A Belvedere
Marittimo, nella Costa dei Cedri, a distanza di un anno dal primo, si è svolto
un incontro di calabresi e siciliani che hanno chiesto il ritorno dopo il
Gherush del 1492 che determinò l'espulsione dai territori soggetti alla corona
spagnola, quindi anche il Meridione d'Italia, di tutti gli ebrei residenti o
loro conversione forzata, originando il triste fenomeno del marranesimo, per
cui molti di questi cristiani novelli, pur vivendo secondo il cristianesimo,
conservarono la loro consapevolezza di appartenenza al giudaismo e di nascosto
mantenevano viva qualche tradizione dell'antica fede.
Antico e profondo il legame della Riviera dei
Cedri con il mondo ebraico: è proprio in questo lembo di Calabria che ogni anno
rabbini provenienti da tutto il mondo si dedicano alla raccolta dei cedri per
la festa dei Tabernacoli; proprio per onorare questo questo antico legame
giorno 20 dicembre il sindaco Giuseppe Aulicino ha insignito della cittadinanza
onoraria del comune di Santa Maria del Cedro Rav Moshé Lazar, frequentatore
della Riviera sin dagli anni Cinquanta, e il presidente dell'Unione Comunità
Ebraiche (Ucei), Renzo Gattegna.
Lo Shabbaton
si è svolto fra canti, preghiere e riflessioni condivise con amici venuti da
Trani, da Sannicandro, da Roma e da Padova è stato un intenso momento di
crescita per tutti i partecipanti, dopo l'havdalah, il momento che segna il
termine dello Shabbat, il Duo pianistico De Stefano e le gemelle Tatievskaya
hanno allietato la serata eseguendo con grande passione alcuni brani di Ravel e
di Smetana e il Kaddish di Max Bruch.
(foto
di Pina Brenner)
Domenica 23 dicembre la visita al
campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, non molto distante da Belvedere,
ha rappresentato un momento emozionante, riportando alla memoria un periodo
triste ed oscuro dell'Italia e della Calabria, le persecuzioni razziali di
epoca fascista e la Seconda Guerra mondiale, momenti tragici ma che furono
rischiarati da non rari guizzi di eroismo ed umanità.
La costruzione, del campo di
internamento di Ferramonti di Tarsia, ha avuto inizio nel maggio 1940 e fu
liberato dagli inglesi nel settembre del 1943 (anche se ma molti ex-internati
rimasero a Ferramonti anche negli anni successivi), fu ufficialmente chiuso
l'11 dicembre 1945: dal punto di vista cronologico fu quindi in assoluto il
primo campo di internamento per ebrei ad essere liberato e anche l'ultimo ad
essere formalmente chiuso.
Si è trattato del principale in
termini di consistenza numerica tra i numerosi luoghi di internamento per
ebrei, apolidi, stranieri nemici e slavi aperti dal regime fascista tra il
giugno e il settembre 1940, con una presenza media di oltre 2000 persone ed una
punta massima, raggiunta nell'estate 1943, di 2.700 persone, era costituito da
92 baracche su un territorio di circa mq. 160.000 circondato da un recinto di
filo spinato. Sorgeva nella Valle del Fiume Crati, a circa 6 Km dal paese di Tarsia, in
una zona malsana, malarica e paludosa, dove erano in corso lavori di bonifica.
Durante il periodo di prigionia molti internati si ammalarono e morirono di
malaria, altre vittime li fece un bombardamento aereo nel 1943, alcuni degli
ebrei deceduti a Ferramonti si trovano oggi nella zona ebraica dei cimiteri di
Tarsia e Cosenza.
Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, a
pochi metri dal campo, lungo la statale 18, passò l'intera armata tedesca
"Hermann Göring" in ritirata, per evitare le deportazioni degli
internati con il beneplacito della direzione tutti gli ebrei che potevano
furono fatti scappare nelle campagne circostanti, a protezione degli ebrei
rimasti si issò all'ingresso del campo una bandiera gialla a simbolo di epidemia
e si piazzarono delle mitragliatrici nascoste tra le baracche.
Il 14 settembre l'arrivo degli
Inglesi segnò la liberazione definitiva del campo. Dopo la chiusura rimase nel
luogo una direzione ebraica, supervisionata dagli inglesi, fino alla fine della
guerra. Molti degli ex-internati seguirono le forze armate alleate. Nel maggio
del 1944, un gruppo di circa 350 di loro si imbarcarono da Taranto per la
Palestina; altri partirono il 17 luglio 1944 da Napoli per gli Stati Uniti,
qualcuno rimase ricreando ex novo gli affetti familiari che la Shoah aveva
polverizzato, fra questi l'editore Gustav Brenner, nato a Vienna, che, dopo
aver sposato una ragazza di Cosenza, decise di rimanere,e vi fondò l’omonima
casa editrice, tutt'oggi attiva e rinomata in vari campi di studi,
specializzata soprattutto in ristampe anastatiche.
La responsabilità del campo era del ministero
dell'interno e diretto da un commissario di pubblica sicurezza, la sorveglianza
esterna era affidata alla MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), per
l'opera di umanizzazione verso le condizioni di vita degli internati, svolta
dai funzionari di polizia che si avvicendarono al comando (Paolo Salvatore in
primo luogo, e quindi Leopoldo Pelosio e Mario Fraticelli) e dal cappellano del
campo, il padre cappuccino fra Callisto Lopinot, si verificarono vari attriti
tra le autorità di polizia e la milizia, che comportarono problemi nei
confronti dei funzionari stessi. Si distinse in modo particolare il primo
direttore, Paolo Salvatore, che venne allontanato dal campo agli inizi del 1943
per un atteggiamento troppo permissivo nei confronti degli internati.
Il frate cappuccino Lopinot si
prestò alacremente per aiutare tutti, senza distinzione di credo e religione.
Anche il maresciallo del campo, Gaetano Marrari, viene ricordato dagli
internati con grande affetto per la sua umanità. L'area dove era collocato il
campo si trova ora accanto all'attuale svincolo di Tarsia sud dell'autostrada
A3 Salerno - Reggio Calabria, l'area a causa dei lavori di costruzione del
tratto stradale e dell'incuria del dopoguerra si presente profondamente
alterata ne sopravvivono solo poche baracche, dal 2004 si può visitare un
piccolo museo di proprietà del Comune di Tarsia. In realtà, anche l'attuale
area museale è al di fuori dell'originale perimetro del campo occupato dalle
baracche degli internati, situandosi nella zona dove si trovavano le abitazioni
dei responsabili del campo (quelle del direttore e del personale addetto alla
sorveglianza) e altre strutture tecniche (garage e officina, etc..). Il museo è
formato da alcune sale contenenti esclusivamente del materiale fotografico.
Dopo la toccante visita al campo
di Ferramonti, il gruppo si è spostato al cimitero di Tarsia dove sono state
intonate le preghiere per i defunti, e si è onorata, deponendo dei sassolini
provenienti da Israele, anche la memoria di Serafina Mauro, ricordata come l'
"angelo degli internati", morta quest’anno ultracentenaria, che aiutò
come sorella accogliendoli anche a casa sua, gli ebrei internati e i cui
figli giocavano con i suoi.
Il commiato fra i presenti, pur
triste per il dover lasciare tanti amici, ha rappresentato la gioiosa
consapevolezza di aver vissuto momenti importanti.
Filomena
Tosi
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