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Per la festa di
Chanukkah (25 Kislev - 3 Tevet), che quest’anno ricorre dal 9 al 16 dicembre
(ricordiamo che il giorno ebraico inizia
dalla sera, quindi i lumi di Chanukkah si accendono dalla sera dell’8 alla sera
del 15!), possiamo leggere e studiare i testi pubblicati sull’ottimo sito
Torah.it
e, con carattere più divulgativo, da ChabadRoma
Che cos'è Chanukà?
Da ChabadRoma
Il 25 di Kislèv dell’anno 3622 i Maccabei
liberarono il Tempio a Gerusalemme dopo aver sconfitto gli eserciti numerosi e
potenti del re greco-siriano, Antioco IV il quale aveva cercato di sradicare
le credenze e osservanze Ebraiche del popolo d’Israele.
Gli ebrei ripararono, pulirono e ridedicarono il
Tempio al servizio Divino. Tutte le provviste di olio puro e certificato dal
Sommo Sacerdote erano stati rotti dagli invasori, quando gli ebrei vollero
accendere la Menorà, trovarono soltanto una piccola ampolla d’olio d’oliva puro
che sarebbe bastata solo per un giorno.
Miracolosamente l’olio durò otto giorni, quanto bastava
per ottenere altro olio. In ricordo di questo miracolo i Saggi hanno istituito
la festività di Chanukkà durante il quale si accendono i lumi ogni sera per
otto giorni, ricordando e pubblicizzando il miracolo.
Marc Chagall da
Park West Gallery Customer Reviews
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Cenni di
Halakhà
Da Torah.it
Il rito caratteristico della festa di Hanukkah è
costituito dall'accensione della lampada a nove lumi (otto, più uno, "di
servizio", detto shammash). Lo scopo di questo rito è quello di
"proclamare il miracolo", secondo quanto scritto nel Talmud
babilonese (T.B. Shabhath 21b e
seg.).
Come va adempiuto il rito.
L'accensione
della hanukkià deve essere eseguita con queste modalità:
1 Si accende la prima sera un lume, più quello "di
servizio" (shammash), le sere successive si aggiunge un ulteriore
lume fino ad accenderne otto (più lo shammash) l'ottava sera.
2 L'accensione
va fatta dopo il tramonto, appena compaiono le stelle, senza tardare troppo.
Quando è giunta l'ora dell'accensione è proibito rimandare l'adempimento di questa
mitzwà per mangiare o per dedicarsi a qualsiasi altra attività, perfino
per studiare la Torà.
3 Possono essere adoperati lumi ad olio (preferibilmente
olio di oliva) o anche candele. Non ha importanza la forma della lampada e
possono essere utilizzati anche otto singoli contenitori. Si deve cercare,
comunque, di utilizzare una hanukkià pulita e di bell'aspetto. Essa va
posta a non meno di 30 cm
dal pavimento e a non più di 9,6
m. di altezza affinché i lumi si possano vedere bene. I
lumi vanno posti su di un unico piano, non in tondo, e non uno in alto e uno in
basso. Tra un lume e l'altro ci dev'essere almeno lo spazio di un dito affinché
le singole fiammelle non si confondano tra loro.
4 I lumi devono essere tali da rimanere accesi almeno 30
minuti.
5 In
tempi antichi la lampada veniva accesa davanti alla porta di casa, oggi la si
accende (generalmente) all'interno, in un posto che sia ben visibile (per la
"proclamazione del miracolo"), cioè presso una finestra o una porta
di ingresso. In caso, tuttavia, che questo possa provocare manifestazioni di
ostilità da parte di vicini non ebrei, è previsto che la lampada sia accesa in
una posizione non visibile dall'esterno. In alcune comunità era uso appendere
la hanukkià sullo stipite sinistro della porta d'ingresso, di fronte
alla mezuzà, per essere "circondati dalle mitzwot".
6 Le luci della hanukkià non devono essere
utilizzate per alcuno scopo pratico, è quindi uso accendere un lume in più, lo shammash,
che si pone accanto a quelli di rito (le hanukkioth hanno
generalmente un nono beccuccio per questo scopo, non allineato con gli altri).
