Da AskaNews 4 ottobre 2016 (immagini Afp)
Calabria: alla ricerca
del cedro perfetto per la Festa di Sukkoth
Per gli ebrei ortodossi non deve mostrare la
minima imperfezione
Santa Maria
del Cedro, Cosenza (askanews) - Non deve avere nessuna imperfezione, macchie,
rugosità improprie o cicatrici e mostrare una forma conica perfetta. Non
possono essere secchi, rubati o colti da piante innestate. I cedri impiegati
nella festa di Sukkoth, una delle più importanti del calendario religioso
ebraico, non possono essere cedri qualsiasi. Per questo gli ebrei ortodossi di
tutto il mondo si spingono sino a Santa Maria del Cedro, villaggio calabrese
noto in tutto il mondo per la sua produzione di agrumi.
Quella di
Sukkoth, nota anche come "Festa dei tabernacoli" o "delle
capanne", è la celebrazione che ricorda i quarant'anni passati dagli ebrei
nel deserto, in capanne di rami, dopo la fuga dall'Egitto e prima di giungere
nella Terra promessa. Il rigidissimo cerimoniale prevede, tra l'altro, la
preparazione del lulàv, un mazzo formato da un ramo di palma, due rami di
salice, tre di mirto e un cedro, che verrà impugnato e agitato in sei
direzioni.
La caccia al
cedro perfetto parte un mese prima e Hershel Mann, ebreo ortodosso senza se e
senza ma, è arrivato in Calabria da New York per raccogliere più esemplari
possibile in questo angolo di Calabria che sbaraglia, per la sua eccellenza
produttiva, la concorrenza di Israele e Marocco.
Ogni frutto
viene meticolosamente ispezionato con una lente d'ingrandimento e la cura
certosina, absit iniura verbis, dei tagliatori di diamanti di Anversa.
La minima imperfezione garantisce una bocciatura senza appello. "Deve
essere immacolato, senza buchi, senza macchie e con una forma perfetta"
spiega Mann.
La famiglia di
Alessandro Farace coltiva da generazioni cedri senza difetti destinati al
mercato ebraico, una tradizione di cui è orgoglioso anche se generatrice di
logoranti e angoscianti stress ansiogeni. Quest'anno, poi, la ricerca del cedro
perfetto si rivela particolarmente difficile: "Ci sono tanti insetti che
attaccano il cedro, è una pianta molto delicata ed è molto difficile
produrlo".
Le richieste
dei particolari clienti della famiglia Farace sono al top di gamma, ma si
tratta peraltro di acquirenti disposti a pagare anche dieci euro per ogni cedro
in grado di superare l'esame. Anche perché i pezzi migliori, preparati e
impacchettati con cura per la spedizione, possono toccare quotazioni da
migliaia di dollari prima di raggiungere l'esigentissimo utilizzatore finale.
Il viaggio dei rabbini in Calabria alla ricerca dei cedri
più puri
L’agrume usato in tutto il mondo per il
“Sukkot” arriva da Cosenza
Articolo di Laura Anello tratto da La Stampa in
edicola il 6 settembre 2016
«Sono unici, davvero come ai tempi biblici», borbotta in
inglese il rabbino di New York seduto qui dalle otto del mattino. Barba, kippah
sulla testa, lenti tonde e leggere che incorniciano sguardi da raggio laser.
Testa che si scuote incontentabile. Sembra il set di un film di Woody Allen e
invece è la litania che va avanti da ore nelle campagne di Santa Maria del
Cedro, provincia di Cosenza. L’unico angolo d’Europa dove viene coltivato
l’agrume di qualità liscio diamante. Diamante perché brilla al sole, proprio
come gli ebrei vogliono per Sukkot, la festa della capanne che per gli
osservanti è uno dei punti cardinali della vita religiosa.
Quest’anno si svolgerà dal 16 al 23 ottobre, in ricordo
delle capanne che gli ebrei si costruirono durante la traversata nel deserto
dopo l’esodo dall’Egitto verso la Terra Promessa. Ed è proprio da queste poche
centinaia di ettari in Calabria che arrivano i cinquemila quintali di cedri
purissimi «baston» - cioè non innestati - per tutto il pianeta. Lillo Cava, il
presidente del Consorzio europeo del Cedro mediterraneo, fatica e suda a
portare casse di frutti davanti agli occhi dei due ospiti. Sul tavolo una
decina di esemplari in corso di esame, al fianco una montagna di agrumi
scartati, su una sedia quelli già scelti, avvolti uno per uno e custoditi in
singoli incavi foderati di gommapiuma. Come gioielli. Ogni frutto viene venduto
dagli agricoltori a prezzi superiori al mercato,. Queste terre a luglio e
agosto pullulano di rabbini che arrivano dalle capitali dell’Europa
occidentale, ma anche da Mosca e da New York. «Sacri cultori di cedri», come si
chiamano. «Questo no, questo no, quest’altro neanche».
