Benedetto Musolino e il sionismo
di Enrico Esposito
Un interessante articolo su
Benedetto Musolino, il patriota rinascimentale “protosionista”.
Per l’intero articolo consultare
il link alla Rivista calabrese di
storia del ’900 – Anno 2009, n. 1-2 http://s573166820.sito-web-online.it/wp-content/uploads/2015/05/08_2009_Esposito.pdf
“Un patriota calabrese precursore
del sionismo”. Così intitolava Moshe Ishai un suo testo inserito nella raccolta
In memoriam di Sally Mayer, pubblicata in ebraico nel 1960 a
Gerusalemme. Il patriota cui si fa riferimento è Benedetto Musolino, protagonista
di tante battaglie antiassolutistiche e indipendentische durante il Risorgimento.
Nativo di Pizzo, nel 1848 diventa
deputato nel Parlamento Napoletano, dove, reduce dall’esperimento
rivoluzionario cosentino di quell’anno, si fa promotore della protesta con la
quale 64 parlamentari dichiaravano decaduto il re, Ferdinando di Borbone. Il
fallimento del 1848 su scala nazionale ed europea lo vede tra i calabresi della
diaspora, che trovano riparo negli Stati Sardi, e segnatamente a Genova e a
Torino, come è accaduto anche per Carlo Mileti, Casimiro De Lieto, Biagio
Miraglia e tanti altri. Musolino a Genova allaccia rapporti con i capi del
partito d’azione di ispirazione mazziniana, come Carlo Pisacane, e delle frange
democratiche del Risorgimento, come Giuseppe Montanelli e Mauro Macchi. Nella
città ligure gli emigrati politici calabresi s’impegnano intensamente nel
dibattito sul futuro delle battaglie indipendentistiche, in quello che viene
chiamato ancora il decennio di preparazione.
Musolino invece sembra
interessato soprattutto alle questioni internazionali. Già nel 1832 s’è recato
in Palestina, dove è tornato qualche anno dopo, per osservare da vicino la situazione
del Medio Oriente, in presenza del sultanato turco, il regno della Sublime Porta,
e dell’imperialismo russo di cui la Gran Bretagna non gli sembra in grado di arginare
l’espansione. Dalle sue riflessioni nasce un’opera ponderosa che pubblica a
Genova nel 1851. Si tratta di Gerusalemme ed il popolo ebreo, con
un lungo sottotitolo nel manoscritto: “La Palestina nei suoi rapporti
commerciali e politici coll’Asia e con l’Europa e più di tutto colla
Granbretagna (sic)”. Musolino stesso definisce il suo lavoro un “progetto da
rassegnarsi al Governo di Sua Maestà Britannica”. E in effetti di un progetto
si deve parlare imperniato sulla creazione di un Principato di Palestina e
sulla costruzione di una grande linea ferroviaria che arrivi fino a Pechino, l’unica
opera che può a suo parere fare da freno all’espansionismo moscovita.
Sono due idee originali,
considerati i tempi, specie la prima, in quanto Musolino propone di assegnare
il principato palestinese agli Ebrei, ai quali il Sultano dovrebbe accordare l’autonomia
amministrativa con la garanzia della Gran Bretagna. È questo che lo fa ritenere
un precursore del sionismo, se per sionismo deve intendersi “la vocazione del
ritorno a Sion”, uno dei nomi ebraici di Gerusalemme. Musolino si reca anche a
Londra per sottoporre al governo inglese il suo progetto, ma Lord Palmerston
preferisce non riceverlo. […] “Io quindi invoco” dice Musolino
“sull’insieme del presente Progetto e su i suoi più minuti particolari una
severissima attenzione per parte di tutti i grandi banchieri israeliti; di
tutti i grandi bancheri negozianto [banchieri, commercianti] e
manifattori inglesi: invoco la sollecitudine e la cooperazione della Compagnia
delle Indie Orientali; e più di tutto la protezione del sapientissimo e
onnipotente Governo di S.M. la Regina della Gran Bretagna e d’Irlanda, non che
l’acquiescenza della Sublime Porta Ottomana”.
