Parashat Haazinu: Devarim (Deuteronomio) 32,1-52
Haftarah: 2Samuele 22,1-51
La haftarà
di questa settimana descrive il canto che il re David compose in vecchiaia, un
canto che ricorda la Cantica di Moshè descritta nella parashà di questa
settimana.
Il canto di
David esprime gratitudine a D-o per averlo salvato da tutti i suoi nemici. Egli
inizia con le parole ben note, “Il Sign-re è la mia roccia e la mia fortezza”.
Continua poi il canto con una descrizione del dolore e le difficoltà che ha
subito e ribadisce che si è sempre rivolto a D-o nei suoi momenti di sconforto.
Il re descrive la reazione del Sign-re a coloro che l’hanno tormentato: “il
Sign-re ha tuonato dal cielo…ed Egli inviò frecce e li scagliò, lampi e li frustrò…”
David
attribuisce la sua salvezza alla sua attenzione nel seguire la volontà di D-o.
Il canto finisce con parole di ringraziamento di David: “Perciò io ti
ringrazierò o Sign-re, tra le nazioni, ed al Tuo nome canterò lodi. Egli da una
grande salvezza al Tuo re ed è gentile con il Suo unto, a David e il suo seme,
per sempre”.
Da Torah.it
Commento a Haazinu di Rav Ariel Di Porto,
Rabbino capo di Torino
Rav
Riccardo Pacifici - Discorsi Sulla Torà
Dopo queste
solenni giornate di purificazione morale e religiosa, rileggere questa
grandiosa cantica finale di Mosè è sommamente edificante.
Qui Mosè ha
raggiunto le vette di quello che lingua umana può esprimere nel campo della
religiosità e dell'insegnamento morale, qui il profeta si unisce al poeta e in
una visione sublimamente alta della vita e dei destini di Israele esprime
ancora una volta, l'ultima volta, il suo supremo ammonimento. È un ammonimento
che si adorna della veste poetica, è l'ultimo insegnamento ove l'affermazione
dei principi religiosi, la rievocazione storica, la visione profetica, si
fondono in una sintesi armoniosa, che fa di questa cantica un modello di
perfezione tale da conchiudere degnamente e da coronare tutto l'insegnamento
profetico del grande Maestro. Mosè ha scelto la forma della cantica per questo
suo supremo annuncio ed ha avuto i suoi motivi: egli ha voluto, come si legge
alla fine della precedente Parashà, che questa cantica fosse mandata a memoria
dalle varie generazioni di Israele, sicché, quando sopravverranno al popolo
molte e gravi sciagure questa cantica si leverà a testimonianza contro di lui,
perché non sarà dimenticata dalla sua discendenza; la cantica, dunque, sarà un
richiamo alla retta via, un appello poetico che ricorderà ad Israele il suo
dovere.
Ed è tale la
solennità di quanto Mosè sta per proclamare, è tale la potenza di quello che
egli sta per dire al popolo, che egli chiama cielo e terra a testimoni delle
sue parole, affinché in qualsiasi tempo, in qualsiasi generazione, quasi il
cielo e la terra possano rispondere e proclamare quelle verità che Mosè oggi
annuncia e che sono eterne come il mondo che Dio ha creato. Sarebbe impossibile
scorrere sia pure fugacemente questa mirabile pagina, ove ogni parola, ogni
verso è una verità scolpita e destinata ad avere un valore di permanente
attualità. Attraverso questa superba sintesi di poesia, balza evidente uno dei
motivi e forse il motivo dominante, quasi l'anima centrale di tutto il canto:
la colpa d'Israele, la colpa del popolo è la causa, sarà la causa del suo male
futuro.
Mosè
abbraccia già collo sguardo lungimirante la futura storia d'Israele. Vede già
il popolo stabilito nella sua terra, lo vede già prosperare e fiorire, ma lo
vede anche traviare presto e uscire da quella via maestra che egli aveva
tracciato. Vede Mosè l'abbandono del popolo, la dimenticanza del popolo: "ma
Jeshurun si è fatto grasso ed ha recalcitrato - ti sei fatto grasso e pingue -
ha abbandonato Iddio che l'ha creato ed ha sprezzato la Rocca della sua
salvezza." (Deut. XXXII, 15). Quale grande verità racchiusa in questo
verso, quale verità così spesso ripetutasi nella storia d'Israele. Allorquando
Israele prospera ed è felice, materialmente parlando, allorquando i figli di Israele
hanno raggiunto il benessere di questa vita, dimenticano, sì, troppo
dimenticano i beni superiori, le più alte verità, i principali doveri verso
Dio. Occorre purtroppo che Dio punisca e severamente punisca, perché gli uomini
e gli ebrei tornino sulla via del bene, sulla via del ritorno a Dio. "Oh,
se comprendessero invece, se ponessero mente alla loro fine." (Deut.
XXXII, 29). Se comprendessero, vuol dire il profeta, quanto è caduca la sorte
dell'uomo, quanto transitorie le sue ricchezze e il suo benessere, se ponessero
mente alla loro vera natura, allora comprenderebbero e ritornerebbero a Dio! E
ben questo uno dei motivi che io ho dovuto toccare nei discorsi delle passate
solennità, ed è un motivo che ritorna spesso nella storia d'Israele, perché
quasi incorreggibile appare questa ribellione del popolo, questa sua
ostinatezza ad allontanarsi da Dio. Oh, voglia il Signore tener lontano il Suo
castigo da noi e dai nostri figli, ma se esso, vuol dire Mosè, dovesse scendere
inesorabile, sappiate che vostra è la colpa, vostra è la responsabilità, voi
non siete più suoi figli, voi siete una generazione ribelle e perversa.
