Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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mercoledì 24 maggio 2017

Benedetto Musolino e il sionismo



Benedetto Musolino e il sionismo
di Enrico Esposito

Un interessante articolo su Benedetto Musolino, il patriota rinascimentale “protosionista”.

“Un patriota calabrese precursore del sionismo”. Così intitolava Moshe Ishai un suo testo inserito nella raccolta In memoriam di Sally Mayer, pubblicata in ebraico nel 1960 a Gerusalemme. Il patriota cui si fa riferimento è Benedetto Musolino, protagonista di tante battaglie antiassolutistiche e indipendentische durante il Risorgimento.
Nativo di Pizzo, nel 1848 diventa deputato nel Parlamento Napoletano, dove, reduce dall’esperimento rivoluzionario cosentino di quell’anno, si fa promotore della protesta con la quale 64 parlamentari dichiaravano decaduto il re, Ferdinando di Borbone. Il fallimento del 1848 su scala nazionale ed europea lo vede tra i calabresi della diaspora, che trovano riparo negli Stati Sardi, e segnatamente a Genova e a Torino, come è accaduto anche per Carlo Mileti, Casimiro De Lieto, Biagio Miraglia e tanti altri. Musolino a Genova allaccia rapporti con i capi del partito d’azione di ispirazione mazziniana, come Carlo Pisacane, e delle frange democratiche del Risorgimento, come Giuseppe Montanelli e Mauro Macchi. Nella città ligure gli emigrati politici calabresi s’impegnano intensamente nel dibattito sul futuro delle battaglie indipendentistiche, in quello che viene chiamato ancora il decennio di preparazione.
Musolino invece sembra interessato soprattutto alle questioni internazionali. Già nel 1832 s’è recato in Palestina, dove è tornato qualche anno dopo, per osservare da vicino la situazione del Medio Oriente, in presenza del sultanato turco, il regno della Sublime Porta, e dell’imperialismo russo di cui la Gran Bretagna non gli sembra in grado di arginare l’espansione. Dalle sue riflessioni nasce un’opera ponderosa che pubblica a Genova nel 1851. Si tratta di Gerusalemme ed il popolo ebreo, con un lungo sottotitolo nel manoscritto: “La Palestina nei suoi rapporti commerciali e politici coll’Asia e con l’Europa e più di tutto colla Granbretagna (sic)”. Musolino stesso definisce il suo lavoro un “progetto da rassegnarsi al Governo di Sua Maestà Britannica”. E in effetti di un progetto si deve parlare imperniato sulla creazione di un Principato di Palestina e sulla costruzione di una grande linea ferroviaria che arrivi fino a Pechino, l’unica opera che può a suo parere fare da freno all’espansionismo moscovita.
Sono due idee originali, considerati i tempi, specie la prima, in quanto Musolino propone di assegnare il principato palestinese agli Ebrei, ai quali il Sultano dovrebbe accordare l’autonomia amministrativa con la garanzia della Gran Bretagna. È questo che lo fa ritenere un precursore del sionismo, se per sionismo deve intendersi “la vocazione del ritorno a Sion”, uno dei nomi ebraici di Gerusalemme. Musolino si reca anche a Londra per sottoporre al governo inglese il suo progetto, ma Lord Palmerston preferisce non riceverlo. […] “Io quindi invoco” dice Musolino “sull’insieme del presente Progetto e su i suoi più minuti particolari una severissima attenzione per parte di tutti i grandi banchieri israeliti; di tutti i grandi bancheri negozianto [banchieri, commercianti] e manifattori inglesi: invoco la sollecitudine e la cooperazione della Compagnia delle Indie Orientali; e più di tutto la protezione del sapientissimo e onnipotente Governo di S.M. la Regina della Gran Bretagna e d’Irlanda, non che l’acquiescenza della Sublime Porta Ottomana”.
