Non voglio qui riprendere
le polemiche sul tema della Giornata europea della cultura ebraica di quest’anno
(Ponti e attraversaMenti) che si svolgerà il 6 settembre e in alcune
localintà anche nei giorni seguent: un tema per tanti aspetti discutibile e
infatti discusso; ma tant’è questa è stata la scelta e a questo mi atterrò,
delineando brevemente alcuni “ponti” e “attraversamenti” nella storia ebraica
della Calabria.
Di attraversamenti è fatta tutta
la vicenda ebraica in Calabria, in entrata e in uscita, attraversamenti per lo
più (ma non esclusivamente: ricordiamo per tutti Avraham Garthon,
editore a Reggio del commento di Rashì alla Torah, e prima ancora quel Kalonymos
che accompagnò nella sua campagna militare l’imperatore Ottone II, provenienti
entrambi dalla Germania), di quella grande strada di comunicazione che da
sempre, nel bene e nel male, nella cultura e nel commercio, nelle fughe dei
profughi e nelle invasioni, è il Mediterraneo.
Da questa via d’acqua arrivarono
i primi ebrei, ed è discusso se arrivassero direttamente con Tito già subito
dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel I secolo e.v., oppure nei
secoli immediatamente successivi, provenendo dalla Terra d’Israele, o dalle
coste africane o dai Balcani; altri ne arriveranno per i secoli successivi,
fino al 1492, quando giungeranno quelli scacciati dalla Sicilia, attraversando
un tratto di mare minore, quello dello Stretto; in misura minore ne arriveranno
in tale frangente anche dalla Spagna e dalla Sardegna.
Rav Chaim Vital, dal sito Aish.com
E come nel dolore della
distruzione del Tempio o del Gerush di Spagna vi arrivarono, nel dolore se ne
andranno nel XVI secolo, quando anche il Meridione continentale cadrà sotto il
dominio dei Cattolicissimi Sovrani iberici, attraversando in senso inverso il
Mediterraneo, per recarsi in Africa, in misura minore, ma soprattutto nella
penisola balcanica, come abbiamo visto, o nella Terra Santa, dove si svolgerà la
vicenda del grande kabbalista Chaim Vital (Rachu, detto HaQalavrezì, il calabrese) e della sua famiglia, perfettamente esemplare nel suo percorso:
Grecia, Siria ed Israele, Egitto.
Ma se dolorosa è la storia di
questi attraversamenti, non mancano però i ponti che si stabilirono tra i
calabresi e gli ebrei, divenuti calabresi essi stessi, come ci fanno vedere
vari esempi: calabrese sarà la lingua che adotteranno anche nei contratti matrimoniali
(spero di scrivere presto un post su un bellissimo articolo pubblicato su Sefer
Yuhasin dal professore Giancarlo Lacerenza) o anche in altri contesti, e
calabresi si dimostreranno conservando fino al secolo scorso il nome di
Calabria a qualche sinagoga di Salonicco.
Esercitando in Calabria una vasta
gamma di professioni (pastori e contadini, medici e farmacisti, artigiani e
prestatori, sebbene in questo campo fossero meno presenti che in altre zone)
prendevano pienamente parte alla vita economica calabrese, il cui progresso
alimentarono soprattutto nel commercio e nell’industria della seta e della
tintoria, di cui detenevano per taluni aspetti il monopolio.
Di questa loro integrazione ho
citato in post passati due esempi particolari, a Castrovillari e a Montalto
Uffugo.
A Castrovillari, i rapporti tra ebrei e cristiani erano particolarmente buoni, nonostante l’infame
leggenda legata alla morte del francescano Pietro Catin.
Come ricorda Cesare Colafemmina
nel suo “Per la storia degli ebrei in Calabria. Saggi e documenti“,
nel 1512, costretti ad abbandonare una prima volta la città, gli ebrei cederanno
al Comune la loro sinagoga, con la promessa che, se fossero tornati entro un
certo numero di anni, il Comune l’avrebbe loro ridata; impegno che fu
mantenuto, quando alcuni anni dopo poterono tornare, e rinnovato alla seconda
cacciata del 1541, in seguito alla quale però non tornarono più.
A Montalto Uffugo abbiamo un bell’episodio di dialogo “interreligioso” ante litteram (Domenico
Martire, La Calabria sacra e profana, Cosenza, 1876-78). Nel 1452 fra
Simone dell’Alimena dava agli ebrei di Montalto delle elemosine, in particolare
dava l’olio per le 60 lampade che continuamente ardevano nelle loro sinagoghe;
denunciandolo un notabile locale presso san Francesco di Paola (secondo alcune tradizioni la madre era una
ebrea convertita), questi gli rispose di doversi giudicare la bontà dalle
azioni dal loro fine, e quella era azione finalizzata alla conversione delle
anime, ed infatti due intere famiglie si convertirono, e i loro discendenti
erano ancora vivi all’epoca del Martire. Vediamo che nella nostra terra
amicizia (sebbene finalizzata a conversioni, ma non con i metodi violenti o
costrittivi che verranno usati in seguito) e antisemitismo convivono.
Un “costruttore di ponti” con gli
ebrei fu il grande Tommaso Campanella (inutile dire che anche di lui si sia ventilata un’origine marrana), la cui
vita fu costellata di rapporti con l’ebraismo.
Il suo primo processo ad opera
dell’inquisizione fu dovuto proprio ad una disputa con un ebreo, già convertito
al cristianesimo e poi tornato alla propria fede, di cui omise la denuncia al
Santo Uffizio; inoltre nella sua formazione culturale fu importante il rapporto,
nel suo noviziato a Cosenza, con il misterioso rabbino Abramo, che forse lo
istruì sul Talmud; infine un altro ebreo convertito (ma questi non tornato più
alla sua fede, tradita come tradirà il suo amico), Giovan Battista Biblia,
causò la detenzione definitiva di Campanella, svelando i suoi piani per la
prevista insurrezione contro la Spagna.
In tempi più recenti torniamo
ancora a Castrovillari,
dove Paolo Furgiuele, fascista ed omosessuale, ospitò a casa un ebreo e lo nascose per un anno
facendolo sfuggire all'internamento nel lager di Ferramonti.
Insieme a lui, a simboli degli
anonimi calabresi che aiutarono gli ebrei e a loro furono vicini nelle
sofferenze, voglio ricordare anche Serafina Mauro, recentemente scomparsa, che insieme al marito tentò di alleviare la fame dei
detenuti del campo di Ferramonti, presso il quale abitava.
Nessun commento:
Posta un commento