Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

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venerdì 30 novembre 2012

Vayishlach 5773

שבת שלום!                         

SHABBAT SHALOM!
Shabbat 17 Kislev 5773
(1° dicembre 2012)





 


Immagine da JewishWesternMass






Parashat Vayishlach: Bereshit (Genesi) 32,4 -36,43
Haftarah: Abdia 1,1-21 [sostituzione opzionale: Osea 11,7-12,12]


Da Torah.it



Il commento di Rav Pierpaolo Pin'chas Punturello, già Rabbino presso la Comunità ebraica di Napoli, alla parashah settimanale


Altri commenti sulla parashah settimanale sul sito ChabadRoma, da cui traiamo queste sintesi della parashah e della haftarah



Vayishlàch in Breve

Immagine da Allposters
Ya’acòv torna in Terra Santa dopo una permanenza di vent’anni a Charàn. Manda dei messaggeri a ‘Essàv sperando in una riconciliazione, ma i messaggeri gli comunicano che il fratello è sul piede di guerra, con 400 uomini armati al fianco.
Ya’acòv si prepara per un possibile combattimento, prega e invia un gran dono di centinaia di pecore e bestiame per cercare di calmare ‘Essàv. Durante la notte Ya’acòv porta la sua famiglia e le sue proprietà oltre il fiume Yabòk e rimane sull’altra sponda dove incontra l’angelo che rappresenta lo spirito di ‘Essàv, con il quale lotta fino all’alba.
Ya’acòv si sloga un’anca ma riesce a sconfiggere l’angelo che gli dà il nome Israel, che significa colui che ha "prevalso su esseri Divini". Ya’acòv ed ‘Essàv si incontrano, si abbracciano e si baciano per poi andarsene ognuno per la sua strada.
Ya’acòv compra un appezzamento di terreno vicino a Shechèm dove il principe, anche lui chiamato Shechèm, rapisce e disonora Dina la figlia di Ya’acòv. Shimòn e Levi, fratelli di Dina vendicano l’accaduto uccidendo tutti gli abitanti maschi della città dopo averli resi inoffensivi convincendoli a circoncidersi.
Ya’acòv continua a viaggiare. Rachél muore mentre dà alla luce il secondo figlio, Binyamìn e viene seppellita per strada vicino a Bet Lèchem. Reuvén perde la primogenitura perché interferisce con la vita matrimoniale del padre. Ya’acòv giunge a Chevròn, finalmente ricongiungendosi al padre Yitzchàk che muore a 180 anni, (Rivkà muore prima del ritorno di Ya’acòv). La parashà termina con un resoconto dettagliato delle mogli di ‘Essàv, dei suoi figli e nipoti e delle vicende del popolo di Seìr, dove ‘Essàv si stabilisce.

Haftarà in Pillole Vayishlàch

La haftarà di questa settimana menziona la punizione di Edòm, un popolo che discende da ‘Essav, del quale si parla nella parashà.
Il profeta Ovadia, un Edomita poi convertito all’Ebraismo, descrive la punizione destinata al popolo di Edòm. Gli Edomiti non hanno aiutato Giudea quando è stata distrutta dai Babilonesi e hanno perfino contribuito alla carneficina. Anni dopo, gli Edomiti stessi (ovvero l’impero Romano), distrussero il Secondo Tempio di Gerusalemme e uccisero e resero schiavi i loro cugini Ebrei.
Nonostante l’impero Romano sia stato uno degli imperi più potenti mai esistiti il profeta avvisa: “Se sali alto come un’aquila, e se posi il tuo nido tra le stelle, da lì ti porterò giù, dice il Sign-re…e la casa di Ya’acòv sarà fuoco e la casa di Yosef la fiamma e la casa di ‘Essàv diventerà paglia, ed essi li accenderanno e li consumeranno e la casa di ‘Essàv non avrà superstiti poiché il Sign-re ha parlato”.
La haftarà prosegue con una descrizione della divisione delle terra di ‘Essàv tra gli esuli di Giudea al loro ritorno e termina con le parole note: “E salvatori saliranno sul monte Sion per giudicare il monte di ‘Essàv, e il Regno sarà del Sign-re”.

mercoledì 28 novembre 2012

Trani ebraica sul web

Voglio presentare una piccola rassegna internet relativa alla realtà ebraica di Trani, con l'augurio che al più presto questa bellissima realtà possa diventare una vera Comunità, autonoma dalla Comunità madre di Napoli.
Sarà il segno che davvero l'ebraismo meridionale, dopo 500 anni di oscurità, avrà le forze, le qualità e i numeri per risorgere, e sarà di ottimo auspicio anche per le realtà ebraiche della Sicilia e della Calabria.
I siti citati contengono molte notizie storiche sull'antico ebraismo tranese, con la citazione anche dei suoi grandi e numerosi Maestri, ma io ho preferito riportare qui le notizie riguardanti soprattutto la realtà attuale, nonché le problematiche e le prospettive future.
Rimando ai siti citati chi voglia invece approfondire la gloriosa storia del passato.