Il Principato di Palestina è dunque funzionale alla proposta della costruzione della ferrovia transcontinentale fino a Pechino, ma quello che fa ritenere il suo autore un precursore del sionismo è l’altra proposta di affidare il governo autonomo dell’istituendo principato agli Ebrei. “Esiste sulla terra un popolo senza patria, disseminato su tutt’i punti, abitante sotto tutt’i climi; il quale avendo veduto rovesciare il trono dei suoi re ed il tempio del suo Dio è tuttavia legato da nodi indissolubili ed eterni, dal fervore della propria fede, e dalla speranza di riabitare un giorno la terra che Dio ha promesso min perpretuo ai suoi padri. Questo popolo è il Popolo Ebreo”. Già nel passo appena citato ricorre più di un termine del linguaggio sionistico, in special modo quelli della terra promessa e del diritto degli ebrei a ritornare in Palestina. Ma Musolino riprende anche l’antica questione della diaspora ebraica, nonostante i grandi meriti che il popolo ebreo ha conquistato nel corso della sua storia millenaria. Hanno visto distruggere diciassette volte, ricorda il patriota calabrese, la loro città santa, Gerusalemme, ma hanno conservato gelosamente la loro identità in tutti i paesi in cui sono stati accolti non sempre benevolmente, e sempre hanno coltivato il sogno del ritorno nella terra dei padri, la Palestina, alimentato da uno spirito nazionale, che li ha fatti sopravvivere ai tanti rovesci della storia. A differenza di tanti altri popoli, pur potenti e famosi, come gli Assiri, i Medi, Gli Egizi e persino i Romani. Per questo Musolino giudica una grande ingiustizia che gli Ebrei restino ancora un popolo senza patria, anzi che siano ancora “abbandonati all’insulto e al disprezzo continuo delle generazioni, calunniati sempre e dappertutto”. E aggiunge:”Vi fu un’epoca nella quale non si commettevano delitti atroci, nella quale non si parlava di vizi abominevoli, senza che venissero essi attribuiti agli Ebrei...E certo messe da banda le prevenzioni di un cieco fanatismo, nessuno potrà negare aver gli Ebrei prestato segnalati servigi all’umanità”. E non si riferisce, precisa, al popolo eletto da Dio, a quello che ha creato la prima poesia, la prima letteratura o la prima legislazione, ma agli ebrei come “popolo prevaricato, abbandonato all’abiezione delle genti, all’ira del cielo e degli uomini e che tuttavia “insegnarono mansuetudine agli uomini come la nazioni per loro reciproci vantaggi dovrebbero comporre una sola famiglia...Gli Ebrei gittarono le fondamenta di questo immenso edificio additando le prime vie di corrispondenza e di legame commerciale”.
E qui il patriota calabrese rileva come gli Ebrei non debbano invidiare “ad alcuna altra razza alte intelligenza ed esimie virtù”, senza per questo dover citare “i nomi di tutti quegl’illustri che nelle passate età brillarono nelle lettere e nelle scienze”. Per tutte queste ragioni, afferma Musolino, “non vi sarà individuo che possa contrastare agli Ebrei il diritto di possesso o di privilegio sulla Palestina, alla quale essi non hanno mai moralmente né politicamente rinunziato;...questo popolo possiede ancora tutti gli elementi perché dal nulla possa risorgere all’antico splendore per prestare i più segnalati servigi alla causa della civiltà e della sicurezza dei popoli di Asia e di Europa. Un grido solo basta per convocarlo da tutti gli angoli della terra...convenendo i suoi figlioli tutt’in un punto si vedranno costituire in poco tempo una grande e utilissima nazione”.
E qui va osservato che Musolino vede nel ritorno degli Ebrei in Palestina l’attuazione di un diritto reclamato da tutti i popoli senza patria, com’è ai suoi tempi anche il popolo italiano. È l’invocazione del principio di nazionalità che ispira il risorgimento su scala europea, nelle istanze di affrancamento dei popoli dai grandi imperi assolutistici. In questo quadro non può mancare la considerazione degli ebrei come popolo e come nazione che hanno il diritto di costituirsi in Stato, se non indipendente, almeno, date le particolari condizioni geopolitiche, autonomo. “Quello che ora deve convincere gli Ebrei” rileva ancora Musolino “non essere più i loro voti di arduo compimento e inanimirli quindi ad un doveroso tentativo è la pubblica opinione del secolo pronunziata ormai illimitatamente a favore della ricostituzione di tutte le nazionalità. Questo supremo diritto delle razze... riconosciuto ormai come giusto da tutt’i governi illuminati; questo santissimo diritto di nazionalità può essere presentemente reclamato ancora dal popolo ebreo senza suscitare le apprensioni di alcuna razza, né di alcun governo. Si tratterebbe anzi di ottenere pacificamente e col beneplacito della stessa Porta la permissione di riabitare una tessa posseduta ab antiquo, col solo benefizio di una speciale amministrazione e restando gli Ebrei sottoposti sempre al supremo dominio del Sultano”.

