Parashàt
Shemot: …e le donne sconfissero l’Egitto
Shemot (Esodo) 1,1 - 6,1
Una riflessione sulla parashah del prossimo shabbat
di Rav Scialom Bahbout,
Rabbino Capo di Napoli e del Meridione, che ringraziamo di cuore
Rabbino Capo di Napoli e del Meridione, che ringraziamo di cuore
Il re d’Egitto si rivolse alle levatrici
ebree, che si chiamavano l’una Shifra e l’altra Puà, e disse loro: “Quando
assisterete le ebree nel parto, osservate nel luogo dove si trova il neonato e
se è un maschio lo ucciderete, se è una femmina la lascerete in vita. Le
levatrici ebbero timore di Dio, non fecero come aveva detto loro il re d’Egitto
e lasciarono in vita i bambini (Esodo 1: 16-17).
Rav e Shemuel: uno diceva erano madre e
figlia, l’altro diceva: nuora e suocera. Chi diceva “madre e figlia, (ritiene
che fossero) Jokheved e Miriam, e chi diceva “nuora e suocera”(ritiene che
fossero) Jokheved e Elisheva (moglie di Aharon).
TB Sotà 11b
Il racconto della
persecuzione degli ebrei in Egitto stupisce per le scelte politiche e
strategiche del Faraone: qual è il motivo per cui l’incarico di uccidere i
bambini fu assegnato alle levatrici, anziché a funzionari di Stato? Nahmanide afferma che l’obiettivo del Faraone
era quello di assuefare lentamente la popolazione egiziana a un’ingiustizia
manifesta nei confronti di una minoranza che era stata accolta benevolmente e
che aveva grandemente contribuito al benessere dell’Egitto. Un repentino e totalizzante
decreto antiebraico – fatto direttamente dallo Stato - avrebbe potuto
incontrare forti resistenze: sappiamo bene come abbia operato l’antisemitismo
nel corso dei secoli, partendo dalla soppressione dei diritti civili,
trasformando gli ebrei in cittadini di seconda categoria, fino ad arrivare all’eliminazione
pura e semplice.
Mosé salvato dalla figlia di Faraone
(affresco dell'antica sinagoga di Dura Europos, da Sacred Destinations)
(affresco dell'antica sinagoga di Dura Europos, da Sacred Destinations)
I maestri Rav e Shemuel
pongono una domanda – quella sull’identità delle levatrici – che sembra
irrilevante. Rashi di norma cita il Midrash solo quando serve a spiegare il
significato letterale del testo e lo riporta nel suo commento, spiegando che si
tratta di soprannomi: Shifrà - perché
abbelliva il bambino - Puà perché ripeteva il verso onomatopeico che fanno le
donne ai bambini quando piangono.
Il Mizrahi ritiene che Rashi
riporti questo Midràsh perché pensa si tratti di un’antica tradizione
sull’identità delle levatrici, mentre il Mahrshà sostiene che sarebbe richiesto
dallo stile biblico: infatti, dovendo introdurre due nuovi personaggi, il testo avrebbe dovuto usare la formula “due
levatrici, il nome dell’una era …, il nome dell’altra…”. Tuttavia, nel nostro
caso, nonostante le levatrici fossero soltanto due, il testo parla
genericamente di levatrici; non resta quindi che andare a cercare tra i nomi
delle uniche donne citate nel testo dell’Esodo: i veri nomi sarebbero quelli di
Jokhèved e Miriàm oppure di Jokhèved ed Elishèva, mentre Shifrà e Puà sarebbero
quindi solo soprannomi.
Ma queste levatrici, che
ebbero timor di Dio, erano davvero ebree?
La risposta è affermativa se
ci limitiamo al Midrash e all’opinione di una parte seppur consistente dei
commentatori. Ma, se riflettiamo più a fondo, dobbiamo dare ragione a Shadal
(Shemuel David Luzzatto, ma della stessa opinione sono anche Filone di
Alessandria, Giuseppe Flavio, Don Itzkhak Abrabanel e Malbim). L’espressione hamjaledoth haivriot andrebbe quindi
interpretata nel senso che si trattava delle hamjaledoth et haivriot
“ le levatrici delle ebree”. Sarebbe
infatti impossibile pensare che il Faraone avesse conferito un incarico così
delicato proprio a donne ebree che, per amore del proprio popolo (e non solo
per timor di Dio), si sarebbero facilmente potute rifiutare di obbedire. Il
programma del Faraone di mettere sotto silenzio tutta l’operazione (secondo la
già citata spiegazione del Nahmanide) sarebbe fallito, perché sarebbe anche sorto
un movimento di opposizione a livello popolare. Quindi le levatrici erano
egiziane e questo sia per i motivi già detti e sia perché - affinché
l’operazione che prevedeva l’eliminazione dei bambini ebrei avesse successo -
era necessario far uso di personale non ebraico perché più affidabile e perché
non avrebbe diffuso la notizia. Infine questa interpretazione trova sostegno
nel fatto che il Faraone – di fronte all’insuccesso ottenuto con le sole
levatrici – decise di dare l’ordine a tutto il suo popolo.
Se leggiamo con attenzione il
testo biblico, notiamo che esso loda chi ha Irath
Elohim (timor di Dio) o biasima chi non ce l’ha: questo concetto viene
applicato quando si tratta del caso di uno straniero che viene ingiustamente
attaccato o discriminato. Ecco qualche esempio: per non essere ucciso, Abramo
afferma che Sara è sua sorella e questo solo perché presupponeva che, nel luogo
in cui si trovava, non ci fosse timor di Dio; la colpa di ‘Amalek è quella di
non avere avuto timor di Dio, aggredendo dei deboli in viaggio di trasferimento
lungo una “strada internazionale” che godeva del diritto di extraterritorialità
(Deut. 25:18).
Irat Elohim
non è una caratteristica che riguardi solo il popolo d’Israele. La Irath
Elohim (dalla quale discende anche il rispetto dello
straniero) è uno dei capisaldi sui quali si devono fondare la vita di tutti i
popoli e i rapporti tra un popolo e l’altro a livello internazionale, e a
Israele viene ordinato in ben 36 punti della Torà di amare lo straniero e di
proteggerlo da ogni discriminazione (“una sola legge sarà per lo straniero e
per il cittadino del paese”).
Opporsi alle ingiustizie, anche
quando è lo Stato a perpetrarle, si può: in questo episodio abbiamo, da una
parte, l’ingiustizia dello Stato, dall’altra il successo della reazione di
pochi singoli a un decreto ingiusto della sua autorità.
Un’ultima domanda: è forse un
caso che la reazione al decreto del Faraone provenga solo dalle donne: le
levatrici, la madre di Mosè e la figlia del Faraone?
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