Una copia del Pentateuco del 1475 esposto alla Fiera del libro di Torino nello stand della Calabria
E noi vi abbiamo rivelato...
E noi vi abbiamo rivelato...
L’Assessore regionale alla
Cultura Mario Caligiuri ha
incontrato il Presidente delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna con il quale ha
concordato che una copia del volume “Pentateuco”,
stampato nel 1475 a Reggio Calabria, sarà al centro delle
iniziative nello stand della Regione al Salone
del Libro di Torino. Il “Pentateuco” è il primo libro al mondo in
ebraico. La copia del prezioso volume, in prestito dalla Biblioteca Palatina di
Parma, sarà “ospite d’onore” al Salone, che si terrà dal 16
al 20 nel prossimo mese di maggio.
L’esposizione del “Pentateuco”
- informa una nota dell’Ufficio stampa della Giunta - sarà l’occasione per
riscoprire e ribadire le radici ebraiche in Calabria e in tutto il Meridione
d’Italia, ancora vive dopo secoli. Si allestirà un programma di iniziative per
costruire rapporti culturali, economici, scientifici, commerciali e turistici e
che verrà presentato il tre maggio a Torino.
Riproduco qui di seguito il post già pubblicato qualche anno
fa su questa opera.
Tonino Nocera
Il 18 febbraio 1475 Avraham Garthon stampò a Reggio di Calabria con caratteri corsivi sefarditi il commento al Pentateuco di Shelomh ben Yshaq. Il nome e la data sono impressi nel colophon. Questo lo fa ritenere il primo libro ebraico stampato in Italia. Secondo Giuliano Tamani furono tirati circa trecento esemplari; uno solo è sopravvissuto, mancante di 2 o 3 carte all’inizio, ed è conservato nella Biblioteca Palatina a Parma. Un frammento di due carte è conservato a New York nella biblioteca del Jewish Theological Seminary.
Il possessore dell’esemplare conservato a Parma, G. B. De Rossi, ne possedeva un altro che però cadde nel Po e andò perso.
Quindi non esistono altre copie di questo incunabolo.
Però è opportuno ricordare che a Roma, l’11 ottobre 1943, i nazisti saccheggiarono la biblioteca della Comunità e parte di quella del Collegio Rabbinico. Riempirono tre carri ferroviari con decine di casse colme di libri disposti con cura perché non si deteriorassero. La biblioteca della Comunità era composta di settemila volumi. Si trattava di libri, manoscritti, incunaboli, molti esemplari unici. A Roma erano giunti gli ebrei espulsi dalla Spagna, dalla Sicilia e dalla Calabria che avevano contribuito a incrementare la biblioteca.
C’erano opere cinquecentesche stampate a Costantinopoli; testi seicenteschi e settecenteschi stampati a Livorno e Venezia.
Era un patrimonio librario di inestimabile valore: un unicum sia per la quantità sia per la qualità del materiale che si era sedimentato nel corso dei secoli. La commissione ministeriale presieduta da Tina Anselmi (Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati) ha svolto accurate indagini e secondo un componente - l’avvocato Dario Tedeschi, che fu, vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane - sono stati trovati indizi che farebbero ben sperare. Ma della biblioteca ancora nessuna traccia. Di recente Giulio Busi in un articolo pubblicato da Il Sole 24 ore ha scritto di aver trovato su una bancarella di libri usati a Londra uno dei libri rubati a Roma.
Ignoro se tra essi possa trovarsi qualche altra copia del Commentario. A Reggio furono prodotti anche alcuni manoscritti ebraici che ora si trovano in varie biblioteche come la Biblioteca Ambrosiana a Milano.
La vicenda del libro si inquadra nell’ambito della storia delle comunità ebraiche nel Mediterraneo. Una storia ancora per molti aspetti poco nota e da approfondire. I paesi rivieraschi del Mediterraneo ospitavano comunità ebraiche da tempo immemorabile. Le loro vicende stanno lentamente riemergendo. Un contributo notevole è stato fornito dai manoscritti della Geniza de Il Cairo, che hanno ispirato il romanzo di Amitav Gosh, Lo schiavo del manoscritto. Una parte degli ebrei dell’Italia meridionale si diresse, dopo l’espulsione, anche verso l’Impero Ottomano. A Salonicco sorsero sinagoghe i cui nomi sono indicativi: Italia, Sicilia, Puglia, Calabria, Otranto. Lo stesso accadde a Costantinopoli: Sicilia, Messina, Puglia e Calabria.
Il 18 febbraio 1475 Avraham Garthon stampò a Reggio di Calabria con caratteri corsivi sefarditi il commento al Pentateuco di Shelomh ben Yshaq. Il nome e la data sono impressi nel colophon. Questo lo fa ritenere il primo libro ebraico stampato in Italia. Secondo Giuliano Tamani furono tirati circa trecento esemplari; uno solo è sopravvissuto, mancante di 2 o 3 carte all’inizio, ed è conservato nella Biblioteca Palatina a Parma. Un frammento di due carte è conservato a New York nella biblioteca del Jewish Theological Seminary.
Il possessore dell’esemplare conservato a Parma, G. B. De Rossi, ne possedeva un altro che però cadde nel Po e andò perso.
