Concerto per il Giorno della Memoria
In occasione del Giorno della
Memoria, un nuovo straordinario concerto, Serata colorata,
rievoca le musiche composte e suonate dai musicisti internati a Ferramonti, in
Calabria, uno dei più grandi campi fascisti della Seconda Guerra Mondiale, da
cui, tra il 1940 e il 1943, transitarono più di 3.000 ebrei stranieri e apolidi
e altri civili stranieri e dissidenti italiani. Nonostante le condizioni di
privazione estrema, ferveva l’attività artistica, tra cui i concerti definiti
“Bunter Abend” (Serata Colorata), vivaci intrattenimenti musicali in una baracca
adibita a sala concerti. Una storia eccezionale di cui si sono quasi perse le
tracce, che torna a vivere grazie all’imponente lavoro di recupero e ricerca
musicale di Raffaele Deluca, musicista e musicologo del Conservatorio di Musica
“G. Verdi” di Milano, che sta, inoltre, dedicando particolare interesse alla
musica di Ferramonti, attraverso il Centro Studi di Musica sacra Tomoquarto,
nato dalla collaborazione tra i Conservatori di Musica di Milano e di Bologna.
Un
evento unico che avrà luogo il 26 gennaio 2017 all’Auditorium Parco della
Musica di Roma. Il concerto ha il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, è promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e organizzato
da BrainCircle Italia a MusaDoc, con il supporto della Regione Calabria e
dell’Università Ebraica di Gerusalemme e del World Jewish Congress, in
collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Serata Colorata sarà
trasmesso in diretta e in videostreaming da Rai 5. È il quarto concerto
successivo organizzato da Viviana Kasam e Marilena Francese per il Giorno della
Memoria.
La
musica di Ferramonti è una pagina di enorme interesse nella storia del nostro
Paese. Da un lato le privazioni, la cupezza, la prigionia, gli stenti, il caldo
di un’area infestata dalla malaria, dove le autorità sanitarie avevano
sconsigliato di costruire un campo di internamento. Dall’altro la generosità
della popolazione locale, l’umanità di alcune guardie, l’esistenza di una ricca
vita musicale, la tolleranza e il rispetto per le espressioni artistiche.
Paradossi che rivivranno attraverso il racconto di Peppe Servillo.
Dal
sito Memoria in musica
Ferramonti è una località in provincia di
Cosenza dove sorse uno dei più grandi campi di concentramento italiani della
seconda guerra mondiale.
I campi di internamento in Italia erano
quasi 50. Vi transitarono, fra il giugno 1940 e il settembre
1943, più di 3.000 ebrei stranieri e anche apolidi, dissidenti politici,
cittadini di nazioni nemiche, slavi e indesiderati. Oggi pochi ne ricordano
anche solo il nome. E’ storia rimasta per decenni sconosciuta, che è un dovere
riportare alla memoria.
La zona su cui sorse il campo era povera
e malarica. Eppure, nonostante la mancanza di libertà, la carenza di cibo e le
malattie, a Ferramonti (come, del resto, negli altri quasi cinquanta “campi del
duce”, allora distribuiti nella Penisola) gli internati venivano trattati con
rispetto e senza violenze. Anche perché, seppur persecutorio, l’internamento
degli ebrei da parte del fascismo - prima della nascita della Repubblica di
Salò - non era ancora finalizzato alla Shoah.
Per questo, gli internati del campo, in
particolare gli ebrei, conservarono un ricordo generalmente positivo dei loro
“carcerieri” (Paolo Salvatore, Mario Fraticelli, Gaetano Marrari); come pure
dei contadini dei dintorni e degli abitanti dei paesi vicini (Tarsia,
Bisignano, Santa Sofia), che avevano avuto l’opportunità di conoscere e del
cappuccino inviato dal Vaticano a vivere nel campo: padre Callisto Lopinot, un missionario
di origine alsaziana.
Così a Ferramonti furono possibili
attività artistiche e musicali. Nel campo, in particolare, erano internati
molti musicisti, alcuni dei quali sarebbero divenuti molto noti nel dopoguerra.
