Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

c

c

lunedì 12 febbraio 2018

Ebrei e valdesi in Calabria

Sabato 24 febbraio Guardia Piemontese, sul Tirreno cosentino, ricorderà con una serie di eventi le cosiddette “Lettere patenti”, con le quali il 17 febbraio 1848 il Re di Sardegna, Carlo Alberto, poneva fine alla lunga storia di discriminazione di valdesi ed ebrei, concedendo loro pienamente gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini.

A Guardia Piemontese, si giunge con una strada mozzafiato che premia con un meraviglioso panorama sul Tirreno, ma ferma il cuore in gola al termine, quando giungi all’ingresso del paese e leggi le insegne: Porta del sangue su Piazza della strage.
Nella cittadina, oggi con pochi abitanti rispetto a quelli che popolano la sua Marina, ormai conserva poche vestigia del suo passato: ormai la popolazione è cattolica e solo qualche centinaio di anziani parla l’antica lingua franco-provenzale dei suoi padri valdesi; però il costume tradizionale è quello delle valli piemontesi da cui provenivano gli antenati e le case del bellissimo centro storico ben conservato, recano ancora lo sportello apribile dall’esterno attraverso cui i frati dell’inquisizione controllavano che le famiglie recitassero il rosario e osservassero le altre devozioni cattoliche a cui erano tenuti dopo la loro conversione.
Qui e nei paesi intorno (San Sisto dei Valdesi, San Vincenzo La Costa, Montalto Uffugo, ed altri ancora) vissero per circa tre secoli, a partire dal XII, in epoca imprecisata, popolazioni di religione valdese, in fuga dalla persecuzione a cui erano soggetti in Piemonte, chiamati qui dal feudatario locale per rendere produttive con l’agricoltura e l’allevamento le sue terre.
In questo luogo meraviglioso si consumò uno degli episodi più tragici della storia calabrese, dopo l’adesione dei valdesi alla riforma calvinista e l’inizio di un’attività di predicazione, dopo che per 300 anni si erano mimetizzati per passare inosservati.
Inquisiti, torturati, 2000 furono uccisi e centinaia furono appesi lungo la strada tra Cosenza e Morano monito di chi ancora rifiutava la conversione, alla quale infine furono indotti per non morire con i loro figli.

Perché parlare dei valdesi in un blog dedicato agli ebrei? Perché molti furono i tratti che accomunarono queste due realtà in Calabria, pur con notevoli differenze. Bisogna riconoscere che i valdesi (in quanto eretici) ebbero un trattamento più duro da parte della Chiesa: gli ebrei (salvo casi rari e sporadici, più ad opera del popolo ignorante che da parte del clero) furono oppressi, perseguitati, scacciati, ma non subirono la sorte sanguinosa dei valdesi; stanziali in alcuni paesi di una determinata zona del Cosentino erano i valdesi, diffusi in tutta la regione invece gli ebrei; per lo più agricoltori i valdesi, mentre gli ebrei erano presenti in tutti i settori professionali, ma di meno in quello agrario. Nondimeno, molti furono i tratti comuni. In tutti e due i casi si trattava di popolazioni disprezzate e costrette a nascondersi (i valdesi) o a sottostare a condizioni spesso molto dure di permanenza (gli ebrei). Entrambi le genti dovettero affrontare tentativi di conversione, sebbene i modi e con esiti diversi. Nonostante, come detto prima, la loro collocazione geografica fosse diversa, pure si incontrarono in alcune realtà. Secondo Oreste Dito, furono entrambi presenti a Vaccarizzo, frazione di Montalto Uffugo, accanto ad albanesi ed italiani, in un esempio di multiculturalismo ante litteram; insieme si ritrovarono poi come neofiti (convertiti) a Tarsia, secondo documenti citati da Cesare Colafemmina. Per tutti loro la presenza ufficiale in Calabria cessò nel XVI secolo, ma tra gli uni e tra gli altri alcuni continuarono per secoli a conservare l’antica fede: ancora nel XVII secolo un inquisitore domenicano lamenta la presenza di ebrei che soprattutto a Catanzaro e a Montalto osservano segretamente i riti ebraici, e ancora nel XVIII secolo singoli valdesi lasciano la Calabria per dirigersi in Svizzera dove potevano praticare liberamente la loro fede.