Per accendere i lumi ad olio o le candele può essere usato lo shammash, o
un altro lume. Nel caso che venga usato un altro lume, come è uso in alcune
comunità, lo shammash deve essere acceso dopo i lumi di rito.
7 I lumi vanno posizionati prima dell'accensione: dopo
che sono stati accesi è proibito spostarli.
8 I lumi della hanukkià non devono essere spenti
(devono cioè spengersi da soli).
9 I lumi o le candele della hanukkià devono
essere accesi con questo ordine: la prima sera si accende il primo lume a
destra (più lo shammash); la seconda sera si aggiunge alla sua
sinistra un secondo lume; la terza sera, ancora alla sinistra un terzo lume, e
così via. Si inizia con l'accensione del lume aggiunto per ultimo, procedendo
poi verso destra.
10 Chi non avesse olio o candele a sufficienza deve
accendere, con la normale procedura, un lume ogni sera.
11 Alla vigilia dello Shabbath si accende prima la
hanukkià, poi il lume dello Shabbath. In quella occasione si fa
in modo di adoperare candele più grosse, o di utilizzare più olio, affinché la hanukkià
resti accesa fino a mezz'ora dopo l'uscita delle stelle.
12 All'uscita dello Shabbath nel Bet
ha-Kenesseth si accendono i lumi di hanukkah prima della havdalà,
allo scopo di prolungare la santità dello Shabbath. Per l'accensione
nelle case esistono entrambi gli usi: quello di accendere prima la hanukkià e
quello di celebrare prima la havdalà. L'uso di Gerusalemme è quello di
celebrare prima la havdalà.
13 È prescritto che venga accesa una hanukkià in
ogni casa; alcuni usano accendere una hanukkià per ogni membro (o per
ogni membro maschio) della famiglia. In alcune comunità è uso che l'accensione
venga fatta dal capofamiglia. L'obbligo dell'accensione riguarda anche le
donne, pertanto, se non ci sono maschi, anch'esse devono accendere i lumi.
L'accensione
dei lumi di hanukkà è considerata talmente importante che anche il più
povero è tenuto a chiedere prestiti, o vendere i suoi abiti, per procurarsi
l'olio o le candele necessarie ad accendere almeno un lume per sera.
Chi si trova
in casa d'altri come ospite, provvede ad accendere personalmente il suo lume,
oppure si unisce al padrone di casa corrispondendogli una somma simbolica per
partecipare alle spese dei lumi.
14 È uso che le donne si astengano dal lavoro per il
tempo in cui i lumi di hanukkà sono accesi. Alcuni estendono quest'uso
anche agli uomini. È uso consumare per hanukkà pasti più abbondanti del
solito e di accompagnarli con canti di lode al Signore.
Emanuele
Luzzatti da BibbiaBlog
Sempre da Torah.it,
alcune riflessioni e racconti di Rav Scialom Bahbout, Rabbino Capo di Napoli e
del Meridione
Quel lume
alla finestra
La storia di
Hanukkah, così com'è narrata nel Talmud, è molto strana e ancora più strano è
il fatto che i Maestri abbiano fatto dell'episodio dell'ampolla d'olio e
dell'accensione dei lumi l'elemento centrale della festa, una festa che è bene
ricordare è l'unica stabilita in epoca postbiblica accettata da tutto Israele
nel corso delle generazioni.
Hanukkah
deriva da una radice ebraica che ha vari significati e può essere tradotta con inaugurazione,
in ricordo dell'inaugurazione del Tempio fatta dai Maccabei, oppure con consacrazione
e destinazione di un oggetto alla sua funzione: quindi nel caso specifico,
significa riconsacrazione del Tempio profanato dagli Ellenisti, per restituirlo
alla sua primitiva funzione.
La radice
Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche
"educare". La rivolta ebraica scoppiò quando il nemico greco tentò di
colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e più precisamente,
quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare
progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel
Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria
identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le
proprie basi sull'adesione all'educazione ebraica.
