Secondo quello che è solo un mito, ma attesta l’antica frequentazione
ebraica della Calabria, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé;
quasi certamente, in realtà, i primi ebrei si stabilirono nella nostra
regione dopo il 70 e.v., dopo la distruzione di Gerusalemme da parte di
Tito, e vi furono presenti con continuità per quasi 1500 anni.
All’epoca imperiale appartiene una tabella sinagogale rinvenuta a Reggio, nonché altri reperti archeologici, soprattutto la sinagoga del IV secolo di Bova Marina, ricca di mosaici, la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica, testimone di una fiorente comunità.
Da quest’epoca, per tutto il Medioevo e fino all’età aragonese, la loro presenza aumentò, e molti ebrei si stabilirono in Calabria (vi furono circa 200 comunità, da grandi a minuscole), provenienti dalla penisola iberica, dalla Grecia, dall’Europa del Nord, oltre che dalla Sicilia e da altre regioni d’Italia.
Pur attraverso alterne vicende di amicizia e ostilità con la popolazione cristiana, vessazioni e sostegni da parte dei governanti, protezioni ecclesiastiche e tentativi di conversione, erano parte integrante della popolazione calabrese, presenti in tutti i settori economici e sociali: pastori e medici, agricoltori e commercianti, scribi e banchieri, artigiani e rabbini.
A Rossano operò intorno all’anno 1000 Shabbetay Donnolo, celebre medico e filosofo; a Reggio fu stampato nel 1475 il commento di Rashi alla Torah, prima opera in ebraico con indicazione di data; calabresi furono i genitori del grande kabbalista Chayim Vital, noto come haQalavrezì, il Calabrese.
Nel 1511, sotto il dominio spagnolo, furono espulsi una prima volta, tornando poi per pochi anni, (richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri stranieri), per essere definitivamente banditi nel 1541; evento che contribuì alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato al commercio e alla lavorazione della seta, forse la maggiore ricchezza della regione.
Dispersi in Italia, nell’Oriente ottomano e in Israele, mantennero memoria della loro origine, e ancora fino agli inizi del secolo scorso alcune sinagoghe a Salonicco portavano il nome di Calabria.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, lasciando testimonianza della loro presenza solo nella toponomastica e nei pochi documenti che sopravvissero alle catastrofi causate dagli uomini o dalla natura, saltuariamente vennero richiamati, ma l’invito restò sovente disatteso tanto lacerante fu avvertito l’esilio forzato e il connesso processo di conversione per coloro che erano rimasti.
In realtà, ancora secoli dopo l’espulsione e fino ad oggi, ci sono testimonianze della loro presenza nascosta come marrani, o più propriamente anusim (forzati, costretti alla conversione).
Ritornarono temporaneamente, negli anni della II Guerra mondiale, nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti di Tarsia, dove stabilirono rapporti di amicizia e reciproco aiuto con la popolazione.
Oggi, d’estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono da ogni dove a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot, la Festa delle Capanne: i migliori cedri del mondo, noti tra gli ebrei fin dall’antichità.
Dopo preghiere, tentativi e richieste che risalgono ai primi anni del secondo dopoguerra, da qualche anno sta rinascendo una piccola comunità, che cammina, con tutte le difficoltà dell’essere una diaspora nella diaspora, ma con l’impegno e l’entusiasmo di sentirsi parte del Popolo d’Israele, sotto la guida del Rabbino Capo di Napoli e del Meridione e con l’aiuto di tutto l’ebraismo italiano, studiando, pregando e incontrandosi per la celebrazione delle feste o dello shabbat.
All’epoca imperiale appartiene una tabella sinagogale rinvenuta a Reggio, nonché altri reperti archeologici, soprattutto la sinagoga del IV secolo di Bova Marina, ricca di mosaici, la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica, testimone di una fiorente comunità.
Da quest’epoca, per tutto il Medioevo e fino all’età aragonese, la loro presenza aumentò, e molti ebrei si stabilirono in Calabria (vi furono circa 200 comunità, da grandi a minuscole), provenienti dalla penisola iberica, dalla Grecia, dall’Europa del Nord, oltre che dalla Sicilia e da altre regioni d’Italia.
Pur attraverso alterne vicende di amicizia e ostilità con la popolazione cristiana, vessazioni e sostegni da parte dei governanti, protezioni ecclesiastiche e tentativi di conversione, erano parte integrante della popolazione calabrese, presenti in tutti i settori economici e sociali: pastori e medici, agricoltori e commercianti, scribi e banchieri, artigiani e rabbini.
A Rossano operò intorno all’anno 1000 Shabbetay Donnolo, celebre medico e filosofo; a Reggio fu stampato nel 1475 il commento di Rashi alla Torah, prima opera in ebraico con indicazione di data; calabresi furono i genitori del grande kabbalista Chayim Vital, noto come haQalavrezì, il Calabrese.
Nel 1511, sotto il dominio spagnolo, furono espulsi una prima volta, tornando poi per pochi anni, (richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri stranieri), per essere definitivamente banditi nel 1541; evento che contribuì alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato al commercio e alla lavorazione della seta, forse la maggiore ricchezza della regione.
Dispersi in Italia, nell’Oriente ottomano e in Israele, mantennero memoria della loro origine, e ancora fino agli inizi del secolo scorso alcune sinagoghe a Salonicco portavano il nome di Calabria.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, lasciando testimonianza della loro presenza solo nella toponomastica e nei pochi documenti che sopravvissero alle catastrofi causate dagli uomini o dalla natura, saltuariamente vennero richiamati, ma l’invito restò sovente disatteso tanto lacerante fu avvertito l’esilio forzato e il connesso processo di conversione per coloro che erano rimasti.
In realtà, ancora secoli dopo l’espulsione e fino ad oggi, ci sono testimonianze della loro presenza nascosta come marrani, o più propriamente anusim (forzati, costretti alla conversione).
Ritornarono temporaneamente, negli anni della II Guerra mondiale, nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti di Tarsia, dove stabilirono rapporti di amicizia e reciproco aiuto con la popolazione.
Oggi, d’estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono da ogni dove a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot, la Festa delle Capanne: i migliori cedri del mondo, noti tra gli ebrei fin dall’antichità.
Dopo preghiere, tentativi e richieste che risalgono ai primi anni del secondo dopoguerra, da qualche anno sta rinascendo una piccola comunità, che cammina, con tutte le difficoltà dell’essere una diaspora nella diaspora, ma con l’impegno e l’entusiasmo di sentirsi parte del Popolo d’Israele, sotto la guida del Rabbino Capo di Napoli e del Meridione e con l’aiuto di tutto l’ebraismo italiano, studiando, pregando e incontrandosi per la celebrazione delle feste o dello shabbat.
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