Presentazione
del libro di Enrico Tromba, Stefano
Nicola Sinicropi e Antonio Sorrenti, 2016.
Il libro
racconta la storia di 500 ebrei che, in fuga dalla barbarie nazista, cercano di
raggiungere la Palestina e la definitiva salvezza a bordo di un improbabile
battello, il Pentcho. Questo viaggio della speranza si arenò su un isolotto
dell’Egeo. Furono tratti in salvo da una nave della Marina Italiana e
successivamente condotti all’internamento nell’isola di Rodi. Dopo oltre un
anno vennero inviati nel campo di Ferramonti, in Calabria, dove la maggior
parte di loro riuscì a salvarsi dai rastrellamenti nazisti. Alla presentazione
intervengono: il direttore del Museo della Shoah di Roma e Consulente
scientifico della Fondazione Museo della Shoah, Marcello Pezzetti; il dott. Mestan, direttore del Museo della Cultura Ebraica di Bratislava; Stanislava Šikulová, Consulente del
Museo della Cultura Ebraica del Museo Nazionale Slovacco di Bratislava; il
Capitano di Vascello Giosuè Allegrini,
Direttore dell’Ufficio Storico della Marina Militare; Elvira Frenkel e Jacob Klein, testimoni della vicenda. Saranno
presenti gli autori.
A cura del Centro di cultura ebraica della Comunità ebraica di Roma in
collaborazione con Marina militare, Ambasciata della Repubblica Slovacca in
Italia, Istituto Slovacco a Roma, Fondazione Museo della Shoah, Libreria Kiryat
Sefer
Roma, 1° febbraio 2017, Fondazione
Museo della Shoah, Casina dei
Vallati, Via del Portico
d'Ottavia, 29
Saluti di: Mario Venezia, Presidente della
Fondazione Museo della Shoah; S.E. Ján
Šoth, Ambasciatore della Repubblica Slovacca in Italia; Ruth Dureghello, Presidente della
Comunità ebraica di Roma.
Il 27 gennaio 2016,
la troupe di "Sorgente di Vita" è venuta nel Campo di Ferramonti di
Tarsia dove ha registrato una intervista a Dina Smadar e Eva Porcilan,
discendenti dei profughi del Pentcho. Un bel servizio dove viene ricostruita
l'incredibile vicenda di un barcone carico di Ebrei in fuga da Bratislava alla
Palestina, dove arrivarono dopo la reclusione a Ferramonti
Dal sito di Anna Pizzuti
ODISSEA DEL PENTCHO
Fondazione Centro di documentazione ebraica
contemporanea - Milano
Fondo Israel Kalk - "Der Pentho Trasport" di
Enrico Wisla: ricordi di un passeggero di questa nave che con 520 ebrei tentò
nel 1941 di raggiungere da Bratislava la Palestina attraverso il Danubio, il
Mar Nero e il Mediterraneo, e che naufragò nell'Egeo. I naufraghi furono
salvati dalla marina militare e internati in un primo periodo a Rodi poi
trasferiti a Ferramonti-Tarsia.
Il
16 maggio 1940 la nave "Pentcho""con a bordo 520 emigranti ha
lasciato il porto sul Danubio Bratislava diretta verso la Palestina. Era uno
spettacolo che faceva rizzare i capelli: su un vecchio rimorchiatore danubiano,
che forse serviva una volta per il trasporto di bestiame o di grano e che per
l'imminente viaggio avventuroso era provvisto di alcuni tavolati ed impalcature
addizionali in legno, si pigiavano emigranti disperati dalla Slovacchia, dalla
Boemia, dalla Germania, dall'Austria, dall'Ungheria, dalla Polonia, ecc.
C'erano, tra di loro, circa 200
giovani idealisti e poi 200 persone adulte (coppie di sposi e persone sole) che
non temevano privazioni di sorta, pur di poter rivedere i loro figli in
Palestina. Si trovavano, inoltre, sulla nave, cento uomini già detenuti in vari
campi di concentramento tedeschi e rilasciati alla condizione di abbandonare
immediatamente la Germania. Il delitto peggiore degli organizzatori del viaggio
era quello di portare con sé circa 30 bambini.
La
direzione del trasporto illegale era nelle mani della Nuova Organizzazione
Sionista Mondiale che - nell'intento di compiere gesta revisioniste - promosse
un trasporto illegale verso la Palestina e ha raccolto una somma notevole in
valuta estera. Il prezzo di partecipazione era in media circa 100 dollari USA a
testa, che dovevano essere depositati in una banca svizzera.
L'impresa
era veramente avventurosa, poiché gli organizzatori del trasporto non
disponevano di denaro.
Il
"Pentcho" era riuscito, tuttavia, dondolandosi, a scendere lungo il
Danubio ed a raggiungere Budapest e Belgrado facendosi dare dalle rispettive
comunità israelitiche danaro e viveri. Proseguendo il viaggio la nave ha
raggiunto la cosiddetta "Porta di ferro" dove ha dovuto sostare nella
cocente stagione estiva ben sette settimane, non avendo la commissione
internazionale del Danubio ritenuto il "Pentcho" sufficientemente
navigabile per attraversare le rapide del posto.
