Da
L’Indro
Immagini
da Amit4U
Data
cruciale: 31 ottobre 1943. Una jeep con due soldati dell’Ottava armata
britannica di Montgomery percorre la strada accidentata che da San Severo porta
a Cagnano Varano. Passando all’interno del centro abitato di San Nicandro i
soldati notano una donna che, da una finestra, sventola una grossa bandiera con
la stella di David: la medesima stella dipinta sul cofano del veicolo
militare. I due ufficiali -ebrei della Palestina, allora sotto amministrazione
britannica- si fermano ad investigare e scoprono la storia di una
conversione straordinaria anche per quei tempi.
In
un clima di feroce sospetto per la diversità che sarebbe sfociata nel 1938
nelle leggi razziali, un gruppo di cinquanta famiglie contadine del Gargano
si convertì spontaneamente alla religione ebraica. Nella montagna del sole
tornò alla luce del sole dopo 500 anni, una religione messa al bando.
La
Puglia un tempo pullulava dei figli di Abramo che hanno ben mimetizzato segni
di fede ed impronte culturali.
La
comunità tuttavia non è morta. Ha saputo trasmettersi attraverso tre
generazioni, soprattutto grazie alle donne. “La cosa bella è che i nostri
antenati manifestano apertamente la loro fede senza mai nascondersi di fronte
al pericolo. Abbiamo ottimi rapporti con la terra d’Israele”, racconta
dall’interno della minuscola sinagoga di San Nicandro Garganico, Grazia Gualano,
25 anni, “Noi siamo alla ricerca delle nostre radici, aperti al dialogo,
alla conoscenza dell’altro, al rispetto reciproco”.
Lo
scorso giugno, è stato presentato il docu-film sugli ebrei sannicandresi ’Zefat,
San Nicandro - Il viaggio di Eti’ scritto e diretto dal regista Vincenzo
Condorelli prodotto dall’Apulia Film Commission.
All’inizio
del 1939 Francesco Cerrone, un calzolaio fra i più attivi dei
convertiti, viene convocato alla caserma della Benemerita. Cerrone, per sua
fortuna, doveva possedere un certo acume politico: quando gli fu chiesto se era
“ebreo o cristiano”, rispose: “Noi siamo italiani e adoriamo il Dio Unico e
ci riposiamo il sabato come Dio e il Duce ci hanno detto di fare”. Il
medesimo atteggiamento da parte dei figli di Levi -come si chiamarono fra di
loro- continuò negli anni della guerra.
Fu
la geografia e sicuramente la
fortuna a salvarli, poiché a poche decine di chilometri, proprio ai piedi
del promontorio garganico, precisamente alla periferia della città di
Manfredonia, in riva all’Adriatico, fu allestito segretamente in un macello
per animali da allevamento, un perfetto campo di internamento. “Perché,
da dove sorge questo desiderio, questo bisogno di non cedere, questa mancanza
di paura, questa crescente esigenza di ostentare la loro fede nel Dio
d’Israele?” argomenta Elena Cassin, esperta di civiltà mesopotamiche
“Ci si può domandare perché questi uomini e queste donne hanno sfidato
pericoli gravissimi per sé e i loro figli, perché, proprio in un momento di
grande pericolo per gli ebrei italiani, il loro desiderio di far parte del
popolo ebraico, che era diventato un popolo di paria, si manifesta con tanta
forza. C’erano ebrei che avevano cercato di fuggire da quel ginepraio, c’erano
stati perfino degli ebrei, casi molto rari, che avevano ottenuto di essere
dichiarati ariani onorari”.
Nella
montagna del sole a guidare questa gente c’era Donato Manduzio, un
contadino con 45 primavere sul groppone, invalido di guerra e organizzatore di
spettacoli paesani (‘I reali di Francia’, ‘Il conte di Montecristo’).
Lui ebbe una prima visione. Correva il 10 agosto dell’anno 1930. Nei suoi diari
si legge: «Mi trovavo nell’oscurità e sentivo una voce che mi diceva: ‘Ecco,
vi porto una luce’. Ho visto, nelle tenebre un uomo che teneva in mano una
lanterna spenta che non illuminava. E gli dissi ‘Perché non accendete la
lampada che avete in mano?’. E l’uomo disse: ‘Non posso, non ho fiammiferi. Ma
voi ne avete’. Allora ho guardato la mia mano e, infatti, tenevo un fiammifero
già acceso». Il giorno seguente, un ragazzo si reca da lui con una Bibbia
in mano, regalatagli da un protestante. Manduzio si mette a leggere e subito «una
luce si accese nel mio cuore». Donato Manduzio pensava di aver riscoperto
una religione morta. Quando si mise a leggere il Pentateuco e quando ordinò ai
suoi seguaci di chiamarlo Levi, Manduzio credette che il popolo ebreo fosse
scomparso da secoli. Solo un anno dopo la prima visione, quando aveva già
riunito un piccolo gruppo intorno a sé per celebrare la nuova religione a modo
suo, usando il Vecchio Testamento con ulteriori suggerimenti fornitigli da un
susseguirsi di sogni profetici, un venditore ambulante gli riferì che “le
città sono piene di quel popolo”. Manduzio allora scova l’indirizzo del
capo rabbino di Roma e gli scrive una cartolina per dire che lui, cattolico di
nascita, ha rifondato una religione che però sembra esista ancora, e perciò
sarebbe molto grato se il rabbino potesse riconoscere formalmente questa sua
conversione, nonché quella dei suoi seguaci. Il messaggio sembra uno scherzo e
finisce nel cestino.
