Venerdì
scorso si è svolto un incontro sulla storia degli ebrei reggini, il
secondo che si è tenuto in poco tempo a Reggio. Pubblichiamo ampi stralci della
relazione tenuta sul tema dal professor Felice Delfino.
Felice Delfino
Certamente
molti reggini saranno a conoscenza della presenza nella nostra città e nei suoi
dintorni di Greci, Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini ed Aragonesi,
tuttavia non tutti sapranno che oltre queste etnie, fin dall’epoca tardo-antica,
fu presente nel Reggino anche un popolo proveniente dall’Oriente, che diede un
contributo non tanto dal punto di vista sociale e culturale, quanto piuttosto
dalla prospettiva prettamente economica: si tratta degli Ebrei.
Esamineremo
dunque le cause che spinsero gli ebrei ad abbandonare la loro terra d’origine,
la Palestina, per collocare la loro vita religiosa, sociale, culturale ed
economica nel Reggino.
Alla
base di questo stanziamento ebraico sta quel particolare fenomeno migratorio
meglio noto col nome di diaspora, che tradotto dal greco significa propriamente
dispersione, disseminazione.
Bisogna
precisare che la diaspora non fu univoca in quanto in lassi cronologici assai
diversi si verificarono svariati flussi migratori, ma per quel che ci riguarda,
ci riferiamo all’ultima, quando nel 70 d.C. il Tempio di Gerusalemme fu
distrutto definitivamente dal generale romano Tito, figlio di Vespasiano, il
quale era a comando di diverse legioni: V
Macedonica, X Fretensis, XII Fluminata, XV Apollinaris.
È
Interessante sottolineare che la X legio
Fretensis fu costituita dal primo Imperatore romano Ottaviano Augusto in
riva allo Stretto di Messina in occasione della battaglia contro Sesto Pompeo.
Questa legione arruolava tra le sue fila soldati reggini e bruzi. Dunque questo
significa che anche soldati reggini parteciparono alla distruzione di
Gerusalemme e del Tempio.
Una
volta rasa al suolo la Città Santa ed il suo luogo di culto, gli ebrei furono
deportati in schiavitù a Roma. Per giungere dall’Oriente all’Occidente le navi
romane cariche di schiavi ebrei seguirono la rotta commerciale, quella stessa
percorsa da San Paolo nel 64, che aveva come scalo obbligato Reggio Calabria.
Alcuni ebrei liberi scelsero di fermarsi nella città in riva allo Stretto, una
piccola parte di schiavi fu portata a lavorare le terre del Bruzio e
dell’Italìa, mentre la maggior parte di essi fu condotta a Roma. Alcuni di
questi schiavi ebrei giunti nella capitale dell’Impero Romano, dopo aver
riscattato il loro status socialis da
servus in libertus mediante corrispettivo pagamento in denaro versato dai
fratelli ebrei più ricchi, nei pressi di Roma costruirono la prima comunità
ebraica: quella di Ostia, la cui sinagoga è stata ritrovata e datata dagli
archeologi al II sec., dunque la più antica della penisola italiana. Anche nel Reggino
è stata ritrovata una sinagoga quella di San Pasquale di Bova Marina, l’antica
Delia in epoca romana. Questa sinagoga è stata invece datata IV sec.
Non
tutti gli ebrei liberti vollero però restare nel Lazio, e muovendosi attraverso
le vie romane si spostarono lungo la penisola. Attraversando la via consolare
Popilia, che collegava Capua con Catona, provincia Di Reggio Calabria, scesero
nel Meridione e qui costruirono numerose giudecche.
Ebrei
furono anche a Catona, ultima statio
della via Popilia attestata dal Lapis
Pollae, il Marmo di Polla, che consacrò il borgo di Catona “Ad Fretum Ad
Statuam” (Dallo Stretto alla statua). Il marmo di Polla fa infatti
riferimento allo Stretto di Messina, meglio conosciuto all’epoca come Passo di
Scilla o Ad Portum, e alla statua del
dio Nettuno, dio dei mari a cui tutti i catonesi erano devoti in quanto abili
pescatori e al quale officiavano doni per una pesca propizia.
A
Catona, che si chiamava a quel tempo Columna
Reggina (anche se alcuni studiosi affermano che fu Cannitello), esisteva un
porto, il secondo d’importanza dopo quello di Reggio, collegato da un torrente
navigabile al porto di Fiumara di Muro, conosciuta al tempo dei Romani come Cenicolo.
