Da Israele in Calabria a
caccia del cedro sacro
Parliamo di Santa Maria
del Cedro, sulla riviera cosentina, meta di un vero pellegrinaggio ogni anno
Eloisa Gilardoni da L’indro
Il
cedro è l’agrume citato nell’Antico Testamento come il frutto (‘etrog’)
dell’albero più bello (‘adar’), da cogliere per il ‘sukkot’, la festa delle
capanne o festa dei tabernacoli, che quest’anno è iniziata ieri - cade,
infatti, dal 16 al 23 ottobre - , secondo il calendario lunare ebraico. Festa
anche di fine raccolto e inizio semina - legata, quindi, ai cicli della natura,
come avviene per la maggior parte delle feste religiose del mondo - è la
celebrazione che ricorda i quarant’anni passati dagli ebrei nel deserto, in
capanne di rami, dopo la fuga dall’Egitto, prima di giungere nella Terra
Promessa.
“La
tradizione degli ebrei in Calabria è una tradizione molto antica, di 2000 anni
fa”, ci spiega Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano,
“pochi sanno che la Calabria, come il resto d’Italia, era molto popolata da
ebrei nel XV secolo; poi Isabella di Castiglia, regina di Spagna, cacciò gli
ebrei dai suo i possedimenti, quindi anche dal sud Italia”.
Il
cedro in Calabria sarebbe giunto intorno al III secolo a.C., per merito delle
popolazioni ebraiche fondatrici di numerose colonie della Magna Grecia. La
tradizione della scelta dei cedri calabresi da parte dei ‘rav’, rabbini,
invece, risale a circa 300 anni fa. “Durante la Festa delle Capanne, gli ebrei
devono sventolare un mazzetto di ramoscelli nelle quattro direzioni per sette
giorni”, nella mano destra recano un ramo di palma (‘lulàv’), simbolo
dell’orgoglio; due rami di salice di fiume (‘aravà’), simbolo della maldicenza,
e tre rami di mirto (‘hadas’), simbolo dell’invidia. Nella mano sinistra recano,
invece, un frutto di cedro, simbolo dell’espiazione delle colpe e della
purificazione dai peccati. Non tutti i cedri, però, sono perfetti: il cedro
‘kasher’ (quello lecito per la festività) non deve avere rugosità o macchie
sulla buccia, deve provenire da un albero di almeno quattro anni d’età,
piantato per talea (non innestato), deve avere una forma conica e perfetta e un
peduncolo accentuato.
Davide
Romano ci spiega la simbologia nascosta dietro a questa tradizione: “i frutti
sono una metafora per descrivere le tipologie dell’essere umano: la sostanza,
l’apparenza e le vie di mezzo”. Ogni vegetale stimola, a suo modo, i nostri
sensi: la palma non profuma, ma ci regala dei frutti saporiti, il salice non ha
sapore né profumo particolare, il mirto profuma, ma non ha sapore, infine “il
cedro è ricco di sapore e odore, rappresenta il massimo, simboleggia l’uomo
giusto che opera per il bene”.
Ogni
anno, in estate, i rabbini arrivano a Santa Maria del Cedro -un paese di meno
di 5000 abitanti, in provincia di Cosenza, sul Tirreno- per selezionare i
frutti migliori da spedire alle comunità ebraiche di molte parti del mondo, in
primis Israele. Il rabbino, accompagnato dal contadino tagliatore, cammina per
la cedriera, molto lentamente, esaminando a fondo ogni albero. Il rabbino si
sdraia sulla terra, esamina i cedri uno ad uno, indica al contadino tagliatore
i frutti prescelti che essi tagliano alla base del ramo, lasciando il
peduncolo. I cedri vengono esaminati ancora più attentamente dal rabbino;
vengono poi posti all’interno di una cassa, protetti da stoppa o carta da
imballaggio. È essenziale che i cedri non si tocchino l’un con l’altro ed è
essenziale che la buccia sia perfettamente liscia: per questo il cedricoltore
rimuove, accuratamente, ogni spina dalla pianta e separa i cedri l’uno
dall’altro con pezzetti di canna o con le stesse foglie. Se il lavoro della
cedricoltura non fosse già abbastanza faticoso, il lavoro per la coltura del
cedro sacro è ancora più faticoso e dispendioso: bisogna proteggere ogni pianta
dall’attacco degli insetti, dal clima e perfino da se stessa, affinché dia vita
a cedri ‘semplicemente perfetti’.