Sappiate che se il castigo scende è castigo giusto, perché questo Dio è
perfetto; la Sua opera, tutte le Sue vie sono giustizia, retto e giusto Egli è!
Non ribellatevi a Lui! Sappiate accettare la sentenza, anche quando essa vi
appare ingiusta, sappiate invece che la sentenza discende a voi per vie
insondabili e inconoscibili; sappiate soprattutto essere fedeli a Lui, che è il
vostro Padre, il vostro Creatore, Egli vi ha formato, Egli vi ha stabilito.
Lo Shabbat
Tra
le seicentotredici mitzvoth, lo shabbath occupa un posto di rilievo che
non ha eguali per l’importanza che esso ha sempre avuto sia nella
tradizione normativa ed aggadica che nella vita ebraica della famiglia
e della Comunità ebraica. I Maestri affermano che sarebbe sufficiente
che tutto Israele osservasse due sabati consecutivi per far venire il
Messia. Tuttavia, poiché conoscevano bene le difficoltà
connesse con un’osservanza completa dello shabbath, affermano che piu’
di quanto Israele abbia osservato (shamàr) il Sabato, il
Sabato ha conservato (shamàr) Israele.
1)
Ricorda e osserva
Quali
sono gli elementi essenziali che caratterizzano questa mitzvà?
Nell’impossibilità di trattare in dettaglio l’argomento
(per il quale rimandiamo alla bibliografia reperibile in italiano), ci
dobbiamo limitare ad alcuni punti essenziali.
Tutte
le mitzvoth possono essere divise in due grandi categorie: quelle che
impongono di compiere un’azione (mitzvòth ‘asè
= precetti affermativi) e quelle che vietano di fare un’azione (lo
tàasè = precetti negativi).
Lo shabbath
è caratterizzato da una mitzvà "affermativa" e
una "negativa".
La prima
è condensata nella parola zakhòr, "ricorda
il giorno del Sabato per santificarlo"(Dieci comadamenti, Esodo 20),
che consiste in sostanza nel fare tutte quelle cose che riempiono di significato
lo shabbath: recitare il kiddush - la santificazione sul vino all’entrata
del Sabato- accendere il lume sabbatico, mangiare tre pasti, indossare
abiti speciali, leggere e studiare la Parashà settimanale. Ogni
Sabato è diverso dal precedente: infatti, prendendo il nome dalla
dalla parashà che si legge in quel Sabato, i suoi contenuti e le
riflessioni che lo accompagnano sono diverse.
La seconda
è condensata nella parola shamòr. " Osserva
il giorno del Sabato per santificarlo " (Dieci comandamenti,
Deuteronomio 6). In effetti l’osservanza del Sabato comporta l’obbligo
di astenersi dal compiere una serie di azioni, dette Melakhòt
- che potremmo tradurre "opere creative attraverso cui l’uomo
esprime con la propria intelligenza il dominio sulla Natura "
e che hanno il compito di " ridimensionare " il potere
creativo dell’uomo. La Melakhà cosi’ intesa è
diversa dalla ‘avodà, lavoro faticoso o lavoro fatto
senza intenzione creativa. I Maestri hanno ampliato la proibizione inserendo
anche i lavori faticosi, perché l’esecusione di una ‘Avodà
puo’ facilmente trascinare al compimento delle Melakhot.
2)
Santità del tempo e santità dello spazio
Secondo
la tradizione l’attività creativa piu’ importante per
l’uomo, quella per la quale si puo’ parlare di una vera e propria
imitatio Dei, è la costruzione del Santuario, dalla quale
si deducono le Melakhoth proibite secondo la Torà. Ebbene, nonostante
l’importanza della costruzione del Santuario, simbolo della presenza
divina in mezzo al popolo, la Torà proibisce esplicitamente la
continuazione della sua costruzione di Sabato: la santità del Sabato
è piu’ importante della santità del santuario.
Per
sei giorni alla settimana l’uomo puo’ lavorare, creare, trasformare
l’ambiente che lo circonda con l’intelligenza che il Creatore
gli ha conferito, ma per un giorno alla settimana egli deve rinunciare
al dominio, per lasciare che nella sua vita entri Colui cui appartiene
il dominio. Per sei giorni l’uomo conquista la natura e lo spazio
che lo circondano, ma un giorno alla settimana deve dedicarlo per incontrare
Colui che ha creato la natura. Da creatore, l’uomo si trasforma
in creatura, per proiettarsi - non verso l’esterno - ma
verso l’interno, verso se stesso, la società, l’altro
uomo: cosi’ quando arriva il Sabato ogni uomo da oggetto, diventa
soggetto e partner di un dialogo, troppo spesso soffocato dal turbinio
della vita moderna.
Durante
i giorni lavorativi l’uomo tende a vivere secondo la modalità
dell’avere, in un certo senso " l’uomo è solo
cio’ che ha ", mentre durante il Sabato prevale la modalità
dell’essere e " l’uomo è cio’ che è "
(Fromm) : di Sabato, piu’ che negli altri giorni, l’uomo
puo’ cosi’ ritrovare se stesso e incontrare Dio.
