(viene bevemente citato il nostro Chayim Vital)
Rav Ariel Di Porto
Fra gli usi più sentiti fra
quelli di Rosh ha-shanà vi è certamente quello del Tashlikh (getterai), che pur
avendo con ogni probabilità un’origine relativamente recente, non essendo
menzionato nel Talmud, nella letteratura post-talmudica, nel Tur e nello
Sulkhan ‘Arukh, viene oggi praticato pressoché in tutto il mondo ebraico.
L’origine del nome deriva da un’espressione tratta dal libro di Michàh (“e
getterai i loro peccati nelle profondità del mare” - cap. 7, v. 19), che fa
parte dei versi (7, 18-20) che costituiscono il nucleo principale su cui il
rito è costruito.
La prima attestazione nei libri
pervenutici è presente nell’opera del Maharil (XV sec., che assieme all’autore
del Terumat ha-deshen rappresenta la principale autorità che maggiormente ha
contribuito alla definizione del rito ashkenazita). Il Maharil considera l’uso
un ricordo della legatura di Isacco, in base a quanto leggiamo nel Midrash
Tanchumà (parashat Vayerà), dove è scritto che Abramo passò il fiume essendo
sommerso sino al collo, ed invocò la salvezza divina, poiché il Satan aveva
assunto la forma di un fiume per distoglierlo dalla legatura. Questo spiegherebbe
perché l’uso di andare su un corso d’acqua è riferito proprio al giorno di Rosh
ha-shanà, visto che secondo lo Zohar (Vaiqrà 18 a) la legatura di Isacco è
avvenuta di Rosh ha-shanàh, e perché alcuni decisori scrivono che è opportuno
andare presso delle acque lontane dai centri abitati, in quanto Abramo in quel
momento era lontano da casa propria, ed il Satan intendeva sfruttare tale
occasione.
L’uso è riportato anche nel Sefer
ha-minhaghim, opera pressoché coeva a quella del Maharil, che però descrivendo
il rito aggiunge che recitando i versi si vedono dei pesci vivi. L’uso, sino ad
un certo momento, sembra non essere penetrato nel mondo sefardita. Rabbì Chayim Vital (XVI-XVII sec.) lo indica esplicitamente come un uso
ashkenazita, definendolo un buon uso, che evidentemente stava iniziando ad
essere praticato nel mondo sefardita solo allora, non essendo menzionato nello
Shulchan ‘Arukh (XVI sec.), il testo maggiormente autorevole per la tradizione
sefardita.
Alcuni hanno individuato fonti
più antiche dell’uso, sia nella letteratura mistica, sia in quella rabbinica.
In particolare c’è un riferimento nel commento di Rashì a Shabbat 81a, dove
viene riportato l’uso di riempire dei canestri di palme con terra e concime, e
piantarvi colocasia e legumi alcune settimane prima di Rosh ha-shanà, un
cestino per ogni minorenne della casa, che verrà poi girato dai bambini sopra
la testa, dicendo “questo è al posto di questo, questo è in cambio di me”, e
gettato in un fiume. È possibile che da tale antico uso, sul quale forse si
fonda l’uso degli ebrei romani di piantare grano e granturco prima di Rosh
ha-shanà, derivino anche quello delle kapparot e lo stesso tashlich, poiché al
termine del rito il cestino veniva gettato in un fiume.
Il Ramà (XVI sec.) riporta l’uso
nelle sue glosse allo Shulkhan ‘Arukh nel cap. 583, 2. Il Ramà non spiega in
quella sede il motivo dell’uso. I commentatori si sono stupiti della posizione
di questa glossa, poiché il capitolo è dedicato ai cibi che vengono consumati
la sera di Rosh ha-shanàh, e vari (Levush, Eliàh Rabbàh, Mattèh Efraim)
sostengono che la glossa debba essere riferita piuttosto al cap. 596 o 598, che
parlano della tefillàh di musaf e di minchàh di Rosh ha-shanàh. Ma è possibile
altresì sostenere che la glossa del Ramà sia al posto giusto, poiché i cibi che
vengono consumati la sera servono a sottolineare la concretezza dei valori
simbolici che si nascondono dietro di essi (simana milta hì), ed il recarsi
presso un corso d’acqua il giorno di Rosh ha-shanàh potrebbe richiamare lo
stesso concetto, tant’è che il Ramà nel Darkè Moshèh, opera di commento al Tur,
riporta come motivo dell’uso quello che si tratta di un segno affinché l’occhio
cattivo non ci domini e possiamo prolificare come pesci, spiegando il senso
delle parole del Sefer ha-minhaghim.
