Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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lunedì 29 settembre 2008

Rosh haShanah: riti e segni

Sempre dal sito di Chabad prendo alcuni approfondimenti sulla festa di Rosh haShanah, che riguardano: lo Shofar (il corno di montone il cui suono convoca il popolo e lo chiama alla conversione), il rito di Taschlich (la rinuncia al peccato) e le cose da fare per la festa, tra cui i cibi che ne sono tipici.
Premetto un'osservazione. Chi si avvicina agli usi e alle tradizioni dell'ebraismo, vedendo la minuziosità di prescrizioni che lo caratterizzano, ne riceve spesso un'impressione di formalismo ed esteriorità. Devo dire che si tratta di tutt'altro.
Quello che viene preso per formalismo è in realtà il tentativo (a volte estremo) di essere fedeli alle prescrizioni della Torah, e quella che viene scambiata per esteriorità è invece una ricchezza di simbolismo di cui ogni gesto (dal più "alto" come la preghiera, al più "banale" come il cibo) è sempre estremamente carico.

Lo Shofar
Per Rosh Hashanà è preferibile usare uno shofàr di montone in ricordo del sacrificio di Yitzchàk, e che sia incurvato per simboleggiare come noi incurviamo il cuore di fronte a D-o. È bene che lo strumento utilizzato non presenti spaccature o scheggiature, anche se ciò non ne pregiudica in senso generale l’utilizzo.
Il suono dello shofàr, con la sua caratteristica maestosità e potenza, esprime una forza tale da indurre l’animo umano a provare sentimenti profondi e, a volte, contrastanti come non hanno mancato di rilevare i Maestri. Tale contrasto di sentimenti, per cui a volte ci sentiamo sopraffatti e annichiliti dal suono dello shofàr e in altri casi piuttosto ci infonde e ci rinnova la fede nel futuro di Israèl, è legato alle circostanze evocate.
Nel giorno di Rosh Hashanà fu creato l’uomo, culmine dell’atto Divino: in quel momento D-o fu incoronato Re dell’universo. Ogni anno a Rosh Hashanà rinnoviamo la nostra sottomissione alla sua sovranità: ne è simbolo il suono dello shofàr.
Accettammo la Torà alle pendici del monte, e in quella circostanza si udì il suono dello shofàr (Esodo 19, 16). Ogni anno, dunque, ricordiamo e rinnoviamo questo legame di sottomissione alle leggi di D-o e di loro accettazione incondizionata; oppure pensiamo, per esempio, ad alcuni passi profetici le cui parole vibranti sono paragonate (cf Ezechiele 33, 1), per intensità, al suono stesso dello shofàr. Il suono dello shofàr provoca timore e tremito nel popolo (Amos 3. 6).
La sequenza dei suoni dello shofàr provoca nell’animo sentimenti di premonizione di quanto proveremo di fronte al grande e terribile giorno del giudizio finale (Sofonia 1, 14). Infine lo shofàr evoca l’ultimo grande raduno del popolo di Israèl, che avverrà proprio accompagnato dal suo suono. Ascoltando lo shofàr durante Rosh Hashanà, anticipiamo il carattere di quell’evento (Isaia 27, 13) e rafforziamo la fede nella venuta di Mashìach e la resurrezione dei morti.

Tashlich
Dopo la preghiera di Minchà del primo giorno di Rosh Hashanà si osserva il Tashlìch, che letteralmente significa gettare. Questo rituale consiste nel recarsi in riva a un corso d’acqua e nel recitare alcune preghiere, accompagnate dal gesto simbolico di svuotare le proprie tasche (metafora dell’anima) da tutti i peccati commessi durante l’anno, facendo buoni propositi per quello in arrivo.
Il Tashlìch si svolge proprio in riva a un fiume poiché Rosh Hashanà è il primo dei giorni detti “terribili” (Yamìm Noraìm) che portano al digiuno di Kippùr, in cui l’ebreo arriva a concepire D-o non solo come il Creatore del mondo ma anche come Colui che lo governa giorno dopo giorno, che condiziona la storia e, quindi, la vita di ogni essere vivente. Dal canto nostro, noi, in quanto sudditi al cospetto del Re, dobbiamo rendergli conto delle nostre azioni. In passato, i re venivano consacrati in riva a un fiume, quale espressione simbolica della speranza che il regno prosperasse come il flusso del fiume, eterno e inarrestabile. Allo stesso modo ci dobbiamo porre davanti al nostro Re, consacrandolo e rispettandolo.
La preghiera di Tashlìch ricorda questa cerimonia magistrale, provocando nella persona un forte impatto emotivo e spingendola alla riflessione e all’introspe-zione psicologica. Per questo alcuni maestri consigliano di recarsi ad effettuare il Tashlìch in piccoli gruppi, per non essere portati a distrarsi con conversazioni inadatte alla situazione. Le comunità che non abitano nelle vicinanze di corsi d’acqua possono svolgere il rituale presso fontane o laghetti. Nel caso in cui fossero anche questi troppo lontani, è possibile posticipare la preghiera sino a Hosha’nà Rabbà, l’ultimo giorno di Sukkòt, quando D-o suggella definitivamente ciò che è stato deciso a Kippùr.

Da fare
La prima sera di Rosh Hashanà, dopo le preghiere, ci si augura reciprocamente: "Leshanà tovà tekatèvu vetehatèmu" (Buon anno, che siate iscritti e sigillati).
A Rosh Hashanà si immerge il "motzì" (il primo pezzo della Challah ) nel miele.
La prima sera di Rosh Hashanà, dopo l'inizio della cena, si immerge un pezzo di mela dolce nel miele, pronunciando la benedizione "borei pri haetz" e si dice: "Yehì ratzon scethadesh aleinu shanà tovà umetuka" ( Possa la Tua volontà rinnovarci un anno buono e felice). Quindi lo si mangia.
Entrambi i giorni di Rosh Hashanà, si suona lo Shofar dopo la lettura della Torah, durante Mussaf
Quando il primo giorno della festa cade di Shabbat non si suona lo Shofar poiché l'osservanza dello Shabbat si antepone a quella di Yom Tov. È proibito anche cucinare, accendere luci o congegni elettronici, trasportare, ecc.
È proibito parlare dall'inizio delle benedizioni dello Shofar fino alle tekioth finali di Mussaf, incluse.
È considerata mitzvà per ogni ebreo, uomo, donna, bambino ascoltare il suono dello Shofar.
Il primo giorno di Rosh Hashanà ci si reca, dopo Minchà, in riva ad un fiume o un lago, una sorgente o all'oceano per dire Tashlich. Dicendo la preghiera di Tashlich, gettiamo via simbolicamente i nostri peccati e ci purifichiamo da essi.
I due giorni di Rosh Hashanà devono essere dedicati alla preghiera, allo studio della Tora e alla recitazione di Salmi.
I due giorni di Rosh Hashanà sono considerati "un solo lungo giorno" nella Halachà. Dunque anche gli Ebrei in Israele, che celebrano normalmente le feste per un giorno, osservano due giorni di Rosh Hashanà.
Durante moéd si può accendere un fuoco da un fuoco già acceso. È dunque importante ricordarsi di preparare un lumino a parte che possa durare dall'inizio della festa e per almeno due giorni.

Cibi tradizionali
La prima sera di Rosh-ha-Shanah si fa il Sèder di Rosh Hashanà in cui si mangiano delle pietanze e della frutta che sono di buon augurio per l'anno a venire.
1- Challòt rotonde
2- Challòt intinte nel miele
3- Mela intinta nel miele
4- Cibi dolci, incluso il tzimmes di carote per gli Ashkenazìm (Merren in Yiddish significa sia carote che aumentare - questa pietanza è dunque simbolo di pro- sperità e dolcezza).
5- La testa di un agnello o di un pesce (per essere i primi, i "capi", i modelli nell'osservanza delle mitzvòt).
6- Una delle primizie di stagione su cui poter recitare shehechianù.
7- Il melograno perché ha 613 chicchi come le 613 mitzvòt.
8- Diverse verdure, secondo l'usanza (per esempio i porri, la zucca, le coste, etc.).

Rosh haShanah

Ricchissima di significati è la festa di Rosh haShanah (Capodanno), che comincia domani, o meglio (visto che “fu sera e fu mattina”) stasera al tramonto. Molto bello e molto ricco è il sito di Chabad, da cui traggo solo alcuni brani, che potrete esplorare personalmente.

Rosh Hashanà
Il Signore parlò a Moshé dicendogli così: Parla ai figli di Israele dicendo loro così: Nel settimo mese, il primo del mese, avrete un giorno di astensione dal lavoro, in ricordo del suono (dello Shofàr), non eseguirete nessun lavoro e presenterete un sacrificio da ardersi sul fuoco in onore del Signore (Vayikrà 23,25).
Rosh Hashanà tocca il cuore di ogni ebreo; è un giorno solenne in cui intensifichiamo e riaffermiamo la nostra relazione con Dio, che ci giudica per le azioni commesse durante l'anno passato. Molti cibi ed usanze si collegano a questa festività: si mangia il melograno, come simbolo di speranza che i nostri meriti si moltiplichino e diventino numerosi come i grani di questo frutto. Fichi, datteri e kiwi sono sul tavolo accanto alla challà. Intingiamo il pane e la mela nel miele, prepariamo e gustiamo torte e panini al miele, per ribadire il nostro auspicio di trascorrere un anno pieno di dolcezza. Ovviamente, anche andare al tempio, indossare abiti festivi e consumare un pasto abbondante sono riti di questo particolare periodo, formato dal "Capo d'Anno Ebraico" e dai dieci Yamìm Noraìm, giorni solenni. Rosh Hashanà significa appunto "Capo dell'Anno": come la testa contiene il cervello, che controlla tutto il nostro corpo, così Rosh Hashanà racchiude il potenziale per ricevere da Dio un anno pieno di prosperità e benedizioni. Infatti, le azioni compiute a Rosh Hashanà si ripercuoteranno su tutto l'anno entrante: per questo motivo si è particolarmente attenti a tutto ciò che si dice, si fa o si pensa in questi due giorni.
Quando l'ebreo afferma la Regalità Divina è sicuro che le sue preghiere per un anno buono e dolce saranno accolte. Come Adamo, che ha proclamato il Signore Re dell'Universo e ha ordinato alle creature di adorarLo, così noi, a Rosh Hashanà, ribadiamo la volontà di vivere secondo la Sua Regale Volontà. In cambio Dio concederà un anno "buono e dolce". Le speranze sono espresse nell'augurio: "Leshanà tovà tikatèv v'techatèm" "Che tu possa essere scritto e sigillato per un anno buono". La luce di questo periodo ci sosterrà per tutti i mesi a venire.
Rosh Hashanà è l'unica festività che duri due giorni sia in Israele che nella diaspora: le candele vanno accese tutte e due le sere, recitando le appropriate benedizioni, inclusa la benedizione di shehekhianù (ringraziando Dio per essere arrivati a questo momento nuovo). Questo perché Rosh Hashanà è considerato un unico, lungo giorno. Shehekhianù può anche essere riferito ai vestiti nuovi indossati per l'occasione o ai cibi particolari preparati apposta. Le preghiere si differenziano notevolmente da quelle degli altri giorni festivi: la `Amidà contiene alcune aggiunte; la preghiera di mussàf consiste di nove benedizioni. Le preghiere di Shakharìt e Minchà si chiudono con una serie di brevi implorazioni. Questa festa, che introduce un periodo di penitenza, è a sua volta preceduta da un mese (o da alcuni giorni) in cui si recitano le speciali preghiere delle Selichòt, nelle quali si implora il perdono divino. Queste possono essere recitate prima dell'alba, di mattina, di pomeriggio o di sera a seconda della consuetudine.
Lo shofàr, il "corno d'ariete", è lo strumento a fiato più antico e primitivo del mondo. Il suo suono ha parecchi significati: simboleggia l'incoronazione di Dio come Re dell'Universo, risveglia gli ebrei alla penitenza e preannuncia il suono della redenzione, quando gli ebrei sparsi in tutto il mondo si raduneranno in Israele. Altri avvenimenti associati a questo strumento sono: la Torà che Dio ha dato sul Monte Sinai e il Sacrificio di Isacco sul Monte Morià. Per gli uomini è obbligatorio ascoltare lo shofàr, mentre per le donne è facoltativo. I bambini ne sentono suono per fini educativi. Lo shofàr si suona tutti e due i giorni, eccetto di Shabbàt.