Le mani toccano, verificano, misurano perché cercano
qualcosa di molto preciso. Soltanto i frutti pesanti circa ottanta grammi,
completamente lisci, né troppo tondi né troppo a punta, senza bitorzoli, senza
rughe e senza macchie, possono essere usati per celebrare la festa di Sukkot,
componendo il tradizionale “Lulav” che si adopera durante le preghiere.
Moshe Lazar, rabbino a Budapest, figlio rabbino a Mosca,
barba bianca, viene qui da oltre quarant’anni. «Fino agli anni Cinquanta del
secolo scorso - racconta - i contadini vendevano i cedri a un solo negoziante
qui in Calabria. E lui li rivendeva ai fratelli Kré, commercianti di Genova,
che li esportavano poi in tutto il mondo. Finché a un grossista che stava a
Lugano è venuta voglia di venire fin qui a vedere. E quando è arrivato ha
scoperto che i cedri erano stati innestati con l’arancio amaro e ha lanciato
l’allarme a tutti. Da allora veniamo personalmente». Il motivo è che per la
legge ebraica l’innesto è proibito. E allora eccoli qui, a guardare con i
propri occhi, al fine di appurare il rispetto di regole antichissime. Ma perché
qui e solo qui? «Cerchiamo quello che la Bibbia chiama “il frutto dell’albero
più bello”. In mancanza di riferimenti precisi a quale sia questo albero, ci
affidiamo alla tradizione, e da trecento anni il cedro di più forte tradizione
è quello liscio della Calabria. Vanno bene anche i cedri di Israele, mentre
quelli del Marocco e di Corfù sono più contestati».
A capire per primo di avere in mano un prodotto unico è
stato Francesco Maria Fazio, 66 anni, sindaco di Santa Maria del Cedro dal 2004
al 2009. Nobili origini calabresi, nato e cresciuto a Milano, oncologo e
docente universitario in una prima vita, adesso imprenditore del turismo con il
sresort La Bruca, vittima di quella ‘ndrangheta che tre anni fa gli incendiò
l’albergo e la casa per punirlo di non avere ceduto l’azienda ai boss. «Il
cedro - dice - è uno straordinario retaggio biblico. Ebrei sono quelli che
adesso vengono a comprare i nostri cedri ed ebrei erano coloro che in epoca
ellenica e poi romana li piantarono qui, duemila anni fa. Insomma,la storia
ritorna, facendo emergere le profonde radici ebraiche nell’Italia del Sud».
Simchat Torà - Separarsi dall'etrog
Rossella Tercatin, da Moked, 9 ottobre 2009 - 12 כסלו 5769
La festa di Sukkot è ormai agli sgoccioli. Poi sarà il tempo di smontare la Sukkà e abituarsi di nuovo a mangiare in casa, giusto in tempo per evitare i primi freddi.
Per una settimana abbiamo recitato la benedizione sul lulav, costituito da rami di palma, mirto e salice (lulav appunto, hadassim e aravot) legati insieme, che accompagnati dall’etrog, il cedro, rappresentano le arba’ah minim, le quattro specie, che è mizvà scuotere ogni mattina durante Sukkot in direzione dei quattro punti cardinali.
Come ogni anno sorge un dubbio pressante: cosa fare dell’etrog, frutto pregiato e pieno di qualità, ora che la festa è passata?
Apparentemente simile a un limone, il cedro si contraddistingue per il suo profumo intenso, la scorza ruvida e la forma più allungata. Colore e dimensione variano secondo le specie cui ci si trova davanti, che sono numerose e diversamente rinomate.
Ogni anno con l’inizio del periodo dei Chaggìm si scatena in tutti il mondo ebraico una vera e propria caccia all’etrog.