L’economia
della ‘Riviera dei Cedri’ affonda le radici sulla cedricoltura, che è stata,
per decenni, l’unica grande fonte di introiti, provenienti per la gran parte
dall’esportazione del frutto. Negli anni trenta ha raggiunto la massima
espansione, con una superficie coltivata di 400 ettari ed una produzione di
85.000 quintali. Da allora, fino all’inizio degli anni novanta, si è registrato
un calo progressivo, causa la cementificazione e politiche di gestione del
territorio che hanno penalizzato l’agricoltura. Successivamente è iniziata una
risalita che ha permesso alle aree interessate di non dipendere più solo ed
esclusivamente dalla esportazione dei cedri, permettendo nel contempo di
riscoprire sia le antiche tradizioni della coltura del cedro, sia il suo ruolo
nell’economia del territorio. Oggi dalla sua lavorazione si ricavano liquori
dolci e sciroppi, marmellate. Il frutto viene impiegato nell’industria
dolciaria come candito, ma può trovare utilizzo anche nell’ambito medico,
fito-farmaceutico e fito-cosmetico.
Grazie agli sforzi del Consorzio del Cedro di Calabria e dell’Accademia
del Cedro, negli ultimi anni si
è avviato un processo di comunicazione internazionale dei valori delle aree di
produzione dei cedri, il cuipunto di forza è la fascia
costiera da Tortona a Sangineto,
sulla costa tirrenica cosentina, area che costituisce la Riviera
dei Cedri. In questa
striscia di territorio, lungo la quale oggi operano circa 300
produttori con oltre 90 ettari coltivati, si coltiva una qualità di cedro
unica al mondo, grazie
ad un perfetto mix tra clima, altitudine eterra e la dedizione dei coltivatori.
Michele Adduci, Presidente del Consorzio del Cedro di Calabria, ci spiega che: “il cedro
di cui parliamo è una
specie che appartiene al gruppo organolettico naturale detto Cedro Acido, ed in
particolare, il cedro che si produce nel territorio della Riviera dei Cedri è
la cosiddetta Liscia Diamante di Santa Maria del Cedro, anche conosciuta come ‘Italiana’ o
‘Calabrese’, è la più diffusa e più ricercata, sia in Italia che all’estero, dall’industria
agroalimentare. In particolare, proprio l’area della Riviera risulta
essere, in assoluto, il primo se non, addirittura,l’unico
sito che produce questa varietà così preziosa”.
L’obiettivo oggi è quello di promuovere in maniera integrata tutte
le risorse dell’area, e, nello stesso tempo sostenere lo sviluppo commerciale
della filiera produttiva. La partecipazione degli operatori locali nasce dalla
consapevolezza di avere in questo territorio come bene e ricchezza, un prodotto
unico, e il solo modo per valorizzare il territorio e svilupparne la sua
economia è imporre che l’intero processo di filiera avvenga in loco. La raccolta
e la trasformazione del cedro impegna oggi migliaia di persone, dai produttori agli addetti alla
trasformazione, fino alla ristorazione, all’industria cosmetica e a quella
farmaceutica. Durante il mese di agosto, centinaia di rabbini raggiungono
queste zone per acquistare il frutto, dopo averlo meticolosamente esaminato al
fine di accertarne la purezza.
Quindi questo frutto inimitabile, “oltre ad essere il padre degli agrumi,
unico per le sue caratteristiche religiose e per le sue qualità organolettiche,
ha diversi utilizzi in campo farmaceutico, medico, alimentare ed estetico ed è
materia di studi nelle università tra le quali quella di Cosenza” ci spiega il professor Franco
Giuliano, Presidente
dell’Accademia Internazionale del Cedro “il cedro profano artigianale sta
conquistando sempre di più una vasta fetta di mercato, anche fuori stagione; un
esempio dello sviluppo della linea produttiva del cedro è il suo utilizzo come
ingrediente in Cina”.
Coniugando la tradizione con l’innovazione è possibile permettere
a queste aree della provincia calabrese di prosperare unendo settori come:
cultura, artigianato, agricoltura e turismo. Recente è la proposta di
rilanciare il cedro come pianta ornamentale, già utilizzata nella Toscana
rinascimentale nei giardini. Questa è la direzione che si sta percorrendo per
ampliare sempre di più l’esportazione internazionale del cedro calabrese. “Il cedro
viene da lontano e ha un lungo futuro davanti, e forse proprio per la ‘carica’
religiosa che ha in se”,
conclude il Presidente dell’Accademia.
Nessun commento:
Posta un commento