Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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giovedì 12 novembre 2015

Contro il boicottaggio UE

In questo mio blog molto raramente affronto temi direttamente politici.
Avverto però il bisogno di esprimere la mia indignazione contro la "marchiatura" che l'Unione europea impone ai prodotti israeliani provenienti da Giudea e Samaria (la cosiddetta West Bank o Cisgiordania).
Anche ammesso che si tratti di territori occupati e non contesi, quali realmente sono; anche trascurando il fatto che a pagarne le maggiori conseguenze saranno i dipendenti palestinesi delle aziende boicottate; anche considerando che il danno economico per Israele sarà minimo, in quanto le esportazioni provenienti da queste aree sono solo l'1% dell'export israeliano, resta la vergogna di una Unione europea che applica questa misura solo ad Israele.
Sono 200 le aree disputate, e ancora di più i territori occupati: perché non "marchiare" anche i prodotti del Sahara ex spagnolo occupato dal Marocco? o di Cipro Nord, occupato dalla Turchia? del Tibet sotto occupazione cinese? per non parlare dei paesi in cui i diritti civili sono negati a donne, omosessuali, stranieri, minoranze religiose o etniche (Arabia Saudita, Iran, ecc. ecc.)? O Libano, Kuwait e altri paesi "fratelli" che negano i diritti dei palestinesi e praticano nei loro confronti una vera apartheid?
Intanto, come misura concreta di sostegno ai lavoratori (israeliani e palestinesi; ebrei, cristiani, musulmani e drusi) di queste aree, voglio proporvi e invitarvi ad acquistare gli ottimi vini del Golan.
A Roma e Milano è possibile farlo nei negozi kasher, per chi invece ha difficoltà a raggiungerli, è possibile fare acquisti su questo sito, che offre sconti e assicura la consegna in 48 ore:



L a Bibbia e le sue traduzioni - Le versioni antiche

Nel quadro delle iniziative del Centro di Studi Ebraici 
dell'Università Orientale di Napoli,
si svolgerà, dal 19 novembre 2015 al 21 gennaio 2016,
il primo seminario dedicato al tema
"La Bibbia e le sue traduzioni", a cura della professoressa Dora Hartman,
dedicato alle versioni antiche.



"Mio cognato Mastrovaknich" a Ferramonti di Tarsia, kibbutz calabrese



Purtroppo ho saputo tardi dell’evento, e quindi ne posso parlare solo ora che è finito. Un vero peccato, perché mi sembra uno spettacolo davvero molto interessante. 

"Mio cognato Mastrovaknich" a Ferramonti di Tarsia, kibbutz calabrese
di Eva Catizone, 9 novembre 2015

Mio cognato Mastrovaknich. Preziosa produzione calabrese da un testo di Ciro Lenti, per la regia di Adriana Toman. Una quasi rarità, a differenza del cinema, la regia teatrale d’una donna in un mondo a prevalenza maschile: il teatro dove, come per i direttori d’orchestra o gli aviatori, la presenza femminile solitamente si limita all’essere attrici. E un tema di straordinaria attualità: la paura, se non il terrore della diversità. Nei giorni del protagonismo mediatico delle imbarazzanti frasi del presidente della Fgci Tavecchio contro ebrei e gay, in Calabria, a Cosenza, prima al Piccolo Teatro dell’Unical poi nella location da teatro sperimentale dell’Acquario, la storia d’una detenzione nel campo d’internamento di Ferramonti.

1943, Mastrovaknich è un professore polacco (nei suoi panni Paolo Mauro, brillante attore di Rossosimona), un intellettuale gay che per fuggire alle persecuzioni naziste si fa internare nel campo di Ferramonti, per lui prigione di salvezza. Qui s’imbatte in Uccio (Marco Silani), un giovane fabbro del luogo condannato per reati comuni e rinchiuso per errore nella baracca degli omosessuali. Un qui pro quo da cui scaturiranno situazioni grottesche per i pregiudizi di Uccio, di cultura rurale.