Da New York a Gerusalemme sorgono bancarelle ricolme di frutti gialli e verdi in tutte le zone ad alta densità ebraica, e ognuna lavora a modo suo. Ci sono i venditori con cui si contratta sul prezzo fino all’ultimo centesimo e quelli che consentono di portare a casa l’etrog prima di comprarlo per ricevere l’approvazione dal proprio rabbino. Già, perché per molti non basta che il cedro sia accettabile per compiere la mitzvà. Vogliono il migliore, quello che si avvicini il più possibile alla perfezione dei parametri indicati dall’Halachà.
Questi includono le dimensioni (un etrog deve essere grande almeno quanto un uovo di gallina, ma è preferibile che lo sia ancora di più) e la mancanza di graffi, macchie o impurità sulla scorza. Sono poi particolarmente, ricercati gli etroghìm che hanno mantenuto il picciolo.
Un frutto di grande valore spirituale dunque (nella simbologia legata al lulav, rappresenta il cuore dell’uomo, o l’ebreo virtuoso sia nelle parole che nei fatti), ma anche economico, considerando che i prezzi variano mediamente dai 25 ai 150 euro per etroghìm normali, e superano i mille per i più pregiati.
Un autentico business che vede l’Italia, e in particolare la Calabria, protagonista assoluta, grazie alla produzione del cedro Diamante (in ebraico Etrog Yanova, dalla città di Genova, attraverso il cui porto in passato questi frutti raggiungevano il resto d’Europa e gli Stati Uniti), che Rabbi Schneer Zalman di Ladi (1745-1812), il fondatore del movimento Chabad, dichiarò essere stato quello usato da Mosè nel deserto la prima volta che la festa di Sukkot fu celebrata.
Tutti gli anni tra luglio e agosto da Israele giungono nella provincia di Cosenza, nei centri di Diamante e Santa Maria del Cedro, numerose delegazioni allo scopo di selezionare i migliori esemplari di questi pregiatissimi frutti, preferiti dagli ebrei più religiosi per la garanzia di non avere mai subito innesti con alberi di limone, grazie alla lunga tradizione di controlli.
Il commercio dei cedri si svolge in buona parte sottobanco e sono moltissimi i rivenditori che li portano in Israele dall’Italia semplicemente chiusi in valigia, per poi smerciarli in nero, come ha raccontato uno di loro, attraverso le pagine del Jerusalem Post qualche giorno fa. Moshe, questo il nome fittizio che gli è stato attribuito, ha aggiunto che per la prima volta, quest’anno aveva deciso di importare regolarmente il carico, ma i suoi etroghìm sono stati irrimediabilmente rovinati dai pesticidi con cui i funzionari del Ministero dell’Agricoltura israeliano li hanno irrorati all’ingresso nel paese, causandogli una perdita di migliaia di dollari.
Proprio per evitare, ciascuno nel nostro piccolo, di buttare via un frutto così pregiato al termine di Sukkot, sono molteplici gli usi suggeriti, dalla marmellata alla scorza candita.
Noi vi proponiamo la ricetta della Torta di Etrog, con l’augurio di proseguire in dolcezza il nuovo anno.
Ingredienti per l’impasto:
1 etrog
Succo di una limetta
190 g di farina
15 g di lievito per dolci
Un pizzico si sale
60 g di margarina
100 g di zucchero
250 ml di succo d’arancia
Ingredienti per la glassa:
120 g zucchero a velo vanigliato
1 cucchiaio di succo d’arancio
1 cucchiaio di mistura di scorza e
succo preparata per l’impasto
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Preparazione:
- Preriscaldare il forno a 190°.
- Grattare la scorza dell’etrog e poi
spremerlo per ottenere tutto il succo possibile.
Mischiare tutto insieme al succo di
limetta e di arancio e mettere da parte un cucchiaio della mistura per la
glassa.
- Setacciare la farina e aggiungere il
sale e il lievito. Montare insieme zucchero e margarina fino a ottenere un
composto spumoso. Aggiungerlo alla farina, insieme con la mistura di succhi e
scorza, mescolando bene.
- Aggiungere le uova e mescolare fino
ad ottenere un impasto omogeneo da versare in una tortiera a cerchio apribile
da 24-26 cm di diametro unta con la margarina e infarinata.
- Fare cuocere per 45 minuti in forno
già caldo.
- Per la glassa mescolare lo zucchero,
il succo d’arancio e la mistura di scorza e succo fino a miscelarli, e
versare il tutto sul dolce caldo.
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