Marco Berardi, il “brigante” Re Marcone”, si dice fosse di famiglia valdese, o quanto meno influenzato da amicizie e frequentazioni valdesi, anche se qualche studioso (minoritario) parla di ebrei. Della madre di Francesco da Paola, il monaco divenuto santo patrono della Calabria, nativa di Fuscaldo, si dice che fosse neofita e quindi ebrea, ma io suppongo potesse essere più credibilmente una neofita valdese, vista la zona d’origine (il nome più antico di Guardia Piemontese era Casale di Fuscaldo), in cui non è attestata presenza ebraica. Degli uni e degli altri resta oggi visibile ben poco, se non alcuni cognomi; in particolare il cognome Lombardo (Guardia Lombarda era il nome della cittadina, prima di essere cambiato in Piemontese) era molto diffuso tra i valdesi.
Infine, sia i valdesi che gli ebrei hanno da qualche anno ricominciato un lento ritorno nella nostra regione, entrambi senza forme proselitismi ma con la testimonianza della rispettiva fede.


Sarebbe molto bello che in futuro gli ebrei calabresi e la Comunità di Napoli, si uniscano a questa celebrazioni, nella riscoperta di una memoria condivisa, nell’attività operosa e nella scomparsa dolorosa del passato, come nel lento ritorno del presente e del futuro.

domenica 4 febbraio 2018

Ricordato a Roma un Giusto calabrese

Di Angelo De Fiore z.l., Giusto delle Nazioni, calabrese di Rota Greca (CS), che in qualità di alto funzionario di polizia, con azioni coraggiose e al di fuori della “legalità”, ma ben dentro l’umanità e la giustizia, salvò la vita a numerosissimi ebrei nella Roma occupata dai nazisti, ho già parlato in un precedente post.
Oggi torno a parlarne nell’occasione dell’affissione, avvenuta mercoledì scorso, di una targa che lo ricorda presso il palazzo dove abitava in quegli anni. KOL HAKAVOD!
La sua memoria sia di benedizione.

Sono stato a vedere dove è posta la targa commemorativa, e ne ho fatto le foto che pubblico di seguito.























De Fiore, funzionario coraggioso
Nell’ora più dura non voltò le spalle alla solidarietà, pur in un ruolo di grande esposizione pubblica quale quello di responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura di Roma.
Nato in provincia di Cosenza nel 1895, trasferitosi nella Capitale dopo il matrimonio, fece presto carriera dopo aver vinto il concorso come funzionario di pubblica sicurezza. Angelo De Fiore: un uomo delle istituzioni apprezzato per il suo rigore ma anche un “Giusto tra le Nazioni”, come certificato dallo Yad Vashem nel 1969.
Da oggi una targa, deposta in via Clitunno al civico 26, la sua abitazione, ricorda l’articolata azione di coraggio che mise in piedi sotto il nazifascismo.
Molti ebrei stranieri - è stato ricordato nel corso della cerimonia, avvenuta questa mattina - ebbero i nomi camuffati grazie all’intervento di De Fiore; decine di ebrei italiani furono inoltre regolarizzati come profughi dall’Africa Settentrionale. Carte false, incluse le tessere annonarie, elaborate con un tal “signor Charrier”, che poi nel suo ufficio ottenevano i timbri ufficiali e poi i permessi di soggiorno.
Presenti tra gli altri alla cerimonia il vicesindaco con delega alla Crescita Culturale Luca Bergamo; il sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce; il questore Guido Marino; la presidente del II Municipio Francesca Del Bello; Consigliere dell’UCEI Victor Magiar, che dell’apposizione di questa targa è stato il principale promotore; la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e il figlio Paolo De Fiore.




