Oggi si svolgerà a Ferramonti il
convegno su “La Brigata Ebraica in Italia, 1943-1945”,
a cui parteciperà anche Miriam Rebhun, della Comunità ebraica di Napoli, il cui padre, insieme al fratello gemello combatté appunto nella Brigata in Italia.
a cui parteciperà anche Miriam Rebhun, della Comunità ebraica di Napoli, il cui padre, insieme al fratello gemello combatté appunto nella Brigata in Italia.
Su questa vicenda e sulla sua storia
personale e familiare ha scritto due libri
che voglio qui presentare.
che voglio qui presentare.
MIRIAM
REBHUN
DUE
DELLA BRIGATA
Salomone
Belforte, 2015
pp.
213, euro 20
Paolo Bonaccorsi
Le celebrazioni dei 70 anni dalla
vittoriosa conclusione della Guerra di Liberazione hanno avuto il merito di
ravvivare studi, ricerche e pubblicazioni di alto spessore scientifico o
semplici memorie private, dedicati a un arco di eventi dove la storia ha subito
un’impressionante accelerazione, trasformandosi in un turbine che ha finito per
rimpicciolire, tranne pochissime eccezioni, la figura di ogni protagonista,
quasi omologandone il profilo appena percettibile tra le gigantesche ondate di
vicende epocali.
Ed è per questo che il libro memoriale
che Miriam Rebhun ha dedicato al padre, raccogliendo in esso le testimonianze
scritte e fotografiche del giovane Heinz e del suo gemello Gughy, appare come
un piccolo gioiello che fa luce su alcuni fatti storici, apparentemente
minimali, ma che testimoniano di alcuni eventi politici, militari e umani con i
quali ancora oggi la nostra lontanissima attualità è chiamata a fare i conti.
I “Due della Brigata” sono, come
si diceva, due gemelli nati in una famiglia della borghesia israelitica
berlinese nel 1918, fortunatamente espatriati giovanissimi dalla Germania, già
in preda al delirio nazista. Approdati nel 1936 nella Palestina sotto Mandato
britannico, si trasformano in agricoltori e tecnici di impianti elettrici, nel
kibbuz Na’an. Si arruolano come volontari nel Palestine Regiment (poi
denominata Brigata Ebraica) ed entrano nel 1940 nella Royal Army. Dopo un
accurato addestramento in Egitto, dove sono testimoni delle attese della
popolazione locale per l’arrivo di Rommel, sbarcano a Taranto nel novembre del
1943, come reparto del Genio britannico, facente parte dell’Armata alleata di
Liberazione del suolo italiano.
Il nostro paese appare loro, nonostante
le immense distruzioni e i lutti disseminati in ogni dove, il paese più bello
del mondo. Così come avevano appreso nel ginnasio berlinese qualche anni prima
“… con i suoi monumenti, le sue antichità, il garbo degli abitanti, la lingua
musicale.” E in ogni città e in ogni borgo del Mezzogiorno liberato, nella loro
avanzata verso Napoli sentono risuonare, sia pure tra spaventose rovine, i
versi del genio di Weimar: ”conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?/ Nel
verde fogliame splendono arance d’oro. /Un vento lieve spira dal cielo azzurro”.
Il diario della risalita lungo la
penisola è occasione, soprattutto per Heinz, per una serie di meditazioni ad
alta voce, anche con i compagni della Brigata, come quando, soccorrendo degli
ebrei napoletani rifugiati in uno sperduto paesino dell’entroterra campano, per
ricondurli nella loro città ormai liberata, il giovane geniere in divisa
britannica rimane colpito dai saluti interminabili tra i partenti e gli
abitanti del luogo, fatti di abbracci, strette di mano, commozione, lacrime che
gli fanno chiedere ingenuamente al suo comandante “ma in Italia non ci sono
state le Leggi razziali, le persecuzioni” sentendosi rispondere “è uno strano
paese … c’è bisogno di approfondire … di farsi spiegare”.
Una ricostruzione accuratissima, dunque,
e particolarmente sentita, che l’autrice ci restituisce con grande affetto e
cronaca puntigliosa, specie nella descrizione della Napoli liberata, che si
trasforma nel giro di pochissimi giorni dall’arrivo degli alleati, in un
gigantesco formicaio dove l’unico imperativo è tornare a vivere, a ricostruire,
a tuffarsi dal presente nel futuro.
Uno spettacolare quadro d’insieme, che
getta un raggio di luce vivida sulle retrovie della Campagna di Italia e sulla
presenza nell’immenso e tragico affresco della Liberazione d’innumerevoli
protagonisti, dei quali, inevitabilmente, si finisce per dimenticare in parte
il profilo: la Brigata ebraica, appunto, il contingente polacco, eroicamente
impegnato a Montecassino, i reparti brasiliani e i tanti altri ai quali non può
mancare, in quest’anniversario, il nostro ricordo e la nostra gratitudine.