Contro un
nemico militarmente più agguerrito, gli ebrei opposero la propria
determinazione nel difendere la propria cultura e il diritto alla diversità
contro il livellamento culturale imposto dalla cultura ellenista imperante. Non
sappiamo con certezza quale sia il significato della storia dell'ampolla d'olio
rimasta pura tra le macerie del Tempio: forse essa rappresenta il manipolo di
persone sempre pronto a lottare per difendere la propria identità e dignità
ebraica, a Gerusalemme come a Buchenwald. L'olio, che sembra bastare per una
sola generazione, si rivela sufficiente per alimentare lo spirito ebraico non
per sette generazioni (un numero che rappresenta la sopravvivenza dell'uomo nei
limiti della natura e della storia), ma per sette + uno, cioè per infinite
generazioni, per un tempo che trascende la storia e la natura.
Il miracolo
di Hanukkah è davvero strano: gli ebrei credono che ogni anno, nel momento in
cui un ebreo accende il proprio lume, il miracolo si compia ancora: è il
miracolo della sopravvivenza di una piccola minoranza in un mondo che non ha
ancora assimilato l'idea che si può essere diversi, ma godere di eguali
diritti.
Il lume di
Hanukkah va acceso vicino alla finestra, in modo che sia ben visibile
dall'esterno. Questo gesto ha sì lo scopo di rendere pubblico il miracolo e
quindi rendere partecipi anche gli altri della gioia e del mistero della
sopravvivenza del popolo ebraico, ma è anche un invito a tutti gli uomini a non
lasciarsi intimidire da ogni sorta di prevaricazioni e sopraffazioni.
Ma in questa
lotta per i propri diritti, pur muovendosi tra le macerie, a Gerusalemme come
ad Buchenwald, ieri come oggi, importante è riuscire a non perdere mai di vista
i valori che devono caratterizzare la vita dell'uomo. Per l'ebreo questi valori
si devono affermare salvaguardando la propria dignità umana ed ebraica, anche
nelle condizioni più disperate. Mantenere la Kedushà (santità) dell'immagine
divina che è in ogni uomo è stata una delle imprese più difficili per gli ebrei
che sono passati attraverso l'esperienza terribile dei campi di concentramento
nazisti.
La
resistenza ebraica al nazismo viene identificata con la rivolta armata del
Ghetto di Varsavia e degli altri Ghetti, una lotta attraverso la quale gli
ebrei avrebbero riguadagnato la propria dignità e il proprio diritto alla vita.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare un'altra resistenza, meno eclatante, ma non
per questo meno importante: molti ebrei sono riusciti a mantenere alto l'onore
d'Israele rifiutandosi di accettare la logica dell'assassino che voleva
distruggere l'ebreo nella sua umanità ebraica, prima ancora che nel suo corpo.
La resistenza armata è stata per molto tempo giustamente messa in primo piano:
c'è da chiedersi se non sia doveroso oggi ricordare con orgoglio anche la
resistenza che, giorno dopo giorno, gli ebrei sono stati capaci di opporre al
nazismo nei campi di concentramento.
La nostra generazione,
che ha avuto il privilegio di vedere ricostruito il "corpo"
d'Israele, ha anche la responsabilità di muoversi con urgenza e determinazione
per ricostruire lo "spirito" e la cultura d'Israele.
Per
accendere, ancora una volta, la propria Hanukkah.
Due racconti
A
Gerusalemme intorno all'anno 164
A.E.V.
Cosa è Hanuklah? Hanno insegnato i Maestri: il 25 del mese di Kislev
iniziano gli otto giorni di Hanukhah, giorni in cui non si possono fare manifestazioni
di lutto e non si può digiunare. Quando i greci entrarono nel Tempio, resero
impuro tutto l'olio, e gli Asmonei, dopo aver sconfitto il nemico greco,
cercarono e non trovarono che una sola ampolla d'olio, che era rimasta pura,
perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote. Questa ampolla sarebbe
bastata per illuminare il Tempio un solo giorno. Accadde un miracolo con quella
ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni. L'anno
seguente stabilirono di rendere quei giorni, giorni di festa e di lode.
(Talmud Shabbath 21b)
A
Buchenwald nel 1944
Inverno 1944. Campo di concentramento di Buchenwald. Blocco 62. 400 internati
ebrei. Dopo cinque anni e mezzo di terrore, 400 internati ebrei, ormai ridotti
a scheletri, quasi larve umane.
