Un bel commento di rav Bahbout
alla festa di Tu biShvat,
in connessione al Giorno della memoria,
con il quale quest’anno coincide quasi esattamente
alla festa di Tu biShvat,
in connessione al Giorno della memoria,
con il quale quest’anno coincide quasi esattamente
Le foto sono tratte
dal sito del KKL Italia
(Keren Kayemet leYisrael,
l'organizzazione che si occupa in particolare della forestazione di Israele)
(Keren Kayemet leYisrael,
l'organizzazione che si occupa in particolare della forestazione di Israele)
Tu
bishvat: Capodanno degli alberi
L’uomo: un albero capovolto che deve esercitare la
memoria
Rav Scialom
Bahbout
Rabbino capo di Napoli e del Meridione
Da Sullam, newsletter della Comunità ebraica di
Napoli
Anno V n. 105, 17
gennaio 2013 - 6 shevat 5773
La data in cui far cadere il Capodanno degli
alberi è oggetto di discussione tra i maestri: la scuola di Shammai sostiene che
esso cade il primo di Shevat, quella di Hillel il quindici, opinione questa
accettata come norma
Alla base di questa discussione sta non solo una
diversa valutazione del momento in cui ha inizio il risveglio della natura dal
torpore invernale, ma un diverso approccio al mondo della natura e, di
conseguenza, a quello dell’uomo stesso: mentre Shammai ritiene che ogni evento
debba essere analizzato e giudicato per ciò che è “in potenza”, Hillel pone
l’accento su ciò che si può osservare “in atto”, su ciò che è visibile e
misurabile. Secondo Shammai il Capodanno degli alberi va anticipato perché le
prime gemme sono già pronte a spuntare due settimane prima del momento in cui
noi le osserviamo; Hillel sostiene invece che ciò che conta è il momento in cui
il fiore, da cui nascerà il frutto, è visibile e osservabile.
Ora quando analizziamo le azioni dell’uomo,
dobbiamo applicare lo stesso sistema di valutazione usato per gli alberi:
possono essere oggetto di giudizio solo le azioni e non i pensieri, secondo quanto
afferma la Torà, per cui “l’uomo è come un albero del campo” (Deut. 20:19).
Giocando sulle ambiguità del testo biblico, il Midràsh attribuisce
alla Terra la colpa di non aver obbedito a una precisa parola divina: il Signore
aveva ordinato alla Terra di produrre ‘ets
perì, cioè alberi frutto, alberi cioè in cui il sapore dell’albero si identificasse
con quello del frutto. La Terra si limitò invece a produrre ‘etz ‘osè perì, cioè alberi che fanno
frutto, alberi cioè in cui manca l’identità tra albero e frutto, così come era
stata voluta da Dio: questa disobbedienza dell’albero spiega la maledizione che
colpì la Terra assieme a quella dell’uomo. L’albero era stato creato per
costituire esso stesso un fine a se stesso - il sapore dell’albero deve essere
uguale a quello del frutto - ma esso rifiutò questa sua condizione e preferì
divenire solo un mezzo per la produzione dei frutti, limitando così quelle che
erano le sue potenzialità.
L’uomo, come l’albero, deve far sì che ci sia
una identità tra mezzi e fini e ricordarsi che il fine non giustifica i mezzi,
perché altrimenti l’uomo perde una parte rilevante delle sue potenzialità.
Il rapporto esistente tra uomo e albero può
essere interpretato però in maniera antitetica. Scrive infatti il Maharal di Praga:
“l’uomo
è chiamato albero del campo, ma in verità è un albero capovolto, perché
l’albero ha le radici in basso - fissate in terra - mentre l’uomo ha le sue
radici in alto: la sua radice è l’anima che è di origine celeste… Perché l’uomo
è un albero capovolto? L’albero ha radici in basso perché deriva la sua
vitalità dalla terra, mentre la vitalità dell’anima umana deriva dal Cielo … e
questo è il significato del precetto dei tefillin: essi piantano l’uomo nel
Signore”.
Se mettiamo assieme queste due affermazioni
possiamo dire che l’uomo ha le sue radici in terra e in cielo. L’esperienza
d’Israele può essere rappresentata in sintesi nella scala di Giacobbe che era
fissa per terra, ma arrivava fino al cielo: tradurre in atto (in terra) ciò che
viene rivelato in potenza (in cielo) è compito di ogni ebreo, compito di ogni
uomo.
Il 27 di gennaio, Giornata della Memoria nel
calendario non ebraico, coincide quest’anno con il Capodanno degli alberi,
esattamente come accadde nel 1945 quando fu liberato il campo di Auschwitz.
Abbiamo affermato che l’uomo è come un albero del campo. Molti alberi sono
stati sradicati nei campi di concentramento e nei ghetti durante la Shoà: la
generazione che è sopravvissuta e noi che ne siamo gli eredi abbiamo il dovere
di piantare nuovamente noi stessi nella casa del Signore: Coloro che sono
piantati nella casa del Signore, fioriranno nei cortili del nostro Dio (Salmo
92).
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