Tra essi, il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mirski, il
pianista Sigbert Steinfeld, il cantante Paolo Gorin, il compositore Isko Thaler
e il pianista Kurt Sonnenfeld, giovane ebreo viennese, che sperava di
espatriare negli Stati Uniti, ma venne arrestato a Milano e inviato a
Ferramonti.
Spesso
nel campo venivano organizzati concerti musicali, sia strumentali che corali, e
spettacoli di vario tipo, cui gli internati dettero il nome di “Serate
Colorate”, dove il jazz, il cabaret, l’operetta dominavano la scena. Di tutta
questa ricchezza musicale si era quasi persa traccia, finché Armida
Locatelli, erede e per anni assistente di Kurt Sonnenfeld, non si presentò
un giorno al Conservatorio di Milano con una scatola di spartiti manoscritti
che aveva ricevuto in eredità. Erano le musiche scritte ed eseguite a
Ferramonti, ma anche fotografie, diari, lettere: un materiale inedito di cui il
musicista e musicologo Raffaele Deluca comprese subito lo straordinario valore
storico.
“Serata Colorata” riproporrà l’atmosfera
degli spettacoli di Ferramonti, basandosi anche sul ricco repertorio
iconografico e sulle testimonianze scritte che sono pervenute e raccontando,
grazie alla inimitabile voce di Peppe Servillo, la “storia musicale” del campo,
ricca di episodi straordinari: da quello dell’armonium spedito dal Vaticano ed
entrato nel campo come “materiale bellico”, ai violini che furono costruiti da
liutai locali, riconoscenti per essere stati curati dai medici internati.
Questi liutai sapevano costruire chitarre, ma si industriano per fabbricare i
violini indispensabili all’orchestra; tra loro c’era Nicola De Bonis,
creatore di alcuni degli strumenti che suonarono a Ferramonti e che vedremo
durante il concerto del 26 gennaio a Roma, portati in sala dalla nipote
Rosalba.
E poi ci sono gli spartiti.
Moltissimi decorati con disegni sul frontespizio, con annotazioni a margine;
tutti con le impronte delle dita dei musicisti; spartiti vivi che raccontano di
sogni e di speranze colorate, nella realtà grigia dell’internamento. E ci sono
le lettere commoventi di ringraziamento, i diari, le cartoline disegnate a
mano, un tesoro inestimabile, perché la storia di Ferramonti è particolarmente
ricca e complessa.
Quella vita artistico-musicale
diventerà presto, con il coordinamento di Raffaele Deluca, anche un progetto di
ricerca musicale e musicologica, con allestimenti espositivi, concerti,
convegni, un libro, secondo programmi aperti ad importanti collaborazioni
italiane ed internazionali.
Ma ricordare Ferramonti oggi non
è significativo solo per questo. In un momento storico in cui si tornano a
erigere muri e recinti per isolare i perseguitati, in cui gli egoismi sembrano
avere la meglio sulla pietas umana, Ferramonti ci ricorda che - anche sotto le
dittature - ognuno di noi può sempre fare qualcosa.
Nel settembre 1943, per una
fortunata coincidenza di date e di eventi geopolitici, gli internati di
Ferramonti si salvarono da gravissimi rischi: poche settimane, forse pochi
giorni e - se l’avanzata degli Alleati fosse stata meno rapida - sarebbero
stati trasferiti nel Settentrione e poi, molto probabilmente, deportati nei
Lager. Invece, quando vi giunsero i soldati alleati che risalivano lo Stivale,
agli ebrei, che non sapevano dove andare, fu concesso di rimanere nel campo,
che divenne un centro per “displaced persons”, ma sembrava un incrocio tra uno
shtetl e un kibbutz.
Purtroppo di questa storia
rimangono pochissime tracce, ricostruite negli anni Ottanta dallo storico Carlo
Spartaco Capogreco in un testo ormai classico (Ferramonti. La vita e gli
uomini del più grande campo d’ internamento fascista, edito dalla Giuntina
di Firenze), il primo libro di uno storico italiano dedicato ad un campo di
concentramento fascista.