3)
Il piacere del Sabato
Questa
concezione, puo’ farci pensare a una visione esclusivamente spiritualista
del Sabato, come se i piaceri del corpo fossero qualcosa di negativo,
da evitare di Sabato. Niente di piu’ falso.
Secondo
la Torà il lavoro umano è fondamentale, in quanto attraverso
di esso l'uomo collabora alla creazione divina: pero’, mediante strumenti
appropriati e modelli di comportamento esclusivi, il Sabato assolve a
una funzione riequilibratrice che fa uscire l'uomo da un'esistenza proiettata
esclusivamente nel mondo della creatività fisica e lo inserisce
in quello della creatività spirituale e sociale.
Con
l'arrivo del Sabato l'ebreo entra in un clima di kedushà - santità
- che ha uno spessore maggiore di quello degli altri giorni, e
che per essere respirato ha bisogno di qualcosa di particolare.
Secondo la terminologia dei Maestri, all'entrata del Sabato viene riversata
nell'uomo un'anima supplementare [neshamà yeterà], che per
potersi svelare pienamente ha bisogno che l'uomo si prepari ad accoglierla
non solo spiritualmente, ma anche materialmente.
La tavola
sabbatica, intorno alla quale si riunisce la famiglia - e gli ospiti che
non dovrebbero mai mancare - non risplende solo perché preparata
in maniera diversa dagli altri giorni (con una tovaglia pulita, un tovagliolo
speciale per coprire le challoth - i pani del Sabato, il bicchiere del
kiddush, le candele del Sabato), ma anche perché colma di cibi
prelibati, diversi da quelli che vengono messi a tavola nei giorni feriali.
L'idea
che, per realizzarsi pienamente, la santità abbia bisogno di essere
accompagnata da particolari cibi da consumare nei tre pasti sabbatici
obbligatori, puo’ sembrare contraddittoria. L'Ebraismo non solo non
ha mai temuto di unire il piacere del corpo a quello dello spirito, ma
ha sempre visto in questa unione la meravigliosa completezza del Sabato.
Proprio nel Sabato si manifesta uno dei fondamenti dell'Ebraismo che tende
ad elevare il mondo materiale — il chol - facendogli assorbire
una parte della kedushà del mondo superiore. L’Onegh shabbath,
il piacere e la gioia del Sabato, è la composizione meravigliosa
del piacere del corpo con quello dello spirito, che spinge l'uomo a cantare
le zemiroth, i canti del Sabato.
4)
Avere e essere nella settimana ebraica
L’ebraismo
attraverso il Sabato sottolinea l’importanza che ha per l’uomo
la consapevolezza del vivere secondo la modalità dell’essere :
il tempo — che nella civiltà occidentale è stato spesso
spazializzato — torna ad assumere il suo ruolo. Lo spazio - la lotta
per conquistarlo - divide l’umanità, mentre il tempo la unisce:
mentre lo stesso istante appartiene a tutti, anche se ognuno può
attribuirgli il significato che preferisce, lo stesso spazio non può
appartenere a più persone contemporaneamente. Ecco perché
la santità del tempo è piu’ importante della santità
dello spazio, ecco perché Israele, come afferma Heschel, non ha
costruito le sue cattedrali nello spazio, ma nel tempo. Cosi’ "osserva
il giorno del Sabato", che sembra una categoria negativa ,
diventa positiva, perché la rinuncia allo spazio, apre nuovi orizzonti
all’uomo e puo’ lasciare lo spazio proprio al ricorda.
È
chiaro quindi che se l’ebreo si limitasse ad osservare il Sabato
solo astenendosi dal compiere le melakhòth — le opere
creative — e non riempisse di contenuto il suo Sabato, finirebbe
per svilirne il significato e per non assaporarne l’essenza, che
i Maestri paragonano a quella dei tempi messianici.
Vi sono
due modi diversi di vivere il Sabato: per chi è completamente immerso
nel lavoro quotidiano, l'arrivo del Sabato interrompe un ciclo produttivo
e imprime il suo sigillo di santità alla vita; per chi, invece,
vive tutta la settimana in funzione del Sabato e cerca di infondere il
suo spirito in ogni momento della settimana, il Sabato è il centro
dell'esistenza che dona la sua kedushà a ogni istante.
Per
assaporare tutta l’essenza del Sabato è quindi necessario
vivere questa giornata non come un intermezzo per recuperare le energie
per riprendere le proprie attività nei sei giorni successivi, ma
come un momento a se stante, in cui il riposo sabbatico non viene turbato
da nessun pensiero che riguardi il lavoro; l’uomo deve vivere il
suo Sabato come se tutta la sua opera fosse davvero conclusa, tanto da
poter applicare a se stesso le parole riferite alla creazione divina "furono
terminati i cieli e la terra e tutte le loro schiere":
solo chi ritiene di avere completato la sua opera nel campo dell’avere
puo’ lasciare spazio all’essere.
Per
questo il Sabato rappresenta a un tempo "la porta dei tempi messianici ",
perché restituisce all’uomo quella neshamà yeterà
(l’anima supplementare) che perde durante la settimana.
Ogni
settimana con il sopraggiungere del Sabato, Israele torna ad essere lo
sposo, il partner dello shabbath. Il kiddush, la santificazione
sul vino che si fa il Venerdi’ sera, suggella i kiddushin,
l’unione con lo shabbath e con Dio stesso.
