Da
Wikipedia
La
presenza ebraica a Palermo nel 1900 è scarsamente documentata, ma non
dev’essere stata del tutto sporadica se la legge che regolava le comunità israelitiche
del 30/10/1930 prevede la costituzione di una comunità in città.
Di certo agli inizi del secolo alcune
cattedre universitarie erano ricoperte da ebrei, sia nel campo della scienza
che delle lettere. Un detto popolare suggerisce come complimento da rivolgere
ad una bella ragazza la similitudine “bedda
quantu n’a pupa ‘i Zabban”, cioè quanto un manichino esposto nella vetrina
di una famosa ditta di abbigliamento.
Numerose le sepolture ebraiche nel cosiddetto
cimitero degli inglesi, voluto dalla
famiglia Withaker, protestante, scesa in Sicilia per impiantarvi l’industria
del marsala. In mancanza di cimitero ebraico, si preferiva comunque non
mescolarsi con i cattolici e tale prassi è tuttora in essere.
La mia famiglia è approdata a Palermo per
ragioni di lavoro nel 1948. Non si aveva notizia di residenti ebrei, ma il caso
volle che sul posto di lavoro, l’Assemblea Regionale Siciliana, mia madre
incontrasse un deputato della sinistra indipendente ex partigiano piemontese ed
un giornalista di origini tunisine-livornesi, entrambi ebrei. Narrano le
cronache che se osservati a conversare, si supponesse in corso “una riunione di
sinagoga”, ma ciò non aveva connotazioni di antisemitismo.
Peraltro, l’assenza di un punto di riferimento
qual è un comunità costituita, rendeva difficile l’aggregazione degli ebrei,
salvo in circostanze fortuite.
In una riunione di genitori presso il liceo
frequentato da mio fratello, nostra madre incontrò una signora dall’accento
straniero, non so come avvenne il dialogo, ma la madre del compagno di classe
si rivelò una ebrea di Praga sposata ad un siciliano. Fu lei ad introdurci in
quel gruppo di signore anch’esse giunte a Palermo per matrimonio, molto
affiatate per comune ideologia. C’erano due medichesse, la titolare di un
grande emporio di casalinghi, la moglie di un professore di fisica, il cui
figlio fondò più tardi una famosa casa editrice, che in catalogo ha numerosi
titoli ebraici, una commerciante di articoli da neonato, con parenti ebrei a
Napoli. Tutte avevano incontrato i rispettivi coniugi in stazioni di
villeggiatura, quali Merano, Baden Baden, che una ristretta borghesia
palermitana frequentava tra le due guerre, al pari delle famiglie della mitteleuropa. Nessuna di loro osservava
le mitzvot, vuoi per non guastare l’atmosfera familiare o piuttosto per aver
portato seco l’assimilazione galoppante dei loro paesi d’origine. Così noi, le
rare volte in cui non potevamo recarci a Firenze dagli zii per Kippur,
trascorrevamo la giornata di digiuno con gli ebrei di Tunisi. Si trattava di
una famiglia
affettuosa quanto prolifica. All’assenza di madre o suocera, era mia
madre a supplire in occasione delle nascite. In totale 6 quasi tutti ancora
risiedono a Palermo. I maschi vennero circoncisi a Tunisi.
A parte Kippur, l’ebraismo era relegato in
cucina: il polpettone di tacchino prima del digiuno, le orecchie di Aman, le
scodelline di Pesach. Capitavano però incontri fortuiti: un semplice
acquisto di stoffa poteva concludersi con l’abbraccio tra venditore e
compratrice, dopo un singolare interrogatorio, un’attenta osservazione
reciproca e la dichiarazione dei rispettivi cognomi. Soccorreva anche il
passaparola: l’arrivo da Napoli del direttore ebreo della Sisal, ci portò a
conoscere un geologo milanese, oggi residente a Gerusalemme. Se interrogato,
tiene a precisare che non avrebbe resistito alcuni anni a Palermo se non ci
fosse stata la “sciura Fiorenza”, ossia mia madre.
L’approdo occasionale della motonave “Moledet” della ZIM ci vide tutti in
visita ed invitati a pranzo dall’equipaggio. Qualcuna spolverò, commossa, il suo
yiddish.
Altrettanto totalitaria fu la partecipazione
al concerto dell’orchestra di Ramat Gan che segnò anche un punto di svolta.
Nell’intervallo andando a complimentarci con il direttore, conoscemmo la prima viola del locale teatro
Massimo, un israeliano residente con la moglie a Palermo.
Vasca con iscrizione in giudeo arabo
(arabo siciliano scritto con caratteri ebraici)
Da GuidePalermo
Da GuidePalermo
Se i giovani scapoli per Kippur e Pesach
fuggivano per raggiungere le famiglie, gli israeliani restavano in loco ed
erano lieti di trovare a casa nostra un po’ di atmosfera ebraica oltre che
familiare. Da loro avemmo lezioni di ebraico, notizie su Israele e costituivano
il tramite con altri musicisti e cantanti scritturati dal teatro.