Il primo testo a cui far riferimento è, ovviamente, la pagina dedicata a Trani sul sito della Comunità ebraica di Napoli, Trani, la città degli ebrei. Il testo, scritto dal Maestro Francesco Lotoro, traccia dapprima una storia dell'ebraismo a Trani, e passa quindi a delinearne la realtà attuale e le prospettive future; stralciamo alcuni brani da quest'ultima parte:
"Riportare l’Ebraismo a Trani; quello vero, che cammina sui piedi e risiede nel cuore dell’Ebreo, delle preoccupazioni quotidiane [...].
Sembra che Trani avesse un rito ebraico meraviglioso; forse non lo abbiamo del tutto perduto (oggi a Trani vige il rito italiano) ma anche qui occorrerà fare qualche viaggio nell’Europa balcanica.
Trani è il capoluogo ebraico della Puglia che, un giorno non lontano quando diverrà comunità a tutti gli effetti (oggi è Sezione della Comunità di Napoli) avrà giurisdizione anche su Molise e Basilicata. Una grande provincia ebraica e soprattutto una grande opportunità di riportare l’Ebraismo in quel Mezzogiorno d’Italia dal quale fu sradicato con la forza.
[...]Alcuni Maestri osano affermare: «ebreo non è già chi vanta la propria mamma ebrea ma chi “avrà” il proprio nipote ebreo». È un paradosso che rende l’idea di come un Ebreo abbia a trasmettere la propria identità al punto da ipotecarla oggi su quella del figlio di suo figlio.
Questa è l’anima ebraica e nessuno può sradicarla dal Mezzogiorno d’Italia
".

La pagina contiene il rinvio ad un altro link, Piccola storia di Trani ebraica, e anche da questo secondo testo estraiamo un brano che riguarda la storia più recente dell'ebraismo tranese:
"I lavori propedeutici alla rinascita ebraica di Trani furono avviati nel 2004 da ebrei pugliesi e da Rav Shalom Bahbout. Il 15 Luglio 2004 fu indetta l’Assemblea costituente degli Ebrei di Trani; contestualmente il Comune di Trani restituì al pieno uso religioso la sinagoga Scolanova. Il 25 settembre 2004 fu celebrato il Kippur presso l’ex monastero Colonna in Trani; il Liceo Ebraico e il Tempio dei Giovani di Roma collaborarono fornendo 2 Sefarim. Nel dicembre 2004 fu celebrata la Hanukkà; in tale occasione venne montata una enorme Hanukkià nel Castello Svevo di Barletta e sul fortino di Trani. Durante la Giornata Europea della Cultura Ebraica 2005 venne pubblicato il Lunario di Trani 5766, definito da pubblico e stampa uno dei più completi e belli tra i Lunari ebraici. Nel 2006 la Comunità Ebraica di Napoli formalizzava l’elevazione di Trani a Sezione, inoltre essa beneficiava dei fondi derivanti dalla legge n.175 finalizzati al pieno recupero della Sinagoga Scolanova. Nel maggio 2007 la comunità madre di Napoli donò alla Sezione tranese un Sefer della famiglia Fiore–Novelli. Il futuro si presenta impegnativo per gli Ebrei della Puglia, ci sono importanti passi da compiere: ripristino dell’uso del mikvè, acquisizione di spazi per attività culturali e di studio, nomina di un ministro di culto per una regolare attività cultuale in Trani, corsi di Talmùd Torà e lingua ebraica, promozione del cibo kashèr prodotto in Puglia, istituzione di un segretariato presso la Scolanova, ricerca di altri Ebrei sparsi nella regione, produzione di una trasmissione televisiva regionale di cultura ebraica".

Un sito molto attento alla realtà ebraica è il portale tranese TraniWeb, ne riferiamo solo una pagina, Gli ebrei a Trani, da cui estraiamo un ritratto del Maestro Francesco Lotoro:
"Francesco Lotoro, pianista italiano nato a Barletta nel 1964, ha studiato presso l’Accademia F.Liszt di Budapest con Kornel Zempleni, perfezionandosi altresì con Viktor Merzhanov, Tamas Vasary e Aldo Ciccolini. Internazionalmente riconosciuto come uno dei pianisti virtuosi tecnicamente più agguerriti, didatta di altissimo livello, si è specializzato nella letteratura pianistica di J. S. Bach, del quale suona l’integrale de Il Clavicembalo ben Temperato, Suites Francesi, L’Arte della Fuga e Concerti per 1,2,3,4 pf e orchestra, mentre ha trascritto per 2 pf ed inciso la Musikalisches Opfer, la Deutsche Messe e i 14 Canoni BWV1087. La sua ricostruzione musicale e letteraria del Weihnachtsoratorium per Soli, coro e pianoforte di F. Nietzsche (eseguito ed inciso sia con il Coro della Radio Svizzera Italiana che con l’Ars Cantica Choir) è considerata un classico della filologia musicale contemporanea. Nel 1995 ha costituito l’Orchestra Musica Judaica con la quale ha inciso (per la prima volta in lingua italiana) l’operina Brundibàr di H. Kràsa realizzandone numerosi allestimenti teatrali. Impegnato nella letteratura pianistica prodotta durante gli eventi più drammatici del Novecento, a 30 anni dall’occupazione della Cecoslovacchia (1968-1998) ha raccolto ed inciso tutte le opere pianistiche e cameristiche scritte da A. Pinos, P. Pokorny, P. Eben, ecc., a seguito dei fatti che posero fine alla Primavera di Praga. In qualità di pianista, organista, direttore di coro e d’orchestra, ha inciso Musica Judaica, ciclo di 18 CDs contenenti l’intera produzione musicale composta nei campi di concentramento d’Europa, Asia e Nord-Africa durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha completato la 8a Sinfonia di E. Schulhoff per pianoforte e coro maschile (incisa nel Ciclo Musica Judaica). Recentemente ha composto l’opera in 2 atti Misha e i Lupi, ispirata alla vita di Misha De Fonseca. Attualmente sta completando il Dizionario della Letteratura Musicale Concentrazionaria e la realizzazione pianistica del Tractatus Logico-Philosophicus di L. Wittgenstein".