Bibliografia
essenziale (in italiano)
Il
Sabato e il suo significato per l’uomo moderno di Abraham J.
Heschel
Il
Sabato di Dayan Grunfeld (ed. Giuntina)
Il
canto dello shabbath di Scialom Bahbout (ed. Lamed)
Il
Sabato di Arieh Kaplan
1-2 Tishri (14-15 settembre)
ROSH HASHANAH
“E parlò il Signore a Moshè ed Aron nella terra d’Egitto dicendo: Questo mese è per voi il capo dei mesi, primo esso è per voi tra i mesi dell’anno”. (Esodo XII,1)
Quando Rashì ci
dice che la Torà sarebbe dovuta cominciare da questo verso non si riferisce
solo al fatto che si tratta della prima mizvà che la Torà ci comanda. La
santificazione del mese, il Kidush Hachodesh è veramente il pilastro sul
quale si posa l’intera Torà. Buona parte del trattato di Rosh Hashanà si occupa
di questo precetto e delle ripercussioni dirompenti che ha sul ciclo delle
feste e non solo. Il principio è noto e ne abbiamo parlato più volte nelle
derashot su www.torah.it: il tempo è consegnato nelle mani di Israele, ed in
particolare nelle mani del Sinedrio, essi decidono ed è la loro decisione che
fa testo.
I particolari
tecnici di questo precetto sono straordinari ed implicano una profonda
conoscenza astronomica del ciclo lunare e dei suoi tempi. Uno degli aspetti più
affascinanti è proprio il fatto che i Saggi sapevano esattamente quando sarebbe
avvenuto il novilunio e nonostante ciò avevano bisogno, per via del precetto
Biblico, della presenza di testimoni che potessero affermare di aver visto il
primo spicchio della nuova luna. La condizione attuale, quella di un calendario
perpetuo con un ciclo di diciannove anni, non ha grandi ripercussioni pratiche
quanto concettuali: in un mondo corretto il popolo d’Israele deve attendere
l’ultimo momento per stabilire sulla base di testimonianze presentate in
tribunale, secondo una procedura molto attenta, la fissazione di questo grande
appuntamento tra uomo e D. che è il Capomese.
Questo
precetto, lo abbiamo detto, è strettamente legato all’autorità del tribunale e
quindi dei Saggi nella loro collegialità. Il Talmud, nel trattato di Rosh
Hashanà, lo evince proprio dal nostro verso fonte: il comandamento viene dato a
Moshè ed Aron. Ora, esiste una regola generale per la quale il numero dei
giudici deve essere sempre dispari: ciò implica che ci vogliono tre giudici per
santificare il mese. Questo insegnamento esclude dunque per questo precetto la
possibilità di giudizio di fronte ad un yachid mumchè, un singolo
esperto, formula che indica un solo giudice particolarmente autorevole che è
autorizzato a giudicare in alcuni casi, ma non in questo. Capiamo quindi che la
santificazione del mese necessità la presenza di un collegio di tre giudici. Il
Midrash Tanchumà, in maniera inaspettata, propone che il precetto sia stato
dato in effetti soltanto a Moshè, come si impara da altri versi, e che
l’associazione di Aron del nostro verso serva semplicemente ad indicarne la
pari statura. È un motivo di fondo che si ripete spesso nelle nostre parashot
nelle quali i nomi di Moshè ed Aron sono spesso associati ed a volte proposti
in ordine inverso proprio a dimostrare, come dice Rashì, la loro pari statura.
A ben vedere però questa pari statura non è così evidente giacché la Torà viene
data a Moshè, è a Moshè che Iddio si rivela e solo in forma minore ad Aron.
Aron è pur sempre il Sommo Sacerdote, ma Moshè, è Moshè. Che vuol dire allora
che avevano pari statura e perché ciò deve essere legato a precetto del
capomese? Per rispondere dobbiamo ricordare che il tema della pariteticità è al
centro stesso della creazione della Luna, prima come astro pari al sole e poi e
nella sua condizione attuale. “Rabbì Shimon ben Pazì osserva: ‘È
scritto “E fece Iddio i due grandi luminari” ed è scritto “il
grande luminare.. ed il piccolo luminare”!? Ha detto la Luna dinanzi al
Santo Benedetto Egli Sia: ‘Padrone del Mondo, è possibile che due re
utilizzino una stessa corona?’. Disse lei: ‘Vai e fatti piccola!’.
Disse dinanzi a Lui: ‘Padrone del Mondo, visto che ho detto dinanzi a Te
una cosa onesta devo farmi piccola?’. Le disse: ‘Vai e domina sul
giorno e sulla notte.’. Gli disse: ‘E che guadagno c’è?
Una candela in pieno giorno a che giova?’. Le disse: ‘In futuro
Israele conteranno con te giorni ed anni’. Gli disse: ‘Anche il
Sole, è impossibile non contarci i periodi come è scritto ‘e saranno
come segni per i periodi…’.[Le disse:] ‘In futuro i giusti si
chiameranno col tuo nome: Jacov il piccolo, Shemuel il piccolo, David il
piccolo.’ Ma vedendo di non averla convinta ha detto il Santo Benedetto
Egli Sia: ‘Portate per me un [offerta] espiatrice per aver rimpiccolito
la Luna’” (TB Chulin 60b).
Il Rav Dessler
affronta più volte questo argomento in Mictav MeEliau. Egli sostiene (IV,206)
che il Sole rappresenta la ragione e la Luna il cuore, ed essi sono i due modi
che ha l’uomo per relazionarsi con la Luce di D-o.