Intanto io avevo iniziato a frequentare
campeggi e seminari estivi, dove avevo conosciuto il mio maestro, Rav Emanuele
M. Artom. Tra i
tanti insegnamenti, quello fondamentale in quell’epoca fu l’osservanza delle mitzvot
nella loro essenza. E’ meritorio abbellirle, ma l’importante è metterle in pratica. Per
allestire il Seder di Pesach sono necessari: vino kasher, matzot e Haggadà che
si può leggere anche nella lingua materna. Tutti gli altri ingredienti sono
reperibili sul mercato locale. Lo zampino d’agnello può essere sostituito da un
secondo uovo sodo. La mancanza di un Beth Hakneset non impedisce di leggere le
tefillot in casa. Gli ebrei possono fare a meno della sinagoga, tutte le cerimonie
si svolgono in famiglia, tra le mura domestiche.
La presenza di israeliani e di altri ebrei di
passaggio ci consentì comunque di organizzare Sedarim secondo le migliori
tradizioni. Capitava che all’ultimo momento qualcuno telefonasse per
aver notizia di eventuali Sedarim pubblici e venivano ovviamente invitati da
noi. Si apparecchiava magari con un servizio eterogeneo, con qualche piatto
acquistato all’ultimo momento, ma kasher lePesach. In compenso gli invitati si
esibivano spesso nei loro canti tradizionali.
Era ormai risaputo che condizione necessaria
e sufficiente per ottenere un invito, non solo per Pesach, era una telefonata a
casa nostra, presentandosi con un cognome ebraico. Ai giovani veniva offerto
anche alloggio e servizio di lavanderia. Mio fratello ed io non sempre eravamo
entusiasti di cedere il letto o la stanza, ma nostra madre era inflessibile,
nella convinzione incrollabile che qualche famiglia ebraica avrebbe
all’occasione ricambiato
l’ospitalità ai suoi figli. La profezia si è puntualmente avverata
durante i miei soggiorni all’estero per conto della Banca d’Italia. A Londra,
Basilea, Bruxelles non ho trascorso una sola festa in solitudine e numerose
sono state le lettere di ringraziamento che ho dovuto tradurre dal linguaggio
un po’ ampolloso carico di gratitudine, di mia madre.
La mia partenza da
Palermo all’inizio della carriera in Banca d’Italia ha segnato, mi si perdoni
l’immodestia, un assopimento della vita ebraica palermitana. Ma essa si è
d’improvviso riaccesa sul finire del secolo. Di ciò altri possono meglio di me
raccontare.
Per saperne di più sulla Palermo (e la Sicilia in
generale) ebraica, propongo un link e un libro.
Il link è a Italia
Judaica - Gli ebrei in Sicilia sino all'espulsione del 1492 Atti del V convegno internazionale - Palermo,
15-19 giugno 1992
La Giuntina, Firenze, 2008
Leggiamone la presentazione
Non tutta la storia del popolo
ebraico è nota a tutti, specialmente quella legata ai luoghi lontani del
circuito tradizionale di osservazione. E' il caso della storia degli ebrei di
Palermo.
Questo è uno dei tanti libri di
memoria, un tema ricorrente nella storia del popolo ebraico, costellata da
continue diaspore, che hanno alimentato il mito dell'ebreo errante.
Anche la storia della comunità
ebraica di Palermo, che si racconta in questo libro, si conclude con una
diaspora; una storia millenaria le cui origini si perdono nella notte dei tempi
e la cui fine, per una fatalità storica (allora la Sicilia apparteneva alla
corona spagnola), fu la stessa degli ebrei spagnoli, segnata dall'editto di
espulsione dei re cattolici, promulgato a Granada il 31 marzo 1492.
Questo saggio si propone di far
conoscere questa antica comunità ebraica, la cui storia non è molto dissimile da
quella delle altre comunità ebraiche siciliane, che presenta delle peculiaretà
che la distinguono, trovandosi a vivere in una grande città come Palermo,
centro del potere politico e religioso.
Il racconto si snoda lungo sette secoli, di cui alcuni più corposi di altri, perché sostenuti da una maggiore quantità di documenti, molti dei quali costituiscono il Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia dei fratelli Lagumina, un'opera monumentale e indispensabile per la conoscenza dell'ebraismo siciliano. Da questo racconto si potranno cogliere gli aspetti sociali, culturali ed economici di una comunità multietnica che sopravvive nell'arco di molti secoli, adeguandosi alla tolleranza del governante di turno.
Il racconto si snoda lungo sette secoli, di cui alcuni più corposi di altri, perché sostenuti da una maggiore quantità di documenti, molti dei quali costituiscono il Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia dei fratelli Lagumina, un'opera monumentale e indispensabile per la conoscenza dell'ebraismo siciliano. Da questo racconto si potranno cogliere gli aspetti sociali, culturali ed economici di una comunità multietnica che sopravvive nell'arco di molti secoli, adeguandosi alla tolleranza del governante di turno.
Oggi della comunità ebraica di
Palermo, a parte i documenti cartacei conservati nell'Archivio di Stato e
qualche lapide tombale, non rimane più nulla e questo libro ne vuole
rinnovare la memoria.
Vasca con iscrizione in giudeo arabo
(arabo siciliano scritto con caratteri ebraici)
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