Il Principato di Palestina è
dunque funzionale alla proposta della costruzione della ferrovia
transcontinentale fino a Pechino, ma quello che fa ritenere il suo autore un precursore
del sionismo è l’altra proposta di affidare il governo autonomo dell’istituendo
principato agli Ebrei. “Esiste sulla terra un popolo senza patria,
disseminato su tutt’i punti, abitante sotto tutt’i climi; il quale avendo
veduto rovesciare il trono dei suoi re ed il tempio del suo Dio è tuttavia
legato da nodi indissolubili ed eterni, dal fervore della propria fede, e dalla
speranza di riabitare un giorno la terra che Dio ha promesso min perpretuo ai
suoi padri. Questo popolo è il Popolo Ebreo”. Già nel passo appena citato
ricorre più di un termine del linguaggio sionistico, in special modo quelli
della terra promessa e del diritto degli ebrei a ritornare in Palestina. Ma
Musolino riprende anche l’antica questione della diaspora ebraica, nonostante i
grandi meriti che il popolo ebreo ha conquistato nel corso della sua storia
millenaria. Hanno visto distruggere diciassette volte, ricorda il patriota
calabrese, la loro città santa, Gerusalemme, ma hanno conservato gelosamente la
loro identità in tutti i paesi in cui sono stati accolti non sempre
benevolmente, e sempre hanno coltivato il sogno del ritorno nella terra dei
padri, la Palestina, alimentato da uno spirito nazionale, che li ha fatti
sopravvivere ai tanti rovesci della storia. A differenza di tanti altri popoli,
pur potenti e famosi, come gli Assiri, i Medi, Gli Egizi e persino i Romani.
Per questo Musolino giudica una grande ingiustizia che gli Ebrei restino ancora
un popolo senza patria, anzi che siano ancora “abbandonati all’insulto e al
disprezzo continuo delle generazioni, calunniati sempre e dappertutto”. E
aggiunge:”Vi fu un’epoca nella quale non si commettevano delitti atroci, nella
quale non si parlava di vizi abominevoli, senza che venissero essi attribuiti
agli Ebrei...E certo messe da banda le prevenzioni di un cieco fanatismo,
nessuno potrà negare aver gli Ebrei prestato segnalati servigi all’umanità”. E
non si riferisce, precisa, al popolo eletto da Dio, a quello che ha creato la
prima poesia, la prima letteratura o la prima legislazione, ma agli ebrei come
“popolo prevaricato, abbandonato all’abiezione delle genti, all’ira del cielo e
degli uomini e che tuttavia “insegnarono mansuetudine agli uomini come la
nazioni per loro reciproci vantaggi dovrebbero comporre una sola famiglia...Gli
Ebrei gittarono le fondamenta di questo immenso edificio additando le prime vie
di corrispondenza e di legame commerciale”.
E qui il patriota calabrese
rileva come gli Ebrei non debbano invidiare “ad alcuna altra razza alte
intelligenza ed esimie virtù”, senza per questo dover citare “i nomi di tutti
quegl’illustri che nelle passate età brillarono nelle lettere e nelle scienze”.
Per tutte queste ragioni, afferma Musolino, “non vi sarà individuo che possa
contrastare agli Ebrei il diritto di possesso o di privilegio sulla Palestina,
alla quale essi non hanno mai moralmente né politicamente rinunziato;...questo
popolo possiede ancora tutti gli elementi perché dal nulla possa risorgere
all’antico splendore per prestare i più segnalati servigi alla causa della
civiltà e della sicurezza dei popoli di Asia e di Europa. Un grido solo basta
per convocarlo da tutti gli angoli della terra...convenendo i suoi figlioli
tutt’in un punto si vedranno costituire in poco tempo una grande e utilissima
nazione”.
E qui va osservato che Musolino
vede nel ritorno degli Ebrei in Palestina l’attuazione di un diritto reclamato
da tutti i popoli senza patria, com’è ai suoi tempi anche il popolo italiano. È l’invocazione del principio di nazionalità che ispira
il risorgimento su scala europea, nelle istanze di affrancamento dei popoli dai
grandi imperi assolutistici. In questo quadro non può mancare la considerazione
degli ebrei come popolo e come nazione che hanno il diritto di costituirsi in
Stato, se non indipendente, almeno, date le particolari condizioni
geopolitiche, autonomo. “Quello che ora deve convincere gli Ebrei” rileva
ancora Musolino “non essere più i loro voti di arduo compimento e inanimirli
quindi ad un doveroso tentativo è la pubblica opinione del secolo pronunziata
ormai illimitatamente a favore della ricostituzione di tutte le nazionalità.