Non possiamo non riportare un link con una intervista al Maestro Lotoro sul suo impegno come ricercatore della musica concentrazionaria: Musica judaica, intervista con Francesco Lotoro.
 
Un testo molto importante lo prendiamo invece da Morashà, ed è la tesi di laurea in filosofia presso l'università di Bari di Emanuele Gianolio, Gli ebrei a Trani e in Puglia nel medioevo. Ovviamente, non tratta della storia contemporanea degli ebrei di Trani, ma solo di quella antica. Mi sembra un lavoro fatto davvero molto bene, ricco anche di informazioni sulla storia ebraica meridionale in genere. Ne riportiamo solo la conclusione, molto interessante, e che riguarda appunto tutto l'ebraismo del Sud:

"È innegabile che l’allontanamento degli ebrei dal Regno di Napoli abbia determinato in quelle regioni del Mezzogiorno italiano una grave crisi economica; l’esercizio dell’usura da parte di questi, se aveva inasprito i loro rapporti con le popolazioni locali sempre fomentate da integralisti cristiani per mera intolleranza religiosa, d’altro canto aveva permesso, mettendo in circolazione grandi quantità di denaro, lo sviluppo dei commerci principalmente nelle città marinare e la possibilità per le popolazioni contadine, sempre carenti di contante, di far fronte ai loro obblighi fiscali attraverso il prestito su pegno.
È opportuno far rilevare ancora una volta come le attivissime comunità ebraiche non praticassero soltanto l’attività dell’usura, cosa che peraltro aveva contribuito a contenere la rapacità dei banchieri veneziani e fiorentini; esse infatti avevano sviluppato in gran misura i commerci, esercitando pure un gran numero di mestieri ed attività nei settori più disparati. E evidente che, venendo repentinamente a mancare con l’espulsione una massa cospicua di operatori qualificati nelle attività finanziarie, produttive e commerciali, si attivarono automaticamente dei meccanismi che portarono lentamente al degrado economico del Regno.
Un altro aspetto molto importante, spesso trascurato dagli studiosi, è la recessione che ebbe a determinarsi in campo culturale: durante il periodo aragonese vi fu una fioritura di professionisti e uomini di cultura ebrei i quali formarono una classe intermedia che potremmo definire eufemisticamente borghese, si moltiplicarono letterati, filosofi, maestri di scuola, astrologhi, poeti, notai, farmacisti e librai, ma anche questo ceto sociale con l’estromissione definitiva scomparve; di riflesso la struttura della società civile nel Regno di Napoli s’indebolì e si determinò quello che modernamente potremmo considerare un gap economico-culturale destinato ad influire sullo sviluppo futuro del Mezzogiorno.
Per quanto riguarda i motivi che portarono all’espulsione dal Regno, analizzata la situazione venutasi a creare con il dominio spagnolo, non si può credere ad una sola ed unica causa come quella già precedentemente esposta e riportata dal marchese De Salas. Probabilmente si crearono nel Regno una serie di condizioni e di concause che determinarono il vicerè don Pedro da Toledo a non appoggiare presso la corte di Madrid le richieste ebraiche di un rinvio, per cui si arrivò al provvedimento di definitiva espulsione nel 1541.
Queste molteplici cause che influenzarono negativamente il vicerè, a nostro parere, si possono identificare anzitutto nell’intolleranza religiosa di alcuni ambienti ecclesiastici, nella presa di posizione antiebraica dell’Inquisizione, che già operava in diversi paesi europei e nell’enorme situazione debitoria della nobiltà del Regno nei confronti degli ebrei. Naturalmente per ottenere lo scopo ultimo della cacciata si riuscì spesso a strumentalizzare il popolo fomentandone il rancore verso gli usurai ebrei, ed inoltre come causa ultima si utilizzò la disputa riguardante i crediti ad essi dovuti e la relativa sentenza della camera della Sommaria negativa nei loro confronti.
In questo modo si consumò nel Regno di Napoli il crespuscolo di un’etnia, quella ebraica, che pur non immune da colpe, tanto aveva contribuito al suo progresso; soltanto secoli più tardi al termine della funesta dominazione spagnola sotto l’illuminato governo di Carlo di Borbone vennero di nuovo aperte le porte del Regno di Napoli agli ebrei, con la rinnovata consapevolezza di poter far rifiorire le industrie ed i commerci attraverso l’operosità di questi ultimi".

Dispiace solo il cenno a "un’etnia, quella ebraica, che pur non immune da colpe": immagino si riferisca all'usura, che, oltre ad essere stata tutto sommato secondaria (ed in alcune aree, come la Calabria, del tutto marginale) tra le attività degli ebrei nel Meridione, fu ben meno esosa di quella praticata dai banchieri "cristiani" (lo stesso Carlo V parlò di loro come "cristiani che bevono il sangue di altri cristiani").
Non vedo il motivo per cui l'attività degli ebrei debba configurarsi come usura e quella dei cristiani come prestito, né perché mai gli ebrei debbano essere definiti usurai e i cristiani banchieri, dal momento che gli uni e gli altri svolgevano lo stesso identico mestiere, e anzi, come è ben documentato, i secondi, fossero spesso ben più esosi e, privi delle minacce che incombevano sugli ebrei, fossero spesso portati ad oltrepassare i limiti imposti dalle leggi ai tassi e alle modalità di esazione degli interessi. 