Altro
elemento che fa protendere verso la tesi secondo cui ci fu una presenza ebraica
anche a Catona, è individuabile dal toponimo Cannameli (il cui significato
etimologico è canna da miele, e non canna inteso come mezzo di misura e miele
nel senso di fortezza come sostiene erroneamente Mons. Pensabene). La località
Cannameli, che si trova nelle vicinanze dell’attuale Kalura, fa presupporre che
qui gli Ebrei vi producessero le canne da zucchero, altra attività agli ebrei
congeniale.
Certamente
ebrei furono presenti già in epoca antica e prima dell’età imperiale. Sappiamo
con esattezza che alcune famiglie ebraiche si erano stabilite in terra reggina
nel IV secolo come testimoniano tre reperti: il titulus della Sinagoga di Reggio, la lucerna di Leucopetra, la
Sinagoga di Bova Marina, scoperte archeologiche tutte datate dagli esperti al
IV secolo.
Il
titulus, custodito all’interno del
“Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria” riporta impressa una scritta in
greco: “TON IOUDAION” tradotta in italiano “dei Giudei”, che gli archeologi
hanno ricostruito come “SYNAGOGE TON IOUDAION” (Sinagoga dei Giudei). Il fatto
che fosse scritta in greco è un dato interessante perché sta ad indicare che
gli ebrei reggini parlavano il greco, che però utilizzavano solo per
motivazioni prettamente commerciali, in quanto all’interno della loro giudecca
parlavano tra essi soltanto l’ebraico.
L’altro
reperto del IV secolo è stato trovato a Lazzaro (l’antica Leucopetra). È una
lucerna ad olio con inciso il bollo della menorah
(il candelabro a sette braccia) trovata all’interno di una necropoli. Eminente
è il rinvenimento avvenuto a San Pasquale di Bova Marina, (l’antica Delia) di una sinagoga.
Certamente
comunità ebraiche furono presenti nel Reggino come in tutto il Meridione, anche
nel Medioevo fino al XVI secolo: abbiamo presenze ebraiche documentate a Grotteria,
Gerace, Torre di Bruzzano, Bruzzano, Condoianni, Motta Bovalina, Brancaleone, Bianco,
Pizzo, Rocca Angitola, Castelmonardo, Sant’Eufemia, Nicastro , Belcastro,
Stilo, S. Lorenzo, Motta S. Giovanni, Bova, Sant’Agata, Bagnara, Oppido, Gioia,
Melicuccà , San Giorgio, Terranova, Borrello, Rosarno, Pentidattilo, Seminara,
Fiumara di Muro, Mesuraca, Crotone, Isola, Reggio Calabria, Polistena, Tropea,
Vibo, Briatico, Mileto, Nicotera, Sinopoli, Calanna, Polia, Monterosso,
Castelvetere, Squillace, Catanzaro, Le Castella, Cutro, Amndolea.
Durante
la permanenza di queste famiglie ebraiche nel territorio calabrese, i loro
rapporti con i sovrani furono differenti a seconda del Casato al potere,
divenendo oggetto ora di persecuzioni, in altre occasioni invece di lusinghe,
destinatari di particolari privilegi e concessioni e, richiestissimi dalle universitas (nome medioevale dei
comuni), che per i benefici da essi apportati, sapevano di non poter fare a
meno di essi.
Gli
ebrei scelsero il Reggino, sia nell’antichità che nel Medioevo in quanto la
zona si presentava come punto logistico di grande validità per immettersi
facilmente all’interno del circuito commerciale non solo con la Sicilia, ma
anche con l’intera area mediterranea. Gli ebrei infatti erano abilissimi
commercianti, espertissimi anche in ogni altro settore dell’economia.
GLI EBREI DEL REGGINO E LA SETA
Tra
le tante attività svolte dagli ebrei che dimoravano nell’area reggina, le più
importanti, oltre il commercio, furono la produzione della seta strettamente
legata all’allevamento dei bachi e la coltivazione dei gelsi, le cui foglie
sono il nutrimento dei bachi; il prestito, la tipografia, la medicina.