Fuori dalla Calabria pochi sanno che in un piccolo paese 40 km a nord di Cosenza, a Ferramonti di Tarsia, lungo la valle del Crati, ci fu un campo d’internamento per ebrei realizzato nel 1940 dal regime fascista. Certo non fu il lager di Ravensbrück, a nord di Berlino, in cui l’orrore nazista si declinò in una shoah femminile: l’unico campo destinato a sole donne cui la scrittrice/giornalista Sarah Helm ha recentemente dedicato, parafrasando Primo Levi, il suo If this is a Woman, che nella traduzione italiana per Newton Compton è diventato, parafrasando Wenders, Il cielo sopra l’inferno. Ma fu comunque il campo di concentramento per ebrei più grande costruito in Italia, il primo ad essere liberato e l’ultimo ad essere chiuso.Per lo storico ebreo inglese Jonathan Steinberg “il più grande kibbutz del continente europeo” dove vennero rinchiusi ebrei, apolidi, slavi, medici (tra cui il candidato Nobel David Mel), atleti, pittori, musicisti come Oscar Klein, fra i più importanti trombettisti jazz e swing al mondo. Non un campo di sterminio ma un luogo di prigionia che conservò tracce d’umanità con una presenza di oltre 2mila persone; non un inferno di viventi come rende bene il testo di Lenti. Qui le famiglie non venivano divise al loro ingresso come nei campi nazisti e tuttavia, come in tutti i campi di concentramento, ognuno aveva un segno distintivo: per gli ebrei la stella gialla, un triangolo rosa per gli omosessuali di sesso maschile. Uno sterminio omesso dalla comunicazione storico-istituzionale, un argomento invisibile per anni di cui non s’è parlato, che questa pièce mette garbatamente in scena.
Del resto, non s’è parlato neanche di Pasolini per tanto tempo. Ci sono voluti 40 anni dalla morte su quella spiaggia del litorale romano per affrontare serenamente (e neanche) l’argomento. Sensibilità della regista e professionalità fanno sì che protagonisti siano i sentimenti: la solidarietà, il senso della famiglia nei dialoghi, l’altruismo di Uccio nel finale.
Non solo uno spettacolo teatrale Mio cognato Mastrovaknich. Un modo diverso di coniugare arte & sociale giacché qui s’è verificata una felice intesa tra associazioni. La produzione nasce dall’incontro tra l’asso culturale Arciere in collaborazione con la Fondazione Lilli Funaro, nel nome d’una dolce ragazza cosentina dallo sguardo sorridente andata via troppo presto, impegnata a valorizzare i giovani calabresi nel campo artistico e della ricerca che devolverà l’incasso a sostegno della lotta contro il cancro. Uno spettacolo, patrocinato da Arcigay Calabria e apprezzato dalla collettività Lgbtqi, promosso nella sua serata cosentina da What Women Want, la Calabria vista dalle donne, vivace think tank spontaneamente nato in rete che si spende per l’impegno delle energie femminili, calabresi e non.
Lo spaccato d’una Calabria ricca di risorse, talenti, creatività, generosità verso l’Altro, non racchiusa nella propria nicchia ma capace di tessere reti, costruire connessioni sentimentali tra individui e territorio. E l’augurio che questa produzione possa varcare i confini regionali per meritati palcoscenici nazionali capaci di far capire, altrove, che la Calabria è decisamente altro.

giovedì 15 ottobre 2015

Noach 5776





 
שבת שלום!
SHABBAT SHALOM!


Shabbat 4 Cheshvan 5776
(17 ottobre 2015)

Parashat Noach: BeReshit (Genesi) 6,9-11,32
Haftarah:Isaia 54,1-10 (sef);
Isaia 54,1-55,5 (it)







Da Chabad.org


Noach in breve Genesi 6:9-11:32

I compagni di viaggio, il corvo e la colomba

È interessante soffermarsi anche sul linguaggio e sullo stile del midrash
Nonostante il fatto che Noach era un uomo giusto, egli esce dall’arca con una ferita

Il ritorno al mondo della realtà può sembrare una discesa verso un livello inferiore
Sono le parole delle nostre tefillòt e della Torà che studiamo, che sono inalzate al di sopra delle acque

Non ha visto il cartello? Vuole fare l’eroe? – o passare immediatamente all’azione e tentare di salvarlo?
Rav Yirmia bar Elazar insegna che c’erano tre gruppi, ognuno dei quali aveva progetti diversi per la torre

Gli anni migliori sono quelli dell’infanzia e della prima gioventù, quando non sentiamo ancora il peso delle responsabilità che incombono sugli adulti
Se non vogliamo affogare nelle grandi acque del mondo, l'unico modo è entrare nella Tevà

Se l’immagine riflessa del viso non è pulita, significa che il nostro stesso viso non è pulito
Andrebbe compreso il motivo per cui potendo interpretare le parole 'nelle sue generazioni' a favore di Noach, alcuni saggi ne suggeriscono l’interpretazione in un modo che dipinge Noach come una persona imperfetta