martedì 27 novembre 2012

La Calabria sul sito della Comunità ebraica di Napoli

Creata la pagina dedicata alla Calabria sul sito della Comunità ebraica di Napoli

Secondo quello che è solo un mito, ma attesta l’antica frequentazione ebraica della Calabria, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé; quasi certamente, in realtà, i primi ebrei si stabilirono nella nostra regione dopo il 70 e.v., dopo la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito, e vi furono presenti con continuità per quasi 1500 anni.
All’epoca imperiale appartiene una tabella sinagogale rinvenuta a Reggio, nonché altri reperti archeologici, soprattutto la sinagoga del IV secolo di Bova Marina, ricca di mosaici, la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica, testimone di una fiorente comunità.
Da quest’epoca, per tutto il Medioevo e fino all’età aragonese, la loro presenza aumentò, e molti ebrei si stabilirono in Calabria (vi furono circa 200 comunità, da grandi a minuscole), provenienti dalla penisola iberica, dalla Grecia, dall’Europa del Nord, oltre che dalla Sicilia e da altre regioni d’Italia.
Pur attraverso alterne vicende di amicizia e ostilità con la popolazione cristiana, vessazioni e sostegni da parte dei governanti, protezioni ecclesiastiche e tentativi di conversione, erano parte integrante della popolazione calabrese, presenti in tutti i settori economici e sociali: pastori e medici, agricoltori e commercianti, scribi e banchieri, artigiani e rabbini.
A Rossano operò intorno all’anno 1000 Shabbetay Donnolo, celebre medico e filosofo; a Reggio fu stampato nel 1475 il commento di Rashi alla Torah, prima opera in ebraico con indicazione di data; calabresi furono i genitori del grande kabbalista Chayim Vital, noto come haQalavrezì, il Calabrese.
Nel 1511, sotto il dominio spagnolo, furono espulsi una prima volta, tornando poi per pochi anni, (richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri stranieri), per essere definitivamente banditi nel 1541; evento che contribuì alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato al commercio e alla lavorazione della seta, forse la maggiore ricchezza della regione.
Dispersi in Italia, nell’Oriente ottomano e in Israele, mantennero memoria della loro origine, e ancora fino agli inizi del secolo scorso alcune sinagoghe a Salonicco portavano il nome di Calabria.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, lasciando testimonianza della loro presenza solo nella toponomastica e nei pochi documenti che sopravvissero alle catastrofi causate dagli uomini o dalla natura, saltuariamente vennero richiamati, ma l’invito restò sovente disatteso tanto lacerante fu avvertito l’esilio forzato e il connesso processo di conversione per coloro che erano rimasti.
In realtà, ancora secoli dopo l’espulsione e fino ad oggi, ci sono testimonianze della loro presenza nascosta come marrani, o più propriamente anusim (forzati, costretti alla conversione).
Ritornarono temporaneamente, negli anni della II Guerra mondiale, nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti di Tarsia, dove stabilirono rapporti di amicizia e reciproco aiuto con la popolazione.
Oggi, d’estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono da ogni dove a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot, la Festa delle Capanne: i migliori cedri del mondo, noti tra gli ebrei fin dall’antichità.
Dopo preghiere, tentativi e richieste che risalgono ai primi anni del secondo dopoguerra, da qualche anno sta rinascendo una piccola comunità, che cammina, con tutte le difficoltà dell’essere una diaspora nella diaspora, ma con l’impegno e l’entusiasmo di sentirsi parte del Popolo d’Israele, sotto la guida del Rabbino Capo di Napoli e del Meridione e con l’aiuto di tutto l’ebraismo italiano, studiando, pregando e incontrandosi per la celebrazione delle feste o dello shabbat.

lunedì 26 novembre 2012

Chanukkah 5773


Immagine da DK Books
Per la festa di Chanukkah (25 Kislev - 3 Tevet), che quest’anno ricorre dal 9 al 16 dicembre (ricordiamo che il giorno ebraico inizia dalla sera, quindi i lumi di Chanukkah si accendono dalla sera dell’8 alla sera del 15!), possiamo leggere e studiare i testi pubblicati sull’ottimo sito Torah.it  e, con carattere più divulgativo, da ChabadRoma




Che cos'è Chanukà?
Il 25 di Kislèv dell’anno 3622 i Maccabei liberarono il Tempio a Gerusalemme dopo aver sconfitto gli eserciti numerosi e potenti del re greco-siriano, Antioco IV il quale aveva cercato di sradicare le credenze e osservanze Ebraiche del popolo d’Israele.
Gli ebrei ripararono, pulirono e ridedicarono il Tempio al servizio Divino. Tutte le provviste di olio puro e certificato dal Sommo Sacerdote erano stati rotti dagli invasori, quando gli ebrei vollero accendere la Menorà, trovarono soltanto una piccola ampolla d’olio d’oliva puro che sarebbe bastata solo per un giorno.
Miracolosamente l’olio durò otto giorni, quanto bastava per ottenere altro olio. In ricordo di questo miracolo i Saggi hanno istituito la festività di Chanukkà durante il quale si accendono i lumi ogni sera per otto giorni, ricordando e pubblicizzando il miracolo.

 
Cenni di Halakhà
Il rito caratteristico della festa di Hanukkah è costituito dall'accensione della lampada a nove lumi (otto, più uno, "di servizio", detto shammash). Lo scopo di questo rito è quello di "proclamare il miracolo", secondo quanto scritto nel Talmud babilonese (T.B. Shabhath 21b e seg.).