Corredano il libro oltre 60 pagine di
preziosi reperti fotografici sulla vita nei Kibutz, sull’addestramento in
Egitto della Brigata, e sull’avanzata lungo la penisola italiana.
Da
Moked.it
Da Haifa a Napoli,
quei due della Brigata
Foto
da Ancona Today
“Heinz è muscoloso e abbronzato. Il
lavoro agricolo ha rafforzato una struttura allenata in tempi migliori dal
canottaggio, dalla ginnastica agli attrezzi e dal pattinaggio sul ghiaccio. Il
naturale colorito bruno, così inconsueto a Berlino, sotto il sole del Medio
Oriente è diventato un color cuoio uniforme. I capelli si stanno un po’
diradando, ma la situazione è ancora sotto controllo.
Quattro anni prima, appena dopo l’arrivo
al kibbutz, quando gli capitava di guardarsi allo specchio, restava sempre
stupito nel vedere riflesso uno sguardo, un aspetto, un abbigliamento in cui
non si riconosceva al primo colpo. L’immagine che aveva di sé era ancora quella
della foto ricordo che i genitori avevano voluto far stampare in varie copie,
per loro e per i parenti, pochi giorni prima della partenza. Nella posa
fissata, sviluppata e stampata a casa del fotografo Schwarz, che fino a qualche
mese prima aveva ancora il suo studio nella strada principale del quartiere,
Heinz appare in secondo piano, dietro a Kurt, o Gughy, come lo chiamano tutti.
La sua mano sulla spalla del fratello la dice lunga: dei due gemelli è lui
quello che ha visto la luce dopo e quindi è considerato e si considera il più
grande. Il fatto che sia taciturno, e rigoroso fa il resto. I completi di tweed
di buon taglio, la cintura di lucertola, il fermacravatta d’oro, regalo per il
sedicesimo compleanno, rivestono un’identità stroncata sul nascere, sono i
costumi con i quali si è chiuso il primo atto della loro vita”. Così inizia, in
medias res, la travolgente storia di Heinz e Gughy, i fratelli gemelli
protagonisti del nuovo libro di Miriam Rebhun Due della Brigata (Salomone
Belforte ed.).
Scappati dalla Germania nazista per
approdare nell’allora Palestina mandataria, Heinz e Gughy, pur sradicati,
decidono insieme di combattere per la libertà. Mentre lavorano a Haifa e
inseguono gli ideali sionisti, ricostruiscono nella mente i brandelli di un
passato lontano, fatto di abiti sartoriali ed eleganza europea: “Poi il sipario
è calato e nel cambio di scena gli attori hanno indossato nuovi abiti ed
acquisito inevitabilmente diverse posture, diversi atteggiamenti. Solo nella
testa, nel cuore è rimasto ben sepolto lo strato spesso e inamovibile di tutto
quello che è accaduto nell’atto precedente”.
Le vicende narrate nel libro tra
testimonianze e immaginazione rispecchiano l’autrice: Miriam Rebhun è nata a
Napoli da padre berlinese e madre italiana ed è vissuta a Haifa fino al 1948,
anno in cui suo padre muore in un attentato. Dalla cultura cosmopolita, tornata
a Napoli insegna italiano e si dedica alla scrittura pubblicando per l’Ancora
del Mediterraneo Ho inciampato e non mi sono fatta male, un memoir nel quale
ricostruisce la storia della famiglia paterna che si disloca tra Berlino,
Napoli e Haifa. Ad essere ancora protagonista del romanzo è infatti ancora
Heinz, padre della Rebhun che arriverà in Italia con la Brigata ebraica e dei
suoi genitori scomparsi nella Shoah: una storia che racconta come il dolore,
nonostante faccia ‘inciampare’ serva a recuperare la propria Memoria negata.
Due della Brigata si pone dunque come naturale prosecuzione di quanto iniziato
nel capitolo precedente, scavando nell’anima dei fratelli europei che seguono
angosciosamente da lontano la sorte dei propri cari di fronte all’avanzata
nazista: “Non si parla d’altro. Nei kibbutz, nei moshav, nel quartiere tedesco
a Gerusalemme, tra le bianche case Bauhaus di Tel Aviv, al porto di Haifa, alla
stazione di Yaffo. La guerra che è scoppiata in Europa sta dilagando fino al
Medio Oriente e i territori sotto mandato inglese, pur così lontani, sono
minacciati dalle forze del
Reich”.