Questo supremo diritto delle razze... riconosciuto ormai come giusto da tutt’i
governi illuminati; questo santissimo diritto di nazionalità può essere presentemente
reclamato ancora dal popolo ebreo senza suscitare le apprensioni di alcuna
razza, né di alcun governo. Si tratterebbe anzi di ottenere pacificamente e col
beneplacito della stessa Porta la permissione di riabitare una tessa posseduta ab
antiquo, col solo benefizio di una speciale amministrazione e restando gli
Ebrei sottoposti sempre al supremo dominio del Sultano”.
[Ometto la delineazione
degli ampi confini e l’ipotesi di Costituzione che Musolino immagina per questo
Stato, che chiama Principato di Palestina]
Non manca addirittura di prendere
posizione sul movimento riformatore da poco nato, e in generale su aspetti
religiosi “interni” dll’ebraismo
A Musolino importa sottolineare
un altro, e fondamentale, aspetto dell’identità nazionale ebraica, e cioè
quello religioso. Poco tempo prima, nel 1844, si è tentato di avviare in
Germania uno “strano scisma” tra gli Ebrei, basato sulla credenza in Dio e
nell’immortalità dell’anima, certo, ma anche sulla rinunzia alla circoncisione
e all’attesa del Messia, e a tutti gli articoli del Talmud. Musolino giudica
negativamente tali ipotesi. “Ora che cosa è mai un giudeo, che rinunzia
all’idea, alla speranza di riabitare la terra dei suoi padri? I Giudei non sono
tali perché hanno una religione a parte; ma costituiscono una razza speciale,
una razza quasi unica al mondo per lo spirito di nazionalità che informa questa
religione”. E osserva, di seguito: “Tutte le altre religioni (salvo anche
il maomettismo) fondate su principi universali di morale sono state predicate
per diffondersi ed adattarsi in tutt’i paesi ed a tutte le nazioni. Ma il
giudaismo è attaccato assolutamente al suolo, alla terra dei padri. La legge, i
profeti, e tutto il grande edifizio politico riposano su questa base
fondamentale. Un israelita fuori della Giudea non si sente un perfetto
adoratore di H”, né vero seguace di Mosè. Fuori della Giudea non si veggono che
sinagoghe. Il Tempio non può esistere che nella sola Gerusalemme”.
Per i giudei insomma “religione
valeva e vale nazionalità”, per cui se rinunziano al Messia “essi si scindono
dalla gran famiglia giudaica; e senza far parte di nessun’altra nazionalità
perdono anche quella avuta finora, e ch’è stata lo stupore delle genti”. Se si trattasse
di cambiar religione, tanto varrebbe, pensa Musolino, che diventassero
cattolici, protestanti o maomettani, invece di continuare a chiamarsi giudei,
calpestando le leggi di Mosè e le parole dei Profeti, con il ripudio
dell’attesa del Messia che li riconduca in Palestina e della ricostruzione delle
mura di Gerusalemme. In definitiva, senza addentrarsi nella distinzione tra talmudisti,
rabbanisti, caraiti e via dicendo, difende la tradizione ebraica del ritorno in
Palestina, comune a tutte le sette giudaiche, senza la quale ovviamente il suo
progetto verrebbe a perdere ogni ragion d’essere.
[…] Il progetto rimarrà sconosciuto per molto tempo, in
quanto non viene pubblicato […], gli autori sionisti neppure potranno
citare la sua opera. Un lavoro che anticipa le tesi sioniste vere e proprie e
che viene concepito ben trentun anni prima di quello di J. L. Pinsker (1821-1891)
e quarantacinque anni prima di quello di Teodoro Herzl (1860-1904), fondatore
del sionismo con il Primo Congresso Sionista del 1897. Ovviamente il termine
sionismo non ricorre mai nell’opera di Musolino, non fosse altro perché viene usato
per la prima volta da Nathan Birnbaum nel 1890. E di Musolino precursore del movimento
sionista si parlerà solo nel 1951, quando cioè, un secolo dopo, l’Unione delle
Comunità Israelitiche Italiane, pubblicherà la sua opera, con la prefazione di Gino
Luzzatto. […].
