Parashat Vayelech: Devarim (Deuteronomio) 31,1-30
Haftarah: Osea 14,2-10; Michea 7,18-20 (sefarditi)
Isaia 55,6-56,8 (italiani)
Da Torah.it
Nota: Poiché Vaielech viene letta quasi sempre con Nizzavim,
molti
commenti su quest’ultima si riferiscono anche ai contenuti di Vaielech.
Commento a Nitzavim-Vayelech di Rav Umberto Piperno,
Rabbino capo di Napoli e del Meridione
Rav
Riccardo Pacifici - Discorsi Sulla Torà
Breve Parashà quella di oggi, come oramai le
rimanenti di questo ultimo libro della Torà, brevi Parashoth, perché oramai,
come abbiamo accennato, Mosè ha esaurito il suo insegnamento, ha ultimato i
suoi solenni discorsi ammonitori ed egli si prepara oramai a quell'ora che
diviene sempre più imminente e che sarà l'ora del suo estremo distacco da
questa terra. Prima che questo distacco sia un fatto compiuto, Mosè compie
alcuni atti che sono destinati in certo modo a continuare parzialmente la sua
opera anche dopo la sua scomparsa. Il primo di questi atti è la solenne
consegna fatta al suo successore Giosuè già precedentemente designato ad essere
la guida del popolo nella conquista della terra. Giosuè deve sapere che egli
d'ora in ora diventerà il capo di questo popolo e dovrà condurlo alla conquista
della terra di Canaan. Giosuè non deve sgomentarsi dinnanzi a questo compito;
le prove sono lì a dimostrare che Iddio protegge il popolo. Già i re della
terra al di là del Giordano sono stati vinti, altrettanto accadrà per quelli
che sono al di qua del Giordano. Giosuè deve essere quindi sicuro della propria
missione, per trasmettere a sua volta questa sicurezza al popolo: Sii forte e
saldo!... Sappi che il Signore procede innanzi a te, Lui ti accompagnerà non ti
lascerà e non ti abbandonerà, non temere, dunque, e non paventare! (Deut.,
XXXI, 7 e seg.).
Assicurata così al popolo la guida nella persona
del giovane e sapiente condottiero, Mosè compie un secondo atto, per certi
aspetti molto più importante del primo: egli procede alla scritturazione di
tutta la Torà, di quella Torà che da lui prenderà il nome. Finita la
trascrizione egli consegna solennemente ai Leviti ed agli anziani la copia di
questa Torà, e raccomanda che sia posta a fianco dell'Arca, vicino alle Tavole
del patto, perché sia una perpetua testimonianza di quell'alleanza con Dio che
il popolo purtroppo potrà facilmente dimenticare; raccomanda inoltre che ogni
sette anni in occasione dell'anno sabbatico, in una solenne convocazione di
popolo, simile forse a quella tenuta poco fa da Mosè stesso, sia fatta una
pubblica lettura della Torà, affinché il popolo da questa solenne radunanza
impari a conoscere e a ricordare il suo Dio e tutti i divini comandi.
Sublime esempio, questo del grande profeta, il
quale si preoccupa che anche dopo la sua scomparsa, il popolo che pure tanta
ingratitudine gli ha dimostrata, abbia ancora un'eco del suo divino
insegnamento e fatto sapiente dalla vita e dalla storia, cerchi di attuarlo
sempre più perfettamente. Sublime esempio, dicevo, di questo principe della
Torà che tutta la sua vita ha dato al sublime scopo di elevazione del popolo,
ma che nulla ha ricevuto in premio. Neppure quello che sarebbe apparso il più
naturale e il più giustificato: l'ingresso in quella terra che era stato il
sogno e il sospiro di tutta la sua vita. Sublime esempio di dedizione e di supremo
idealismo. Mosè ormai non vive per una ricompensa terrena, Mosè ormai è sulla
terra ancora, ma il suo spirito è già nell'alto dei cieli, Mosè vuole e aspira
che la Torà di Dio, che il supremo insegnamento viva e continui dopo di lui e
oltre lui, viva e sia perenne testimonianza di quella verità che egli ha
proclamata e che egli spera possa diventare ragione di vita eterna, modello di
santità per quel popolo cui fu destinata.
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