Apparentemente
questo post (e il successivo che ho in programma, dedicato alle
donne calabresi della Resistenza) non c'entra molto con il tema del
blog. In realtà la Resistenza vide ebrei e non ebrei uniti o nel
combattimento o nella protezione che i partigiani cercavano di
offrire anche agli ebrei.
Forse
in pochi sanno (anche io l'ho scoperta solo ora) della vicenda
partigiana del celebre Raf Vallone, a cui dedico un ricordo
particolare, come un cenno faccio a quello che credo sia uno dei
partigiani calabresi più anziani, Pasquale Brancatisano di Samo
(RC), Malerba, era il suo nome di battaglia, che recentemente è
stato conosciuto da molti per il video inviato al Presidente della
Repubblica, Sergio Mattarella, e la telefonata con cui questi ha
voluto ringraziarlo.
Onore
a lui, a loro e a tutti gli antifascisti calabresi.
Bollissimo video
dell'associazione Aspromonte LiberaMente
Interviste a partigiani calabresi
Interviste a partigiani calabresi
25
Aprile 2017: ricordare per difendere la nostra libertà
Mantenere
viva la memoria antifascista partendo dal ricordo di chi il fascismo
lo ha combattuto sacrificando la propria vita.
Partendo
da questa considerazione abbiamo voluto ricordare alcuni delle decine
e decine di partigiani calabresi partiti per combattere il fascismo e
caduti, quasi tutti giovani, nella resistenza.Giuseppe
Albano
di Gerace, Serafino
Aldo Barbaro
di Catanzaro, Donato
Bendicenti
di Rogliano, Fortunato
Caccamo
di Gallina, Pietro
Cappellano
di Amato, Dante
Castellucci
di Sant’Agata di Esaro, Antonio
Cerra
di Nicastro, Vinicio
Cortese
di Nicastro, Francesco
d’Agostino
di Cassano Ionio, Franco
Lavinj
di Reggio Calabria, Giovanbattista
Mancuso
di Palmi, Carlo
Muraca
di Carlopoli, Domenico
Pennestrì
di Reggio Calabria, Domenico
Antonio Petruzza
di Nicastro, Emilio
Sacerdote
di Vibo Valentia,
Bruno
Tuscano
di Palizzi Marina, sono i nomi dei partigiani che in queste settimane
sono apparsi su manifesti affissi, in più turni, sui muri cittadini,
proprio per ricordare il contributo che la nostra terra ha dato alla
liberazione dal nazifascismo.
“Se
non ricordiamo non possiamo comprendere”
scrisse E. M. Forster. Ricordare dunque, per capire cosa è successo
e cosa ancora può accadere. Mantenere vivo il ricordo di cosa fu il
nazifascismo e cosa ci costò, la guerra, la miseria, la fame, i
morti, il dolore. Ricordare il prezzo della nostra libertà. Vigilare
affinché questa duri, attivarsi per difenderla. E da questa
consapevolezza ricostruire un percorso che impedisca ai nuovi
fascismi di riperpetrare l’orrore.
Quando
la resistenza parlava calabrese
Eroi
partigiani calabresi: il Gobbo, Attila, Italo Rossi e tanti altri
La nostra regione non fu flagellata dagli scontri per la “Liberazione”, ma il suo contributo non venne a mancare.
Sebbene
gli eventi più importanti si svolsero prevalentemente nelle regioni
del Centro-Nord bisogna considerare il contributo di sangue dato da
cittadini meridionali alla lotta di liberazione. Dagli studi storici
che hanno analizzato le bande per composizione sociale, si evince che
furono circa 4.000 i partigiani meridionali in Piemonte di cui 600
furono calabresi. Qualche altro migliaio furono in Liguria. La
maggior parte di loro erano operai immigrati, altri furono ex
militari sbandati dall’esercito dopo la firma dell’armistizio (8
settembre 1943).
Foto d'epoca di Federico Tallarico, il Comandante "Frico", uno degli intervistati nel video
Dal sito ISAICstoria
Foto d'epoca di Federico Tallarico, il Comandante "Frico", uno degli intervistati nel video
Dal sito ISAICstoria
A Genova uno dei primi organizzatori dei nuclei di montagna e teorico della necessità della lotta armata al regime fascista fu il calabrese Antonio Rossi, nato a Cardeto; già nel 1942 fu arrestato con l’accusa di propaganda sovversiva.
Foto di Italo Rossi, partigiano col padre e due fratelli
Dal sito Temi di storia
Vi
furono tante brigate comandate da calabresi, quella più nota a tutti
fu quella in cui operarono i fratelli Francesco,
Italo,
Bruno
e il padre Oreste
Rossi.