In un’altra opera, Torat ha-‘olàh
(3, 56), il Ramà riporta un motivo differente dell’uso: le profondità del mare
servono a ricordarci della creazione del mondo, indicarci quali sono i nostri
limiti, e renderci conto della potenza del Creatore, conducendoci pertanto al
pentimento. Il Levush nel cap. 596 spiega le parole del Sefer ha-minhaghim
diversamente: ci si reca in un posto in cui si possono vedere i pesci, poiché
questi possono essere catturati con una rete in qualsiasi momento, ed allo
stesso modo noi siamo sottoposti alla morte e al giudizio divino, e questo
pensiero ci porta al pentimento. Lo Shelàh crede invece che il richiamo sia
collegato all’assenza delle palpebre nei pesci, che hanno pertanto gli occhi
sempre aperti, e chiediamo al Signore di tenere l’occhio sempre aperto su di
noi, usando vigilmente misericordia nei nostri confronti. Rav David Zvì Hofman,
autore dei responsa Melamed Leho’il, interpreta l’acqua come sede della
Presenza Divina: inizialmente la Presenza Divina era in ogni luogo, ed il
Signore entrava in contatto con i profeti in qualsiasi luogo; dal momento in
cui il popolo ebraico si è insediato in terra d’Israele gli unici luoghi in cui
il Signore si è rapportato con i profeti sono corsi d’acqua, come possiamo
apprendere dal primo capitolo del Libro di Ezechiele. Ulteriore motivo,
riportato nel Siddur Otzar ha-tefillot è collegato al fatto che ogni anno a
Rosh ha shanàh incoroniamo il Signore come nostro Re, e le incoronazioni
avvenivano in senso augurale nei pressi di un corso d’acqua, che scorre
continuamente senza interruzione, come è possibile vedere nel primo capitolo
del primo libro dei Re, in cui si narra della nomina del Re Salomone. Come in
molti altri riti, nel Tashlikh sono presenti numerosi significati simbolici,
che richiamano i temi principali di Rosh ha-shanà: il ricordo storico dei
meriti dei padri, il pentimento per le colpe commesse nell’anno appena
trascorso, l’augurio di trascorrere un anno migliore, il riconoscimento della
regalità divina e dell’esistenza di un Creatore.
Dopo la preghiera di Minchà del
primo giorno di Rosh Hashanà si osserva il Tashlìch, che letteralmente
significa gettare. Questo rituale consiste nel recarsi in riva a un corso
d’acqua e nel recitare alcune preghiere, accompagnate dal gesto simbolico di
svuotare le proprie tasche (metafora dell’anima) da tutti i peccati commessi
durante l’anno, facendo buoni propositi per quello in arrivo.
Il Tashlìch si svolge proprio in
riva a un fiume poiché Rosh Hashanà è il primo dei giorni detti “terribili”
(Yamìm Noraìm) che portano al digiuno di Kippùr, in cui l’ebreo arriva a
concepire D-o non solo come il Creatore del mondo ma anche come Colui che lo
governa giorno dopo giorno, che condiziona la storia e, quindi, la vita di ogni
essere vivente. Dal canto nostro, noi, in quanto sudditi al cospetto del Re,
dobbiamo rendergli conto delle nostre azioni. In passato, i re venivano
consacrati in riva a un fiume, quale espressione simbolica della speranza che
il regno prosperasse come il flusso del fiume, eterno e inarrestabile. Allo
stesso modo ci dobbiamo porre davanti al nostro Re, consacrandolo e
rispettandolo.
La preghiera di Tashlìch ricorda
questa cerimonia magistrale, provocando nella persona un forte impatto emotivo
e spingendola alla riflessione e all’introspe-zione psicologica. Per questo
alcuni maestri consigliano di recarsi ad effettuare il Tashlìch in piccoli
gruppi, per non essere portati a distrarsi con conversazioni inadatte alla
situazione. Le comunità che non abitano nelle vicinanze di corsi d’acqua
possono svolgere il rituale presso fontane o laghetti. Nel caso in cui fossero
anche questi troppo lontani, è possibile posticipare la preghiera sino a
Hosha’nà Rabbà, l’ultimo giorno di Sukkòt, quando D-o suggella definitivamente
ciò che è stato deciso a Kippùr.
