Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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lunedì 8 febbraio 2010

Dalla Calabria a Milano

Dal sito di Beth Shlomo, sinagoga posta nel cuore di Milano, prendo alcune notizie che riguardano il campo di Ferramonti, da cui arrivarono l'Aron-ha-Kodesh (la teca in cui sono custoditi i rotoli della Torah) e altri arredi del Tempio, provenienti dalla piccola sinagoga costruita dagli internati.

1945, da via Unione il primo minyan Sara Pirotta

La sinagoga di Ferramonti


Milano, 1945, via Unione. Un evento di portata storica si dipana in quella viuzza alle spalle del Duomo: qui, in quei primi giorni dopo la Liberazione, stremati e ancora sotto choc, gli ebrei d’Europa stanno approdando alla spicciolata, il passo malfermo, lo sguardo incerto e ancora ignaro della sorte dei propri cari. Qui, in via Unione, i soldati della Divisione Palestina sono alle prese con un intrico di operazioni segrete finalizzate all’arrivo dei sopravvissuti dispersi, tutta gente che i compagni della Brigata Ebraica sta convogliando verso il capoluogo lombardo: difatti, in quei mesi, Milano si sta trasformando nel cuore logistico europeo dell’emigrazione clandestina in Eretz Israel. L’attività in incognito di questi soldati si intreccia così a quella della rinascente Comunità Ebraica milanese che, dopo il 25 aprile, ritornava timidamente alla vita, ospitando in via Unione 5, nei locali di Palazzo Erba-Odescalchi, i numerosi ebrei italiani costretti a fuggire nonchè i sopravvissuti e i profughi stranieri.
Sede per tutto il Ventennio della brigata fascista “Amatore Sciesa”, l’edificio di via Unione era stato dato in uso dal Cln alla Comunità. Nei due piani della palazzina furono allestiti un Tempio, una mensa e un dormitorio. All’interno dell’oratorio, trovò posto un Aron HaKodesh donato dai militari agli ebrei milanesi.
“La storia della nostra Comunità - racconta Eugenio Schek, figlio di Ariel Schek, soldato della Divisione Palestina della Quinta Armata delle Forze Alleate -, parte proprio da questo Aron HaKodesh, oggi conservato nella sinagoga Beth Shlomo She’erit Haplità, situata nell’ottagono della Galleria Vittorio Emanuele II. Un oggetto piccolo, vetusto, ma dal grande valore storico e simbolico”. Seguendo il filo del tempo, ritroviamo l’Aron nella sinagoga del Campo di internamento di Ferramonti, vicino a Cosenza. La struttura detentiva era stata appositamente costruita dai fascisti perché vi fossero imprigionati gli ebrei che, emigrati in Italia dall’Europa orientale in cerca di riparo, non erano in possesso della cittadinanza italiana.
“Sul finire della guerra - ha continuato Schek-, il campo fu liberato e successivamente occupato dai soldati volontari della Brigata Ebraica, provenienti dalla Palestina, allora sottoposta al Mandato britannico e aggregati alle truppe del Generale Alexander. I militari si stabilirono nel campo e utilizzarono l’oratorio come sinagoga militare. Al momento di riprendere la risalita della Penisola, la brigata portò con sé l’Aron e alcuni arredi che furono successivamente donati al primo nucleo della Comunità israelitica milanese”. La storia di questi soldati, dell’Aron HaKodesh di Ferramonti e della nuova vita della Comunità si intreccia a quella dei militari ebrei, appartenenti alla Divisione Palestina che, giunti nella città lombarda, dopo avere risalito con la Quinta Armata la costa tirrenica, stabilirono il loro quartier generale al secondo piano di un altro palazzo, quello di via Cantù.
L'Aron kodesh proveniente da Ferramonti
Una storia che ancora oggi è testimoniata dall’Aron HaKodesh, dagli arredi e dai libri di studio del campo di Ferramonti conservati nel Tempio Beth Shlomo. Alla chiusura di via Unione, attorno al 1952, la sinagoga di palazzo Odescalchi fu trasferita in un locale nei pressi di Corso di Porta Romana. Nel 1997, il Comune di Milano e l’allora sindaco Marco Formentini, riconosciuta l’importanza storica e culturale del Tempio, concessero in affitto al Beth Shlomo l’attuale prestigiosa sede nell’Ottagono della Galleria, che noi abbiamo ristrutturato e reso vivibile. Oggi, però, il futuro della sinagoga è incerto. Scaduto il contratto d’affitto, abbiamo perso le sovvenzioni che ci permettevano di pagarne la spesa, e non sappiamo se il Comune stipulerà un nuovo contratto o se saremo obbligati a trovare un’altra sede.
Dall’Amministrazione non riceviamo alcuna risposta, né la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto. Ringraziamo quanti si sono adoperati a favore di una soluzione che, nell’interesse di tutti, tuteli il patrimonio storico, religioso e umano che è rappresentato e racchiuso nel Tempio Beth Shlomo She’erit Haplità”.

Nel 1940 alla proclamazione delle leggi razziali in Italia, il Governo di allora radunò gli ebrei presenti sul territorio nazionale che non avessero avuto la nazionalità Italiana per rinchiuderli a Ferramonti (Cosenza) in un campo di internamento appositamente costruito.
Dentro quelle mura intere famiglie vissero in condizioni di ristrettezza ma con una certa libertà, tanto che fu concesso ai prigionieri di costruirsi una piccola sinagoga all'interno del campo stesso.
Quando nel 1943 il campo fu liberato dalle truppe Britanniche, nelle cui file combatteva anche una Brigata Ebraica costituitasi nell'allora protettorato della Palestina, la Sinagoga continuò ad operare come Sinagoga militare all'interno del campo che si trasformò lui stesso in base militare.
Dopo la liberazione, Milano ospitò il quartiere generale della Brigata Ebraica che da qui organizzò l'immigrazione degli scampati dai campi di sterminio nazisti, verso quello che sarebbe presto diventato lo stato di Israele.
Durante questo periodo, migliaia di rifugiati furono introdotti a Milano ed ospitati per periodi anche lunghi in Palazzo Odescalchi, in via Unione 5, sede assegnata temporaneamente alla Comunità Ebraica di Milano. In due stanze all'interno dell'edificio i rifugiati fondarono un Beth Hamidrash ( Casa di Studio ) che prese il nome di She'erit Haplita' (il resto dei sopravvissuti) in ricordo della sua tragica storia.
Furono utilizzati gli arredi ed i libri di studio della Sinagoga di Ferramonti, nel frattempo trasferita a Milano dall'Esercito Inglese, per essere ancora utilizzata come Sinagoga militare.
Quando pochi anni dopo via Unione 5 chiuse i battenti per divenire sede di una Questura, la Sinagoga continuò a vivere ad opera di alcuni sopravvissuti che avevano deciso di eleggere Milano a loro dimora, trasferendosi in un vicino locale ma conservando gli stessi arredi utilizzati in via Unione, le stesse sedie su cui sono ancora impressi i nomi dei primi frequentatori.
Durante gli anni il Beth Hamidrash fu rinominato diverse volte in memoria di alcuni suoi sostenitori da Shmuel Bestandig, presidente durante la permanenza in via Unione, sino all'attuale nome in ricordo di Sally ( Shlomo ) Mayer.

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