Nel mondo
perfetto cuore e ragione sono completamente bilanciati. Ma il cuore non
sopporta la pariteticità con la ragione e preferirebbe che l’interiorità e la
sentimentalità del servizio Divino avessero più spazio. Ma il servizio del
cuore è proprio attraverso il ridimensionamento, perché solo quando il cuore si
fa piccolo c’è spazio per l’autocritica e la morale. Il dibattito che segue è
dunque in realtà una discussione sul ruolo del cuore, del sentimento nel
servizio Divino, discussione che giunge al culmine quando Iddio spiega alla
Luna che i giusti, coloro sui quale il modo si regge, sono i piccoli. Ma non
piccoli solo perché fratelli minori, ma piccoli perché si sono fatti piccoli.
Perché se il malvagio è alla mercé del proprio cuore, il giusto mette il
proprio cuore alla propria mercé. Ed ancora, spiega il Rav Dessler (V,465), il
Sole-intelletto è paragonato alle nazioni del mondo (TB Succà 29a) che brillano
sempre e si considerano brillanti di luce propria, mentre Israele è come la
Luna perché Israele è cuore, è il cuore delle nazioni (Kuzari) ma è anche il
cuore delle fiducia. Israele sa di non brillare che di luce riflessa, ma del
riflesso della luce di D-o.
La ciclicità
della Luna che ne sottolinea la dipendenza dal riflesso, indica rinnovamento ed
essa è prerogativa di Israele. La Luna ci insegna che il mondo è dinamico e che
si cresce ma si può anche calare. Spiega il Rav Dessler (III,25) che Iddio
direbbe: “Io ho creato la possibilità che il male si espanda fino ad
ostruire la Luce, voi mette a posto la cosa.”. Israele espia per il
Signore. Nel senso che Israele annulla la componente problematica del processo
di ridimensionamento della Luna asserendo ogni Capo Mese di aver capito che il
concetto di ridimensionamento e di rinascita continua è il fondamento del
servizio che Iddio ci richiede. Per questo il Capo Mese è la fonte per le
regole della testimonianza, perché è prima di tutto testimonianza di Israele a
favore di D-o per aver rimpiccolito la Luna.
Ecco che il
concetto di Luna è assimilabile al concetto di studente. Dicono i Saggi (TB
Bavà Batrà 75a) che ‘Il volto di Moshè è come quello del Sole, e quello di
Jeoshua come quello della Luna’. Spiega Rav Dessler che in Moshè la luce
Divina brillava in lui, tanto si era raffinato. Ma non è cosa da tutti. Il
livello di Jeoshua, livello altissimo anch’esso, richiede tuttavia un continuo
lavoro sul cuore: ‘e lo saprai oggi e lo farai tornare sul tuo cuore’.
Si tratta della dimensione della ciclicità dello studio, perché se nella
dimensione Sole-Moshè non esiste dimenticanza, nella dimensione Luna-Jeoshua
anche lo studio è ciclico e necessita un continuo studio per non essere
dimenticato.
Forse potremmo
dire che lo stesso vale per il rapporto tra Moshè ed Aron. Aron è il cuore del
popolo d’Israele, il suo servizio sacerdotale è il servizio del cuore ed il
pettorale con le dodici tribù d’Israele è sul cuore di Aron. Aron è pari
a Moshè ma, per poter servire il Signore come Sommo Sacerdote attraverso il
servizio del cuore, ci si deve far piccoli. Questo è il motivo fondamentale per
il quale esistono i ruoli. Moshè è il re ed un Coen non può essere re. Sono due
ruoli che non possono combaciare e la tragedia dei Maccabei ce lo ricorda. La
grandezza di Aron e la sua pariteticità con Moshè è nella accettazione di un
ruolo meno appariscente, una accettazione di tutto cuore giacché la Torà stessa
testimonia che Aron gioisce della nomina di Moshè. Quello che la Torà ci sta
dicendo è che se si dà il meglio di se stessi nel proprio ruolo si può essere
grandi quanto Moshè pur essendo in un ruolo molto più umile. Ognuno di noi può
essere pari a Moshè persino se “non sorgerà un profeta ancora in Israele
come Moshè”. Nelle stesse pagine del trattato di Rosh Hashanà il
Talmud ci insegna il rispetto che si deve al Maestro della generazione ed al
fatto che ogni Maestro nella propria generazione è come Moshè nella sua.
L’accettazione
della diversità dei ruoli, passa per l’accettazione dell’autorità del tribunale
in ogni caso.
Forse proprio
per corroborare questa tesi il Talmud ci racconta uno straordinario episodio
(RH 24b-25a): Accadde che vennero dei testimoni a sostenere di aver visto il
rinnovarsi della luna. Questi testimoni presentavano una testimonianza
‘limite’, non perfettamente coerente con i requisiti minimi per essere
accettata tant’è che Rabbì Dossà ben Urkinas li bollò come falsi testimoni e
Rabbì Jeoshua, uno dei più grandi ed anziani maestri della generazione concordò
con lui. Ma la decisione non dipendeva da loro. Il tribunale sotto la
presidenza di Rabban Gamliel accettò la testimonianza e santificò il mese.