Adam, Il Primo Uomo
Il primo venerdì del mondo, il sesto giorno della Creazione, quando tutto era innocente e puro, Adamo ed Eva vivevano nel Giardino dell’Eden, appena creato dalle mani di D-o.
A loro fu dato il compito di coltivare il Giardino e di proteggerlo e D-o comandò: «Dall’albero della conoscenza voi non mangerete, nel giorno in cui lo farete, morirete». Avevano una scelta: trattenersi dal mangiare il frutto dell’albero e vivere per sempre nel Giardino oppure mangiarlo ed essere cacciati nel mondo esterno. Non erano trascorse che tre ore dalla loro creazione, quando mangiarono dall’albero. D-o permise loro, tuttavia, di trattenersi là per lo Shabbàt, ma quando il santo giorno passò furono cacciati dal Giardino dell’Eden per sempre.
È una storia curiosa che fa sorgere spontanee alcune domande. D-o creò due esseri umani perfetti, privi di alcuna malizia. Egli in persona, l’Altissimo, comandò loro direttamente di non mangiare il frutto di un determinato albero. Che cosa fecero allora queste due anime innocenti, che non erano mai state esposte a influenze tali da esserne corrotte? Disobbedirono al Signore in poche ore. C’era forse qualche difetto nella loro creazione? O, cosa impensabile, avevano qualche cosa da ridire con D-o? Un maestro i cui insegnamenti non vengono ascoltati è una cattiva guida. Se D-o parlasse a voi e dicesse: “Non mangiate da un certo albero”, mangereste? A questo punto conviene chiedersi: era veramente l’intenzione di D-o che Adamo ed Eva vivessero per sempre nel Giardino dell’Eden in uno stato di divina rettitudine, innocenza e immortalità? O forse il suo scopo era creare un mondo in cui il male esista e in cui noi possiamo sia obbedire scrupolosamente alle sue leggi e andare in cielo, sia disobbedire e andare all’inferno?
Nell’insegnamento chassidico questa domanda è posta in altri termini: perché D-o volle instillare in noi un po’ di sé, l’anima Divina e l’espose a un mondo di tenebre?
Secondo l’insegnamento della Cabalà, la più precipitosa discesa conduce alla più grande ascesa. D-o creò l’universo seguendo uno scopo ben preciso: crearsi una dimora nel mondo inferiore. Questo è il significato più profondo dell’espressione: qualcosa che si origina dal nulla, com’è descritta la Creazione. Nulla significa che non c’è alcuna cosa che concerne l’universo fisico che giustifichi di per se stessa la sua mera presenza, esiste e ha valore solo il volere di D-o di fare del nostro mondo una dimora per lui stesso, di rendere ospitale per lui questo nostro mondo di carne e pietra, di farne un luogo in cui Egli sia conosciuto e gli venga reso merito. Eva capì che D-o desiderava che il mondo più basso, un mondo che è contaminato dalla morte e dal peccato, avrebbe dovuto elevarsi per unirsi a lui. Ella capì che gli uomini devono lasciare il Giardino dell’Eden e discendere in quel mondo inferiore e là creare la dimora di D-o. Ella comprese il compito di elevare i sei giorni della settimana che ci innalzano portandoci fino alla santità dello Shabbàt e i sei millenni che ci elevano fino alla redenzione ultima.
Così ella mangiò dall’albero e convinse Adamo a fare la stessa cosa. E quando D-o domandò all’uomo: «Hai mangiato dall’albero?» non fu in tono di rimprovero, piuttosto Egli ammirò la saggezza dell’uomo che aveva preso la decisione giusta. Adamo, d’altro canto, nella sua innocenza, ammise che la saggezza derivava da Eva, non era merito suo ciò che era avvenuto. «Lei mi diede dall’albero e io mangiai»; in risposta D-o disse: «Poiché avete fatto questo morirete, mangerete il pane a prezzo del sudore delle vostre fronti e partorirete con dolore». In realtà, questa non fu una punizione per il peccato, ma la giusta conclusione della via che Adamo ed Eva avevano volontariamente intrapreso. Il mondo, in questo modo, sarebbe diventato una dimora confortevole per il Creatore, poiché le cose stesse che lo definiscono - le mitzvòt - sono messe in pratica solo a queste condizioni. Nel fare ciò noi prepariamo il mondo per la redenzione finale.

sabato 27 settembre 2008

Elul - L'ultimo mese

Il Re Scende nei Campi
In questi giorni molti tornano dalle vacanze estive. L’esigenza di partire in ferie è evidentemente dovuta allo stress della vita quotidiana. La routine sfrenata della vita spreme le energie dell’uomo e quindi ogni tanto egli necessita di un break per interrompere queste pressioni, e per poter ritornare invigorito ad affrontare le difficoltà giornaliere.
Come il nostro corpo sente la necessità di fare una sosta ogni tanto, allo stesso modo anche la nostra anima sente questo bisogno. Ogni tanto dobbiamo fermarci dal ritmo sfrenato della vita ed esaminare il modo in cui svolgiamo la nostra vita: se procediamo nella strada giusta oppure regrediamo. La vita può essere semplicemente un insieme di giornate e di settimane, oppure trasformarsi in un percorso verso un traguardo. Una volta all’anno dobbiamo controllare dove ci sta portando il percorso da noi scelto.
Il re è vicino
Questo è il mese di Elul. Rabbi Shneor Zalman di Liadi nel suo libro Likutè Torà riporta un esempio per spiegare l’essenza di questo mese.
"Come un re che esce dal suo palazzo e va nei campi ad ascoltare le richieste dela gente più semplice. Quando poi torna nel suo palazzo non hanno accesso solamente i ministri più importanti. Allo stesso modo nel mese di Elul D-o esce nei ‘campi’ e ascolta ogni persona a prescindere dal suo livello spirituale, quando poi arrivano le festività (i moadìm) torna nel suo palazzo." Il mese di Elul è quindi un momento propizio dove ci viene data la possibilità di esporre le nostre richieste direttamente a D-o ed Egli accetta tutti con un sorriso. C’è solo una cosa sola che bisogna fare per farsi ascoltare – uscire nel campo. Approfittare dei momenti preziosi in cui il re si trova disponibile a tutti, e rivolgersi a Lui.
Durante l’anno per ‘raggiungere’ D-o vi sono varie condizioni. Perché mai non tutte le nostre richieste vengono esaudite? Poiché non essendo puri e puliti per via delle nostre azioni, non sempre meritiamo che le nostre preghiere vengano accettate, come disse il re Davide “Chi salirà nel monte di D-o, colui che ha i palmi nitidi e un cuore puro”.
Nel mese di Elul però, siccome i Re esce nei campi, questi limiti per coloro che non sono nitidi nei loro comportamenti, si annullano. Ogni persona semplice, come me, te, chiunque viene accettata con grande amore da D-o. Egli ci apre tutte le porte e aspetta solo che noi ci entriamo. Nel mese di Elul dobbiamo fare un resoconto di ciò che abbiamo fatto durante l’anno e aggiustando i nostri comportamenti certamente D-o esaudirà ogni nostra richiesta. Non perdiamo questo tempo prezioso.

Norme e usi in breve
Moshé trascorse 40 giorni sul monte Sinài. Quando scese, il 17 tamùz, vide l’oltraggioso vitello d’oro e perciò spezzò le Tavole della Legge; punì con la morte gli adoratori dell’idolo e trascorse altri 40 giorni nell’accampamento. Nel capomese di elùl D-o disse: sali da me sul monte (Esodo 24, 12). Quel giorno si suonò lo shofàr in tutto l’accampamento affinché il popolo potesse ravvedersi, pensare a quanto accaduto e aspettare il giorno del ritorno di Moshé senza sbagliare di nuovo.
Infatti il suono dello shofàr, simile al pianto di un bambino, ha la caratteristica di risvegliare sentimenti profondi e di portare la persona a riflettere sulla sua condizione. Nel libro di ‘Àmos (3, 6) è infatti scritto: se uno shofàr suona nella città, può non tremare il popolo? Secondo Maimonide è come se questo suono proclamasse: «Svegliatevi dal vostro sonno, voi che dormite, esaminate le vostre azioni e fate penitenza!».
Per questo i saggi hanno stabilito che a partire da ogni capomese di elùl si suoni lo shofàr per un mese, per incitare gli ebrei al pentimento e alla penitenza in vista del giorno di Kippùr. Moshé scese infatti dal monte proprio in tal giorno. Ha-shèm si riconciliò con lui e disse: «Ecco due tavole di pietra uguali alle prime».
Queste tavole furono il segno della riconciliazione e del rinnovamento del favore divino nei confronti del popolo. Per il popolo ebraico questi 40 giorni compresi tra il primo di elùl e Kippùr rappresentano quindi un momento di ripensamento sull’anno passato.
Mentre nelle comunità d’Italia si suona lo shofàr soltanto fino ai tre giorni precedenti Rosh Hashanà, quelle sefardite proseguono fino alla vigilia di Rosh Hashanà. Alla vigilia di Rosh Hashanà non si suona più lo shofàr per distinguere i suoni di elùl, originariamente solo un’usanza, da quelli di Rosh Hashanà prescritti invece dalla Torà.
I suoni dello shofàr, che hanno origini molto antiche, sono quattro: teki’à, suono lungo e continuo; shevarìm, tre suoni con intervallo lungo;teru’à, nove suoni con intervallo breve, e infine di nuovo teki’à.
Poiché a Kippùr possiamo chiedere perdono a D-o solo per i peccati commessi nei suoi confronti, il mese di elùl è il periodo più propizio per invocare il perdono del prossimo qualora lo si abbia offeso o gli si abbia arrecato danno. Il perdono divino è infatti vincolato a quello umano e per questo è difficile sperare nella benedizione per l’anno nuovo se non facciamo il nostro possibile per ottimizzare i nostri rapporti con il prossimo. E infatti, entro questo mese è meglio cercare di chiudere anche i debiti.
Dal capomese di elùl fino a Kippùr le comunità sefardite usano alzarsi prima dell’alba per recitare le selichòt, le suppliche. Bisogna farlo con calma e concentrazione, ricordando i tredici attributi divini.
Dopo le selichòt della vigilia di Rosh Hashanà e di Kippùr si compie il rituale di Hataràt Nedarìm, lo scioglimento dei voti, che è composto da due elementi: lo scioglimento dei giuramenti e degli impegni assunti durante l’anno e di cui si desidera liberarsi, e l’annullamento di quelli futuri qualora non si possano mantenere.
Ciò vale soltanto per gli impegni presi nei propri confronti, poiché qualora si sia promesso, invece, a favore o a danno di un altro, la Hataràt Nedarìm non ha alcun valore di annullamento. In ogni caso, sarebbe opportuno che chiunque abbia fatto un voto o un giuramento si rivolga a un rabbino per verificare quale sia la halachà da applicare al suo caso. Alla vigilia di Rosh Hashanà si usa immergersi nel bagno rituale, e recarsi al cimitero per chiedere ai defunti che intercedano in nostro favore e ci aiutino con i loro meriti a ottenere il perdono.
Coloro che usano digiunare alla vigilia di Rosh Hashanà devono interrompere il digiuno prima di sera per non iniziare il giorno di festa solenne sofferenti.
I 40 giorni compresi tra il capomese di elùl e Kippur sono quindi un periodo di meticolosa preparazione in cui ci si deve impegnare a migliorare e a crescere spiritualmente, intensificare lo studio della Torà e l’osservanza delle mitzvòt.