Come va adempiuto il rito.
L'accensione della hanukkià deve essere eseguita con queste modalità:
1 Si accende la prima sera un lume, più quello "di servizio" (shammash), le sere successive si aggiunge un ulteriore lume fino ad accenderne otto (più lo shammash) l'ottava sera.
2 L'accensione va fatta dopo il tramonto, appena compaiono le stelle, senza tardare troppo. Quando è giunta l'ora dell'accensione è proibito rimandare l'adempimento di questa mitzwà per mangiare o per dedicarsi a qualsiasi altra attività, perfino per studiare la Torà.
3 Possono essere adoperati lumi ad olio (preferibilmente olio di oliva) o anche candele. Non ha importanza la forma della lampada e possono essere utilizzati anche otto singoli contenitori. Si deve cercare, comunque, di utilizzare una hanukkià pulita e di bell'aspetto. Essa va posta a non meno di 30 cm dal pavimento e a non più di 9,6 m. di altezza affinché i lumi si possano vedere bene. I lumi vanno posti su di un unico piano, non in tondo, e non uno in alto e uno in basso. Tra un lume e l'altro ci dev'essere almeno lo spazio di un dito affinché le singole fiammelle non si confondano tra loro.
4 I lumi devono essere tali da rimanere accesi almeno 30 minuti.
5 In tempi antichi la lampada veniva accesa davanti alla porta di casa, oggi la si accende (generalmente) all'interno, in un posto che sia ben visibile (per la "proclamazione del miracolo"), cioè presso una finestra o una porta di ingresso. In caso, tuttavia, che questo possa provocare manifestazioni di ostilità da parte di vicini non ebrei, è previsto che la lampada sia accesa in una posizione non visibile dall'esterno. In alcune comunità era uso appendere la hanukkià sullo stipite sinistro della porta d'ingresso, di fronte alla mezuzà, per essere "circondati dalle mitzwot".
6 Le luci della hanukkià non devono essere utilizzate per alcuno scopo pratico, è quindi uso accendere un lume in più, lo shammash, che si pone accanto a quelli di rito (le hanukkioth hanno generalmente un nono beccuccio per questo scopo, non allineato con gli altri). Per accendere i lumi ad olio o le candele può essere usato lo shammash, o un altro lume. Nel caso che venga usato un altro lume, come è uso in alcune comunità, lo shammash deve essere acceso dopo i lumi di rito.
7 I lumi vanno posizionati prima dell'accensione: dopo che sono stati accesi è proibito spostarli.
8 I lumi della hanukkià non devono essere spenti (devono cioè spengersi da soli).
9 I lumi o le candele della hanukkià devono essere accesi con questo ordine: la prima sera si accende il primo lume a destra (più lo shammash); la seconda sera si aggiunge alla sua sinistra un secondo lume; la terza sera, ancora alla sinistra un terzo lume, e così via. Si inizia con l'accensione del lume aggiunto per ultimo, procedendo poi verso destra.
10 Chi non avesse olio o candele a sufficienza deve accendere, con la normale procedura, un lume ogni sera.
11 Alla vigilia dello Shabbath si accende prima la hanukkià, poi il lume dello Shabbath. In quella occasione si fa in modo di adoperare candele più grosse, o di utilizzare più olio, affinché la hanukkià resti accesa fino a mezz'ora dopo l'uscita delle stelle.
12 All'uscita dello Shabbath nel Bet ha-Kenesseth si accendono i lumi di hanukkah prima della havdalà, allo scopo di prolungare la santità dello Shabbath. Per l'accensione nelle case esistono entrambi gli usi: quello di accendere prima la hanukkià e quello di celebrare prima la havdalà. L'uso di Gerusalemme è quello di celebrare prima la havdalà.
13 È prescritto che venga accesa una hanukkià in ogni casa; alcuni usano accendere una hanukkià per ogni membro (o per ogni membro maschio) della famiglia. In alcune comunità è uso che l'accensione venga fatta dal capofamiglia. L'obbligo dell'accensione riguarda anche le donne, pertanto, se non ci sono maschi, anch'esse devono accendere i lumi.
L'accensione dei lumi di hanukkà è considerata talmente importante che anche il più povero è tenuto a chiedere prestiti, o vendere i suoi abiti, per procurarsi l'olio o le candele necessarie ad accendere almeno un lume per sera.
Chi si trova in casa d'altri come ospite, provvede ad accendere personalmente il suo lume, oppure si unisce al padrone di casa corrispondendogli una somma simbolica per partecipare alle spese dei lumi.
14 È uso che le donne si astengano dal lavoro per il tempo in cui i lumi di hanukkà sono accesi. Alcuni estendono quest'uso anche agli uomini. È uso consumare per hanukkà pasti più abbondanti del solito e di accompagnarli con canti di lode al Signore.