Rabban Gamliel usò il ‘pugno di ferro’ e decretò che Rabbì Jeoshua si
dovesse presentare da lui nel giorno in cui sarebbe caduto Kippur se non si
fosse accettata la testimonianza (dunque, secondo il conto di Rabbì Jeoshua)
con bastone e portafogli.
Rabbì Jeoshua
si disperò. Rabbì Dossà ben Urkinas, gli ricordò allora che mettendo in
discussione la decisione di Rabban Gamliel si sarebbero dovute ridiscutere
tutte le decisioni di tutti i tribunali dall’epoca di Moshè in poi. Il Sinedrio
è sovrano ed ogni Presidente nella sua generazione è come Moshè. Eppure è uno
stendente di Rabbì Jeoshua, un ‘tale’ Rabbì Akiva, a consolare veramente Rabbì
Jeoshua. In primo luogo gli spiegò che ogni cosa che Rabban Gamliel aveva
deciso era ‘asui’, cosa fatta. In secondo luogo gli ricordò che
il verso dice delle feste “che voi proclamerete” per cui non esistono
altre date rispetto a quelle decise dal tribunale.
Ma è terza
spiegazione che convinse Rabbì Jeoshua. È scritto tre volte nella Torà “che
voi proclamerete”. Rabbì Akiva spiega che si impara da qui ‘“che
voi proclamerete”, persino se vi sbagliate involontariamente, “che
voi proclamerete” persino se sbagliate intenzionalmente, “che voi
proclamerete” persino se sarete fuorviati dai testimoni’.
Rabbì Jeoshua
non poté che rispondere ‘Akiva mi hai consolato, mi hai consolato’. Il
Talmud prosegue dicendo che Rabbì Jeoshua andò effettivamente da Rabban Gamliel
come comandato. A quel punto la durezza di Rabban Gamliel sparì.
“Hanno
insegnato i nostri Maestri: Quando lo vide si alzò dalla sua sedia e lo baciò
sulla testa. Gli disse: ‘Sia la Pace su di te mio maestro e mio alunno.
Maestro perché mi hai insegnato la Torà in pubblico, Alunno perché io decreto
su di te un decreto e tu lo esegui come un alunno’.”
Il precetto del
capomese è da una parte il sigillo sul ruolo del tribunale, l’autorità dei
Maestri e l’importanza delle istituzioni, dall’altra ci ricorda che questo non
toglie che tutti abbiano la stessa dignità. Rabban Gamliel può e deve usare il
pugno di ferro quando teme che un opinione di minoranza crei spaccature
intollerabili, ma nel momento in cui Rabbì Jeoshua si piega davanti alla
autorità del Sinedrio, Rabban Gamliel lo chiama mio maestro e si alza in segno
di rispetto.
Parità di
dignità nella differenza dei ruoli è la grande lezione che Moshè ed Aron
vengono chiamati ad insegnare, nella Terra d’Egitto.
In quella terra
nella quale la differenza di ruoli serve in primo luogo per cancellare la
dignità altrui. In quella terra dalla quale Iddio ci redime in ogni momento con
Mano forte e Braccio disteso.
Dal sito Deror
Yqrà
Rosh Chodesh - Guida all'uso!
I giorni di Rosh Chodesh sono giorni particolari, con norme particolari.
Rosh Chodesh significa letteralmente "Capo Mese" cioè inizio del Mese.
Ogni mese può avere 1 o 2 giorni di Rosh Chodesh; nel caso ne abbia 2 il primo è il 30° giorno del mese precedente e il secondo è il 1° del mese nuovo.
Annuncio di Rosh Chodesh
Lo Shabbat precedente, poco prima della Tefillàh di Mussaf si annuncia al Bet HaKenesset che nella settimana ventura cadrà Rosh Chodesh , e questo annuncio è accompagnato da tefillot ~ preghiere particolari di buon augurio per il mese a venire.
In alcune comunità si usa annunciare anche il Molad che letteralmente significa "Nascita", che consiste nell'ora esatta in cui la luna si comincia a vedere - cioè il momento della sua nascita. L'importanza di quest'annuncio è doppia: sia per un motivo Qabbalistico, secondo cui sapere quest'ora è importante per evitare di contrarre determinate forme d'impurità, sia per sapere quando è possibile recitare la birkat HaLevanàh, cioè la benedizione che si recita mensilmente ad una determinata distanza temporale dal molad, sul rinnovo della luna.
La Vigilia di Rosh Chodesh
La vigilia di Rosh Chodesh c'è chi usa digiunare (Mishnàh Beruràh 417:4) perchè è un giorno di espiazione, poichè il giorno di Rosh Chodesh stesso è un giorno di giudizio su tutto il mese passato. Pertanto è opportuno approfittare dell'occasione per fare teshuvàh su tutto il mese precedente. Chi vuole cominciare a digiunare è opportuno che dica "Belì Neder", affinchè non sia considerata la sua accettazione dell'uso come una promessa che è obbligato a mantenere tutta la vita.
Poichè nel giorno di Rosh Chodesh non si recitano i tachanunim cioè le parti di tefillàh in cui si confessano i propri peccati, anche la vigilia a Minchàh non si recitano.
Il Giorno di Rosh Chodesh - Tefillàh
Il giorno di Rosh Chodesh al posto dei tachanunim si usa recitare l'Hallel non completo. A seconda degli usi si recita o meno la berakhàh precedente. L'uso Sefaradita più comune è di non recitarla, mentre l'uso ashkenazita più comune è quello di recitarla. In ogni caso la questione varia da comunità a comunità. Chi non conosce il proprio uso è meglio, nel dubbio, che reciti l'Hallel senza berakhàh.