[Ometto la delineazione degli ampi confini e l’ipotesi di Costituzione che Musolino immagina per questo Stato, che chiama Principato di Palestina]
Non manca addirittura di prendere posizione sul movimento riformatore da poco nato, e in generale su aspetti religiosi “interni” dll’ebraismo

A Musolino importa sottolineare un altro, e fondamentale, aspetto dell’identità nazionale ebraica, e cioè quello religioso. Poco tempo prima, nel 1844, si è tentato di avviare in Germania uno “strano scisma” tra gli Ebrei, basato sulla credenza in Dio e nell’immortalità dell’anima, certo, ma anche sulla rinunzia alla circoncisione e all’attesa del Messia, e a tutti gli articoli del Talmud. Musolino giudica negativamente tali ipotesi. “Ora che cosa è mai un giudeo, che rinunzia all’idea, alla speranza di riabitare la terra dei suoi padri? I Giudei non sono tali perché hanno una religione a parte; ma costituiscono una razza speciale, una razza quasi unica al mondo per lo spirito di nazionalità che informa questa religione”. E osserva, di seguito: “Tutte le altre religioni (salvo anche il maomettismo) fondate su principi universali di morale sono state predicate per diffondersi ed adattarsi in tutt’i paesi ed a tutte le nazioni. Ma il giudaismo è attaccato assolutamente al suolo, alla terra dei padri. La legge, i profeti, e tutto il grande edifizio politico riposano su questa base fondamentale. Un israelita fuori della Giudea non si sente un perfetto adoratore di H”, né vero seguace di Mosè. Fuori della Giudea non si veggono che sinagoghe. Il Tempio non può esistere che nella sola Gerusalemme”.
Per i giudei insomma “religione valeva e vale nazionalità”, per cui se rinunziano al Messia “essi si scindono dalla gran famiglia giudaica; e senza far parte di nessun’altra nazionalità perdono anche quella avuta finora, e ch’è stata lo stupore delle genti”. Se si trattasse di cambiar religione, tanto varrebbe, pensa Musolino, che diventassero cattolici, protestanti o maomettani, invece di continuare a chiamarsi giudei, calpestando le leggi di Mosè e le parole dei Profeti, con il ripudio dell’attesa del Messia che li riconduca in Palestina e della ricostruzione delle mura di Gerusalemme. In definitiva, senza addentrarsi nella distinzione tra talmudisti, rabbanisti, caraiti e via dicendo, difende la tradizione ebraica del ritorno in Palestina, comune a tutte le sette giudaiche, senza la quale ovviamente il suo progetto verrebbe a perdere ogni ragion d’essere.
[…] Il progetto rimarrà sconosciuto per molto tempo, in quanto non viene pubblicato […], gli autori sionisti neppure potranno citare la sua opera. Un lavoro che anticipa le tesi sioniste vere e proprie e che viene concepito ben trentun anni prima di quello di J. L. Pinsker (1821-1891) e quarantacinque anni prima di quello di Teodoro Herzl (1860-1904), fondatore del sionismo con il Primo Congresso Sionista del 1897. Ovviamente il termine sionismo non ricorre mai nell’opera di Musolino, non fosse altro perché viene usato per la prima volta da Nathan Birnbaum nel 1890. E di Musolino precursore del movimento sionista si parlerà solo nel 1951, quando cioè, un secolo dopo, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, pubblicherà la sua opera, con la prefazione di Gino Luzzatto. […].