Tommaso Campanella amico degli ebrei

Nel post precedente, abbiamo visto l'ambivalenza di Campanella rispetto agli ebrei: da una parte i suoi toni antigiudaici, dall'altra il suo sincretismo che lo rende aperto agli influssi più vari.
Giungiamo ora alla sua "trivalenza", e a quella che a mio parere è la chiave di lettura più veritiera.

UN AMICO?

In effetti, non mancano gli elementi che ci fanno vedere un Campanella amico degli ebrei.
La stessa poesia in cui si dice che Dio ha preposto i Samaritani ai Farisei, più che agli ebrei è rivolta agli stessi cristiani, infatti dice:

Nessun ti venne a dir: - Io son tiranno -, / né il sa dir; né dirà: - Son Anticristo -; / ma chi è più fino, scelerato e tristo, / per santità ti vende il proprio danno

Ed ancora più esplicito è in un’altra poesia:

Se torni in terra, armato vien', Signore, / ch'altre croci apparécchianti i nemici, / non Turchi, non Giudei: que' del tuo regno

Allo stesso modo, la poesia in cui si difende dall’accusa di essere figlio di mori o di marrani, è per l’appunto una difesa, e l’aggettivo “perfido” sembra quanto riferito da altri, oltre al fatto che sembra prendersela più con gli ebrei convertiti (appunto i marrani) che con quelli rimasti alla fede dei Padri! Inoltre li accomuna ai mori, cioè gli stessi con cui cercherà di allearsi nella fallita rivolta antispagnola di cui fu l’animatore.
Ma lasciamo da parte gli scritti (Campanella, perseguitato da Chiesa e Spagna scrisse tutto e il contrario di tutto!) e veniamo alla sua vita concreta, che è ciò che più conta.
La disputa di Padova con un ebreo fu per lui fonte di grandi guai: l’ebreo era infatti un ex convertito al cristianesimo, poi tornato alla fede dei Padri. Oltre al fatto che le dispute pubbliche tra cristiani ed ebrei dovevano sottostare a regole ben precise (tra cui la conversione del perdente alla religione del vincitore), a cui egli non si attenne, in questo caso preciso era suo dovere denunciare all’Inquisizione lo spergiuro. Cosa che egli si guardò bene dal fare, tanto è vero che fu sottoposto ad uno dei suoi primi processi
Leggiamo in Luigi Firpo, Tommaso Campanella, l'uomo e il suo tempo:

Al cadere del 1593, accusato di aver disputato con un Israelita convertito e tornato poi all'ebraismo, omettendo di denunciarlo senza indugio all'Inquisizione, viene chiuso con due correi nel carcere del Sant'Uffizio. Ne nacque un grosso processo, aggravato da un tentativo di effrazione e di fuga, complicato da sempre nuovi capi d'imputazione (pratiche divinatorie, credenze materialistiche, linguaggio irriverente), inasprito da reiterate torture e avocato infine, attraverso una misteriosa estradizione clandestina, davanti al tribunale romano. In quel grave frangente Campanella rivela una vitalità incoercibile: scrive memoriali a propria difesa, libri da inviare a protettori potenti, si guadagna fra gli stessi giudici profonde simpatie per la sua giovinezza infelice e splendente d'ingegno, ma non può alla fine evitare una condanna alla abiura per grave sospetto di eresia”.

Ma soprattutto egli fu grande amico di un misterioso rabbino Abramo, conosciuto quando stava in convento a Cosenza, dal quale, secondo alcuni studiosi, apprese la Cabbala.
Bruno Marini, Fra’ Tommaso Campanella
“Trasferitosi in Cosenza per seguire un corso di teologia, incontra Abramo, un giovane ebreo “bianco in faccia e con gli occhi azzurri”. Questo incontro sarà foriero della sua iniziazione ai culti astrologici e divinatori, e causa delle molte peripezie conventuali e processuali che porteranno il Campanella a quasi un trentennio di carcere.
Interessante è il documento dell’Amabile inerente alla relazione tra Campanella e l’ebreo Abramo. Campanella lo conosce ventenne a Cosenza e lo ritroviamo insieme a lui prima in Altomonte e poi a Napoli. Abramo ha iniziato Tommaso all’esoterismo ed all’astrologia; si tratta di forme magiche dell’ambiente napoletano gravitante attorno a Giovan Battista della Porta. Se dal primitivo scetticismo Tommaso decide di fare della magia il fondamento della concezione filosofica il merito non si deve attribuire all’ebreo Abramo, o all’influenza del particolare ambiente napoletano, ma soltanto alla sua innata predisposizione per quel particolare tipo di ricerca: il terreno in cui avevano seminato era tra i più fertili. Abramo, con tutta probabilità, incoraggiò il suo destino messianico e profetico. Profetismo evidentemente riferito allo pseudonimo ch’egli adoperava nelle sue poesie filosofiche: “Settimoniano Squilla”, dovuto senza ombra di dubbio alle sette protuberanze che aveva sulla fronte e che venivano associate a sette monti e abbinate alla simbologia della genialità profetica”

Ed anche nella Vita di Tommaso Campanella scritta da Michele Baldacchini:
“Narrano adunque che in misteriosa forma nel chiostro del suo convento a lui s’abbattesse un uomo strano d’abiti e di linguaggio col quale accontatosi il giovinetto e dimorato per lo spazio di otto giorni in compagnia di colui apparisse forte mutato da quel di prima. Narrano ancora che quello sconosciuto fosse un Rabbino il quale al Campanella comunicasse i princìpi delle scienze occulte”

Germana Ernst, Gli astri e la vita dell’uomo. Gli opuscoli astrologici Di Tommaso Campanella
Non sappiamo quando esattamente Campanella si sia accostato all’astrologia con maggiori simpatie, venendo ad acquisire competenze specifiche in questo campo. Forse le poté apprendere già da quel misterioso rabbino Abramo, con cui si diceva avesse lasciato la Calabria per dirigersi alla volta di Napoli, e che esaminando la sua natività gli avrebbe pronosticato l’eccezionalità della sua vita.

Abbiamo qui che l’influsso di questo misterioso Abramo sia stato determinante per la formazione del filosofo, il quale non poteva che trovare una grande comunanza sia di interessi che di azione gli ebrei.

CONCLUSIONE?
Al di là delle prime apparenze, Campanella fu molto diverso da Nilo: al suo dogmatismo oppone l'eclettismo, la ricerca, l'apertura mentale. Ed in questo non poteva non essere vicino a quegli ebrei da cui ricevette gli insegnamenti cabbalistici, quegli ebrei dei quali si dice che dove se ne trovano due ci sono tre partiti, quegli ebrei che, infine, come lui, erano accesi ricercatori e con lui condividevano il destino di vittime dell’Inquisizione: come lui (seppure in modo diverso) in cammino verso quella Città del Sole dove gli uomini sarebbero stati uguali nei diritti e nei doveri come figli dello stesso Dio.
E possiamo anche dire che l'appello alla conversione del Quod reminiscentur, non fosse, in qualche modo, come la disputa con l'ebreo a Padova, una "tassa" da pagare per dimostrare la sua ortodossia, tanto più come domenicano, cioè appartenente a quell'Ordine dei Predicatori al quale egli apparteneva.

Tommaso Campanella e gli ebrei

Abbiamo visto in un post di qualche tempo fa l’atteggiamento antisemita dell’abate Nilo da Rossano.
Molte cose erano cambiate nell’arco di oltre 600 anni: mentre all’epoca di Nilo gli ebrei erano presenti apertamente in Calabria, all’epoca di Campanella essi erano stati scacciati da vari decenni; ai bizantini si erano sostituiti gli spagnoli, e alla disputa tra Chiesa orientale e Chiesa occidentale (che in Calabria aveva uno dei suoi centri) si era sostituita quella tra Riforma e Controriforma (che pur non avendo una grossa rilevanza in Calabria, faceva giungere fin qua i suoi echi, soprattutto con l’occhiuta invadenza della Santa Inquisizione, che proprio pochi anni prima della nascita del Nostro, aveva fatto qui strage di migliaia di valdesi).
Ma alcuni aspetti erano rimasti invariati, l’antigiudaismo della Chiesa era rimasto tale e quale (anzi forse più sospettoso) e l’antisemitismo spagnolo era speculare a quello bizantino.
Cercheremo ora di capire come il grande filosofo vissuto tra XVI e XVII secolo si ponesse, in questa mutata realtà, dinanzi agli ebrei.

Tommaso Campanella, nato a Stilo o a Stignano (non mi interessa entrare nella diatriba senza fine!) il 5 settembre 1568 e morto a Parigi, 21 maggio 1639, ebbe personalità ed attività multiformi e spesso contraddittorie: astrologo e alchimista, poeta e scrittore, ma soprattutto noto filosofo e politico; come politico fu di volta in volta (e talora nello stesso tempo!) organizzatore rivoluzionario e ingenuo utopista, antispagnolo e (almeno a parole) filospagnolo.
La stessa ambivalenza (o, come vedremo, “trivalenza”) la osserveremo (almeno apparentemente) nel suo atteggiamento rispetto agli ebrei e all’ebraismo, per cui i “capitoletti” in cui è diviso questo post saranno tutti col punto interrogativo...