Oreste
Rossi cadde fucilato da un plotone d’esecuzione a Castagneto Po a
Torino (medaglia d’argento al valore militare). Italo fu insignito
della medaglia d’oro al valore militare alla memoria. In suo onore
fu soprannominata una divisione della I brigata Matteotti, la “Italo
Rossi” appunto.
Per
quanto riguarda Parma si hanno notizia di Vincenzo
Barreca,
classe 1920, dopo l’8 settembre, rientrò dalla Francia e raggiunse
Col di Ferro (Cuneo), fino ad approssimarsi a Tortona ed operare
nalla Val Cisa. Lo stesso Barreca dichiarò che del plotone della 2a
brigata Beretta (Divisione Val Cisa), della quale era vicecomandante,
con il nome di battaglia di “Zambo”, facevano parte i partigiani
calabresi Francesco
Giugno,
proveniente da Natile Nuovo (Platì, RC), nome di Battaglia “Attila”;
Salvatore
Rizzo
di Campora di Amantea (CS), nome di battaglia “turiddu”, Rocco
Marfì,
nato a Laureana di Borrello, classe 1922 (Rc); Salvatore
Carrozza,
da Taurianova, classe 1911, morto a Monticelli Terme (Pr) il 18
aprile 1944, XII Brigata Garibaldi;
Bruno Geniale,
da Cosenza, classe 1923, XII Brigata Garibaldi, deportato e morto nel
campo di Mauthausen 18 marzo 1944; Vincenzo
Errico,
detto “Vitto”, da Verbicaro (Cosenza), classe 1922, I Brigata
Julia, caduto a Grifola (Borgotaro) l'8 luglio del 1944 durante un
combattimento contro reparti tedeschi che tentavano di raggiungere
Borgotaro provenienti dal versante ligure.
In
Liguria operò invece un altro calabrese: Marco
“Pietro” Perpiglia
(1910- 1983). Oppositore del regime fascista e patriota, nacque nel
1910 a Roccaforte del Greco. Fu un fervido sostenitore del Partito
comunista di cui fu un tesserato. Partì come volontario in Spagna,
al seguito della XII Brigata internazionale “Garibaldi” per
battersi contro il generale Franco. Subita la sconfitta, fu mandato
in Francia dove fu internato in un campo di concentramento.
Consegnato ai fascisti di Mussolini, fu trasferito nella prigione di
La Spezia e, successivamente, mandato al confine nell’isola di
Ventotene. Soltanto dopo la caduta della dittatura fascista riuscì a
ricongiungersi con la moglie Giuseppina Russo a La Spezia. Nella
città ligure ebbe un ruolo di primo piano nell’attività sindacale
per la quale venne anche arrestato. Si unì poi ai partigiani in
Liguria dove combatte fino al giorno della liberazione (25 aprile
1945). Ritornato a La Spezia, iniziò a militare attivamente nel
Partito comunista della città. Diresse anche la sezione Sud-Arsenale
del partito. Rientrò a Roccaforte del Greco nei primi anni ‘60.
Qui mori nel 1983. A lui è intitolata una piazza del paese.
Raf Vallone, partigiano calabrese sfuggito alle SS. E non era un film
di
Letterio
Licordari
Testo e foto dal
sito dal sito ISAICstoria
Se
si ricorda Raf Vallone la mente va subito a quei capolavori in bianco
e nero del cinema italiano neorealista del dopoguerra intitolati
“Riso amaro”, “Il cammino della speranza”, “Non c’è pace
tra gli ulivi” o “Camicie Rosse”. O a quelle magistrali
interpretazioni teatrali dei drammi di Arthur Miller, soprattutto al
capolavoro “Uno sguardo dal ponte”. O ancora alla stagione degli
indimenticabili sceneggiati televisivi, da “Il Mulino del Po” a
“Jane Eyre”. Ma a far uscire l’edizione straordinaria de
“L’Unità” di Torino per dare la notizia prima di altri della
definitiva liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile del 1945, c’era
lui, assieme a Davide Lajolo, che della testata era redattore capo.
Vallone era uomo del sud, nativo di Tropea, figlio di emigranti ante
guerra, che si era laureato prima in Filosofia e poi in
Giurisprudenza, avendo come docenti, tra gli altri, Luigi Einaudi e
Leone Ginzburg.
Dotato
di grande poliedricità, non era tuttavia un secchione che viveva col
capo chinato sui libri, anzi, era appassionato di calcio, e con la
maglia del Torino, nel 1935, vinse finanche una “Coppa Italia”.
Faceva il servizio militare a Tortona, e già manifestava la sua
passione per la recitazione (tra i preferiti, i testi di Pirandello)
intrattenendo con la sua filodrammatica i militari quel di Ovada,
quando ci fu l’armistizio, nel ’43. Tra quei militari anche gli
ufficiali Oscar Luigi Scalfaro e Giulio Palma, che rivedrà tanti
anni dopo a Cosenza al Teatro Rendano (vedi foto). Poco dopo divenne
partigiano.