Dopo l'Hallel si estrae il Sefer Toràh e 4 persone "salgono a Sefer". La Aliàh ~ salita più importante è la quarta, dell'ultimo giorno di Rosh Chodesh (quindi nel caso siano 2 giorni il 2° giorno). Chiaramente è meglio non avere la 'aliàh piuttosto che scatenare una discussione anche minima su chi debba salire per la 4a chiamata, perchè per ogni discussione si contravviene come minimo al divieto della Toràh di non alimentare discussioni come ha fatto Qorach.
Dopo la lettura del Sefer Toràh si torna a recitare la fine della Tefillàh da Ashrè in poi, e passare poi a recitare Mussaf, per poi concludere la Tefillàh.
Vi ricordiamo inoltre che sia ad 'arvit, Shacharit e Minchàh è necessario recitare Ya'alèh VeYavò nella 'amidàh. Nel caso ce se lo sia dimenticato, ad 'arvit non si torna indietro, ma a Shacharit e Minchàh abbiamo un distinguo:
Non ha concluso la berakhàh. cioè non ha recitato il Nome di HaShem - torna indietro al punto.
Ha concluso la Berakhàh, ma non ha ancora iniziato la Berakhàh di Modim - recita Ya'alèh VeYavò sul posto. (Orach Chajim 422:1 e Mishnàh Beruràh 422:5).
Ha cominciato Modim, ma non ha ancora terminato la 'Amidàh - torna a Retzèh e da lì di seguito recita tutto.
Ha terminato la 'amidàh - deve recitare la 'amidàh dall'inizio. Si considera termine dell''Amidàh da quando comincia a fare i passi indietro dopo la berakhàh di Sim Shalom.
Anche chi prega da solo può recitare tutto: Shacharit, Hallel incompleto e Mussaf (perdendo però Qaddish, Qedushàh. Chazaràh e Barekhù), ricordandosi di recitare Ya'alèh VeYavò.
Il Giorno di Rosh Chodesh - Mangiare!
E' inoltre vietato digiunare il giorno di Rosh Chodesh (Orach Chajim 418:1) e sarebbe bene fare un pasto più sontuoso in onore di Rosh Chodesh (Orach Chajim 419:1) e così da poter recitare Ya'alèh Veyavò anche nella birkat HaMazon (nel caso il pasto sia a base di pane o equivalenti). Nel caso della Birkat HaMazon chi dimentica Ya'alèh VeYavò non torna indietro, a meno che non abbia ancora incominciato la quarta berakhàh chiamata HaTov VeHaMetiv (cioè quella dopo "Bonè Yerushalaym"). In tal caso recita le parole Barukh Shenatan Rosh Chodesh Le'Ammò Israel. Mentre i sefaraditi usano recitarlo senza il Nome del Signore come scrive Maran nello Shulchan 'Arukh (Orach Chajim 424:1) tra gli ashkenaziti troviamo chi aggiunge il Nome del Signore (cioè Barukh Attàh "HaShem" SheNatan etc) [Mishnàh Beruràh 424:2].
Il Giorno di Rosh Chodesh - "Vacanza per le donne!" e altri usi
L'uso di Rosh Chodesh è che le donne non effettuino melakhot come cucire, lavare panni e simili. Cucinare chiaramente è escluso dal divieto. (Shulchan 'Aruch Orach Chajim 417:1) [Il resto dei divieti di melakhot, cioè attività specifiche non è dipendente da ciò che viene definito come melakhàh di Shabbat, ma dall'uso comune; oggi con la lavatrice ci sono opinioni facilitanti relativamente a Rosh Chodesh]. [Belì Neder, speriamo di poter portare alla luce un articolo un po' più dettagliato sull'argomento; l'uso è anche romano, come sembra dal Shibbolè HaLeqet (Siman 169)].
E'è chi usa inoltre non tagliarsi le unghie a Rosh Chodesh, seguendo l'uso della Zavaaàh di Rabbenu Yehudàh HaChassid, grande chakham francese dell'epoca dei Tossafot (circa 800 anni fa), ma ciò dipende dagli usi.
Rosh Chodesh - Guida all'uso!
I giorni di Rosh Chodesh sono giorni particolari, con norme particolari.
Rosh Chodesh significa letteralmente "Capo Mese" cioè inizio del Mese.
Ogni mese può avere 1 o 2 giorni di Rosh Chodesh; nel caso ne abbia 2 il primo è il 30° giorno del mese precedente e il secondo è il 1° del mese nuovo.
Annuncio di Rosh Chodesh
Lo Shabbat precedente, poco prima della Tefillàh di Mussaf si annuncia al Bet HaKenesset che nella settimana ventura cadrà Rosh Chodesh , e questo annuncio è accompagnato da tefillot ~ preghiere particolari di buon augurio per il mese a venire.
In alcune comunità si usa annunciare anche il Molad che letteralmente significa "Nascita", che consiste nell'ora esatta in cui la luna si comincia a vedere - cioè il momento della sua nascita. L'importanza di quest'annuncio è doppia: sia per un motivo Qabbalistico, secondo cui sapere quest'ora è importante per evitare di contrarre determinate forme d'impurità, sia per sapere quando è possibile recitare la birkat HaLevanàh, cioè la benedizione che si recita mensilmente ad una determinata distanza temporale dal molad, sul rinnovo della luna.