ANTIGIUDEO?

L’antigiudaismo di Campanella risalta soprattutto nelle sue poesie, vediamone alcuni versi tratti da diversi componimenti:

Ecco li Scribi e Farisei del tutto disfatti, / ed ogni setta empia e profana, dall'Ottimo (Dio)

Dove son or? dov'è l'ebraico stuolo? / dov'è 'l moresco? e i lor bugiardi offici?

Qual feroce leon, ch'in più catene / insidie umane, ma non forza stringe, [ ... ] / tal fu Dionigi in mezzo a tanti Ebrei / congiurati all'estrema sua ruina, / come contra Sanson gli Filistei

Tu sei del sommo Iddio vicario in terra, / Clemente; e perché lasci il Campanella / da Marrani e Giudei, gente rubella / all'altissimo Sir, metter sotterra?

Campanella d'eretici e rubelli / capo in Calavria mai non s'è trovato; / ma l'infamaron, per raggion di Stato, [ ... ] / Ché, disser elli, / nato d'uom moro e femina marrana / (descendenti dal perfido ebraismo, / venuti a forza alla fede cristiana),

I Samaritani a' Farisei, che sé ingannano e gli altri, Dio prepose.

Le due poesie più curiose sono quelle composte l’una in lode, l’altra contro Maurizio Rinaldi di Guardavalle, prima suo amico, che poi lo abbandonò. Cambiando poche parole il madrigale assume tutt’altro significato, ma sempre i Giudei sono considerati ribaldi: mentre nel primo il Rinaldi ne viene considerato nemico, nel secondo ne viene considerato complice.

Madrigale in lode di Maurizio Rinaldi
Generoso Rinaldi,
vera stirpe del sir di Monte Albano,
ristorasti l'onor di tutto 'l Regno;
e di Giudei ribaldi
mettesti a terra il consiglio profano
e l'orgoglio moresco

Madrigale di palinodia
Vilissimo Rinaldi,
vera stirpe di Cacco, empio, inumano,
vituperasti tutto quanto il Regno;
e di Giudei ribaldi
mettesti in alto il consiglio profano

Non bastando l’opera poetica, Campanella scrisse il Quod reminiscentur, opera dedicata alla conversione dei non credenti, in cui il terzo libro riguarda gli ebrei, e nel 1593, a Padova, tenne una pubblica disputa con un ebreo.


SINCRETISTA?

Accanto a quanto esposto prima, possiamo però cogliere nel Campanella accenti diversi, che lo mostrano un difensore non così acceso della fede cattolica. Sempre nelle poesie possiamo leggere:

Né frate fan cocolle e capo raso. / Re non è dunque chi ha gran regno e parte, / ma chi tutto è Giesù, Pallade e Marte / benché sia schiavo o figlio di bastaso (quasi mette Gesù sullo stesso piano di Minerva e di Marte!)

Nella sua opera più famosa, La Città del Sole, possiamo anche leggere:

Dopo mangiare si rendon grazie a Dio con musica, e poi si cantano gesti di eroi cristiani, ebrei, gentili, di tutte nazioni, per spasso e per godere.

Ed in genere, si può dire che Campanella, pienamente inserito nella sua epoca di ricerca senza limiti accanto a grandi pensatori, fosse uno spirito che non limitava il suo pensiero alla più pura ortodossia, ma era aperto ai più svariati influssi:

“Grazie a pensatori di grande ingegno come Campanella, Giordano Bruno, Pico della Mirandola, si ebbe un ritorno di fiamma e un interesse per le culture antiche, per l’astrologia, per la Cabala ebraica, per la magia e l’alchimia”

Ora, nel post successivo, vedremo come questa sua apertura permette di presentare anche alcuni aspetti (prevalenti?) di amicizia verso gli ebrei.

venerdì 26 settembre 2008

Rosh haShanah in Calabria

Ricevo da Rabbi Barbara Aiello e pubblico gli appuntamenti al Sud della comunità riformata nel periodo delle prossime feste.

Serrastretta, Sinagoga Ner Tamid del Sud
1° ottobre, ore 17,30: Rosh haShanah
(Capodanno) - Rav Barbara suonerà lo Shofar e spiegherà la tradizione, la storia e la cultura dello shofar per noi ebrei. Si degusteranno insieme mele e miele, e mangeremo anche il dolce di Capodnno, la pignolatta, un dolce di origine ebraica!

Palermo
19 ottobre: Sukkot
25 ottobre ore 17,00-19,00: Simchat Torah
- dedicazione della Torah con musica ebraica.

BENVENUTI A TUTTI MA CHIAMATE PER PRENOTARE:
0968 81302 o cellulare: 333.535.0647
Rabbi Barbara Aiello rabbi@rabbibarbara.com

giovedì 25 settembre 2008

Selichot: verso la riconciliazione

Da Chabad
Il mese di Elul (iniziato il 1° settembre) è l’ultimo dell’anno ebraico, ed è considerato il mese in cui il Signore gradisce maggiormente le nostre preghiere.
Il periodo che va da Rosh Chodesh Elul (il 1° Elul) sino a Yom Kippur (il 10 Tishri, quest’anno il 9 ottobre) commemora il perdono divino per la colpa del vitello d'oro, ed è il momento migliore per fare un bilancio ed eventualmente mutare la nostra condotta, avvicinandoci alle grandi feste di Tishrì.
La prima di queste feste è Rosh haShanah (Capodanno), il 1° Tishri (quest’anno il 30 settembre), in preparazione alla quale si usano celebrare le cosiddette Selichot (Scuse, Perdoni), preghiere penitenziali per chiedere appunto al Santo perdono per i propri peccati, considerato anche che i giorni da Rosh haShanah a Yom Kippur sono considerati i giorni in cui viene effettuato il giudizio annuale delle colpe e dei meriti degli ebrei.

Da Morasha
Due sono gli usi più noti per quanto riguarda l’inizio della recitazione delle Selichot prima di Rosh ha-Shanah. I Sefarditi usano cominciare a recitare le Selichot a partire dall’indomani del Rosh Chòdesh Elul, perché “allora Mosheh salì sul Monte Sinai per ricevere le seconde Tavole ed è tempo di gradimento; inoltre vi è un riferimento nel versetto anì le-dodì we-dodì li (“io sono per il mio amico e il mio amico è per me”), le cui lettere iniziali formano la parola Elul, mentre le finali hanno il valore numerico complessivo di 40 quanti sono appunto i giorni che vanno da Rosh Chòdesh Elul a Yom Kippur.”
Gli Ashkenaziti, viceversa, cominciano soltanto a partire dalla domenica precedente Rosh ha-Shanah a meno che questa festa non cada di Martedì o Mercoledì, nel qual caso anticipano l’inizio delle Selichot alla domenica della settimana prima, in modo da poterle recitare almeno per quattro giorni prima di Rosh ha-Shanah. La Mishnah Berurah e il Baer Heitev spiegano che le Selichot sostituiscono l’antico minhag (rito) di digiunare nei Dieci Giorni penitenziali: ma dal momento che quattro di essi sono festivi e non vi si può indire un digiuno che non sia comandato dalla Torah (i due di Rosh ha-Shanah, Shabbat Shuvah e Yom Kippur) è necessario recuperarli prima di Rosh ha-Shanah. Secondo un’altra spiegazione i quattro giorni di Selichot prima di Rosh ha-Shanah si renderebbero necessari in analogia con gli animali da sacrificio, che dovevano essere presi da parte e controllati da eventuali difetti quattro giorni prima di essere immolati: nel nostro caso l’animale da sacrificio è per così dire l’uomo stesso, in procinto di presentarsi al Giudizio Divino il giorno di Rosh ha-Shanah.
Il Tanyà Rabbatì (rituale italiano) riporta in proposito un minhag lievemente differente, che comporta l’inizio della recita delle Selichot sempre nel penultimo giorno feriale di Sefer (Lunedì o Giovedì) prima di Rosh ha-Shanah: se la festa cade di Shabbat o di Lunedì si comincia il Lunedì precedente; mentre se cade di Martedì o di Giovedì si comincia il Giovedì precedente37. Questo minhag ha il vantaggio di unire insieme le varie motivazioni osservate a proposito dei minhaghim trattati in precedenza, compreso il richiamo alla salita di Mosheh sul Monte Sinai in quanto, secondo la tradizione, la salita avvenne proprio di Giovedì e la discesa di Lunedì38. Il minhag italiano fa infatti in modo che un Lunedì e un Giovedì siano sempre compresi nei giorni di Elul dedicati alle Selichot e rispetta parimenti il principio che questi siano almeno quattro.

Jonathan Pacifici
Concludiamo con le meravigliose parole del componimento che recitiamo alla conclusione
delle Selichot:
Colui che confessa i suoi peccati e riconosce le sue trasgressioni,
che ha consumato gli anni nelle vanità ed i suoi giorni nell'afflizione,
grida a causa delle sue angosce, e dichiara, durante il conflitto con i suoi nemici:
“Cadiamo nelle mani del Signore poiché grande è la sua misericordia”
.

Teshuvah
L’aspetto fondamentale di queste Selichot (e di tutto questo periodo) è il concetto di Teshvah (ritorno, conversione). Leggiamo qualcosa in proposito.
"Là presso i fiumi di Babilonia..." è la prima delle recite "per tutti i giorni" di preparazione a "Yom Kippur" (il giorno dell'espiazione) nel grande ciclo del rituale ebraico (a quella, qui io ho fatto seguire l'incipit della prima Lamentazione di Geremia Profeta: "Quomodo sedes...").
"Là presso i fiumi" è situata subito dopo l'introduzione alle Selichot (di cui è parte), ovvero: «...le parole di supplica e pentimento che si recitano per dimostrare che il nostro spirito è affranto, che noi siamo piegati sotto il peso delle nostre colpe, delle nostre trasgressioni, della nostra disubbidienza.» (Rav Elio Toaff, Intr. alle Selichot del Tempio di Roma; 1986).
Le Selichot si recitano dal primo giorno del mese di Elul fino al decimo giorno del mese successivo, Tishrì, ovvero Yom Kippur, quando culminerà nelle 25 ore di digiuno totale, l'implorazione del perdono degli uomini cui abbiamo fatto torti, e il porgere a dio la teshubà, ovvero il nostro pentimento, e nostra la nostra fede nel fatto che non il pentimento, bensì "l'azione riparatrice" che noi compiremo nei confronti di coloro che abbiamo offeso nel mondo, sulla terra, farà sì che Dio ci assicuri il perdono.
Così, come spiega il Talmud (Talmud = studio: la tradizione orale contrapposta a quella scritta: la Torah):
«Grande cosa è la teshubà, perché porta la guarigione al mondo».
Per questo le Selichot non preparano solo a Yom Kippur, ma anche a Rosh ha-Shanà, il capodanno ebraico, che è dopo l'ultimo giorno del mese di Tishrì (i giorni di Yom Kippur e Rosh ha-Shanà, infatti, hanno un nome: yamim noraim, giorni dell'erranza).
E nel giorno di capodanno «due libri sono aperti davanti al Giudice di tutta la terra: il libro della vita e quello della morte. Egli, dopo aver meditato il suo giudizio scrive i nomi nell'uno e nell'altro libro ed in tal modo avrà pronunciato la sua sentenza. [...] Ma "il Signore non vuole la morte del malvagio, egli vuole che si penta e viva"» (Elio Toaff, ibid.)