A
quell’epoca, erano già iniziate le prime provocazioni ai danni delle autorità
ebraiche. Ma Manduzio insiste: è un uomo determinato e anche intelligente che
ha imparato a leggere e scrivere da soldato durante la prima guerra mondiale.
Ritornerà dalle trincee del Carso istruito, ma anche malato: una misteriosa
ferita -o forse una malattia- gli impedisce di lavorare nei campi e viene
riconosciuto come invalido di guerra. Negli anni Venti arrotonda la pensione
facendo il guaritore e organizzando degli spettacoli durante le interminabili
notti d’inverno. Aveva un autentico talento come narratore di epiche popolane:
il suo racconto de ‘Il Conte di Montecristo’ durava intere serate, coinvolgendo
come attori, un gruppo di amici, per i quali aveva confezionato dei costumi di
carta. In una delle rare fotografie di Donato, lui appare lindo, lucido, con
due occhioni neri, irresistibili.
Quando
nel 1930 decide di abbandonare la magia e dedicarsi alla religione, aveva già
numerosi proseliti pronti a seguirlo. Un’aspirante profeta, dunque, aveva
parecchi spunti per una religione fai-da-te. Nonostante la sua scelta decisa
della religione ebraica come unica fonte di verità, Manduzio non accettava
tutti gli optional. Aveva un’avversione, per esempio, per il Talmud,
che considerava, grazie a un’altra visione, un tradimento ritualista e
giuridico della legge mosaica.
Un
mese più tardi la spedizione della prima cartolina, non avendo ottenuto
risposta, Manduzio scrive una lettera lunga e dettagliata al rabbino di Roma.
Questa volta lui risponde, ma è ancora diffidente: vuole sapere come mai si
sono messi in testa di abbracciare il giudaismo in una paese dove non c’erano
ebrei e dove il giudaismo come pratica di vita doveva essere totalmente ignoto.
A differenza delle molte sette evangeliche che andavano a caccia di anime nella
Puglia di quegli anni, l’ebraismo non ne aveva mai cercate. Anzi, spiegava il
rabbino Sacerdoti: «l’ebraismo solo eccezionalmente accetta proseliti»,
anche perché «considera che la vita futura non è appannaggio esclusivo degli
ebrei». Manduzio, tuttavia, si impone e viene mandato il primo di una serie
di emissari, un pò per guidare, un pò per controllare il gruppo.
Nel
1936 arriva Raffaele Cantoni, rappresentante del nuovo rabbino di Roma, Davide
Prato. Cantoni distribuisce 22 taledoth -gli scialli portati dagli
ebrei maschi durante la preghiera- e inaugura una sinagoga in una casa
affittata -dopo mille peripezie- a tale scopo. La sinagoga, però, non riceve
l’autorizzazione del Ministero degli Interni e nello stesso periodo le autorità
fasciste cominciano ad interessarsi del gruppo di San Nicandro.
I
visitatori di casa Manduzio vengono tenuti sotto stretto controllo dai
carabinieri; e si scomoda pure l’Ovra -la polizia segreta fascista.
Quando il rabbino capo di Roma cerca di salvare Manduzio e i suoi dalla
tempesta imminente, spiegandogli che siccome la loro conversione «non è mai
stata legalizzata» possono benissimo anche esentarsi dal considerarsi
ebrei, Manduzio gli scrive indignato una missiva firmata da tutti gli uomini e
le donne della comunità.
Prima
di morire Manduzio vide realizzarsi il suo desiderio più forte: nell’agosto del
1946, il rabbino di Ravenna è inviato a San Nicandro per preparare la
circoncisione collettiva che avrebbe segnato l’integrazione definitiva dei
figli di Levi nella comunità ebraica italiana.
Dieci
giorni dopo la circoncisione ebbe luogo la Tebilah -il bagno rituale- che si
svolse sulla spiaggia di Torre Maletta.
La
scomparsa di Manduzio, nel 1948, apre
le porte all’emigrazione nella Terra promessa. I primi a partire sono i due
figli di Ciccillo Cerrone (il calzolaio) che si imbarcano a Bari e si arruolano
nell’Haganà
(all’epoca della prima guerra tra arabi ed ebrei). Dopo fu un esodo.
Nel
cimitero del paese una lapide di marmo grigio reca questa iscrizione, tra due maghen-David:
«Donato Manduzio nacque nel 1885 e visse nell’uso del paganesimo fino al 1930,
ma l’11-8 corrente anno per ispirazione divina fu chiamato da Dio col nome di
Levi cioè sacerdote, e bandì in questa roccia tenebrosa l’unità di Dio e il
riposo del sabato. Morto il 15-3-1948».
Il
seme non si è estinto ma ha dato i suoi frutti. «E’ impensabile per chi governa
la cosa pubblica escludere queste radici ebraiche» attesta il sindaco Costantino
Squeo. Come dargli torto: impossibile immaginare pensieri lungimiranti
senza accogliere il prossimo.
Nessun commento:
Posta un commento