Dopo la guerra le baracche
vennero in gran parte smantellate, e, pochi anni fa, alcune delle ultime sono
state snaturate da una “ristrutturazione” inadeguata.
Ricordare nel Giorno della
Memoria Ferramonti - dove gli internati seppero, comunque, fare cultura - è
un’opportunità e un monito contro ogni forma di persecuzione, ed anche una
denuncia nei confronti di chi tende a sminuire il carattere persecutorio del
fascismo e delle leggi razziali italiane. Ma è anche un modo per rendere
omaggio alla forza d’animo, alla creatività, al coraggio di chi - anche in
quella situazione - riuscì a mantenere intatti la dignità, il desiderio di
cultura e la forza del sogno. Inoltre, è un modo per ricordare chi, per come ha
potuto, si prodigò per aiutare quegli internati.
Da
Pagine ebraiche di dicembre 2016
Cosa ci
insegna Ferramonti
Viviana
Kasam
Ferramonti, in Calabria, fu uno
dei più grandi campi di internamento italiani della seconda guerra mondiale. Vi
transitarono, fra il giugno 1940 e il settembre ‘43, più di 3.000 ebrei stranieri
e apolidi e, in numero ridotto, altri internati stranieri. Oggi pochi ne
ricordano anche solo il nome. È storia rimasta per decenni sconosciuta, quella
di Ferramonti, ma ricostruita negli anni Ottanta da Carlo Spartaco Capogreco in
un testo ormai classico ( Ferramonti. La vita e gli uomini del più grande campo
d’ internamento fascista , edito dalla Giuntina di Firenze), il primo libro di
uno storico italiano dedicato ad un campo d’internamento fascista. La zona su cui sorse era povera e malarica.
Eppure, nonostante la mancanza di libertà, la carenza di cibo e le malattie, a
Ferramonti (come, del resto, negli altri quasi cinquanta “campi del duce”,
allora distribuiti nella Penisola) gli internati venivano trattati con rispetto
e senza violenze fisiiche. Anche perché, seppur persecutorio, l’internamento
degli ebrei da parte del fascismo - prima della nascita della Repubblica di
Salò - non era ancora finalizzato alla Shoah. Per questo, gli internati del
campo, in particolare gli ebrei, conservarono un ricordo generalmente positivo dei
loro “carcerieri” (Paolo Salvatore, Mario Fraticelli, Gaetano Marrari); come
pure dei contadini dei dintorni e degli abitanti dei paesi vicini (Tarsia,
Bisignano, Santa Sofia), che avevano avuto l’opportunità di conoscere, e del
frate cappuccino inviato dal Vaticano a vivere nel campo: padre Callisto Lopinot,
un missionario di origine alsaziana. Così
a Ferramonti furono possibili attività artistiche e musicali. Nel campo, in
particolare, erano internati molti musicisti, alcuni dei quali sarebbero
divenuti molto noti nel dopoguerra. Tra essi, il trombettista Oscar Klein, il
direttore d’orchestra Lav Mirski, il pianista Sigbert Steinfeld, il cantante
Paolo Gorin, il compositore Isak Thaler e il pianista Kurt Sonnenfeld, giovane
ebreo viennese, che sperava di espatriare negli Stati Uniti, ma venne arrestato
a Milano e inviato a Ferramonti. Nel campo venivano organizzati concerti
musicali, sia strumentali che corali, e spettacoli di vario tipo, cui gli
internati dettero il nome di “Bunter Abend” (Serata Colorata), dove il jazz, il
cabaret, l’operetta dominavano la scena. Di tutta questa ricchezza musicale si
era quasi persa traccia, finché Armida Locatelli, erede di Kurt Sonnenfeld, non
si presentò un giorno al Conservatorio di Milano con una scatola di spartiti
manoscritti che aveva ricevuto in eredità. Erano le musiche scritte ed eseguite
a Ferramonti, ma anche fotografie, diari, lettere: un materiale inedito di cui il
musicista e musicologo Raffaele Deluca comprese subito lo straordinario valore