Un momento fondamentale delle Selichot è il ricordo dei tredici attributi dell’Eterno, rivelati a Mosè quando venne a chiedere perdono per il suo popolo dopo il misfatto dell’adorazione del vitello d’oro (Esodo, 34,6-7):

Il Signore, il Signore,
Dio pietoso
e concessore di grazie,
longanime e molto buono
e verace,
che ricorda la bontà
a migliaia di generazioni,
che condona la colpa,
il delitto e il peccato;
e manda assolto.
1 - Il Signore (misericordioso)
2 - Dio (prode, che sa frenare la Sua ira)
3 - Pietoso
4 - Concessore di grazie
5 - Longanime
6 - Molto buono
7 - (molto) Verace
8 - Che ricorda la bontà (che si comporta in genere con bontà)
9 - A migliaia di generazioni
(che conserva la bontà a favore di migliaia di generazioni di chi è stato giusto)
10 - Che condona la colpa
11 - (Che condona) il delitto
12 - (Che condona) il peccato
12 - (Che) manda assolto

mercoledì 24 settembre 2008

1000!

Permettetemi un post un po' egocentrico.
Questo mese il blog ha raggiunto è superato i 1000 contatti!
Ovviamente è pochissimo, è un numero quasi ridicolo, considerati i grandi numeri di internet e che molti di questi contatti sono casuali e durano pochissimi secondi.
Ma considerando l'interesse piuttosto ristretto dell'argomento (pochi sono i calabresi, pochi gli ebrei, e pochissimi i calabresi interessati all'ebraismo!), mi ritengo più che soddisfatto, confidando nell'aiuto dei lettori per poter sempre migliorare, e dichiarandomi grato a tutti quelli che mi hanno contattato per approfondire qualche aspetto di questa materia o per darmi suggerimenti.
In questi ultimi giorni ho un po' rallentato l'impegno, sia perché ho aperto un nuovo blog, sia perché man mano che passa il tempo mi rendo sempre più conto del bisogno di approfondire e verificare ciò che pubblico.
Ma vi assicuro che non è facile: le notizie su ebraismo e Calabria sono tutto sommato così scarse (in realtà non mancano scritti e pubblicazioni, non ché notizie su internet: ma non tutto è degno di attenzione, e quello che lo è spesso richiede tale e tanto approfondimento...) e complesse, che a volte per fare 10 righe ci impiego giorni e giorni.
Confido quindi sulla vostra pazienza, e come ho fatto spesso apprezzo e accetto qualsiasi consiglio, suggerimento e critica: anche le più distruttive mi possono fornire nuovi elementi di riflessione!

Benevento: L'Italia ai tempi delle leggi razziali

22 settembre 2008
Si è svolto il Simposio sul tema:
«L'Italia ai tempi delle leggi razziali ebrei,
'Giusti tra le Nazioni', campi di concentramento».

Comunicato stampa n. 187 del 19 settembre 2008

Gli italiani si sono distinti dai tedeschi nell'epoca della mostruosa persecuzione nazi-fascista degli Ebrei. Lo dimostra l'elevatissimo numero di ebrei italiani che si salvarono dalle persecuzioni.

E' quanto emerso questa sera, nel Museo del Sannio - Auditorium "G. Vergineo" - di Benevento, dove si è tenuto il Simposio sul tema: «L'Italia ai tempi delle leggi razziali ebrei, 'Giusti tra le Nazioni', campi di concentramento», promosso dalla Provincia e dal Comune di Benevento, su proposta e con la cooperazione della Associazione Futuridea.
Le relazioni e gli interventi dei sopravvissuti hanno portato ad una sola conclusione: gli italiani generalmente devono essere ringraziati per la loro generosità nei confronti degli Ebrei durante la Secondo Guerra Mondiale anche se dovevano applicare le leggi razziali. Molti, infatti, quelle leggi non le applicarono affatto ed anzi aiutarono gli Ebrei come poterono. Anche i rappresentanti delle Autorità costituite italiane lo fecero.
Questa verità è emersa in particolare dalla testimonianza della sopravvissuta di origine ungherese Edith Birns. Deportata con tutta la sua famiglia ad Auschwitz all'età di sei anni nel 1944, sopravvissuta, unica tra i suoi familiari, alle violenze di ogni genere, dopo la liberazione del Campo nel 1945 e dopo una serie di rocamboleschi eventi, giunse infine negli Stati Uniti dove, dopo anni, conobbe e sposò un ebreo sopravvissuto al Campo italiano di Ferramonti in Calabria: ebbene, ella scoprì che il trattamento ricevuto da suo marito in quel luogo di restrizione non era assolutamente paragonabile al suo, tale fu l'umanità del trattamento. Lo storico di origini sannite, Vincent Marmorale, a tale proposito, ha ricordato che le prime conclusioni di un documentario che sta curando per registrare le testimonianze dei sopravvissuti ai Campi, dimostra innanzi tutto che quelle stesse testimonianze non sarebbero state possibili se i sopravvissuti non fossero stati internati in Italia: solo grazie agli italiani quelle persone si sono salvate dalla morte certa che avrebbero patita per mano germanica. Questa pagine della storia italiana ed europea - ha commentato Marmorale - è poco conosciuta: il Simposio serve a farla conoscere meglio. Qui a Benevento - ha detto poi Marmorale - avete avuto una luce sotto un tempo terribile: era Giovanni Palatucci, il vice questore che, dopo aver studiato nel capoluogo sannita, salvò migliaia di ebrei dalle persecuzioni . Palatucci conosceva il valore dell'essere umano e aveva il coraggio di seguire il proprio cuore. E' oggi un simbolo per gli ebrei italiani, e per tutto il mondo. È molto importante per i giovani sapere che in Italia c'è stata un'epoca terribile, ma anche una speranza di luce: ha concluso Mormorale.
Altri testimoni hanno raccontato altre vicende quasi incredibili: ebrei tedeschi furono espulsi dalla Germania, ma furono accolti in Italia ed autorizzati addirittura a sposarsi tra loro, pur se costretti nel Campo di Ferramonti oppure confinati in paesini montagnosi come Muro Lucano.
I lavori del Simposio sono stati introdotti dall'assessore provinciale alla cultura Carlo Falato. Questi ha ricordato i rapporti di tolleranza ed accoglienza che Benevento aveva riservato alla minoranza ebraica
fino alla fine dell'epoca rinascimentale e gli sforzi perseguiti dalla provincia di benevento in tempi recenti riannodare i rapporti con la comunità ebraica e lo Stato di Israele.
Italo Palombi, assessore del Comune di Benevento in rappresentanza del sindaco Pepe, ha ricordato che Benevento è una città accogliente e tale deve restare e ancora oggi deve avere il coraggio di rifiutare ogni forma di razzismo accettando la diversità di religione e delle idee sapendo che l'uomo riesce a sopravvivere se riesce a stare in pace con l'altro. Quindi oggi le Istituzioni - ha aggiunto Palombi - devono svolgere un grande ruolo di accoglienza anche rispetto a tanti che emigranti da altri paesi vengono qui per costruire un proprio futuro. Esistono gli uomini, non una razza superiore alle altre: e tutti devono esser e rispettati nella propria vita.
Il sindaco di Paduli, cittadina d'origine del prof. Mormorale, ha affermato che i sopravvissuti dei Campi di concentramento presenti al Simposio rappresentano i valori di civiltà. Oggi più di ieri - ha concluso De Gennaro - bisogna ricordare il grande dramma della Shoah: le relazioni ra i popoli sono molto tesi soprattutto per l'intolleranza razziale e religiosa. Occorre lavorare per l'unità dei popoli nella diversità.
Il presidente della Associazione Futuridea ed ex presidente della Provincia Carmine Nardone ha definito il Simposio una testimonianza di straordinario valore non solo storico ma anche umano e di forte impatto. Egli ha quindi proposto di dare sistemazione definitiva al materiale storico raccolto in questa occasione e negli anni precedenti anche per aiutare chi non ha avuto la forza in questi anni di parlarne. La pubblicazione degli atti del Simposio - ha concluso Nardone - darà ancora maggiore valore all'impegno delle Istituzioni pubbliche sannite.

Rosh haShanah a Trani

Comunità Ebraica di Napoli - Sezione di Trani
segretariato via dell’Industria 93 – 70051 Barletta
tel/fax 0883950639 cell 3402381725



Da lunedi sera 29 settembre
al tramonto di mercoledi 1° ottobre
gli Ebrei festeggiano Rosh haShanà,
il Capodanno dell'anno ebraico 5769.
A Trani le Tefilloth (preghiere) del Capodanno
si terranno nella Sinagoga Scolanova
a partire da lunedi sera alle 18:43

Rosh haShanà è il Capodanno ebraico e cade il primo e secondo giorno del mese ebraico di Tishrì.
Rosh haShanà ricorda la creazione del mondo, dell’uomo e il giudizio divino (Yom Haddim) che si compirà nel giorno di Kippùr attraverso la teshuvà (il ritorno sincero a Dio e ai precetti della Sua Legge) nei 10 giorni tra Rosh haShanà e Kippùr.
Queste due ricorrenze istituite dalla Torà vengono definite yamim Noraim (giorni terribili) in quanto legate al giudizio divino.
A Capodanno è mitzvà (precetto) ascoltare il suono dello shofàr, il corno d'ariete o di montone dall'inconfondibile timbro.
Lo shofàr emette una sequenza di suoni che, nel loro vibrare sommesso, singhiozzante e imponente (tekià e teruà) seguono lo stesso percorso di teshuvà (ricordo del peccato, dolore, pentimento, fiducia nella misericordia divina).
I versi della preghiera Unthannè toqef esprimono la potenza di Dio che in questo giorno iscrive le anime nel Libro della Vita.
Rosh haShanà è Yom Tov ossia giorno di festa in cui bisogna mangiare e bere.
Nel pomeriggio, presso il porto di Trani, si svolgerà la cerimonia del Tashlik che consiste nel gettare una pietra in riva al mare o in fiume o in un pozzo.
Inoltre si usa rivoltare simbolicamente le tasche per liberarsi degli errori passati, così come è scritto in Michea: getterai (tashlìkh) le loro colpe negli abissi del mare.
Le tefilloth (preghiere) di Rosh haShana saranno tenute nella Sinagoga Scolanova dal morè Michele De Prisco.
Al termine delle preghiere di lunedi sera, presso il ristorante Da Miana saranno impartite le berachoth (benedizioni) sui frutti tipici della tradizione ebraica italiana: zucche, porri, biete, melograni, ecc.
Inoltre si intinge un spicchio di mela nel miele formulando l’augurio di un anno piacevole.
Rosh haShana si protrae per tutto martedi 30 settembre e mercoledi 1° ottobre.