Shoah, una targa per Angelo De Fiore:
il poliziotto che salvò migliaia di ebrei

(Da Il Messaggero, 31 Gennaio 2018)

Alla presenza del vicesindaco di Roma Luca Bergamo è stata scoperta in via Clitunno, nel II municipio, la targa in memoria di Angelo De Fiore che recita «alto funzionario di polizia, proclamato giusto tra le Nazioni per aver salvato, a rischio della propria vita, centinaia di ebrei durante l'occupazione nazifascista». «Sono felice di questa inaugurazione perché mi lega alla famiglia De Fiore anche una conoscenza personale» ha detto la presidente del municipio II, Francesca Del Bello prima di ripercorrere le tappe della vita di Angelo De Fiore. Nato a Rota Greca, in provincia di Cosenza, il 19 luglio 1895 e morto a Roma il 18 febbraio 1969, De Fiore è stato un poliziotto italiano che, durante l'occupazione tedesca, in servizio quale responsabile dell'Ufficio Stranieri della questura di Roma salvò la vita di centinaia di ebrei strappandoli alla deportazione nazista e all'olocausto.
Quale dirigente dell'Ufficio stranieri iniziò ad aiutare gli ebrei di cittadinanza non italiana che, a causa delle leggi razziali, avrebbero dovuto lasciare il Paese entro il 12 marzo 1939. Scoppiata la seconda guerra mondiale in collaborazione con la Delasem (organizzazione della resistenza antinazista) e con l'opera assistenziale di monsignor Hugh O' Flaherty finse di aiutare le autorità terzo reich che occupavano all'epoca Roma. Manipolò
le pratiche riguardanti ebrei e sospetti di attività antifascista, ostacolando in tal modo l'attività della Gestapo da cui riceverà ripetuti richiami e venendo fatto oggetto anche di un'indagine che si risolverà senza alcuna conseguenza. Creò confusione negli archivi: molti ebrei stranieri ebbero i nomi camuffati; decine di ebrei italiani furono regolarizzati come profughi dall'Africa Settentrionale. Spesso prelevò ebrei dalle prigioni naziste facendoli passare per pericolosi ricercati per reati comuni o disertori dell'esercito e in seguito liberandoli.

«Mio padre percorse tutta la scala gerarchica della polizia di Roma - ha spiegato il figlio Paolo De Fiore - . La caccia agli ebrei era spietata e mio padre ne salvò molti a rischio della sua vita. Mi domando da dove trasse tutta questa forza e questo coraggio. Probabilmente credeva nella sua professione: obbediente alla legge, ma prima di tutto alla legge della coscienza. Credo che mio padre, quando compiva queste azioni, pensasse a noi figli e al dovere di non poterci lasciare un mondo malvagio e crudele». «La forza di un funzionario di polizia è non chiedersi che cosa sta rischiando. Non ho avuto il privilegio di conoscerlo personalmente ma non credo che pensasse di diventare un eroe. Però lo è diventato», ha sottolineato il questore di Roma Guido Marino.
Dopo l'attentato di via Rasella ad Angelo De Fiore venne richiesto di fornire dei nominatavi di ebrei su cui effettuare la rappresaglia poi concretizzatasi nell'eccidio delle Fosse Ardeatine, e la sua risposta fu di «non avere alcun nome di ebreo da offrire», adducendo come causa il fatto che gli archivi dell'Ufficio si trovavano in stato di estremo disordine per sua negligenza.
Continuò la sua opera sin quasi all'arrivo degli Alleati, prima del quale si diede alla macchia, avendo però cura di distruggere anticipatamente, con l'aiuto dei suoi collaboratori, le pratiche di ebrei e militari sospetti ancora presenti negli archivi della Questura trasferiti in segreto negli scantinati. In questo periodo collaborò attivamente con il gruppo clandestino Sprovieri del Centro Clandestino Militare, cui comunicava le liste dei perseguitati politici e degli Ufficiali Italiani sgraditi. Per la sua opera ricevette già nel marzo 1955 la Medaglia d'oro e una lettera dall'Unione delle comunità israelitiche in Italia mentre nel 1966 il suo nome è stato inserito, al pari di quello di Perlasca e Palatucci, tra i Giusti d'Israele ed è scolpito sulla stele della Collina dell'Olocausto in Gerusalemme.