Sapreste condurre la vostra arca a buon porto? Potremmo essere tentati ad alzare le braccia dallo scoraggiamento, a rifiutare di partecipare alla ricostruzione di un mondo nel quale certe ingiustizie e certe iniquità sono insopportabili
Ciò che minaccia lo spirito raramente è palese e, alle volte, non è nemmeno avvertibile, è un male insidioso

L’alluvione biblica rappresentava la metamorfosi essenziale alla realizzazione dell’obiettivo della Creazione
Ibn Ezra cita anche un’altra opinione secondo la quale avrei costruito più di un'Arca, ovvero un'intera flotta

Solo chi ha subito il danno può raddrizzare la situazione; solo chi ha sofferto in prima persona ha il diritto di perdonare
 
Da Anousim Italia
Parashat Noach, Rav Pierpaolo Pinchas Punturello

 È famoso il confronto che fa Rashi tra Noè ed Abramo giocando con le parole del versetto che presenta Noè come “giusto nella sua generazione” ( Genesi 6, 9) cosa che può essere interpretata a suo favore, come giusto nonostante la corruzione della sua generazione pre-diluvio o giusto relativamente alla sua generazione, poiché se Noè fosse vissuto ai tempi di Abramo non sarebbe stato considerato giusto.
Per avallare questa seconda ipotesi, la grande commentatrice Nechama Leibovitz propone un confronto tra i versetti in Genesi 6, 9 che ci descrivono Noè che “procedeva con Dio” ed i versetti in Genesi 17, 1 che ci raccontano che Abramo procedeva davanti a Dio, “Procedi davanti a me” dice l’Eterno a nostro padre Abramo.
In genere i commentatori si fermano a questo confronto, definendo in maniera chiara che Noè è il padre dell’umanità dopo il nuovo inizio post diluvio, mentre Abramo, colui che procede davanti a Dio, ha avuto il merito di essere il padre del popolo ebraico. Eppure in questo procedere davanti a Dio, l’ebraismo offre al mondo una riflessione profonda.
La storia dei popoli che si sono arrogati il diritto di essere portavoce della volontà divina è piena di richiami al fatto che Dio fosse con loro ed in nome di questa certezza sono stati perpetuati massacri di uomini, donne e bambini.
Lo hanno detto i Crociati, i missionari in Sud America ed in Africa, lo hanno detto i bianchi americani incontrando i nativi pellerossa, lo hanno detto i cosacchi durante i pogrom, lo hanno detto i nazisti (“Gott mit uns”), lo hanno detto i fascisti di Salò ed oggi lo affermano in molto mondo islamico estremista.
Dio è con me, quindi posso fare tutto, perché lo faccio in nome di Dio. Il messaggio della Torà è significativamente diverso. Nostro padre Abramo non aveva Dio con lui, procedeva davanti a Dio, ovvero portava il messaggio di Dio prima di ogni altra cosa, preparando il terreno morale, spirituale ed etico affinché Dio venisse compreso ed accettato. Perché se si ha la pretesa che Dio sia con noi, perdiamo di vista il senso della nostra responsabilità umana nell’agire per Dio e davanti a Dio, perdiamo il senso di una giustizia condivisa, del rispetto reciproco e ci arrocchiamo, pericolosamente armati, sull’idea che tutto ci è permesso, perché Lui è con noi.
Ma la realtà della Torà dice all’uomo che si riconosce in quanto figlio di Abramo che lui deve essere davanti a Dio, ambasciatore di Dio, con Dio che lo benedice alle spalle e che guarda al suo giusto operato, non lo assolve dal compiere il male. Perché il male non può mai avere l’idea di Dio come propria giustificazione.