Creando una struttura fatta di atmosfere
e suggestioni, Rebhun costruisce vivissimi dialoghi tra i due, che riflettono
sul da farsi e preparando il loro piano di salvataggio: “L’incubo continua. Ce
ne siamo andati da casa, lontano, e i nazisti ci inseguono fino a quaggiù…
abbiamo cancellato tutti i nostri progetti, facciamo mestieri che non avremmo
mai scelto… proprio per dare valore a tutte queste rinunce dobbiamo difenderci,
partecipare in qualche modo…”. Dopo essersi arruolato Heinz arriva a Napoli con
i giovani della Brigata ed insieme hanno i primi contatti con la Comunità
ebraica che aiutano a riorganizzare e rendere di nuovo operativa. Rebhun inizia
allora la propria attività di insegnante di ebraico per invogliare i giovani a
partire alla volta del futuro Stato ebraico e conosce Luciana, che diventerà la
sua compagna. A concludere il racconto dell’epopea dei Rebhun, un ricchissimo
apparato iconografico, vivida testimonianza di Heiz e Gughy, legati dal solo
sguardo: “I suoi occhi, come sempre, cercano quelli del fratello, questo è il
loro modo istintivo, infallibile per ristabilire ogni volta il contatto, la
sintonia, l’empatia a cui sono abituati dalla nascita”.
Ho inciampato e non mi sono fatta male.
Haifa, Napoli, Berlino. Una storia familiare
di Mario
Avagliano
«Io sono una testimone di seconda generazione, non
ho vissuto la guerra, non sono una sopravvissuta allo sterminio, ma sono figlia
ed erede del nazismo e delle leggi razziali fasciste». Così inizia il delicato
e umanissimo libro di memorie di Miriam Rebhun, Ho inciampato e non mi sono fatta
male. Haifa, Napoli, Berlino. Una storia familiare, pubblicato per
L’Áncora del Mediterraneo (pag. 192, euro 16,50). In uno straordinario viaggio
a ritroso tra l’Europa e il Mediterraneo, la Rebhun, ebrea napoletana cresciuta
ad Haifa, nei trepidanti inizi dello Stato di Israele, ricostruisce le
illusioni, le tragedie, le speranze di tre generazioni di ebrei.
Haifa, Napoli,
Berlino… Ad Haifa Miriam ha trascorso i primi anni di vita, assieme al padre
Heinz, giunto in Palestina assieme al fratello gemello Gughy nel 1936 in fuga
da Berlino, dove furoreggia Hitler, per realizzare il sogno di Israele. La
nonna Frida non aveva potuto seguire i due figli, per non abbandonare il marito
Leopold, gravemente malato, deceduto di morte naturale nel 1940. Catturata dai
nazisti il 2 ottobre 1942, venne deportata e uccisa nel campo di Theresienstadt
(il 7 luglio del 2008, su iniziativa della nipote Miriam, in sua memoria una
pietra di inciampo è stata incastonata nel selciato di Poschingerstrasse 14, a
Berlino).
Nella Napoli ribelle del 1943-1944, il giovane
Heinz, venuto in Italia sotto le insegne della Brigata Ebraica, nelle file
nell’esercito britannico, conosce e s’innamora della bella ebrea napoletana
Luciana Gallichi, alla quale si unisce in matrimonio. Tornato in Palestina con
la moglie, Heinz dopo la fine della guerra apprende della tragica morte della
madre, inghiottita nel buco nero della Shoah. Nel 1946 nasce Miriam, che il
padre chiama affettuosamente “mein prinzipessa”. Ma il destino è crudele: il 17
gennaio 1948 Heinz viene falciato dagli spari di un cecchino arabo, mentre si
reca al lavoro su un autobus di linea. Alcuni mesi dopo muore in combattimento,
nella guerra d’indipendenza israeliana, anche il fratello gemello Gughy.
Luciana, impossibilitata a crescere da sola la
piccola Miriam, ripara a Napoli, nell’affollato appartamento di via di
Piedigrotta 23. Qui Miriam impara l’ebraico, con l’aiuto del rabbino Isidoro
Kahn. Qui, divenuta donna, sposa l’amore della sua vita Marco, un ragazzo non
ebreo, da cui ha due figlie (Giorgia e Sara), battezzate cattoliche. E sempre
qui, alla fine degli anni Settanta, dopo un viaggio in Israele, Miriam parte
alla riscoperta delle sue radici, diventando una testimone della Memoria e un
influente membro della comunità ebraica napoletana.
La Germania razzista e violenta di Hitler, la
Palestina eroica e turbolenta degli albori e la Napoli povera ma generosa del
dopoguerra sono gli scenari che fanno da sfondo alla storia familiare dei
Rebhun, ebrei tedeschi, che s’intreccia con quella dei Gallichi, ebrei
napoletani, orgogliosi delle proprie origini sefardite. Vicende che Miriam fa
tornare a vivere, almeno sulla carta, con uno stile appassionato, mai retorico.
Un memoir
sul filo dell’emozione e una caccia ai ricordi che danno vita ad
un’affascinante e toccante storia familiare, che da vicenda individuale diventa
storia collettiva.
(Shalom, n. 10, ottobre 2011, p. 35)
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