Sui giacigli di legno si ammassano per dormire fino a 14 persone, uno
sull'altro. Non ci si può rigirare nel letto senza svegliare tutti gli altri,
quasi si trattasse di una catena umana. È l'ora della distribuzione del cibo.
Vengono portate due grandi pentole e due internati di turno provvedono alla
distribuzione. Il tedesco di guardia controlla la situazione. Ognuno riceve 150 grammi di pane: la
razione giornaliera; un bicchiere di acqua calda che osano chiamare té e
qualche volta una razione di margarina. Duecento grammi di margarina da
dividere in 16 parti.
Finita la distribuzione del cibo, gli addetti alla distribuzione
chiedono all'S.S. tedesco cosa fare dei resti di margarina avanzati nella
pentola. Il tedesco si fa portare la pentola. Prende i pezzi più grossi di
margarina, quelli ancora solidi e divertito grida: "ora li getto per aria
e chi li prende sono suoi".
A Buchenwald non mancano davvero persone che per la fame e per le molte
sofferenze, hanno perso il senso della propria dignità ed ora sono lì, pronte a
gettarsi ai piedi del tedesco pur di racimolare un po' di margarina che forse
permetterà loro di sopravvivere alla prossima selezione. Ed ecco che un
terribile groviglio umano si forma ai piedi del tedesco. Ed egli gode alla
vista ditale spettacolo.
Nel blocco 62 c'è un vecchio. Non sembra aver paura delle selezioni.
Quella margarina a lui non sembra importare. Egli mantiene uno sguardo e un
portamento altero. Anche in quell'inferno non ha perduto la sua umanità e cerca
di aiutare gli altri come può: con una buona parola, o privandosi di una parte
del suo cibo. E neppure la sua dignità ha perduto il vecchio. Per questo non fa
mai parte del groviglio umano che si gettava ai piedi del tedesco per
conquistarsi un avanzo di margarina.
Ecco un giorno, finita la distribuzione, il solito terribile rito si
ripete. Il pane, il tè e la margarina sono ormai stati distribuiti e gli
internati del blocco 62 assistono ad un insolito spettacolo: il vecchio che si
getta sulla margarina e rimane disteso per terra finché non è ben sicuro che la
margarina che è riuscito a racimolare è al sicuro.
Anche lui, il vecchio, quello che sembrava essere il simbolo della
dignità da non perdere, aveva ceduto, era crollato di fronte a una realtà
disumanizzante. Anche lui aveva venduto la propria dignità per un po' di
margarina.
Il vecchio si alza lentamente e qualcuno degli internati, mosso a
pietà, gli consegna il proprio pezzo di margarina. E tra la meraviglia dei
presenti, il vecchio li accetta. Poi, rifugiatosi in un angolo, il vecchio
ebreo aspetta che il tedesco esca.
Fa freddo a Buchenwald e la margarina nelle mani del vecchio è solida,
ma lui la tiene vicino al bicchiere di té caldo e la margarina comincia a
sciogliersi. Sembra impazzito, tira con forza i bottoni dalla sua vecchia
divisa da internato e li strappa via. Anche lui a Buchenwald ha ceduto alle
lusinghe della pazzia, convengono gli altri internati. Con gesti convulsi
prende a sfilare alcuni fili dai lembi del vestito. Il vecchio si alza in
piedi, ha in mano i bottoni, i fili e la margarina liquida e grida ai 400
internati del blocco 62 di Buchenwald:
"Ebrei! oggi è Hanukkah"
Dopo cinque anni e mezzo di terrore, quel vecchio, senza calendario
ebraico, senza radio, senza alcun collegamento con l'esterno, era riuscito a
tenere i conti, non aveva perso la nozione del tempo ed era riuscito a
stabilire la data di Hanukkah. Sapeva con precisione quando cadeva Hanukkah e
in quale giorno della festa si trovavano: aspettava solo il giorno della
distribuzione della margarina.