L’haftarà di Noah con Berachot cantata da Rav Nello Pavoncello



di Rav Riccardo Pacifici

Dopo averci descritto come avvenne la creazione del mondo per opera di Dio, la Bibbia si volge subito alle vicende dell'uomo, di quell'uomo che, essendo scopo principale della creazione, avrebbe dovuto imprimere ad essa il suggello della sua nobiltà. E qui comincia subito il dramma della vita umana: l'uomo che era stato creato da Dio perché coltivasse e conservasse le delizie del giardino terrestre, l'uomo che era stato creato per il bene e per il culto delle cose belle e vere, si allontana presto dalla sua originaria destinazione e cade facilmente nella colpa e nel peccato.
La Bibbia ci descrive come questa caduta avvenga quasi per un lento e fatale abbandono alle passioni, agli istinti e alle seduzioni, sì da coinvolgere a poco a poco tutta l'umanità di allora; anzi col progressivo aumentare di questa, aumentano le colpe, colpe di violenza, di rapina e di depravazione, sicché l'uomo, questo tipo d'uomo, creato da Dio, scende al più basso livello della vita morale e Iddio, che non riconosce più in lui l'opera delle Sue mani, ma che anzi vede in lui il distruttore dei fini della creazione, giudica quest'umanità peccatrice degna della totale distruzione. La storia del mondo si apre così - dopo poche generazioni col racconto delle colpe degli uomini e delle conseguenti sanzioni punitrici, cioè con quelle linee e con quei motivi che saranno destinati a rimanere come i più costanti nella vita del genere umano, attraverso i secoli, fino ad oggi. Certo quell'umanità così lontana e remota da noi, doveva essere molto diversa da questa nostra per caratteristiche fisiche, per condizioni climatiche, per diversità di ambienti, per attitudine di vita; e, forse, anche in queste diverse condizioni sta la ragione della straordinaria diversità del castigo che doveva colpire quei lontani capostipiti del genere umano; ma in mezzo a tante diversità, una cosa resta immutata ed eguale per gli uomini di ora e di allora: la tendenza al peccare, la facilità, direi, dì lasciarsi travolgere nella colpa fino alle più fatali conseguenze.
È questo aspetto che dà subito ai racconti biblici un'impronta di umanità e di attualità che ce li rende vicini e ce ne fà sentire l'eterno valore.
E dunque, con sì funesti presagi e con una colorazione così pessimistica che si inaugura il racconto delle vicende umane sulla terra? No. A chi legga con attenzione la Bibbia, a chi sappia approfondirne il senso, questa impressione sembrerà senza dubbio affrettata e inconsistente. Insieme al primo annuncio della prossima distruzione dell'umanità, v'è anche quello della sua salvezza; la storia del diluvio si apre con quella di Noè: il diluvio questo grande immenso uragano distruttore è anzi annunciato per primo a Noè. Si direbbe che in tutto il triste succedersi degli avvenimenti che porteranno al diluvio, è piuttosto la figura di Noè e il fatto della sua salvezza che si impongono sul primo piano del racconto, più ancora del cataclisma destinato a travolgere la terra peccatrice. E questo sembra lo scopo della Torà quando inizia la Parashà del diluvio con le parole: "Noè era un uomo giusto, integro egli era in mezzo alla sua generazione" (Genesi VI, 9).
Noè è e resterà il prototipo del giusto anche per le età successive, e "il giusto è sostegno del mondo" (Proverbi X, 25).
L'umanità è punita, ma l'umanità sarà salva per quel giusto; qui siamo dinanzi all'umanità senz'altro appellativo, e pure qui sono già affermati in pieno quei principi, quelle verità che l'Ebraismo più tardi proclamerà non come sue ma come patrimonio di tutti gli uomini. Che il giusto, a qualunque terra o qualunque popolo appartenga, abbia il suo gran peso nell'economia morale del mondo, è una verità che l'Ebraismo non si stancherà mai di ripetere; e questa stessa verità viene qui non solo enunciata teoricamente, ma, ciò che vale assai più, viene applicata praticamente rispetto alla Divina universale giustizia. Noè è lo "Zaddiq" per i meriti del quale l'umanità è degna di rinascere, è l'uomo che può far rifiorire una nuova semenza di vita, è l'uomo che può anzi che dovrà far rinascere la vita su nuove basi; da lui, dallo "Zaddiq"avrà origine una nuova umanità. Non importa se i più grandi cataclismi distruttori si abbatteranno sull'umanità peccatrice: il diluvio universale o qualsiasi altro castigo potranno cancellare dalla faccia della terra gli uomini e le genti che hanno violato la legge di Dio, ma anche in mezzo alle più fitte tenebre, un raggio di luce potrà ancora illuminare il mondo.
Da esso come dalla luce del primo giorno potrà rinascere la nuova vita e la nuova umanità; quel raggio - segno visibile dello spirito - potrà sempre accrescersi e dilatarsi fino a solcare l'intero Cielo e abbracciare la sottostante terra, come l'arco iridescente della divina promessa che risplende luminoso sulle fatiche e sugli affanni degli uomini.