Quindi non esistono altre copie di questo incunabolo.
Però è opportuno ricordare che a Roma, l’11 ottobre 1943, i nazisti saccheggiarono la biblioteca della Comunità e parte di quella del Collegio Rabbinico. Riempirono tre carri ferroviari con decine di casse colme di libri disposti con cura perché non si deteriorassero. La biblioteca della Comunità era composta di settemila volumi. Si trattava di libri, manoscritti, incunaboli, molti esemplari unici. A Roma erano giunti gli ebrei espulsi dalla Spagna, dalla Sicilia e dalla Calabria che avevano contribuito a incrementare la biblioteca.
C’erano opere cinquecentesche stampate a Costantinopoli; testi seicenteschi e settecenteschi stampati a Livorno e Venezia.
Era un patrimonio librario di inestimabile valore: un unicum sia per la quantità sia per la qualità del materiale che si era sedimentato nel corso dei secoli. La commissione ministeriale presieduta da Tina Anselmi (Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati) ha svolto accurate indagini e secondo un componente - l’avvocato Dario Tedeschi, che fu, vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane - sono stati trovati indizi che farebbero ben sperare. Ma della biblioteca ancora nessuna traccia. Di recente Giulio Busi in un articolo pubblicato da Il Sole 24 ore ha scritto di aver trovato su una bancarella di libri usati a Londra uno dei libri rubati a Roma.
Ignoro se tra essi possa trovarsi qualche altra copia del Commentario. A Reggio furono prodotti anche alcuni manoscritti ebraici che ora si trovano in varie biblioteche come la Biblioteca Ambrosiana a Milano.
La vicenda del libro si inquadra nell’ambito della storia delle comunità ebraiche nel Mediterraneo. Una storia ancora per molti aspetti poco nota e da approfondire. I paesi rivieraschi del Mediterraneo ospitavano comunità ebraiche da tempo immemorabile. Le loro vicende stanno lentamente riemergendo. Un contributo notevole è stato fornito dai manoscritti della Geniza de Il Cairo, che hanno ispirato il romanzo di Amitav Gosh, Lo schiavo del manoscritto. Una parte degli ebrei dell’Italia meridionale si diresse, dopo l’espulsione, anche verso l’Impero Ottomano. A Salonicco sorsero sinagoghe i cui nomi sono indicativi: Italia, Sicilia, Puglia, Calabria, Otranto. Lo stesso accadde a Costantinopoli: Sicilia, Messina, Puglia e Calabria.
Questo è il primo libro stampato in ebraico a portare una data, (10 adar 235 = 17/18 febbraio1475).
Queste immagini provengono dal facsimile della sola copia quasi completa conosciuta, attualmente custodita alla Biblioteca Palatina di Parma (edita da J. Joseph Cohen, National and University Library, Jerusalem, [1969]). La copia di Parma manca dei primi fogli, e il fol. [1a] comincia con il commento a Genesi 3.4, “Tu sicuramente non morrai”, la risposta del serpente ad Eva.
Sebbene sia la prima edizione stampata con data, l’opera non è né la prima edizione del commento di Rashi, né il primo libro stampato in ebraico.
Tra il 1469 e il 1472 tre fratelli, Obadiah, Menasseh, e Beniamino di Roma, furono attivi come primi tipografi in ebraico. Sono note sicuramente sei opere uscite dalla loro stamperia, tra cui vi era la prima edizione, benché priva di data, del commentario di Rashi.
Queste immagini provengono dal facsimile della sola copia quasi completa conosciuta, attualmente custodita alla Biblioteca Palatina di Parma (edita da J. Joseph Cohen, National and University Library, Jerusalem, [1969]). La copia di Parma manca dei primi fogli, e il fol. [1a] comincia con il commento a Genesi 3.4, “Tu sicuramente non morrai”, la risposta del serpente ad Eva.
Sebbene sia la prima edizione stampata con data, l’opera non è né la prima edizione del commento di Rashi, né il primo libro stampato in ebraico.
Tra il 1469 e il 1472 tre fratelli, Obadiah, Menasseh, e Beniamino di Roma, furono attivi come primi tipografi in ebraico. Sono note sicuramente sei opere uscite dalla loro stamperia, tra cui vi era la prima edizione, benché priva di data, del commentario di Rashi.
Inoltre, nell’edizione del 1475 Abraham Garton creò ed usò, per la prima volta, un carattere basato su un semicorsivo manuale di tipo sefarditico. È questo stesso tipo di carattere che pochi anni dopo, quando il commentario e il testo furono incorporati in una pagina, sarebbe stato usato per distinguere il commentario rabbinico dal testo biblico. In seguito, questo tipo di carattere sarebbe stato conosciuto come “corsivo Rashi”.
In basso, l'ingrandimento delle linee 9-11 della prima pagina (in alto a destra)
In basso, l'ingrandimento delle linee 9-11 della prima pagina (in alto a destra)
(la pagina finale dove sono riportate le indicazioni tipografiche:
editore, data e luogo di stampa
Ricordo che di questo volume esistono due copie anastatiche, custodite a disposizione degli studiosi, una a Reggio e una a Gerusalemme.
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