!!!שנה טובה ומתוקה

Shanà Tovà u-metukà!!!

martedì 23 settembre 2008

Musica: Israele - Salonicco, una storia italiana

Di recente avevo parlato dei calabresi a Salonicco, e degli italiani in generale.
Ora leggo su un'agenzia di questo evento svoltosi a Tel Aviv: non riguarda la Calabria, ma mi sembra ugualmente interessante.


A Tel Aviv un progetto internazionale strutturato in due parti

(ANSA) - Tel Aviv, 23 settembre - Prima che nel 1939 il mondo si incendiasse, Salonicco era nota come la 'Gerusalemme dei Balcani'. Su 120.000 abitanti, contava 55.000 ebrei, di cui molti di origine e nazionalita' italiane. Appena quattro anni piu' tardi, la piu' grande e prosperosa comunita' sefardita in Europa non esisteva quasi piu'. Quel 'quasi' lo si deve soprattutto a due consoli italiani, Guelfo Zamboni e Giuseppe Castruccio, che con coraggio salvarono la vita di centinaia di ebrei.
Da questo episodio un ex ambasciatore italiano in Israele, Gianpaolo Cavarai, e il giornalista del Corriere della Sera, Antonio Ferrari, hanno ideato un progetto internazionale, strutturato in due parti e questa sera in scena all'Auditorio dell'Universita' di Tel Aviv: 'Salonicco 43' e 'l'Oro delle ceneri'. Il primo e' una drammatizzazione dei documenti dell'archivio del consolato generale d'Italia nella citta' greca, adattata e diretta da Ferdinando Ceriani, con i canti e musiche dal vivo della cantante Evelina Megnagi, sequenze filmiche e testimonianze sonore dei sopravvissuti.
'L'Oro delle ceneri', poema sinfonico del maestro Dov Seltzer - noto per aver composto un 'Requiem per Rabin' all' indomani dell'assassinio dello statista -, trascrive in chiave sinfonica canzoni e romanze spagnole dei sefarditi nel '500.
Cavarai e Ferrari, spiega una nota dell'Ambasciata d'Italia in Israele e dell'Istituto di Cultura Italiano a Tel Aviv, hanno tratto impulso a narrare quei drammatici avvenimenti dopo contatti tenuti con lo storico israeliano di origine italiana Daniel Carpi, ora defunto, studioso dell'Olocausto in Grecia e professore emerito dell'Universita' di Tel Aviv.
All'evento, fra numerose personalita' intervenute, anche l'ex presidente israeliano Itzahak Navon e l'ambasciatore d'Italia Luigi Mattiolo, accompagnato dalla direttrice dell'Istituto italiano di Cultura Simonetta Della Seta.

Xenodokìa: un nuovo blog

Oggi ho inaugurato un nuovo blog: Xenodokìa.
Tratterà delle minoranze etniche, religiose e linguistiche presenti in Calabria attualmente, con anche qualche excursus sui popoli che vi furono presenti in passato, escluso (salvo qualche possibile eccezione) l'ebraismo, al quale è dedicato questo blog
.
Con il mio interesse per l'ebraismo, era inevitabile che prima o poi allargassi i miei interessi agli altri popoli che sono presenti o sono stati in passato in Calabria.
Si tratta di un tentativo, non so se riuscirò a seguire anche questo tema, che pure mi interessa moltissimo: spero di riuscirlo a fare, e spero nella vostra benevolenza e in qualche rapida occhiata.
Ancor più gradita sarebbe una eventuale collaborazione, o quanto meno invio di informazioni o consigli, suggerimenti e, soprattutto critiche, che sono sempre costruttive.


Xenos è in greco lo straniero, l'ospite, ed a sua volta l'italiano "ospite" indica colui che accoglie e colui che è accolto.
XENODOKÌA è l'accoglienza dell'0spite/straniero.
La Calabria nel corso dei secoli è stata meta di moltissimi popoli a volte ospiti, a volta ostili, diversi per tradizioni, lingue e religiosi: greci, latini, arabi, ebrei, normanni, albanesi, spagnoli, occitanici, slavi, armeni e altri ancora.
Di quel che rimane di questi flussi e influssi, della loro storia, della loro cultura e della loro attualità vuole occuparsi questo blog, senza ignorare le nuove immigrazioni.

venerdì 19 settembre 2008

Vital, una famiglia di sapienti

Precedentemente ho parlato (e mi riprometto di farlo più ampiamente, come merita) di Chaim Vital, ed ho accennato ai membri della sua famiglia, di alcuni dei quali, i più celebri, tratto ora più ampiamente.
Mi scuso se, a causa del mio inglese non perfetto, ho commesso qualche errore di traduzione, in quanto i dati sono presi essenzialmente dalla Encyclopaedia Judaica nella versione inglese.


YOSEF VITAL
Noto soprattutto come sofer (scrittore) di pergamene di tefillin (filatteri), nato in Calabria, fiorì nei secc. XV-VI. A causa della precisione nel suo lavoro, fu molto apprezzato, e i suoi manufatti erano conosciuti in tutto il mondo come “tefillin del Rav calabrese”. Fu anche autore di responsa sull'arte della scrittura dei tefillin, che sono spesso menzionati nei responsa di Menahem Azariah da Fano (§ 38 e passim).

Di lui, Chaim, in Sefer ha Gilgulim, 87b, scrisse:
"Mio padre, il mio Maestro, proviene dalla radice del rabbino Meir, e la nefesh (anima) di Rav Yeshvav lo Scriba fu in lui. Egli poteva essere un Saggio grande e brillante come Rabbi Meir, se non fosse stato per un peccato da lui commesso in una precedente reincarnazione, e cioè che, udendo umiliare un Talmid Chacham (Studioso sapiente), non protestò".

Il nipote Samuel, figlio di Chaim, invece ne scrive in Hahagahot le Shaar ha Gilgulim, 38:
"Essendo Rabbi Meir un grande scriba nella sua generazione, come è noto dalla Mishna (Avot de Rabbi Natan, Gittin 67a), anche mio nonno Rabbi Yosef fu un grande scriba, con conoscenza e talento. Il grande Rabbi Arizal (Isaac Luria) disse a mio padre, il mio Maestro, che metà del mondo si sosteneva per i meriti di mio nonno, attraverso i Tefillin Kosher (filatteri puri) che egli faceva".

Un'altra citazione:
"Il padre di Rabbi Chaim, Rabbi Yosef, era famoso come uno scriba esperto, i cui tefillin erano molto ricercati, essendo scritti in santità e purezza, e con particolare intenzioni kabbalistiche.
Rabbi Yosef Caro disse a nome del suo maggid (un insegnante angelico) che la metà del mondo esisteva in virtù del rabbino dei tefillin di Yosef Vital".

Interessanti sono le affermazioni del "Sefer ha-Gilgulim" (di Chaim Vital) sulle anime di alcuni contemporanei di Isaac Luria: "l'anima [ ... ] di Yosef Vital, era una scintilla dell'anima di Esdra".

MOSHE VITAL
Rabbino a Safed; fratello minore di Chaim Vital; morì a metà del XVII secolo. Come Chaim, fu un grande cabbalista, e oltre alle leggende che lo associano al fratello e al profeta Elia, si riporta una tradizione secondo la quale avrebbe previsto la carestia che infuriò a Safed nel 1632.
Ancora nel Sefer ha-Gilgulim, Chaim Vital afferma che, a causa di qualche peccato che la sua anima aveva commesso in una reincarnazione precedente, Moshe Vital non era in grado di acquisire una perfetta conoscenza della cabala (immagino si riferisca a lui, e non a suo pronipote, di cui si parla in seguito).

SHEMUEL BEN CHAIM VITAL
Cabbalista, figlio di Chaim, nacque a Damasco nella seconda metà del sedicesimo secolo, e morì in Egitto a metà del secolo successivo.
Ancora giovane, sposò con una figlia di Isaia Pinto, rabbino di Damasco.
La povertà lo costrinse a emigrare in Egitto, dove, per l'influenza di importanti personaggi, fu posto a capo della società cabbalistica Tikkunè ha-Teshuvah.
Dopo un breve soggiorno, si recò a Safed, dove istruì nella cabala il medico Joseph Zemah. In seguito tornò in Egitto, dove morì.
Samuel Vital fu autore sia di opere cabbalistiche che rabbiniche.
Tra le prime è notevole lo Shemonah She'arim, un'introduzione alla cabala, poi incorporata nell’Etz Hayyim (Zolkiev, 1772; Korzec, 1785).
Tra i suoi scritti non pubblicati si possono citare il Sefer Toze'ot Chayyim, un commento sulla Bibbia, e il Sefer Ta'alumot Chokmah, sulla cabala.

MOSHE VITAL
Figlio di Samuel ben Chaim Vital; rabbino in Egitto durante l'ultima parte del XVII e all'inizio del XVIII secolo.
Fu un noto talmudista e cabbalista,, ma la sola parte delle sue opere che sono state conservate è un responsum contenuto nella raccolta di Abraham ha-Levi intitolata Ginnat Weradim.

giovedì 18 settembre 2008

Benevento: simposio sulla Shoah

Da Il Quaderno
Benevento: venerdì al Museo del Sannio simposio sulla Shoah promosso da Provincia e Comune