Questa
sua scelta venne fortemente influenzata dall’amicizia con Vincenzo
Ciaffi, un illustre latinista (che curò le traduzioni di Arbitro
Petronio, il Satyricon e altre opere) appassionato anche di filosofia
e di teatro, ma soprattutto convinto antifascista già dal 1929,
quando aveva aderito al movimento “Giustizia e Libertà” che
faceva capo a Carlo Rosselli e che in seguito aveva dato vita ai
primi nuclei italiani clandestini grazie a Ferruccio Parri, Ernesto
Rossi, i citati “maestri” Leone Ginzburg e Giulio Einaudi,
Vittorio Foa, Carlo Levi, Cesare Pavese, Riccardo Bauer e molti
altri. Entrato in contatto con Antonio Bernieri, uomo di lettere
anche lui, fondatore del Partito Socialista Rivoluzionario Italiano e
da poco rimesso in libertà dopo essere stato oggetto di particolari
attenzioni dall’OVRA, Vallone era stato incaricato di scambiare
alcuni importanti messaggi con altri antifascisti.
A
Bernieri, in occasione di uno di questi incontri, aveva consegnato un
libro. Si trattava di “Nuova York” di John Roderigo DosPassos,
uno scrittore statunitense, nel quale era annotata una frase in
codice: “Abbiamo gli stessi interessi, credo che questo romanzo ti
piacerà”. Vennero scoperti e catturati. Vallone venne convocato in
questura, dove gli misero sotto gli occhi il libro con il messaggio,
in seguito venne arrestato e tradotto a Como: qui, in una palestra
divenuta un carcere, confesserà a un repubblichino di essere
antifascista ma non fece il nome di nessun compagno. Spesso la
componente aleatoria ha un peso importante nella vita delle persone,
perché tra Vallone e il repubblichino si instaurò una sorta di
complicità e di tolleranza, e quest’ultimo lo preavvertì della
deportazione in Germania in un campo di concentramento e del fatto
che il solo agente di scorta avrebbe avuto la pistola senza munizioni
(a tal punto era ridotta la Repubblica Sociale di Salò). Ma, quasi
come fosse uno di quei film che avrebbe interpretato dopo la fine di
quella assurda guerra, durante le fasi del trasferimento riuscì a
fuggire, gettandosi nelle acque gelide del lago e salvandosi dalle
raffiche delle SS.
Riuscì
a tornare a Torino, dove continuò, nelle file del Partito d’Azione,
l’attività di propaganda contro il regime nazifascista e a dare
una mano ai partigiani delle Langhe. È lì che conobbe Davide
Lajolo, il cui nome di battaglia era “Ulisse”, giornalista e
scrittore, ma anche un ex gerarca fascista che era arrivato anche a
essere Segretario Federale del PNF di Ancona e che aveva
convintamente sconfessato il suo passato dopo l’armistizio. Lajolo
gli era stato presentato da un amico comune che aveva letto alcune
sue critiche teatrali e lo aveva ascoltato leggere poesie di Montale
dalla sede Rai allora nella Mole Antonelliana. Iniziò così la
collaborazione tra Vallone e Lajolo, che curarono l’edizione
torinese de “L’Unità”, della quale il futuro attore divenne il
responsabile della pagina culturale. Una terza pagina che si avvaleva
anche di firme di prestigio, da Italo Calvino a Ludovico Geymonat, da
Massimo Mila a Cesare Pavese. Togliatti andava spesso alle
riunioni di redazione. Vallone era l’unico a non essere iscritto al
Partito, non gli era piaciuta la lettura della storia del Partito
bolscevico, nella quale Trotzky non appariva affatto, per lui la
politica era, anzitutto, rigore morale e intellettuale. Non prese mai
la tessera, quella menzogna proprio non l’aveva digerita. Ma quando
a Togliatti fece presente di non essere tesserato, il leader
comunista rispose sorridendo: “Però fai una bella terza
pagina!” E su quella terza pagina, che curava alternandola alla
recitazione di Garcia Lorca e Buchner presso il Teatro Gobetti, tra
riproposizioni dei classici latini e scritti di autori della
sinistra, non solo italiana, un giorno il regista Giuseppe De Santis,
uno dei maestri del neorealismo italiano, lesse una sua inchiesta
sulle mondine del vercellese. Da questi, Vallone ricevette una
telefonata, e iniziò così a pieno titolo, dopo due timide
apparizioni in lavori di Goffredo Alessandrini nel ’42, la carriera
di attore di successo, con “Riso amaro”. Era il 1949, la guerra
era già un ricordo lontano, anch’esso amaro.
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