Prende i bottoni e li mette per terra; poi prende i fili e li infila
nei bottoni e versa un po' di margarina sui bottoni. Ecco... adesso aveva tutto
ciò che gli era necessario per accendere i lumi di Hanukkah.
Una persona arrotola un pezzo di carta e, dopo essersi arrampicato
sulle spalle di un altro internato, lo accende usando il fuoco della lampada a
nafta che illuminava debolmente il blocco. Poi lo consegna al vecchio, che, in
piedi, in mezzo ai quattrocento internati, accende e i lumi recitando le
benedizioni:
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai
consacrato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di
Hanuklah.
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che hai operato
miracoli ai nostri padri in quei giorni, in questo tempo.
Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai
mantenuto in vita e d hai fatto giungere a questo tempo.
Solo allora, tutti i prigionieri che avevano seguito la scena in
silenzio, cominciano a cantare, dapprima a bassa voce, ma poi sempre con
maggior forza Maoz zur yeshuati. Il canto dei 400 internati si fa sempre più
forte, nel blocco 62 del campo di concentramento di Buchenwald. La porta del
blocco viene aperta con violenza, e al Kapò e all'SS di guardia del blocco, si
presenta uno spettacolo incredibile: i quattrocento internati, per un momento,
avevano riacquistato la loro libertà, come al tempo degli Asmonei: cinque anni
e mezzo di terrore avevano fiaccato il loro corpo, ma non il loro spirito.
Racconto orale
(L'episodio è citato anche in Pardes Harlukkà,
Petachia Rosenwasser, Ed. Zekher JeruBalem, pag. 327)
Sempre da Torah.it, possiamo ascoltare:
un canto, il Maoz Zur ashkenazita di Verona, dalla collezione di Leo Levi
Il Chanukà di Sharansky, nel Gulag
Da ChabadRoma
Imprigionato nel 1977 per aver osato
inoltrare domanda di uscita dal terrirorio russo per recarsi in Israele, Natan
(Anatoly) Sharansky, illustre matematico, trascorse otto anni in un Gulag in
Siberia. Fu finalmente liberato nel 1986 nel quadro di uno “scambio” di
prigionieri tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Dopo aver coperto
incarichi di rilievo presso la Knesset, ha da poco abbandonato definitivamente
le sue attività politiche.
Chanukà si avvicinava. Ero l’unico ebreo in quel
baraccone della prigione ma quando raccontai ai miei compagni di sventura che
Chanukà rappresentava la libertà e il rinascimento di una cultura di fronte ad
invasori potenti, decisero di celebrare la festa anch’essi. Si adoperarono a
fabbricare una chanukià in legno, la decorarono e trovarono persino qualche
candela. Giunta la sera potei accendere la prima candela e pronunciai una breve
preghiera che inventai per l’occasione. Ci servimmo del tè e raccontai loro
l’eroica battaglia dei Maccabim per salvare il proprio popolo.
Ogni Zek (prigioniero del Gulag) che mi ascoltava
con attenzione, si identificava con il messaggio di questi eventi. Ad un certo
punto, l’ufficiale di turno apparse, procedette all’appello di ogni detenuto ma
non aggiunse alcun commento. Ogni sera accendevo una candela supplementare
completando il rito con la mia preghiera personale. Poi spegnevo le candele,
dovevo conservarle per la sera seguente in quanto non ne possedevo altre.
Gavriliuk, il guardiano il cui giaciglio di paglia stava di fronte al mio,
osservava e brontolava: ”Che comportamento insentato! Si crede in sinagoga,
quello! E se mai scoppiasse un incendio?”
La sesta sera di Chanukà, le autorità sequestrarono
il mio materiale col pretesto che il candelabro era stato fabbricato con del
legno rubato allo stato e per giunta, sostennero, gli altri prigionieri
temevano che i rischi d’incendio fossero enormi. Dichiarai che mi sarebbero
bastati ancora due giorni e promisi di “restituire alla gloriosa Madre Russia”
questi pezzi di legno che minacciavano di condurla verso il
fallimento...L’ufficiale tentennò, telefonò al suo superiore e ricevette la
risposta seguente : “Un campo non è una sinagoga e non autorizziamo nessun Zek
a pregare in questi luoghi!”