Venerdì 19 settembre alle 17, presso il Museo del Sannio - Auditorium “G. Vergineo” in piazza Matteotti a Benevento è in programma il Simposio sul tema: «L’Italia ai tempi delle leggi razziali ebrei, “Giusti tra le Nazioni”, Campi di Concentramento», promosso dalla Provincia e dal Comune di Benevento, su proposta e con la cooperazione dell’ Associazione Futuridea.
Il programma prevede i saluti di Fausto Pepe, sindaco di Benevento, Giovanni De Gennaro, sindaco di Paduli; la relazione di Vincent Marmorale, storico, presidente della Commissione Consiliare dello Stato di New York per gli Studi Sociali e i Diritti Umani; la riflessione di Carmine Nardone, già presidente della Provincia di Benevento; le testimonianze di: Edith Birns, Gerda Ruth Mammon, Ursula M. Selig, Max Kempin, Walter Kleinman, Ruth Tobias, Eva Ruth Rosenfeld, sopravvissuti ai Campi di Concentramento. Conclusioni affidate ad Aniello Cimitile, presidente della Provincia di Benevento.
“L’iniziativa - si legge in una nota della Rocca dei Rettori - nasce nel contesto delle politiche di internazionalizzazione della Provincia, finalizzate al miglioramento ed all’incremento degli scambi commerciali con l’estero, nonché di recupero di rapporti culturali con le comunità di italiani all’estero. In tale contesto, particolare cura è stata dedicata ai rapporti con le Comunità ebraiche all’estero, a ragione dell'antica presenza nel capoluogo di un ghetto ebraico e della circostanza della permanenza in Benevento, quale studente del Liceo Classico “P. Giannone” di Giovanni Palatucci, successivamente divenuto Vice Questore del Regno d’Italia, che salvò un migliaio di ebrei dalle persecuzioni nazi-fasciste, sacrificando, per questo nobile gesto, la vita per mano germanica ed ottenendo, alla memoria, l’alto riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” dallo Stato di Israele.
La Provincia di Benevento intese negli anni scorsi: 1) rendere omaggio a Palatucci partecipando alla intitolazione dell’Aula Magna del Liceo Classico “Pietro Giannone” di Benevento, voluto dal Corpo docente e dalla dirigente scolastica Maria Felicia Crisci; 2) installare nella Corte della Rocca dei Rettori il monumento “Memoria è” del maestro Salvatore Paladino per ricordare l’Olocausto del; 3) premiare con il “il Gladiatore sannita”, lo studioso Vincent Marmorale, originario di Paduli, comune distante pochi chilometri dal capoluogo del Sannio, ma residente negli Stati Uniti da anni, il quale studia da anni l’Olocausto ed, in particolare, le persecuzioni razziali in Italia".
Proprio Marmorale aveva in progetto di effettuare una visita di studio, un “Viaggio nella Memoria”, da parte di una Comunità ebraica in USA, discendente da famiglie ebraiche italiane, espulse dal nostro Paese ai tempi delle discriminazioni razziali, e il presidente Cimitile inviò un formale invito in tal senso allo stesso Mormorale per rendere omaggio, scrisse Cimitile, “alle toccanti iniziative organizzate per ricordare l’Olocausto, tutte le vittime della follia nazista e quanti in quei giorni tristissimi, eroicamente, rischiarono la propria vita per salvare migliaia di Ebrei dai Campi di Sterminio in Italia e in Germania”.
La delegazione ebraica verrà ricevuta in questi giorni dal Santo Padre, quindi visiterà Benevento ed, infine, il campo di concentramento di Ferramonti nel Comune di Tarsia, in Calabria, il più grande d’Italia, costruito a partire dal 1940, capace di ospitare anche duemila perseguitati.

Giornate europee del Patrimonio

Sabato 27 e domenica 28 settembre si svolgono le Giornate europee del Patrimonio.
Nel Meridione ci sono quattro appuntamenti che interessano il mondo dell'ebraismo.
Per tutti gli eventi, consultare il sito del Ministero dei beni culturali.

CALABRIA

REGGIO CALABRIA
I Giudei a Reggio Calabria. Storia di una convivenza sociale ed economica

Conferenza ripercorre le tappe di una significativa presenza attraverso documenti e sopravvivenze etnoantropologiche. Relatore Francesco Avillotta
27 SET. h. 17.30
Palazzo San Giorgio - Piazza Italia

Dalla presentazione di Roberto Cecchi, Direttore Regionale ad interim per i Beni culturali e paesaggistici della Calabria
La storia millenaria della Calabria, punta avanzata della penisola italiana nel Mediterraneo, costituisce forse un esempio tra i più significativi di quell’integrazione e stratificazione culturale ed etnica realizzatasi lungo il corso di parecchi secoli fra popoli ed etnie diverse.
Una tra le presenze più significative in Calabria fu certamente quella degli ebrei, una presenza spesso tormentata di ombre e di luci, e la cui valenza ed influenza è possibile tutt’oggi cogliere nel sopravvivere di toponimi, nonché in molteplici aspetti della vita sociale ed economica della nostra Regione.
Si è ritenuto pertanto confacente organizzare, da parte della Direzione Regionale, in quest’anno 2008, Anno Europeo del Dialogo Interculturale, una conferenza nella città di Reggio Calabria utile a mettere in luce il senso di tale antica presenza nella vita culturale ed economica della città dello Stretto.
Miriam Meghnagi
BASILICATA

POTENZA
“Da Tripoli a Gerusalemme” di e con Miriam Meghnagi
Miriam Meghnagi racconta la sua storia: nata a Tripoli da antica famiglia ebraica, svolge ricerca sul patrimonio musicale ebraico di cui è una delle principali interpreti vocali. Il suo repertorio, continuamente arricchito da ricerche sul campo e da originali elaborazioni e composizioni, abbraccia l’insieme delle tradizioni ebraiche e mediterranee in varie lingue e dialetti (ebraico, arabo, ladino, judezmo, yiddish, bajitto, ecc.).
28 SET. _ 19.30
Museo archeologico nazionale della Basilicata “Dinu Adamesteanu” - Via Andrea Serrao, 11 - Palazzo Loffredo

Affresco dalle catacombe ebraiche di Venosa

VENOSA
Visita guidata: Museo archeologico nazionale, Parco archeologico, Catacombe ebraiche di Venosa

Il Museo è ubicato all’interno del Castello aragonese, ospita reperti provenienti dal sito paleolitico di Notarchirico e dalla colonia latina di Venusia. È suddiviso in cinque sezioni: fase preromana, fase della romanizzazione, dalla fine della repubblica all’età augustea, età imperiale, dal tardo impero al IX secolo. Il Parco archeologico conserva le antiche memorie di un centro che vive ancora oggi con i suoi magnifici monumenti: l’anfiteatro, le terme, la domus, il complesso della SS. Trinità. Infine le Catacombe, site in loc. “La Maddalena”, costituiscono una preziosa e monumentale testimonianza per comprendere le pratiche religiose e funerarie dell’ultimo periodo dell’epoca imperiale romana e dell’epoca tardo antica in Italia Meridionale. Contribuiscono a farci conoscere la presenza di una fiorente comunità ebraica integrata nella cittadinanza venosina tra IV e IX secolo d.C.
27-28 SET. _ 9.00-20.00
Museo archeologico nazionale di Venosa
Piazza Castello - Castello Pirro del Balzo

CAMPANIA

NAPOLI
Mudim (Museo didattico multimediale dell’Istituto campano per la storia della Resistenza, dell’antifascismo e dell’età contemporanea “Vera Lombardi”): Visita guidata
L’istituto ha in esposizione diverse mostre permanenti e per l’occasione organizza su richiesta visite guidate e proiezioni. Le mostre sono:
- L’ebreo come diverso.
- L’antisemitismo in Italia, a cura dell’ICSR (16 grandi pannelli).
- Vento da Sud. Luglio 1943 - giugno 1944, a cura del Liceo Scientifico “A. Labriola”, e realizzata dalla rete “L’Italia liberata” (14 pannelli e 4 gigantografie).
- Gli anni della transizione.
- Dal fascismo alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica (1943-1948), a cura dell’Archivio di Stato di Napoli (12 pannelli).
- 1946: la nascita della Repubblica, a cura dell’ICSR (39 pannelli con manifesti, volantini e giornali originali).
- Dal fascismo alla Liberazione tra arte e storia, a cura dell’ICSR (10 disegni di Raffele Lippi e 30 pannelli con foto, giornali e documenti di Archivio e Biblioteca.
27-28 SET. _ 9.00-13.00
Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea “Vera Lombardi” - Via Costantino, 25

mercoledì 17 settembre 2008

Calabresi in diaspora: spigolature

Anche questo post, come il precedente si basa sui testi di Fabrizio Lelli, L’influenza dell’ebraismo italiano meridionale sul culto e sulle tradizioni linguistico-letterarie delle comunità greche, in AISG (Associazione italiana di studio del giudaismo): Materia giudaica, Anno XI/1-2 (2006): Atti del XIX Convegno Internazionale dell'AISG, L'ebraismo dell'Italia meridionale nel contesto mediterraneo. Nuovi contributi. Siracusa 25-27 settembre 2005, a cura di Mauro Perani, pp. 201-216 e di Attilio Milano, Storia degli ebrei italiani nel Levante, Firenze, Israel, 1949.

MANOSCRITTI
Indubbiamente l'esponente più prestigioso tra gli ebrei calabresi (o i loro discendenti) cacciati dagli spagnoli, è Chaim Vital, che appartenne a una famiglia di studiosi della quale presto darò maggiori ragguagli.
Suo padre, Yosef ben Hayyim Vital, copiò ad Arta, nel 1528 un Mahazor (libro rituale) di rito romaniota (cioè greco), seppure, a parere di autorevoli studiosi, contenga anche elementi di rito italiano. Il codice, arricchito da pregevoli decorazioni, è l’attuale Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, hébr. 616.
Un Mahazor qalabrezi conservato in un manoscritto della collezione di Yehoshua' Heschel Schorr parla Y. Ben Ya‘aqov, Osar ha-sefarim, Vilna 1880, n. 959, di cui scrive che e’ “antichissimo”. Poiché Heschel Schorr acquistò numerosi codici dalla collezione Reggio, il codice potrebbe corrispondere al Ms. Reggio 63, attualmente conservato presso la Bodleian Library di Oxford (= Neubauer, Catalogue, n. 1081), di cui Sermoneta, La liturgia degli ebrei siciliani, p. 157, nota 53, scrive: “Il Ms. Oxford, Bodleian 1081 contiene un Mahazor secondo il rito calabrese”. Sermoneta, ibidem, osserva anche che “Un altro Mahazor è descritto da Y.L Weinberg. A questi codici si devono aggiungere i Mss. Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi 89 e 435, provenienti entrambi dall’Italia del Sud”. Neubauer, Catalogue, p. 270, a proposito del Ms. Reggio 63, parla di “Greek Rite (Calabria and Corfu)” e osserva le affinità del contenuto del codice con quello del Ms. Bodleian Library, Neubauer 1092: i due testimoni conterrebbero materiali liturgici analoghi a quelli del minhag corfiota, ma, diversamente dagli altri manoscritti in grafia romaniota di questo rito, essi sono vergati in grafia sefardita.

COMPOSIZIONE SOCIALE
Diversamente dalle comunità di rito italiano-romano, i cui membri erano per lo più mercanti, medici, giuristi, è interessante osservare che le sinagoghe siciliane, pugliesi e calabresi contavano per lo più marinai, pescatori, muratori, tavernieri, occupazioni tipiche degli ebrei dell’Italia meridionale prima dell’esilio.

ASSIMILAZIONI
In un primo tempo, le comunità italiane si mantennero piuttosto salde e la loro influenza fu tale che molti greci abbandonarono le loro tradizioni (al punto che il rito corfiota può ritenersi una silloge di tradizioni linguistico-religiose pugliesi, calabresi e siciliane) per unirsi a queste nuove comunità (e in qualche caso lo stesso fecero alcuni esuli dalla Spagna),
Ma già durante il XVI secolo le comunità siciliane, calabresi e pugliesi di Salonicco (e di altri luoghi) adottarono lingua e costumi sefarditi, pur mantenendo alcune usanze liturgiche proprie.