 Emanuele Luzzatti da BibbiaBlog
Sempre da Torah.it, alcune riflessioni e racconti di Rav Scialom Bahbout, Rabbino Capo di Napoli e del Meridione

Quel lume alla finestra
La storia di Hanukkah, così com'è narrata nel Talmud, è molto strana e ancora più strano è il fatto che i Maestri abbiano fatto dell'episodio dell'ampolla d'olio e dell'accensione dei lumi l'elemento centrale della festa, una festa che è bene ricordare è l'unica stabilita in epoca postbiblica accettata da tutto Israele nel corso delle generazioni.
Hanukkah deriva da una radice ebraica che ha vari significati e può essere tradotta con inaugurazione, in ricordo dell'inaugurazione del Tempio fatta dai Maccabei, oppure con consacrazione e destinazione di un oggetto alla sua funzione: quindi nel caso specifico, significa riconsacrazione del Tempio profanato dagli Ellenisti, per restituirlo alla sua primitiva funzione.
La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche "educare". La rivolta ebraica scoppiò quando il nemico greco tentò di colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e più precisamente, quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull'adesione all'educazione ebraica.
Contro un nemico militarmente più agguerrito, gli ebrei opposero la propria determinazione nel difendere la propria cultura e il diritto alla diversità contro il livellamento culturale imposto dalla cultura ellenista imperante. Non sappiamo con certezza quale sia il significato della storia dell'ampolla d'olio rimasta pura tra le macerie del Tempio: forse essa rappresenta il manipolo di persone sempre pronto a lottare per difendere la propria identità e dignità ebraica, a Gerusalemme come a Buchenwald. L'olio, che sembra bastare per una sola generazione, si rivela sufficiente per alimentare lo spirito ebraico non per sette generazioni (un numero che rappresenta la sopravvivenza dell'uomo nei limiti della natura e della storia), ma per sette + uno, cioè per infinite generazioni, per un tempo che trascende la storia e la natura.
Il miracolo di Hanukkah è davvero strano: gli ebrei credono che ogni anno, nel momento in cui un ebreo accende il proprio lume, il miracolo si compia ancora: è il miracolo della sopravvivenza di una piccola minoranza in un mondo che non ha ancora assimilato l'idea che si può essere diversi, ma godere di eguali diritti.
Il lume di Hanukkah va acceso vicino alla finestra, in modo che sia ben visibile dall'esterno. Questo gesto ha sì lo scopo di rendere pubblico il miracolo e quindi rendere partecipi anche gli altri della gioia e del mistero della sopravvivenza del popolo ebraico, ma è anche un invito a tutti gli uomini a non lasciarsi intimidire da ogni sorta di prevaricazioni e sopraffazioni.
Ma in questa lotta per i propri diritti, pur muovendosi tra le macerie, a Gerusalemme come ad Buchenwald, ieri come oggi, importante è riuscire a non perdere mai di vista i valori che devono caratterizzare la vita dell'uomo. Per l'ebreo questi valori si devono affermare salvaguardando la propria dignità umana ed ebraica, anche nelle condizioni più disperate. Mantenere la Kedushà (santità) dell'immagine divina che è in ogni uomo è stata una delle imprese più difficili per gli ebrei che sono passati attraverso l'esperienza terribile dei campi di concentramento nazisti.
La resistenza ebraica al nazismo viene identificata con la rivolta armata del Ghetto di Varsavia e degli altri Ghetti, una lotta attraverso la quale gli ebrei avrebbero riguadagnato la propria dignità e il proprio diritto alla vita. Non dobbiamo tuttavia dimenticare un'altra resistenza, meno eclatante, ma non per questo meno importante: molti ebrei sono riusciti a mantenere alto l'onore d'Israele rifiutandosi di accettare la logica dell'assassino che voleva distruggere l'ebreo nella sua umanità ebraica, prima ancora che nel suo corpo. La resistenza armata è stata per molto tempo giustamente messa in primo piano: c'è da chiedersi se non sia doveroso oggi ricordare con orgoglio anche la resistenza che, giorno dopo giorno, gli ebrei sono stati capaci di opporre al nazismo nei campi di concentramento.
La nostra generazione, che ha avuto il privilegio di vedere ricostruito il "corpo" d'Israele, ha anche la responsabilità di muoversi con urgenza e determinazione per ricostruire lo "spirito" e la cultura d'Israele.
Per accendere, ancora una volta, la propria Hanukkah.

Due racconti

A Gerusalemme intorno all'anno 164 A.E.V.
Cosa è Hanuklah? Hanno insegnato i Maestri: il 25 del mese di Kislev iniziano gli otto giorni di Hanukhah, giorni in cui non si possono fare manifestazioni di lutto e non si può digiunare. Quando i greci entrarono nel Tempio, resero impuro tutto l'olio, e gli Asmonei, dopo aver sconfitto il nemico greco, cercarono e non trovarono che una sola ampolla d'olio, che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote. Questa ampolla sarebbe bastata per illuminare il Tempio un solo giorno. Accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni. L'anno seguente stabilirono di rendere quei giorni, giorni di festa e di lode.
(Talmud Shabbath 21b)

