Roque Pugliese (foto di Pietro Calabrese)
Da giovedì 20 a domenica 23 dicembre si è svolto in Calabria, a Belvedere Marittimo (CS), uno Shabaton con illustri
presenze come il Rabbino Capo di Torino e dirigente di Shavei Israel, Rav Eliyahu
Birnbaum, il Rabbino Capo di Napoli e del Meridione, Rav Scialom Bahbout , il
responsabile del Progetto Meridione dell’Ucei, Gadi Piperno, e ancora per Shavei
Israel Rav Pierpaolo Pin’chas Punturello, già responsabile della Comunità di
Napoli.
All’inizio dell’incontro erano presenti il
Presidente della Comunità di Napoli, Pierluigi Campagnano, e Rav Moshé Lazar,
che il giorno precedente, insieme al Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche
italiane, Renzo Gattegna, aveva ricevuto la cittadinanza onoraria di Santa
Maria del Cedro.
Oltre ai relatori e ad ospiti di altre Comunità,
che hanno dato un significativo contributo, erano naturalmente presenti gli ebrei
della Calabria e di parte della Sicilia orientale, nonché rappresentanti degli
ebrei pugliesi, in particolare di Sannicandro e Trani.
Lo stimolante ed intenso dialogo
instauratosi ha fatto riaffiorare tracce di un popolo ebraico forse dimenticato
per troppo tempo. A testimonianza delle ferite ancora aperte in queste regioni nel
loro passato ebraico, pubblichiamo la lettera indirizzata, dopo la chiusura dei
lavori, dal Referente per la Calabria della Comunità di Napoli, Dott. Roque
Pugliese, ai Rabbanim presenti all’incontro.
Rav Scialom Bahbout e Gadi Piperno(foto di Filomena Tosi)
Grazie per averci dato la possibilità di
ricevere i vostri insegnamenti e di condividere assieme lo Shabbat di Belvedere
Marittima del 20 dicembre 2012.
Per tutti noi questa occasione è stata
preziosa per capire la vera essenza dell'ebraismo e di riconoscerla in quel
desiderio che la nostra anima ha sempre con insistenza pressato il cuore di
ognuno di noi.
Questo anelito dell'anima ha fatto sì
che tanti abbiano trovato “normale “ avvicinarsi alle Mitzvot e all'amore per
la Torah. Grazie anche per la vostra sensibilità e sapienza a mettere a proprio
agio tutti nonostante le nostre limitatezze culturali. Avete ragione quando
avete affermato che la spiritualità non basta per essere ebrei ma serve, oltre
alla grande conoscenza della Halachà, anche altro, che non dipende dalla volontà
individuale ma da regole ebraiche molto esplicite. Comunque il commento dei
partecipanti è stato di grande entusiasmo e di serenità per l'esperienza fatta.
Il Meridione d’Italia ha una latenza
alla emersione culturale ebraica molto forte da sempre. Gli effetti dell’inquisizione
spagnola e la cacciata degli ebrei presentano, a mio parere, due realtà parallele.
Una realtà, nel cui merito non posso
entrare, è quella degli storici che hanno delineato in base alle fonti
esistenti gli aspetti pratici dell’inquisizione cattolica e della espulsione
degli ebrei dai territori: alcuni ebrei sono andati via, altri si sono dovuti convertiti
in maniera forzata, e altri lo hanno fatto spontaneamente. Fine della storia.
Un’altra realtà non storicamente
provata è quella “antropologica e culturale”: gli ebrei rimasti hanno
continuato di nascosto la trasmissione delle proprie radici giudaiche con semplici
gesti e tacite affermazioni.
Gli effetti pratici della violenza dell’inquisizione
sono tuttora presenti in questa realtà “antropologica”. ove pregiudizi
antisemiti ed antiche accuse di deicidio sono presenti nella cultura popolare
ed in alcune tradizioni religiose cattoliche, soprattutto in Sicilia.
Io stesso ne sono stato vittima da
parte di gente comune mentre si faceva lezione di ebraico elementare in Sicilia:
accusato come rappresentante “deicida”.
A queste due realtà, quella storica
ufficiale e quella che ho chiamato antropologica culturale, se ne affianca una
tramandata all'interno dell'ebraismo, secondo cui i “veri ebrei” hanno
preferito andarsene e a volte morire pur di non accettare la conversione, mentre
gli "ebrei tiepidi" hanno accettato di convertirsi, alcuni con la
forza altri volontariamente.