La Vigilia di Rosh Chodesh
La vigilia di Rosh Chodesh c'è chi usa digiunare (Mishnàh Beruràh 417:4) perchè è un giorno di espiazione, poichè il giorno di Rosh Chodesh stesso è un giorno di giudizio su tutto il mese passato. Pertanto è opportuno approfittare dell'occasione per fare teshuvàh su tutto il mese precedente. Chi vuole cominciare a digiunare è opportuno che dica "Belì Neder", affinchè non sia considerata la sua accettazione dell'uso come una promessa che è obbligato a mantenere tutta la vita.
Poichè nel giorno di Rosh Chodesh non si recitano i tachanunim cioè le parti di tefillàh in cui si confessano i propri peccati, anche la vigilia a Minchàh non si recitano.
Il Giorno di Rosh Chodesh - Tefillàh
Il giorno di Rosh Chodesh al posto dei tachanunim si usa recitare l'Hallel non completo. A seconda degli usi si recita o meno la berakhàh precedente. L'uso Sefaradita più comune è di non recitarla, mentre l'uso ashkenazita più comune è quello di recitarla. In ogni caso la questione varia da comunità a comunità. Chi non conosce il proprio uso è meglio, nel dubbio, che reciti l'Hallel senza berakhàh.
Dopo l'Hallel si estrae il Sefer Toràh e 4 persone "salgono a Sefer". La Aliàh ~ salita più importante è la quarta, dell'ultimo giorno di Rosh Chodesh (quindi nel caso siano 2 giorni il 2° giorno). Chiaramente è meglio non avere la 'aliàh piuttosto che scatenare una discussione anche minima su chi debba salire per la 4a chiamata, perchè per ogni discussione si contravviene come minimo al divieto della Toràh di non alimentare discussioni come ha fatto Qorach.
Dopo la lettura del Sefer Toràh si torna a recitare la fine della Tefillàh da Ashrè in poi, e passare poi a recitare Mussaf, per poi concludere la Tefillàh.
Vi ricordiamo inoltre che sia ad 'arvit, Shacharit e Minchàh è necessario recitare Ya'alèh VeYavò nella 'amidàh. Nel caso ce se lo sia dimenticato, ad 'arvit non si torna indietro, ma a Shacharit e Minchàh abbiamo un distinguo:
Non ha concluso la berakhàh. cioè non ha recitato il Nome di HaShem - torna indietro al punto.
Ha concluso la Berakhàh, ma non ha ancora iniziato la Berakhàh di Modim - recita Ya'alèh VeYavò sul posto. (Orach Chajim 422:1 e Mishnàh Beruràh 422:5).
Ha cominciato Modim, ma non ha ancora terminato la 'Amidàh - torna a Retzèh e da lì di seguito recita tutto.
Ha terminato la 'amidàh - deve recitare la 'amidàh dall'inizio. Si considera termine dell''Amidàh da quando comincia a fare i passi indietro dopo la berakhàh di Sim Shalom.
Anche chi prega da solo può recitare tutto: Shacharit, Hallel incompleto e Mussaf (perdendo però Qaddish, Qedushàh. Chazaràh e Barekhù), ricordandosi di recitare Ya'alèh VeYavò.
Il Giorno di Rosh Chodesh - Mangiare!
E' inoltre vietato digiunare il giorno di Rosh Chodesh (Orach Chajim 418:1) e sarebbe bene fare un pasto più sontuoso in onore di Rosh Chodesh (Orach Chajim 419:1) e così da poter recitare Ya'alèh Veyavò anche nella birkat HaMazon (nel caso il pasto sia a base di pane o equivalenti). Nel caso della Birkat HaMazon chi dimentica Ya'alèh VeYavò non torna indietro, a meno che non abbia ancora incominciato la quarta berakhàh chiamata HaTov VeHaMetiv (cioè quella dopo "Bonè Yerushalaym"). In tal caso recita le parole Barukh Shenatan Rosh Chodesh Le'Ammò Israel. Mentre i sefaraditi usano recitarlo senza il Nome del Signore come scrive Maran nello Shulchan 'Arukh (Orach Chajim 424:1) tra gli ashkenaziti troviamo chi aggiunge il Nome del Signore (cioè Barukh Attàh "HaShem" SheNatan etc) [Mishnàh Beruràh 424:2].
Il Giorno di Rosh Chodesh - "Vacanza per le donne!" e altri usi
L'uso di Rosh Chodesh è che le donne non effettuino melakhot come cucire, lavare panni e simili. Cucinare chiaramente è escluso dal divieto. (Shulchan 'Aruch Orach Chajim 417:1) [Il resto dei divieti di melakhot, cioè attività specifiche non è dipendente da ciò che viene definito come melakhàh di Shabbat, ma dall'uso comune; oggi con la lavatrice ci sono opinioni facilitanti relativamente a Rosh Chodesh]. [Belì Neder, speriamo di poter portare alla luce un articolo un po' più dettagliato sull'argomento; l'uso è anche romano, come sembra dal Shibbolè HaLeqet (Siman 169)].
E'è chi usa inoltre non tagliarsi le unghie a Rosh Chodesh, seguendo l'uso della Zavaaàh di Rabbenu Yehudàh HaChassid, grande chakham francese dell'epoca dei Tossafot (circa 800 anni fa), ma ciò dipende dagli usi.
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