A Buchenwald nel 1944
Inverno 1944. Campo di concentramento di Buchenwald. Blocco 62. 400 internati ebrei. Dopo cinque anni e mezzo di terrore, 400 internati ebrei, ormai ridotti a scheletri, quasi larve umane.
Sui giacigli di legno si ammassano per dormire fino a 14 persone, uno sull'altro. Non ci si può rigirare nel letto senza svegliare tutti gli altri, quasi si trattasse di una catena umana. È l'ora della distribuzione del cibo. Vengono portate due grandi pentole e due internati di turno provvedono alla distribuzione. Il tedesco di guardia controlla la situazione. Ognuno riceve 150 grammi di pane: la razione giornaliera; un bicchiere di acqua calda che osano chiamare té e qualche volta una razione di margarina. Duecento grammi di margarina da dividere in 16 parti.
Finita la distribuzione del cibo, gli addetti alla distribuzione chiedono all'S.S. tedesco cosa fare dei resti di margarina avanzati nella pentola. Il tedesco si fa portare la pentola. Prende i pezzi più grossi di margarina, quelli ancora solidi e divertito grida: "ora li getto per aria e chi li prende sono suoi".
A Buchenwald non mancano davvero persone che per la fame e per le molte sofferenze, hanno perso il senso della propria dignità ed ora sono lì, pronte a gettarsi ai piedi del tedesco pur di racimolare un po' di margarina che forse permetterà loro di sopravvivere alla prossima selezione. Ed ecco che un terribile groviglio umano si forma ai piedi del tedesco. Ed egli gode alla vista ditale spettacolo.
Nel blocco 62 c'è un vecchio. Non sembra aver paura delle selezioni. Quella margarina a lui non sembra importare. Egli mantiene uno sguardo e un portamento altero. Anche in quell'inferno non ha perduto la sua umanità e cerca di aiutare gli altri come può: con una buona parola, o privandosi di una parte del suo cibo. E neppure la sua dignità ha perduto il vecchio. Per questo non fa mai parte del groviglio umano che si gettava ai piedi del tedesco per conquistarsi un avanzo di margarina.
Ecco un giorno, finita la distribuzione, il solito terribile rito si ripete. Il pane, il tè e la margarina sono ormai stati distribuiti e gli internati del blocco 62 assistono ad un insolito spettacolo: il vecchio che si getta sulla margarina e rimane disteso per terra finché non è ben sicuro che la margarina che è riuscito a racimolare è al sicuro.
Anche lui, il vecchio, quello che sembrava essere il simbolo della dignità da non perdere, aveva ceduto, era crollato di fronte a una realtà disumanizzante. Anche lui aveva venduto la propria dignità per un po' di margarina.
Il vecchio si alza lentamente e qualcuno degli internati, mosso a pietà, gli consegna il proprio pezzo di margarina. E tra la meraviglia dei presenti, il vecchio li accetta. Poi, rifugiatosi in un angolo, il vecchio ebreo aspetta che il tedesco esca.
Fa freddo a Buchenwald e la margarina nelle mani del vecchio è solida, ma lui la tiene vicino al bicchiere di té caldo e la margarina comincia a sciogliersi. Sembra impazzito, tira con forza i bottoni dalla sua vecchia divisa da internato e li strappa via. Anche lui a Buchenwald ha ceduto alle lusinghe della pazzia, convengono gli altri internati. Con gesti convulsi prende a sfilare alcuni fili dai lembi del vestito. Il vecchio si alza in piedi, ha in mano i bottoni, i fili e la margarina liquida e grida ai 400 internati del blocco 62 di Buchenwald:
"Ebrei! oggi è Hanukkah"
Dopo cinque anni e mezzo di terrore, quel vecchio, senza calendario ebraico, senza radio, senza alcun collegamento con l'esterno, era riuscito a tenere i conti, non aveva perso la nozione del tempo ed era riuscito a stabilire la data di Hanukkah. Sapeva con precisione quando cadeva Hanukkah e in quale giorno della festa si trovavano: aspettava solo il giorno della distribuzione della margarina.
Prende i bottoni e li mette per terra; poi prende i fili e li infila nei bottoni e versa un po' di margarina sui bottoni. Ecco... adesso aveva tutto ciò che gli era necessario per accendere i lumi di Hanukkah.
Una persona arrotola un pezzo di carta e, dopo essersi arrampicato sulle spalle di un altro internato, lo accende usando il fuoco della lampada a nafta che illuminava debolmente il blocco. Poi lo consegna al vecchio, che, in piedi, in mezzo ai quattrocento internati, accende e i lumi recitando le benedizioni:
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai consacrato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di Hanuklah.
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che hai operato miracoli ai nostri padri in quei giorni, in questo tempo.
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai mantenuto in vita e d hai fatto giungere a questo tempo.
Solo allora, tutti i prigionieri che avevano seguito la scena in silenzio, cominciano a cantare, dapprima a bassa voce, ma poi sempre con maggior forza Maoz zur yeshuati. Il canto dei 400 internati si fa sempre più forte, nel blocco 62 del campo di concentramento di Buchenwald. La porta del blocco viene aperta con violenza, e al Kapò e all'SS di guardia del blocco, si presenta uno spettacolo incredibile: i quattrocento internati, per un momento, avevano riacquistato la loro libertà, come al tempo degli Asmonei: cinque anni e mezzo di terrore avevano fiaccato il loro corpo, ma non il loro spirito.
Racconto orale
(L'episodio è citato anche in Pardes Harlukkà, Petachia Rosenwasser, Ed. Zekher JeruBalem, pag. 327)

Sempre da Torah.it, possiamo ascoltare:
una lezione  su Chanukkah di Rav Shalom Bachbut
un canto, il Maoz Zur ashkenazita di Verona, dalla collezione di Leo Levi