storico. “Serata Colorata” è il nome del concerto che stiamo organizzando per
il Giorno della Memoria all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 26
gennaio 2017 (il 26 perché il 27 è la vigilia di shabbat) che riproporrà
l’atmosfera degli spettacoli di Ferramonti, basandosi anche sul ricco
repertorio iconografico e sulle testimonianze scritte che sono pervenute. Come spesso nella vita, l’incontro con Deluca
è avvenuto per caso, su segnalazione di un amico comune, quando dubitavo di
trovare un tema significativo come quello dei tre concerti organizzati negli anni
passati, ed ero pronta a rinunciare all’incarico. La storia di Ferramonti mi ha
emozionata, e l’entusiasmo ha contagiato tutti quelli che collaborano con me. Perché
è anche una “storia musicale” ricca di episodi straordinari: da quello
dell’armonium spedito dal Vaticano ed entrato nel campo come “materiale
bellico”, ai violini che furono costruiti da liutai locali, grati per essere
stati curati dai medici internati-liutai che sapevano costruire chitarre, ma si
industriano per fabbricare i violini indispensabili all’orchestra, al
pianoforte a coda che non si sa come riuscì ad arrivare nel campo.. E poi ci
sono gli spartiti. Moltissimi decorati con disegni sul frontespizio, con
annotazioni a margine; tutti con le impronte delle dita dei musicisti; spartiti
vivi che raccontano di sogni e di speranze colorate, nella realtà grigia
dell’internamento. E ci sono le lettere commoventi di ringraziamento, i diari, le
cartoline disegnate a mano, un tesoro inestimabile, perché la storia di
Ferramonti è particolarmente ricca e complessa. Quella vita artistico-musicale
diventerà presto, con il coordinamento di Raffaele Deluca, anche un progetto di
ricerca musicale e musicologica, con allestimenti espositivi, concerti, convegni,
un libro, secondo programmi aperti ad importanti collaborazioni italiane e
internazionali. Ma ricordare Ferramonti oggi non è significativo solo per
questo. In un momento storico in cui si tornano a erigere muri e recinti per
isolare i perseguitati, in cui gli egoismi sembrano avere la meglio sulla
pietas umana, Ferramonti ci ricorda che - anche sotto le dittature - ognuno di
noi può sempre fare qualcosa. Nel settembre 1943, per una fortunata coincidenza
di date e di eventi geopolitici, gli internati di Ferramonti si s alvarono dal
rischio di finire nelle mani dei nazisti: poche settimane, forse pochi giorni e
- se l’avanzata degli Alleati fosse stata meno rapida - sarebbero stati trasferiti
nel Settentrione e poi, molto probabilmente, deportati nei Lager. Invece,
quando vi giunsero i soldati alleati che risalivano lo Stivale, agli ebrei, che
non sapevano dove andare, fu concesso di rimanere nel campo, che divenne un
centro per “displaced persons”, ma sembrava un incrocio tra uno shtetl e un
kibbutz. Purtroppo di questa storia rimangono pochissime tracce. Dopo la guerra
le baracche vennero in gran parte smantellate, e, pochi anni fa, alcune delle
ultime sono state snaturate da una “ristrutturazione” inadeguata. Ricordare nel
Giorno della Memoria Ferramonti - dove gli internati seppero, comunque, fare
cultura - è un’opportunità e un monito contro ogni forma di persecuzione, e
anche una denuncia nei confronti di chi tende a sminuire il carattere
persecutorio del fascismo e delle leggi razziali italiane. Ma è anche un modo
per rendere omaggio alla forza d’animo, alla creatività, al coraggio di chi -
anche in quella situazione - riuscì a mantenere intatti la dignità, il
desiderio di cultura e la forza del sogno. Inoltre, è un modo per ricordare
chi, per come ha potuto, si prodigò per aiutare quegli internati.
