Parashat Shemot: Shemot (Esodo) 1,1 - 6,1
Haftarah: 1 Re 2,1-12
Per il commento alla parashah settimanale rinviamo principalmente al commento pubblicato su questo stesso blog, di Rav Scialom Bahbout, Rabbino Capo di Napoli e del meridione:
Shemot: E le donne sconfissero l'Egitto
Da Torah.it
Il commento alla parashah settimanale di rav Benedetto Carucci Viterbi
Altri commenti sulla parashah settimanale sul sito ChabadRoma, da cui traiamo queste sintesi della parashah e della haftarah
Riassunto
della Parashà
Immagine da ChallahCrumbs
Il libro di Shemot si apre con la
narrazione della schiavitù e delle pene sofferte dagli ebrei dopo la morte di
Yosef e l’avvento di un nuovo re. Dal popolo oppresso nasce, però, Moshé che
viene salvato dalle acque del Nilo sulle cui sponde era stato deposto dalla
madre, dopo che Faraone aveva ordinato che tutti i neonati degli ebrei fossero
gettati nel fiume.
Cresciuto a corte, non tardò però a
entrare in contatto con il popolo ebraico e a prendere parte alle loro
sventure, finché, per aver ucciso uno degli aguzzini che rendevano
insopportabile la vita agli ebrei schiavi, fu costretto a fuggire.
Accolto nella casa di un sacerdote di
Midian, ne sposò la figlia, Zippora, dalla quale ebbe un primo figlio,
Ghereshom, e visse facendo il pastore del gregge del suocero. Guidando le
pecore lungo le solitarie campagne, giunse un giorno presso il monte Chorev,
dove ebbe la visione di un roveto che bruciava senza consumarsi, mentre una
voce lo invitava a tornare in Egitto per liberare il suo popolo dalla schiavitù
e ricondurlo nella Terra promessa ai Patriarchi. Egli tentò di non accollarsi
tale compito, dicendosi inadeguato allo scopo, ma dovette accettare la missione
e recarsi, con il fratello Aharon dinanzi a Faraone oppressore per chiedergli,
nel nome di D-o, la liberazione del popolo schiavo. Il re, però, rese ancora
più pesante il lavoro e più insopportabile la situazione degli ebrei
sottomessi, tanto che essi protestarono e inveirono contro i liberatori che non
erano riusciti nel loro compito.
Haftarà in pillole
Isaia
27:6-28:13; 29:22-23
La
haftarà di questa settimana ha molti aspetti in comune con la parashà. Uno di
essi è il messaggio di Redenzione trasmesso dal profeta Isaia “e sarete
riuniti, uno per uno O figli d’Israele”, messaggio che ricorda ciò che il
Sign-re ha trasmesso a Moshe nel rovo rovente e che il leader a sua volta ha
comunicato al Faraone.
La
haftarà alterna tra le profezia di Isaia riguardo la redenzione futura ed i
suoi ammonimenti agli Ebrei riguardo il loro comportamento negativo.
Isaia
inizia la profezia parlando della misericordia che il Sign-re ha mostrato verso
il Suo popolo e la punizione che i persecutori Egizi hanno sofferto , in
particolare lo stato d’ebrezza di molti membri del popolo. Il profeta prosegue,
parlando della redenzione finale, “…in quel giorno il grande shofar verrà
suonato, e quelli persi nella terra di Assiria e coloro che sono esiliati nella
terra d’Egitto verranno e si inchineranno davanti al Sign-re sul sacro monte di
Gerusalmme”.
Il
profeta rimprovera lo stato d’ebrezza di molti membri del popolo, ammonendoli
riguardo la punizione che li spetta.
La
haftarà finisce con una nota positiva: “…Giacobbe non avrà più da vergognarsi,
e la sua faccia non impallidirà più. Poiché quando vedrà i suoi figli l'opera
delle mie mani, tra loro, che santificheranno il Mio nome…".
L'importanza
dell'identità ebraica
Nella Parashà di questa settimana, ci viene narrato
come un pugno di ebrei, settanta per la precisione, potè sopravvivere in terra
straniera, in un paese immensamente potente come era allora l'Egitto, in mezzo
a gente ostile. Essi sopravvissero, non imitando i loro vicini non ebrei e
cercando di nascondere la propria identità, bensì rendendosi conto della
propria diversità e cercando in tutti i modi, senza venire ad alcun
compromesso, di conservare intatta la propria identità e la propria
indipendenza spirituale.
I nostri Maestri ci rivelano il segreto della
sopravvivenza ebraica nel loro commento al primo versetto della Parashà:
"E questi sono i nomi dei figli d'Israele che vennero in Egitto"
(2):"Poichè essi non cambiarono i loro nomi e le loro tradizioni, vennero
liberati dall'Egitto". Inoltre non solo riuscirono a sopravvivere, ma il
loro numero si moltiplicò, pur in circostanze tanto avverse, ed anzi queste
contribuirono a temprare il loro spirito. E così giunse per loro il giorno
della promulgazione della Torà sul monte Sinai, che diffuse la Sua luce su tutto
il mondo e fu il coronamento della Creazione.
Questa parte della Torà, che ci racconta la storia del
primo galùt, esilio, racchiude il segreto della sopravvivenza ebraica
attraverso tutte le dispersioni ed il susseguirsi di tutte le generazioni. È una
lezione che dovrebbe essere ricordata specialmente ai giorni nostri, in cui
galùt significa tragico annientamento tanto nel senso materiale che in quello
spirituale. Gli ebrei sono circondati, in tutto il mondo, da una società
ostile, che non conosce più alcun principio morale e calpesta qualsiasi ideale
d'umanità e di giustizia; è un mondo tanto caotico, che confonde le tenebre con
la luce e la luce con le tenebre; che vive nel terrore dell'autodistruzione
atomica, D-o ci guardi.
In questo tenebroso galùt, noi ebrei dobbiamo
imprimere più che mai nella nostra mente gli insegnamenti della nostra Torà,
che è Torat chaim, Legge di Vita; è necessario essere convinti che solo se
conserveremo intatta la nostra identità e la nostra indipendenza spirituale,
sulle salde basi della Torà e delle mitzvòt, e se rifiuteremo qualsiasi
compromesso nell'impartire ai nostri figli un'educazione conforme ai principi
della Torà, potremo assicurare al nostro popolo, oltre alla sopravvivenza
spirituale e materiale, anche un avvenire prospero e fecondo.
Vivendo una vita veramente ebraica, meriteremo che si
compia la benedizione divina (3): "Ken yirbeh ve-ken yifrotz"
("Quanto piu' l'opprimevano tanto piu' aumentava la popolazione"), e
saremo degni della vera e completa Redenzione che ci portera' il Santo Messia.
Questo saggio è tratto tratto da un messaggio inviato nel 5717 dal Rebbe di
Lubavitch.
Nessun commento:
Posta un commento