Soltanto
nell'agosto 1940 il governo Jugoslavo ha inviato in loco un vaporetto
rimorchiatore che ha scortato il "Pentcho" col suo carico umano,
pigiato in modo da formare una massa compatta, attraverso la "Porta di
ferro" raggiungendo il territorio bulgaro.
La proposta dell'autorità jugoslava
di far ritornare la nave a Bratislava o di far internare i passeggeri in
Jugoslavia era stata, dalla direzione del "Pentcho", semplicemente
respinta. Ed ora comincia la vera odissea del doloroso viaggio.
Durante
tutto il mese di Agosto e la prima metà di settembre il "Pentcho"
dondolava privo di soccorsi tra la Bulgaria e la Romania. Nessuno voleva venire
in aiuto alla povera gente. Battelli-pattuglie della polizia ingiungevano alla
nave insistentemente di proseguire il viaggio. Le scorte di viveri stavano per
finire. Una volta gli organizzatori del viaggio erano riusciti ad indurre un
ricco ebreo bulgaro, domiciliato in una piccola città danubiana, di offrire
loro in dono alcuni sacchi di pane ed altri viveri. Ma la nave doveva subito
proseguire il suo viaggio. In un altro posto bulgaro una commissione militare
mista è salita a bordo del "Pentco" e camminando, si può dire, sopra
i passeggeri che giacevano esauriti sul pavimento, ha provveduto al sequestro
della bandiera bulgara issata sulla nave senza averne il diritto. E così il
disgraziato battello era costretto a continuare il suo viaggio giù sul Danubio
senza bandiera, cioè come una nave pirata. Ben resto anche l'olio combustibile,
che azionava il motore, è finito e la nave è rimasta immobile presso uno dei tanti
isolotti inabitati del fiume. In preda ad un caldo cocente ed alla fame si è
impossessato dei passeggeri il primo sentimento di panico. Ed infine si è
avvicinato al "Pentcho" un motoscafo provvisto di una minacciosa
mitragliatrice.
Il governo rumeno ha scortato il
"Pentcho" fino al vicino porto Giurgiu dove la nave, trainata da un
rimorchiatore è giunta dopo due giorni. Ed ora cominciano cinque settimane
terribili. In Romania era scopiata la rivoluzione e le truppe russe erano
penetrate nella Bessarabia. Nessuno si preoccupava più dei 520 poveri
passeggeri del "Pentcho" che ormai erano da settimane in preda alla
fame. I responsabili del "Pentcho" hanno allora preso la disperata
decisione di issare la bandiera del bisogno e della fame. Sull'albero di trinchetto
veniva issato un drappo bianco di lino con sopra disegnata una grande croce
rossa e ciò per annunciare al mondo e più particolarmente agli abitanti della
piccola borgata Rustchuk che i 520 ebrei a bordo del "Pentcho"
patiscono la fame. Grazie all'intermediazione del vescovo bulgaro, il comitato
ebraico di assistenza ha inviato una barca piena di viveri. Al principio di
settembre, allorquando alcuni coraggiosi giovani erano saltati nel Danubio allo
scopo di raggiungere la vicina costa bulgara nonostante gli spari della guardia
rumena (essi sono stati tuttavia catturati e riportati) ordini della superiore
autorità imposero ai profughi di provvedersi di olio combustibile, di alcuni
sacchi e casse di viveri e botti di acqua e di proseguire il viaggio verso il
Mar Nero, dove la nave è giunta il 15 settembre 1940.
Una terribile angoscia si impossessò
della gente: questo battello, incapace persino di navigare lungo il fiume
doveva ora affrontare il mare. Non si pensava più neppure ai pericoli della
guerra, ma soltanto alla parola "Mare". Dopo aver effettuato alcune
riparazioni alle ruote a paletta, la nave ha lasciato, il 21 settembre 1940 il
porto sul Mar Nero Sulina ed ha preso la via del mare. E' stata una vera
fortuna che, proprio in quei giorni, il famigerato Mar Nero era piuttosto
calmo, sicchè il "Pentcho" ha potuto, dondolandosi continuamente,
raggiungere Costanza, la costa bulgara e quella turca e, dopo due giorni,
passare il Bosforo e raggiungere Istanbul. I 520 emigranti illegali potevano allora
contemplare la bellezza di Costantinopoli unica nel suo genere. Ma anche i
turchi non hanno avuto pietà dei passeggeri ed hanno ordinato alla nave di
proseguire il suo viaggio, ciò che essa dovette fare, nonostante la sua riserva
d'acqua potabile e la sua scorta di viveri stessero per terminare.
Foto da Il Napoletano - La leggenda del Pentcho
Foto da Il Napoletano - La leggenda del Pentcho
Nei due giorni successivi,
allorquando il "Pentcho" attraverso il Mar di Marmara e i Dardanelli
raggiunse il Mar Egeo, la fame e la sete erano già all'ordine del giorno.