In Calabria e Sicilia, negli ambienti a
“latenza ebraica”, vi è una prospettiva diversa su questa dolorosa diatriba
interna che sa tanto di classica “guerra tra poveri” ovvero tra fazioni oggetto
di una stessa sventura.
Questa prospettiva diversa ipotizza che
a poter andare via dalla Spagna e dal Meridione di Italia vi fu una grande
maggioranza di ebrei ricchi o con una buona capacità economica, mentre tanti
altri ebrei questa possibilità non l’hanno avuta.
Per capire questo dobbiamo calarci nella
situazione del 1500: un editto di espulsione ha imposto a migliaia di persone
di abbandonare i luoghi ove son nati e vissuti, e anche il lavoro fonte del
proprio sostentamento.
All’epoca non vi erano mezzi pubblici
veloci (autobus, automobili, camion, aerei): andare via da una nazione verso un’altra
ed attraversare luoghi ostili, era possibile con carri trainati da bestiame,
cavalli (per chi li aveva), o a piedi. Chiaramente trascinandosi dietro il
necessario per coprirsi, molta acqua, cibo a sufficienza, bambini e neonati non
in grado di camminare. Tutto molto pesante da trasportare.
Quanti furono gli ebrei che si potevano
permettere una tale organizzazione? Considerando che nel 1500 la forza lavoro
erano le braccia, ogni famiglia aveva una media di cinque-dieci figli. Un padre
con dieci figli, senza carri o possibilità di trasportare cibo non
deteriorabile ed acqua per un viaggio di almeno un mese a piedi, che probabilità
aveva di far sopravvivere un terzo dei propri figli? Poche o nessuna,
considerando un’epoca senza antibiotici e dove la denutrizione era uno stato
endemico di tutta la popolazione e che una piccola malattia o carestia aveva
effetti devastanti soprattutto in età pediatrica.
A quel padre di famiglia, per non far
morire i figli non rimaneva che accettare pubblicamente una conversione.
Sicuramente quel padre, umanamente, avrà pensato che la sua anima ebraica, la sua
neshamah, non gliela toglieva nessuno, nemmeno un battesimo. Ad una morte certa
dei propri figli, per un viaggio in condizioni precarie, ha applicato la regola
del valore della vita e la sopravvivenza della discendenza, della vita.
Quindi chi è andato via aveva i mezzi per
poterlo fare, era gente benestante che avrà potuto aiutare un numero limitato
di persone. Agli altri non rimaneva che mantenere le posizioni sul territorio e
prepararsi ad una ottica di RESISTENZA culturale ad una guerriglia "spirituale”
e sotterranea.
Creare un FRONTE DI RESISTENZA era molto
più difficile che andar via, non vi pare? Una grande sfida sulla lunga distanza,
lunga secoli ma costante. Il pensiero dominante era: ”la mia Fede vivrà"
così come è sopravvissuta in altre situazioni.
Questo è quello che si racconta.
Quindi: nel Meridione di Italia è stato
commesso un torto ad una popolazione ebraica da parte dei regnanti di quei
tempi. Una parte di quella popolazione è rimasta in queste terre per le ragioni
di cui sopra ed è riuscita a tramandare il senso di appartenenza ebraica ai
propri discendenti .
La memoria storica della presenza
ebraica nel Meridione è stata in gran parte cancellata e tuttora permangono
retaggi culturali di pregiudizi.
Questa popolazione ha sopportato nel
silenzio un giogo spirituale con il sogno un giorno di rivalsa da parte della
propria progenie nella terra del Meridione di Italia.
Un riavvicinamento tra le comunità del Nord
e queste popolazioni sarebbe un atto che dimostrerebbe la capacità del popolo
ebraico di ricucire le ferite del proprio passato e dare giustizia ad un torto
fatto ai propri fratelli.
Concludo con un passo a noi molto caro del
Profeta Geremia, che parla di discendenza della casa di Israele.
Con
gratitudine, Roque
Geremia 23. 7- 8
“Perciò, ecco, i giorni
vengono”, dice il SIGNORE, “ in cui non si dirà più:
“Per la vita del SIGNORE che
condusse i figli di Israele fuori dal paese d’Egitto”,
ma “Per la vita del SIGNORE che
ha portato fuori e ha ricondotto la discendenza della casa di Israele dal paese
del settentrione e da tutti i paesi nei quali io li avevo cacciati”, ed essi
abiteranno nel loro paese”.
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