Dal 15 maggio al 23 luglio, in
un inedito gemellaggio tra Musei vaticani e Museo ebraico di Roma, si svolge
una interessantissima mostra su quello che è sempre stato il simbolo per
eccellenza della fede e dell’identità ebraica, la menorah, il candelabro a
sette bracci le cui luci ardevano ininterrottamente nel Bet haMiqdash (il
Tempio) di Gerusalemme. Distrutto il tempio, depredati i suoi tesori, non se ne
hanno più notizie da quasi 2000 anni. Anche il suo trafugamento a Roma è stato
messo in dubbio, da alcuni che sostengono essere solo una copia quella
raffigurata nell’Arco di Tito,che sarebbe stata trasportata a Roma. Come che sia, verrà poi riprodotta nello stemma del ricostruito Stato di Israele.
Al gemellaggio tra i due
importanti di Roma, voglio unire un gemellaggio minore con le menorot
calabresi, le poche ritrovate, di cui farò una breve carrellata.
Menorà. Culto, storia e mito: “Mostra che guarda al
mondo”
Da Moked, 15 maggio 2017
“Non
soltanto un evento che ha un chiaro valore simbolico. È anche una grande
iniziativa sotto il profilo artistico quella che inauguriamo oggi, frutto di
una collaborazione molto intensa tra i nostri due musei”. Così la direttrice
dei Musei Vaticani Barbara Jatta ha illustrato in conferenza stampa la mostra
“Menorà. Culto, storia e mito” che vede coinvolti insieme il Braccio di Carlo
Magno in Vaticano e il Museo ebraico di Roma.
Centotrenta
opere in mostra, grazie anche ad alcuni prestiti concessi dai più importanti
musei al mondo (dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra,
dall’Israel Museum alla Biblioteca Palatina di Parma). L’arte figurativa, nelle
sue diverse forme, per raccontare la “storia plurimillenaria, incredibile e
sofferta della Menorà”. E cioè il candelabro a sette braccia che proprio a
Roma, snodo fondamentale della sua vicenda, è diventato il simbolo più potente
dell’ebraismo. “Una mostra sulla Menorà non poteva che essere organizzata qua,
in questa città” sottolinea la direttrice del Museo ebraico Alessandra Di
Castro, intervenendo dopo Jatta.
Ad
illustrare la sfida e il messaggio dell’iniziativa sono anche gli altri due
curatori (insieme alla Di Castro) Francesco Leone, professore associato di
Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università G. D’Annunzio
Chieti-Pescara, e Arnold Nesselrath, delegato per i Dipartimenti scientifici e
i laboratori di restauro dei Musei Vaticani.
La
mostra, è stato spiegato oggi in conferenza stampa, vuole lanciare messaggi
forti all’insieme dell’opinione pubblica. E guidare, tra storia e leggenda, in
un itinerario davvero unico nel suo genere. Perché è a Roma che, inaugurando il
suo lungo peregrinare, la Menorà giunge nel 70 dell’era moderna dopo la
distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte delle truppe condotte da Tito.
Ed è a Roma che si rafforza la sua centralità identitaria, negli stessi anni in
cui inizia ad affermarsi con diversi simboli il cristianesimo. Ed è sempre a
Roma che il sacco dei Vandali di Gensenico del 455 ha come conseguenza la
scomparsa di ogni traccia storica sul conto del candelabro. Scompare
fisicamente agli occhi, ma non nella percezione e nella coscienza collettiva.
Sottolineano
infatti i curatori: “Quando nel corso della storia le opere d’arte sono state
trafugate come bottini di guerra la scelta è stata sempre dettata da mire
materialistiche e da manie di appropriazione. A dispetto dei danni giganteschi
causati da queste drammatiche spoliazioni, il valore etico connaturato alle
opere d’arte trafugate ne ha trasformato in alcuni casi, paradossalmente, la
ricezione negli ambienti di arrivo in poderosi strumenti di civiltà e di
confronto”. Nel caso della Menorà questo potere si perpetua ancora oggi, “a
quasi due millenni dalla sua definitiva scomparsa a Roma”.
La
più importante menorah calabrese è senza dubbio quella raffigurata nel mosaico pavimentale
della sinagoga di Bova Marina, della quale ho parlato nel blog più di una
volta.
Si
tratta di una raffigurazione riproducente il motivo classico, con la base a
treppiedi (a differenza della base più complessa raffigurata nell’Arco di Tito)
e altri simboli fondamentali della fede e del culto ebraici: a sinistra lo
shofar, il corno di montone il cui suono suggestivo si ode in alcune giornate festive,
e a destra il lulav (i rami di palma, mirto e salice) e l’etrog (il cedro, così
legato anche alla nostra terra) che si usano nella festa di Sukkot (o delle
Capanne). Un mosaico prezioso, risalente al IV-VI secolo, non solo per la sua
fattura, ma per l’antico legame che concorre a stabilire tra ebraismo e
Calabria.
Anse con marchi di menorah presso
il Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia
Sempre
nell’area archeologica di San Pasquale o Deri, dove si trova la sinagoga, sono
state rinvenute delle anfore, recanti il marchio della menorah, molto
probabilmente contenenti vino kasher (adatto all’uso da parte degli ebrei).
Coeve
al mosaico sono altre anfore simili, con impresso lo stesso simbolo sono state
trovate a Vibo, e sono custodite nel locale Museo archeologico nazionale, e
nell’area della Roccelletta del Vescovo di Squillace, che sorge sul territorio
della greco-romana Skylletion/Scolacium.
Di questi due reperti ho già parlato in altri posto in particolare in "Nuove antiche tracce ebraiche in Calabria".
Di questi due reperti ho già parlato in altri posto in particolare in "Nuove antiche tracce ebraiche in Calabria".
Ansa con marchio di menorah presso
il Museo della Roccelletta del Vescovo di Squillace
A
suggellare il gemellaggio con la mostra in svolgimento a Roma, c’è da dire che
sembrano provenire dalla Calabria anche alcune anfore con simbolo della menorah
provenienti dalla Calabria, evidentemente ad uso della Comunità ebraica di
Roma.
Un’altra
menorah, forse la più antica, si trova impressa su una lucerna rinvenuta in un’area
cimiteriale ebraico-cristiana dell’antica Leucopetra, oggi Lazzaro, nel comune
di Motta San Giovanni.
A
chiusura di questa breve rassegna, non possiamo dimenticare la menorah più
famosa… quella che probabilmente non c’è, almeno a detto dei maggiori storici e
archeologi! Si tratta della mitica menorah di Alarico, re dei Visigoti, che l’avrebbe
trafugata a Roma e poi, con varie tonnellate d’oro e d’argento l’avrebbe
portata con sé dirigendosi verso la Sicilia per raggiungere l’Africa.
Morto
nei pressi di Cosenza, sarebbe stato sepolto alla confluenza di Crati e
Busento, deviati per scavare una tomba che contenesse il suo corpo ed il
tesoro, menorah compresa.
Sono
stati fatti notevoli investimenti con autorevoli sponsor per vedere di accertare
l’ipotesi, anche il Referente della Comunità ebraica di Napoli, Roque Pugliese
era presente al tavolo dei promotori dell’iniziativa. Al momento l’unico
risultato pratico sembra essere una discussa statua di Alarico posta alla
confluenza dei due fiumi. Attendiamo fiduciosi…
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