Poiché non si poteva seguire la progettata rotta lungo la costa turca a causa
della mancanza di olio combustibile, si pensò, con gli ultimi rimasugli di
questi, di puntare, attraversando l'arcipelago delle isole leggendarie greche -
a ciò indotti dal tempo relativamente bello e senza vento. Essendo coinciso il
nostro arrivo ad Atene con le festività ebraiche, i due giorni del Capodanno,
la comunità israelitica locale ci offerse in dono il giorno 4 ottobre 1940
viveri ed acqua ed anche un po' di olio combustibile per consentirci di
proseguire il nostro viaggio verso la Palestina. L'olio era, però, appena
sufficiente per coprire la metà del percorso, visto il razionamento vigente già
in Grecia, dove si attendeva da un momento all'altro lo scoppio della guerra.
Dopo
tre giorni di navigazione eravamo di nuovo in alto mare e potevamo intravedere
sull'orizzonte alcuni piccoli isolotti, all'improvviso il mare si fece
burrascoso e ciò determinò il destino della nave.
Nei giorni 6,7,8,9 ottobre, dopo un
breve viaggio nel mare in tempesta con onde alte come una montagna che
sballotto lavano la nave come un giocattolo nelle insenature dei vari isolotti
greci.
Ed
era, verso il mezzogiorno del 9 ottobre, allorquando il forte vento si era un
po' calmato e la nave poteva di nuovo seguire la rotta sud-est stabilita in
principio, avvenne la disgrazia: un guasto al motore ha impedito al
"Pentcho" qualsiasi manovra.
Si
pensò allora di ricorrere alle vele, ottenute con la trasformazione di alcune
lenzuola, ma la tempesta diventò sempre più forte. Poiché in lontananza si
intravvedevano alcuni isolotti, si puntava verso questi. Il vento, però,
diventò sempre più violento e poco dopo la mezzanotte del 10 ottobre il
"Pentcho" urtò contro gli scogli dell'isolotto completamente
disabitato Kamilonisi (50 Km a nord di Creta e circa 80 Km ad occidente del
Dodecaneso italiano) e si fracassò.
Per
fortuna si è riusciti a gettare sull'isolotto alcune travi e scale, sicchè
abbiamo potuto, senza badare allo spumeggiare di grosse onde, passare dalla
nave ormai fracassata all'isolotto, arrampicandoci sugli scogli e prendendo
terra, ormai completamente esauriti.
All'alba del giorno seguente - nel
frattempo è stato constatato che l'isolotto era di estensione assai ridotta,
completamente disabitato e privo di qualsiasi vegetazione, e che nel giro
dell'orizzonte non si scorgeva terraferma - hanno avuto inizio i lavori di
sgombero del battello che veniva continuamente sbattuto contro gli scogli.
Sacchi con viveri, botto con acqua potabile erano disponibili in quantità assai
limitata. Però tutte le travi in legno venivano portate a terra ed hanno potuto
essere utilizzate per la costruzione di capanne di emergenza per proteggersi
dalle intemperie. Al secondo giorno della vita da Robinson - era proprio Jom
Kippur la festa del perdono, cioè la più importante festività osservata
scrupolosamente dagli ebrei ortodossi - è stata trovata in una fessura della
roccia un po' d'acqua, scoperta alla quale i 520 naufraghi debbono la loro
salvezza. Nella stessa notte il battello ""Pentcho"" si
sfasciò completamente ed affondò. La vita da Robinson ha durato dieci lunghi
giorni ed è impossibile descriverla in poche parole. I poveri emigranti
soffrivano la fame ed erano in preda ad una mortale disperazione.
Finalmente è arrivata la salvezza: il
giorno 20 ottobre era verso mezzogiorno, alcuni avieri italiani - era già in
corso la guerra tra la Grecia e l'Italia - avvistarono il movimento e le
segnalazioni di fumo sull'isola .
Nella
stessa serata accorse una nave italiana ed imbarcò tutti quanti i naufraghi.
Dopo un viaggio tempestoso sbarcammo, il 23 ottobre 1940 sull'isola di Rodi nel
Dodecaneso italiano dell'Egeo. In un primo tempo fummo internati in un campo di
tende, ma successivamente - 24 dicembre 1940 - fummo trasferiti nei locali
della caserma San Giovanni.
Il
trattamento da parte delle autorità italiane fu ottimo, ma alla nostra
permanente fame esse non potevano rimediare, e ciò a causa della scarsa
disponibilità di viveri e dell'aumento continuo dei prezzi. Come conseguenza
delle gravi privazioni, otto emigranti sono morti e molti altri hanno contratto
malattie difficilmente curabili. Uno dei problemi più gravi era quello del
vestiario, poiché molti dei naufraghi non possiedono alcun indumento
all'infuori di quelli che hanno addosso. Auguriamoci che si troverà una persona
in grado di offrire ai sinistrati un aiuto efficace e già sin d'ora i 520
naufraghi - uomini , donne e 30 bambini, inviano ai soccorritori i più sentiti
ringraziamenti.
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