Oltraggiato dalla durezza dell’osservazione,
cominciai uno sciopero della fame. Non sapevo che una commissione doveva giungere
da Mosca per l’ispezione del campo. Ecco perché il giorno seguente fui
convocato nell’ufficio di Osin, il comandante. Osin era un omone enorme e
robusto con due occhi minusculi che si perdevano in mezzo a quell’ammasso di
grasso. Oltre al cibo, gli piacevano gli intrighi e il potere. Godeva nel veder
soffrire gli Zek, ma sapeva che erano la chiave per l’ascesa della sua
carriera. Mi guardò con benevolenza con la palese intenzione di ammansirmi, non
era nel suo interesse aizzare la collera della gerarchia. Mi promise che si
sarebbe incaricato di badare che nessuno mi impedisse di pregare.
Gli chiesi: “Allora, dov’è il problema?
Restituitemi la mia Menorà e lasciatemi accendere le ultime due candele della
festa!”. “Cos'è una Menorà?” domandò. “Il mio candelabro” ribattei. Sussisteva
un problema: i documenti inerenti al gravisimo furto erano già stati firmati e
Osin non poteva permettersi di ridicolizzarsi davanti a tutti. Mentre osservavo
questo predatore, seduto dietro la sua lussuosa scrivania, mi venne un’idea.
Gli proposi: “Per me l’ultima sera di Chanukà è importantissima. Posso
accendere le candele adesso, in questo istante e in questo ufficio, pronuncerò
le mie preghiere e cesserò lo sciopero della fame.”
L’orco rifletté un istante poi la Menorà espropriata
apparse sul tavolo. Diede ordine a Gavriliuk di portare una grande candela. “Ho
bisogno di otto candele!” Imposi senza batter ciglio (in realtà ne servivano
nove ma a quei tempi non conoscevo bene tutti i dettagli del rito). Osin cavò
di tasca un magnifico temperino e tagliò con destrezza e rapidità otto pezzi di
candela. “Esca di qui!” ingiunse a Gavriliuk che obbedì voltandosi per
lanciarmi uno sguardo furioso. Disposi le candele sulla Chanukià, presi il mio
cappello e spiegai a Osin che durante la funzione doveva avere il capo coperto
e che, una volta terminata, doveva rispondere “Amen”. Docilemente, si coprì la
testa col berretto da ufficiale e si alzò. Accesi le candele e cominciai la
Tefillà che avevo io stesso redatto in ebraico : ”Benedetto Tu sia, Hashem
nostro D-o, per avermi lasciato commemorare la nostra vittoria, la festa nella
quale ritroviamo le tradizioni dei nostri padri. Benedetto Tu sia, Hashem
nostro D-o , che mi concedi di accendere questi lumi. Mi auguro che mi
permetterai di accenderli nella Tua città santa, Yerushalayim, con mia moglie
Avital!”
Ispirato dallo divertente spettacolo di Osin
sull’attenti davanti alla Chanukià, aggiunsi improvvisando: ”Serbo la speranza
che presto arriverà il giorno in cui tutti i nostri nemici, tutti coloro che
desiderano distruggerci, si alzeranno davanti a noi con rispetto, ascolteranno
le nostre tefillòt e risponderanno Amen!”. “Amen!” rispose Osin. Si sedette,
emise un sospiro di sollievo e si tolse il copricapo. Insieme contemplammo a
lungo le candele. Poi cominciarono a fondere e la cera si sparse allegramente
sulla bella superficie laccata del tavolo. Il comandante si destò di scatto,
come se si fosse addormentato, e chiamò Gavriliuk per riparare i danni.
Ritornai nel mio baraccone in uno stato di ebbrezza e di estasi indescrivibile.
I miei compagni mi servirono del tè e insieme celebrammo la pseudo-conversione
di Osin: in quel preciso momento seppi con certezza che un giorno sarei stato
liberato.
Natan Sharansky
Tratto dalla Sidra de la Semaine – Parigi
Natan Sharansky, dopo fatta l'aliyah, accende i lumi di Chanukkah con i figli dei nuovi immigranti in Israele
da The Jewish Agency for Israel
da The Jewish Agency for Israel
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