Il Chanukà di Sharansky, nel Gulag

Imprigionato nel 1977 per aver osato inoltrare domanda di uscita dal terrirorio russo per recarsi in Israele, Natan (Anatoly) Sharansky, illustre matematico, trascorse otto anni in un Gulag in Siberia. Fu finalmente liberato nel 1986 nel quadro di uno “scambio” di prigionieri tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Dopo aver coperto incarichi di rilievo presso la Knesset, ha da poco abbandonato definitivamente le sue attività politiche.
Chanukà si avvicinava. Ero l’unico ebreo in quel baraccone della prigione ma quando raccontai ai miei compagni di sventura che Chanukà rappresentava la libertà e il rinascimento di una cultura di fronte ad invasori potenti, decisero di celebrare la festa anch’essi. Si adoperarono a fabbricare una chanukià in legno, la decorarono e trovarono persino qualche candela. Giunta la sera potei accendere la prima candela e pronunciai una breve preghiera che inventai per l’occasione. Ci servimmo del tè e raccontai loro l’eroica battaglia dei Maccabim per salvare il proprio popolo.
Ogni Zek (prigioniero del Gulag) che mi ascoltava con attenzione, si identificava con il messaggio di questi eventi. Ad un certo punto, l’ufficiale di turno apparse, procedette all’appello di ogni detenuto ma non aggiunse alcun commento. Ogni sera accendevo una candela supplementare completando il rito con la mia preghiera personale. Poi spegnevo le candele, dovevo conservarle per la sera seguente in quanto non ne possedevo altre. Gavriliuk, il guardiano il cui giaciglio di paglia stava di fronte al mio, osservava e brontolava: ”Che comportamento insentato! Si crede in sinagoga, quello! E se mai scoppiasse un incendio?”
La sesta sera di Chanukà, le autorità sequestrarono il mio materiale col pretesto che il candelabro era stato fabbricato con del legno rubato allo stato e per giunta, sostennero, gli altri prigionieri temevano che i rischi d’incendio fossero enormi. Dichiarai che mi sarebbero bastati ancora due giorni e promisi di “restituire alla gloriosa Madre Russia” questi pezzi di legno che minacciavano di condurla verso il fallimento...L’ufficiale tentennò, telefonò al suo superiore e ricevette la risposta seguente : “Un campo non è una sinagoga e non autorizziamo nessun Zek a pregare in questi luoghi!”
Oltraggiato dalla durezza dell’osservazione, cominciai uno sciopero della fame. Non sapevo che una commissione doveva giungere da Mosca per l’ispezione del campo. Ecco perché il giorno seguente fui convocato nell’ufficio di Osin, il comandante. Osin era un omone enorme e robusto con due occhi minusculi che si perdevano in mezzo a quell’ammasso di grasso. Oltre al cibo, gli piacevano gli intrighi e il potere. Godeva nel veder soffrire gli Zek, ma sapeva che erano la chiave per l’ascesa della sua carriera. Mi guardò con benevolenza con la palese intenzione di ammansirmi, non era nel suo interesse aizzare la collera della gerarchia. Mi promise che si sarebbe incaricato di badare che nessuno mi impedisse di pregare.
Gli chiesi: “Allora, dov’è il problema? Restituitemi la mia Menorà e lasciatemi accendere le ultime due candele della festa!”. “Cos'è una Menorà?” domandò. “Il mio candelabro” ribattei. Sussisteva un problema: i documenti inerenti al gravisimo furto erano già stati firmati e Osin non poteva permettersi di ridicolizzarsi davanti a tutti. Mentre osservavo questo predatore, seduto dietro la sua lussuosa scrivania, mi venne un’idea. Gli proposi: “Per me l’ultima sera di Chanukà è importantissima. Posso accendere le candele adesso, in questo istante e in questo ufficio, pronuncerò le mie preghiere e cesserò lo sciopero della fame.”
L’orco rifletté un istante poi la Menorà espropriata apparse sul tavolo. Diede ordine a Gavriliuk di portare una grande candela. “Ho bisogno di otto candele!” Imposi senza batter ciglio (in realtà ne servivano nove ma a quei tempi non conoscevo bene tutti i dettagli del rito). Osin cavò di tasca un magnifico temperino e tagliò con destrezza e rapidità otto pezzi di candela. “Esca di qui!” ingiunse a Gavriliuk che obbedì voltandosi per lanciarmi uno sguardo furioso. Disposi le candele sulla Chanukià, presi il mio cappello e spiegai a Osin che durante la funzione doveva avere il capo coperto e che, una volta terminata, doveva rispondere “Amen”. Docilemente, si coprì la testa col berretto da ufficiale e si alzò. Accesi le candele e cominciai la Tefillà che avevo io stesso redatto in ebraico : ”Benedetto Tu sia, Hashem nostro D-o, per avermi lasciato commemorare la nostra vittoria, la festa nella quale ritroviamo le tradizioni dei nostri padri. Benedetto Tu sia, Hashem nostro D-o , che mi concedi di accendere questi lumi. Mi auguro che mi permetterai di accenderli nella Tua città santa, Yerushalayim, con mia moglie Avital!”
Ispirato dallo divertente spettacolo di Osin sull’attenti davanti alla Chanukià, aggiunsi improvvisando: ”Serbo la speranza che presto arriverà il giorno in cui tutti i nostri nemici, tutti coloro che desiderano distruggerci, si alzeranno davanti a noi con rispetto, ascolteranno le nostre tefillòt e risponderanno Amen!”. “Amen!” rispose Osin. Si sedette, emise un sospiro di sollievo e si tolse il copricapo. Insieme contemplammo a lungo le candele. Poi cominciarono a fondere e la cera si sparse allegramente sulla bella superficie laccata del tavolo. Il comandante si destò di scatto, come se si fosse addormentato, e chiamò Gavriliuk per riparare i danni. Ritornai nel mio baraccone in uno stato di ebbrezza e di estasi indescrivibile. I miei compagni mi servirono del tè e insieme celebrammo la pseudo-conversione di Osin: in quel preciso momento seppi con certezza che un giorno sarei stato liberato.
Natan Sharansky
Tratto dalla Sidra de la Semaine – Parigi
Natan Sharansky, dopo fatta l'aliyah, accende i lumi di Chanukkah con i figli dei nuovi immigranti in Israele
da The Jewish Agency for Israel