Nella provincia di Reggio
Calabria, furono gli Ebrei a dare un tangibile impulso nella diffusione e
nell’incremento dell’industria della seta e nel suo commercio. Ben presto essi
furono però accusati dai mercanti Genovesi e dai Lucchesi di monopolizzare il
mercato. In effetti, essi detenevano il monopolio del commercio della seta,
cosa che si evince chiaramente, dal fatto che “il giorno della Maddalena” era
loro consentito dai regnanti, di fissare il prezzo della seta da immettere sul
mercato. Le proteste della popolazione calabrese indirizzate ai regnanti, che
volevano l’allontanamento degli ebrei dal Regno di Napoli, si fecero sempre più
pressanti, e nel 1511 un’ordinanza del re Ferdinando di Aragona, li costrinse
ad abbandonare il nostro paese. Quest’editto di cacciata non fu in realtà
l’unico, in quanto gli ebrei furono reintegrati più tardi nel Regno di Napoli,
dal sovrano Aragonese, quando ci si rese conto che il loro allontanamento aveva
provocato un terribile crollo economico a causa dell’incapacità dei produttori
locali improvvisatisi commercianti.
Gli ebrei erano commercianti oltre
che di seta e di altri pregiati tessuti, anche di altri prodotti. Essi si
distinsero anche nel commercio del vino reggino.
IL COMMERCIO DEL VINO REGGINO
Gli ebrei commerciavano anche il
vino reggino, vino che come afferma nei Depno Sofistai Ateneo di Naucrati era
uno dei vini principi dell’antichità insieme al vino Sorrentino e al vino
Priverno. Si trattava di un vino di altissima qualità il cui segreto è
riscontrabile non solo per le viti
pregiate, ma anche grazie all’utilizzo della pece Aspromontana con cui venivano
rivestite le anfore vinarie. Il vino reggino era tanto rinomato che addirittura
furono costruiti contenitori appositi denominati KEAY LII. Alcune di queste
anfore sono state ritrovate aventi il bollo della Menorah e pertanto appartenenti
agli ebrei reggini che commerciavano questo vino o lo utilizzavano per la sua
purezza come prodotto Kasher durante le loro celebrazioni liturgiche.
Tra le principali attività dagli
ebrei svolte nel reggino è bene ricordare anche l’usura.
Quando col Concilio Lateranense
IV, Papa Innocenzo III, vietò ai cristiani di prestare denaro, escluse da
questo veto gli ebrei, a patto che i tassi d’interesse dei prestiti non fossero
elevati. In realtà la Mishnà vietava anche agli ebrei di prestare denaro se non
per ragioni di sustentamento.
Oltre al commercio, alla
produzione della seta e all’usura, gli ebrei reggini si dedicarono anche ad
altri settori: medicina, stamperia (ricordiamo a tal proposito che proprio a
Reggio Calabria fu realizzata la prima opera stampata della regione, mediante
la stampante a carattere mobili. Si tratta del Commentario al Pentateuco del Rabbino
Rashi, copia realizzata da Abram ben Garton) ed a tantissime altre attività,
che portarono ricchezza ad essi stessi, ma anche al territorio in cui erano
stanziati. Per questo si accattivarono l’invidia dei locali e questa fu la
vera motivazione della richiesta della
loro scacciata.
Agli atti notarili invece la causa del loro allontanamento
appare di carattere prettamente religioso, motivata dall’accusa che gli ebrei
disturbavano chiassosamente con i loro riti la celebrazione liturgica cristiana
svolta all’interno della Chiesa di Santa Barbara.
Questo è un dato assai interessante perché chi di storia e
di archeologia s’intende sa benissimo che le sinagoghe oltre ad essere
costruite rivolte verso Oriente, cioè verso la città Santa di Gerusalemme,
erano normalmente collocate all’interno delle loro Giudecche.
All’interno dell’area circoscritta della Giudecca, gli
ebrei svolgevano la loro vita sociale distaccata da quella degli abitanti
locali coi quali avevano rapporti esclusivamente di tipo commerciale ed
economico.
La Giudecca di Reggio Calabria, così come le restanti
Giudecche, vennero evacuate definitivamente in seguito all’ultimo Editto di
espulsione di Ferdinando I detto “il Cattolico”, e questo sancì la fine della
presenza ebraica nel Regno di Napoli. La loro permanenza sarebbe sicuramente
stata positiva per il mantenimento e l’incremento dell’economia meridionale,
purtroppo questo documento emanato dal re Aragonese con così troppa ingenuità,
avrà così dirompenti ripercussioni che peseranno come un grossissimo macigno,
provocando conseguenze di degrado, gravi ferite sul piano economico-sociale,
che saranno risanate solo parzialmente parecchio tempo dopo con ingenti sforzi
dei locali. L’alto livello di floridezza e di benessere raggiunto in Calabria,
durante la presenza ebraica, resterà solo un triste ricordo, che comunque non
deve essere mai dimenticato.
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