente il 16 febbraio del 1933, fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere – Ufficiale della Corona d’Italia.
Già in passato, il 26 settembre del 1922, era stato insignito del Diploma di Benemerenza di 1ª classe con medaglia d’oro e, l’8 luglio del 1925, di quello di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Ultimamente, Nel Settembre del 2019, il “ICSAICStoria” (Istituto calabrese per la storia dell’Antifascismo e dell’Italia) lo ha inserito nel Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea tra le prime cento biografie di Calabresi illustri.
Alla cerimonia erano presenti il nipote Ing. Oreste Mario Dito, che ha ringraziato brevemente, ed i fratelli Antonio, Egle e Federico oltre alle famiglie. La targa è stata scoperta da due pronipoti di Oreste Dito, Alberta ed Armando.
Erano presenti anche amici della famiglia e cittadini amanti della cultura.