Ma vent’anni dopo la sua
scomparsa, il 5 0ttobre 1905, El Sionista di Buenos Aires pubblica un
ricordo di Moise Finzi, riportato nella sua parte essenziale da Gino Luzzato
nella prefazione all’opera di Musolino. “Mi narrò” ricorda Finzi “che per tre
volte egli era stato in Palestina e un quarto viaggio avrebbe anche volentieri
impreso se non l’avessero scoraggiato da ulteriori spese gli inutili sforzi
fatti per trovare promotori e aiutatori al suo disegno. Mi disse che a tal uopo
si era presentato a Londra a lord Palmerston, il quale lo aveva consigliato a interpellare
il banchiere Rothschild, che aveva parlato con un Rabbino, non ricordo se in
Inghilterra o in Francia: ma nessuno gli aveva dato ascolto”.
[…] È ancora in vita, nel 1882, quando Jehudah Leib Pinsker
pubblica Eigen-Emanzipation, con il proposito di sostenere le
aspirazioni degli ebrei russo-polacchi. Viene considerato, a torto, in quanto
non conosce l’opera del Musolino, il primo a sostenere la necessità di uno
Stato ebraico. Viene ascritto al cosiddetto “sionismo politico o pratico”, non
a quello spirituale né a quello revisionista, ma nei suoi scritti è dato
rilevare elementi che lo porteranno ad essere considerato un traditore degli
ideali ebraici di ritorno in Palestina. Afferma infatti che il nuovo Stato potrebbe
nascere non necessariamente in Palestina, contrariamente a quanto invece
propone Musolino. Tale pragmatismo lo renderà inviso sia agli ebrei ortodossi
sia a quelli liberali. Ma la sua posizione, come si accennerà in seguito, non
resterà isolata. “Così il sionismo, che fin dalla sua nascita era stato un
movimento complesso e frammentato in una pluralità di progetti e tesi
ideologiche spesso in contraddizione fra loro, si evolveva come fatto politico
e non più come riflessione religiosa”. Elemento quest’ultimo non estraneo allo
stesso Musolino, ma certo non prevalente.
Il suo resta un interesse esclusivamente
politico, per cui coerenza sarebbe considerarlo un precursore del sionismo
politico, come già rilevato da Berti: ”Musolino non era Ebreo né ebbe relazioni
con Ebrei prima di stendere il suo progetto di emancipazione degli Israeliti. Del
resto da secoli non v’erano Ebrei in Calabria. Ma come democratico, egli
volle difendere la nazionalità, la libertà, la lingua, la dignità umana di un
popolo ingiustamente perseguitato in ogni angolo del mondo; al tempo stesso
volle coseguire uno scopo che riteneva di importanza strategica per le sorti
della democrazia europea”. E in questo è da comprendere una profonda vicinanza
al popolo ebreo in cui trova più di un momento di analogia con il progetto di
unificazione dell’Italia. “Quel suo piano” rimarca ancora Berti “si ricollega,
quindi, ai tentativi fatti dai patrioti italiani per trovare, sullo scacchiere
internazionale, delle soluzioni che rendessero meno difficile l’unità e
l’indipendenza del nostro paese”.
[…] Confrontato con il sionismo definito pratico di Hibbat
Sion e con il sionismo spirituale di Asher Ginsberg (1856-1927) della provincia
di Kiev, il sionismo politico di Herzl appare quello più vicino alle idee di Musolino
maturate nel patriota calabrese ben 46 anni prima del congresso del primo congresso
sionista, che discute come costruire lo Stato ebraico. Ed è significativo che
il padre dello Stato d’Israele, fondato nel 1948, Ben Gurion affermi che “gli
Ebrei devono essere grati a Herzl di non aver letto l’opuscolo di Pinsker prima
di scrivere il suo saggio sullo Stato ebraico” .Ovviamente non rientra nei
compiti di questo scritto seguire le vicende che hanno portato alla nascita
dello Stato d’Israele. Di certo si può affermare invece che con il progetto del
1851 Musolino, almeno nella premessa del ritorno a Sion, potrebbe essere a buon
diritto annoverato tra i primi scrittori politici ad aver tentato di indicare la
via politica da seguire per realizzare lo Stato ebraico. […]
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