In cosa consiste l'usanza del
Tashlich e qual'è la sua origine?
Tashlich consiste nel recitare
preghiere speciali in riva ad un fiume, il mare o un altro copro d’acqua, ove,
preferibilmente, ci debbano essere dei pesci. Il Tashlich si dice il primo
giorno di Rosh Hashanà. Se cade di sabato si rimanda al giorno seguente, per
evitare che qualcuno inavvertitamente trasportasse un libro di preghiere fino
al fiume e così trasgredisca la proibizione di trasportare in luogo pubblico di
Shabbat. Il termine Tashlich che significa buttar via indica la base biblica di
questa usanza.
“E tu butterai via le
trasgressioni di Israele, nel profondo dei mare” (Mica 7:19). Dopo aver
recitato la preghiera è uso spolverarsi le vesti per simbolicamente liberarsi
del peccato tramite questo gesto.
Questa cerimonia è basata su
evento accaduto nel passato dei nostri avi, infatti, mentre Avrahàm si dirigeva
al monte Morià per sacrificare suo figlio Isaac, Avrahàm trovò il cammino
bloccato dall'acqua. Senza scomporsi, Avrahàm entrò nell'acqua, deciso a
compiere il suo destino. Quando l'acqua gli arrivò alle spalle chiamò D-o
perché lo aiutasse.
D-o fece in maniera che le acque
si abbassassero e promise ad Avrahàm che proprio egli, Abraham sarebbe stato
scelto (privilegiato), per diffondere il nome di D-o in tutte le direzioni
della terra. Questo fatto, rivela il Midrash, successe di Rosh Hashanà. Così,
durante Rosh Hashanà i discendenti di Avrahàm, il popolo d'Israele, anch'essi
fanno orazioni vicino all'acqua affinché l'Onnipotente possa agire
misericordiosamente nei loro riguardi, grazie alla devozione dimostrata dai
loro avi.
L'acqua profonda simbolizza la
creazione del mondo commemorata Rosh Hashanà. Durante i giorni di pentimento è
pertanto appropriato stare vicino all'acqua ripromettendoci nuovamente di
dedicarci al nostro Creatore.
Nei giorni dell'esilio, lo
spirito di D-o fu rivelato ai profeti vicino alle acque (che simbolizzano il
concetto di purezza) (Ezechiele 11,3; Daniel 8,2) così la preghiera vicino
l'acqua è conforme al nostro sforzo verso la purezza e verso la sacra presenza
di D-o in questo solenne periodo di pentimento.
Così come l'acqua è in continuo
movimento, anche l'uomo non deve rimanere nel peccato ma cambiare, liberandosi
dal male, nel seguire il suo cammino.
Il Talmùd richiama l'attenzione
sul fatto che la consacrazione dei re nell'antica Israele veniva fatta vicino
l'acqua, per simbolizzare la speranza che il loro regno si svolgesse in maniera
soave come il fluire dell'acqua. Così in Rosh Hashanà, gli israeliti di oggi
s'incamminano verso un rivo d'acqua, nello stesso modo, per proclamare la
sovranità dei Re dei Re, pregando che il Suo Regno sia soave e che possa
dispensare protezione eterna al Suo popolo.
L'acqua che sempre si assesta ad
uno stesso livello, è il simbolo di quella stessa umiltà al quale Israele
dovrebbe rimanere di fronte a D-o nel Giorno del Giudizio.
Secondo alcuni commenti, il
Tashlich commemora l'occasione durante la quale Ezra e Nehemia riunirono il
popolo in Rosh Hashanà, secondo ciò che è scritto. “E tutto il popolo si riunì
come un solo uomo nella via che era stata la porta delle acque”. (Nehemia 8:1)
Il Tashlich si recita di
preferenza vicino ad acqua nella quale ci siano pesci per ricordare agli uomini
che, come i pesci sono pescati in reti, l'uomo sarà imbrigliato nella rete dei
propri peccati, a meno che non si penta.
Così come il pesce protetto
dall'acqua nella quale vive, si moltiplica, anche noi chiediamo che, sotto la
protezione di D-o possiamo aumentare in forza e numero.
Così come gli occhi dei pesci
sono sempre aperti, così noi supplichiamo D-o che sorvegli sempre il Suo
popolo.
Nessun commento:
Posta un commento