Da Memoria in musica e Roma Notizie e dal sito del Santa Cecilia
Programma della serata
26 gennaio 2017, ore 20.30
Serata colorata - Musiche
dal campo di concentramento di Ferramonti
Auditorium Parco della Musica, Roma - Sala
Sinopoli
Voce narrante Peppe
Servillo
con: Fabrizio Bosso tromba
e Vince
Abbracciante fisarmonica
- Giuseppe
Bassi contrabbasso
- Seby Burgio
pianoforte - Andrea Campanella clarinetto - Daniel Hoffman violino
Voci: Lee Colbert, Myriam Fuks, Giuseppe
Naviglio e Eyal Lerner voce
e flauto tenore
Coro Petrassi e Coro C.Casini
dell'Università di Roma Tor Vergata, direttore Stefano Cucci
Regia Fabiano
Marti
Direzione artistica Michelangelo
Busco
Un progetto di Viviana Kasam e Marilena Francese, dalle
ricerche di Raffaele Deluca
Consulenza
storica di Carlo Spartaco
Capogreco.
In occasione del Giorno della Memoria, Serata Colorata rievoca
le musiche composte e suonate dai musicisti internati a Ferramonti, in Calabria,
uno dei più grandi campi fascisti della Seconda Guerra Mondiale, Nonostante le
condizioni di privazione estrema, ferveva l'attività artistica, tra cui i
concerti definiti "Bunter Abend" (Serata Colorata), vivaci
intrattenimenti in una baracca adibita a sala concerti. Una storia eccezionale
di cui si sono quasi perse le tracce, che torna a vivere grazie all'imponente
lavoro di recupero e ricerca musicale di Raffaele Deluca, musicista e musicologo del Conservatorio di
Musica "G. Verdi" di Milano.
Serata Colorata riproporrà l’atmosfera degli spettacoli
di Ferramonti, uno dei più grandi campi di concentramento italiani della
seconda guerra mondiale.
Vi transitarono, fra il giugno 1940 e il
settembre 1943, più di 3.000 ebrei stranieri e anche apolidi, dissidenti
politici, cittadini di nazioni nemiche, slavi e indesiderati. Oggi pochi ne
ricordano anche solo il nome. E’ storia rimasta per decenni sconosciuta, che è
un dovere riportare alla memoria.
A Ferramonti furono possibili attività
artistiche e musicali. Nel campo, in particolare, erano internati molti
musicisti, alcuni dei quali sarebbero divenuti molto noti nel dopoguerra. Tra
essi, il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mirski, il
pianista Sigbert Steinfeld, il cantante Paolo Gorin, il compositore Isak Thaler
e il pianista Kurt Sonnenfeld.
Spesso nel campo venivano organizzati
concerti musicali, sia strumentali che corali, e spettacoli di vario tipo, cui
gli internati dettero il nome di Serate Colorate, dove il jazz, il cabaret,
l’operetta dominavano la scena.
Il concerto propone un repertorio tipico
degli Anni Trenta: jazz, kabarett, canzonette, avanspettacolo, un tipo di musica
molto presente a Ferramonti. Ma ci saranno anche brani di musica classica,
canto corale e pezzi tratti dal repertorio ebraico, tra cui uno struggente
Kaddish; e una bellissima Ciaccona del compositore italiano Tomaso Antonio
Vitali.
La musica di Ferramonti è una pagina di
enorme interesse nella storia del nostro Paese. Da un lato le privazioni, la
cupezza, gli stenti, il caldo di un'area infestata dalla malaria. Dall'altro la
generosità della popolazione locale e delle guardie, e l'esistenza di una ricca
vita musicale.
Ricordare Ferramonti nel Giorno della
Memoria è un monito contro ogni forma di persecuzione, e un modo per rendere
omaggio alla forza d'animo, alla creatività, al coraggio di quanti riuscirono a
mantenere intatta la dignità, il desiderio di cultura e la forza del sogno, ricordando
le persone che si prodigarono per aiutare gli internati.
Il
concerto (che è gratuito e sarà trasmesso in diretta e in videostreaming da Rai
5) ha il patrocinio della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
con il supporto della Regione
Calabria e dell’Università
Ebraica di Gerusalemme in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
I biglietti vanno ritirati
anticipatamente fino ad esaurimento posti a partire dal 19 gennaio presso il
Servizio Cortesia della biglietteria centrale dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia (dalle ore 11 alle ore 18).
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