Ma vent’anni dopo la sua scomparsa, il 5 0ttobre 1905, El Sionista di Buenos Aires pubblica un ricordo di Moise Finzi, riportato nella sua parte essenziale da Gino Luzzato nella prefazione all’opera di Musolino. “Mi narrò” ricorda Finzi “che per tre volte egli era stato in Palestina e un quarto viaggio avrebbe anche volentieri impreso se non l’avessero scoraggiato da ulteriori spese gli inutili sforzi fatti per trovare promotori e aiutatori al suo disegno. Mi disse che a tal uopo si era presentato a Londra a lord Palmerston, il quale lo aveva consigliato a interpellare il banchiere Rothschild, che aveva parlato con un Rabbino, non ricordo se in Inghilterra o in Francia: ma nessuno gli aveva dato ascolto”.
[…] È ancora in vita, nel 1882, quando Jehudah Leib Pinsker pubblica Eigen-Emanzipation, con il proposito di sostenere le aspirazioni degli ebrei russo-polacchi. Viene considerato, a torto, in quanto non conosce l’opera del Musolino, il primo a sostenere la necessità di uno Stato ebraico. Viene ascritto al cosiddetto “sionismo politico o pratico”, non a quello spirituale né a quello revisionista, ma nei suoi scritti è dato rilevare elementi che lo porteranno ad essere considerato un traditore degli ideali ebraici di ritorno in Palestina. Afferma infatti che il nuovo Stato potrebbe nascere non necessariamente in Palestina, contrariamente a quanto invece propone Musolino. Tale pragmatismo lo renderà inviso sia agli ebrei ortodossi sia a quelli liberali. Ma la sua posizione, come si accennerà in seguito, non resterà isolata. “Così il sionismo, che fin dalla sua nascita era stato un movimento complesso e frammentato in una pluralità di progetti e tesi ideologiche spesso in contraddizione fra loro, si evolveva come fatto politico e non più come riflessione religiosa”. Elemento quest’ultimo non estraneo allo stesso Musolino, ma certo non prevalente.
Il suo resta un interesse esclusivamente politico, per cui coerenza sarebbe considerarlo un precursore del sionismo politico, come già rilevato da Berti: ”Musolino non era Ebreo né ebbe relazioni con Ebrei prima di stendere il suo progetto di emancipazione degli Israeliti. Del resto da secoli non v’erano Ebrei in Calabria. Ma come democratico, egli volle difendere la nazionalità, la libertà, la lingua, la dignità umana di un popolo ingiustamente perseguitato in ogni angolo del mondo; al tempo stesso volle coseguire uno scopo che riteneva di importanza strategica per le sorti della democrazia europea”. E in questo è da comprendere una profonda vicinanza al popolo ebreo in cui trova più di un momento di analogia con il progetto di unificazione dell’Italia. “Quel suo piano” rimarca ancora Berti “si ricollega, quindi, ai tentativi fatti dai patrioti italiani per trovare, sullo scacchiere internazionale, delle soluzioni che rendessero meno difficile l’unità e l’indipendenza del nostro paese”.
[…] Confrontato con il sionismo definito pratico di Hibbat Sion e con il sionismo spirituale di Asher Ginsberg (1856-1927) della provincia di Kiev, il sionismo politico di Herzl appare quello più vicino alle idee di Musolino maturate nel patriota calabrese ben 46 anni prima del congresso del primo congresso sionista, che discute come costruire lo Stato ebraico. Ed è significativo che il padre dello Stato d’Israele, fondato nel 1948, Ben Gurion affermi che “gli Ebrei devono essere grati a Herzl di non aver letto l’opuscolo di Pinsker prima di scrivere il suo saggio sullo Stato ebraico” .Ovviamente non rientra nei compiti di questo scritto seguire le vicende che hanno portato alla nascita dello Stato d’Israele. Di certo si può affermare invece che con il progetto del 1851 Musolino, almeno nella premessa del ritorno a Sion, potrebbe essere a buon diritto annoverato tra i primi scrittori politici ad aver tentato di indicare la via politica da seguire per realizzare lo Stato ebraico. […]

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