ANDIRIVIENI
Tra 1529 e 1532 Andrea Doria conquista le coste dell'Albania e della Grecia settentrionale, sotto il dominio turco. Molti ebrei, talora provenienti dall'Italia meridionale, furono prima saccheggiati e poi portati via come schiavi. In Sicilia ne furono messi in vendita 25, in Calabria 96, a Lecce 45, nel resto della Puglia cento, e cento a Napoli, all’infuori di altri alla spicciolata.
La giudecca di Napoli, da poco rinata e di nuovo alle soglie della definitiva liquidazione, si tassò per duemila ducati d’oro da usarsi per il riscatto, chiedendo aiuto a tutte le comunità italiane, e, non riuscendosi a raggiungere quanto occorreva, si rivolse anche agli ebrei di Tunisi.
Come risultato, nessuno degli ebrei di Patrasso, Lepanto, Corone e Valona rimase schiavo, ma, appena liberati, tornarono lì da dove erano stati deportati.
Ancora una volta, questi esuli devono affrontare l'esilio, il ritorno, la sofferenza.
VIGLIARULO
Domenico Vigliarulo, nato a Stilo nella seconda metà del XVI secolo, fu agli inizi del 1600 cosmografo (cartografo) di corte dell'Imperatore di Spagna; secondo alcuni studiosi, è possibile che fosse di origine ebraica, la cui famiglia, forzata alla conversione, fosse fuggita in Calabria, e da lì, tornato in Spagna, riassumesse l'originario cognome Villarroel.
Ma si tratta di una semplice ipotesi.

Ebrei calabresi in diaspora

Come "diaspora" (golah), qui intendo gli ebrei calabresi che si sparsero nei diversi paesi in seguito alle successive cacciate a cui furono soggetti; ovviamente è un termine improprio, in quanto qui sono inclusi anche quelli che in realtà fecero ritorno (aliyah) nella Terra dei Padri.
Le notizie, quando non indicato diversamente, sono tratte da:

(L) = Fabrizio Lelli, L’influenza dell’ebraismo italiano meridionale sul culto e sulle tradizioni linguistico-letterarie delle comunità greche, in AISG (Associazione italiana di studio del giudaismo): Materia giudaica, Anno XI/1-2 (2006): Atti del XIX Convegno Internazionale dell'AISG, L'ebraismo dell'Italia meridionale nel contesto mediterraneo. Nuovi contributi. Siracusa 25-27 settembre 2005, a cura di Mauro Perani, pp. 201-216
(M) = Attilio Milano, Storia degli ebrei italiani nel Levante, Firenze, Israel, 1949


Come premessa bisogna ricordare che furono tre le cacciate degli ebrei dal Meridione:
1) In seguito all'ondata antiebraica scatenata dalla discesa del francese Carlo VIII nel 1494, molti ebrei fuggono, e più numerosi saranno, quando, tornati gli Aragonesi, il 26 ottobre 1496 re Federico espelle gli ebrei dal Napoletano; in realtà il bando ebbe breve durata, e si ebbe, come a compensazione, un flusso di ebrei scacciati nel 1497 dal Portogallo.
2) Passato il Meridione alla Corona spagnola, Ferdinando il Cattolico pubblica il 31 dicembre 1510 un nuovo decreto di espulsione, che ordinava la partenza entro il 25 lugilo dell'anno successivo; sarà questo che segnerà realmente la fine delle comunità ebraiche, sebbene nel 1520, per le proteste delle popolazioni oppresse dai "banchieri cristiani" che avevano sostituito gli "usurai ebrei", Carlo V dovrà riammetterli; si tratterà, almeno per quanto riguarda la Calabria, di un rientro poco numeroso.
3) Il 31 ottobre 1541, in seguito ad un provvedimento del viceré Pietro Da Toledo, avviene l'ultima e definitiva cacciata dei non moltissimi ebrei che ancora si trovavano al Sud; dopo di questa data possiamo dire che ogni presenza ebraica che non sia sporadica e temporanea sia cessata in Calabria e nella maggior parte del Sud, fatte salve la comunità di Napoli rinata nell'800, la recentissima comunità pugliese, e la comunità di Palermo, estinta dopo le persecuzioni razziali fasciste e la seconda guerra mondiale.

Nell'esposizione seguirò un criterio geografico piuttosto che cronologico, e, nel testo, richiamerò con un numero tra parentesi le località segnalate nella cartina.

Secondo molti studiosi e secondo quanto dice Domenico Spanò Bolani in Storia di Reggio di Calabria da' tempi primitivi sino all'anno di Cristo, del 1857, il 25 luglio 1511 gli ebrei di Reggio (ed è da supporre che insieme a loro molti altri ebrei calabresi), fatto scalo a Messina si dirigono verso LIVORNO (1) e ROMA (2); sarebbe molto interessante (e importante) poter effettuare una ricerca negli archivi di queste due comunità per reperire notizie su questa emigrazione. A Roma si sa che esistette una Schola (sinagoga e quindi comunità) siciliana, alla quale è possibile che fossero aggregati anche i calabresi.

Ad ARTA (3) (in Grecia, nei pressi di Corfù), (M) nel primo decennio del Cinquecento troviamo la popolazione ebraica organizzata in quattro comunità distinte: quella di Corfù, che raccoglieva tutto l’elemento indigeno, quella di Puglia, - che da sola contava circa trenta famiglie – quella di Calabria, e quella di Sicilia; in breve la comunità corfiota scomparve: l'influenza degli italiani si fece numericamente così prevalente, e così prevalente la attrazione negli ebrei indigeni verso genti e modi di vita più raffinati, che pochi anni appresso i corfioti finirono per disperdersi in mezzo alle altre tre comunità, e principalmente nella pugliese.
Arta fu sede di un'accesa discussione tra le comunità italiane, ed all'interno di essa.
Nel 1570 (M) alcuni fedeli della comunità Sicilia ebbero da ridire sul loro rabbino Abraham Albilada, e si rivolsero per consiglio al rabbino della comunità Calabria, Menachem Del Medigo (probabilmente veneto, come altri rabbini di queste comunità), che consigliò di separarsi dalla comunità e dal rabbino. Albilada si rivolse per giustizia al tribunale ebraico di Salonicco e Del Medigo, forse spazientito per fatto, si trasferì nello stesso 1570 a Safed, che, come vedremo, fu meta di altri italiani tra cui alcuni calabresi.
Ma a sua volta, la comunità calabrese lamentava dei torti da parte di quella siciliana. (L) Il consiglio della comunità calabrese aveva decretato che nessuno potesse lasciare la comunità per andare a pregare in una delle altre sinagoghe. Ma invece una parte passò alla sinagoga siciliana e gli anziani della comunità calabrese si recarono dagli anziani di quella siciliana per convincerli a rifiutare di accogliere i dissidenti, senza però averne soddisfazione.

A CASTORIA (4) (sempre in Grecia, ma all'interno, verso il confine con le attuali Albania e Macedonia) (M) vi era il Tempio detto di Sicilia, che era il più importante, perché raccoglieva la maggioranza degli ebrei viventi a Castoria; fondato dai siciliani, accolse anche i pugliesi e i calabresi.

(M) Tra i saccheggi delle giudecche alla calata di Carlo VIII (1495-96) e l'espulsione da parte del Re Cattolico nel 1511, moltissimi calabresi e pugliesi abbandonarono il Regno; è in questo periodo che a SALONICCO (5) (ancora in Grecia), alle comunità Italia e Sicilia, vennero ad affiancarsi quelle di Calabria e Puglia.
Ma, come abbiamo visto nel caso della comunità siciliana di Arta, dove ci sono due ebrei ci sono tre partiti, e così (L) la comunità Calabria, fondata nel 1497 , poco dopo la metà del Cinquecento, si divise in tre: Calabria Jashàn (Calabria Antica), nota dopo il 1553 come Nevè Shalòm (Dimora di pace), che nel 1537 diede origine alla sinagoga Calabria Chadasch (Calabria Nuova), detta anche Ishmael, e, nel 1545, alla sinagoga Chiana (il cui nome potrebbe derivare da una corruzione di Lucania, ma io avanzo l'ipotesi personalissima che potrebbe invece essere formata da calabresi della Piana, o da pugliesi di una delle tante zone pianeggianti della regione) la quale, si divise ulteriormente, dando vita alla sinagoga Nevè tzedek (Dimora di giustizia).
La sede della comunita’ Chiana, ricostruita dopo l’incendio del 1891, fu uno dei pochi edifici religiosi ebraici a sopravvivere alle distruzioni naziste; del piccolo luogo di preghiera, demolito negli anni ’80 del XX secolo, si conserva l’architrave marmorea dell’ingresso principale (ornata di iscrizione di dedica in ebraico), esposta al museo recentemente istituito dalla comunità tessalonicese, che conserva anche alcune foto dell’esterno e dell’interno del tempio. Fino all’incendio del 1917 la comunità Chiana custodiva otto rotoli della Torah, portati dall’Italia del Sud. L’antica sinagoga aveva la particolarità che la tevah (pulpito/altare) si trovava al centro della sala, secondo l’uso sefardita, ma a un livello ribassato rispetto al suolo. Questa particolarita’ veniva interpretata secondo Sal. 130,1: “Dagli abissi io t’invoco, Signore”.
A Salonicco (M) erano presenti i cognomi Rossano e Geraci (non si sa se appartenente a persone provenienti da Gerace in Calabria o da Geraci in Sicilia); tuttora esistono le famiglie ebraiche Tiano (che, anche nella variante Diano, è molto presente in Calabria) e Tzimino (che sembra risalire al siculo-calabro Cimino, piuttosto che al propriamente greco Kymino, e che potrebbe risalire ad un antenato coltivatore o commerciante di cumino); seppur di origine italiana, il cognome Soriano sembra aver invece il significato di "siriano" (in italiano antico la Siria era chiamata "Soria"), piuttosto che essere originario di Soriano Calabro.

A COSTANTINOPOLI (6) (l'odierna Istanbul, in Turchia), (M) intorno alla sinagoga Italia, che forse scomparve dopo la frammentazione, vennero a formarsene altre quattro: Puglia, Messina, Sicilia e Calabria.

Altri insediamenti di ebrei provenienti dalla Calabria si possono ricavare dalle notizie biografiche della famiglia Vital (M): intorno al 1540 risultano viventi a DAMASCO (7) (in Siria) Chaim Vital con il fratello Mosè ed il figlio Samuel suo.
Il quale Chaim era nato a SAFED (8) (nel Nord di Israele), di padre calabrese, ed anch’egli studioso di Cabala e noto in Palestina ed in per la sua abilità nella trascrizione su pergamenta dei tefillìm (i filatteri).
Da Safed la famiglia Vital si trasferì prima a Damasco e poi a GERUSALEMME (9), ma nel 1570 Chaim ritornò a Safed, dove, morto il maestro Luria, egli, non ancora trentenne, ne è il successore.
Un nipote di Chaim Vital sarà anche rabbino al Cairo, ma ormai sarà passato tanto di quel tempo che non se ne può più parlare come di facente parte di un gruppo, ma della normale mobilità (più o meno imposta, più o meno spontanea) che caratterizzerà sempre gli ebrei.