Il quartiere ebraico di Ferrandina
Testo di Mario Eustazio
(al quale esprimo la mia
gratitudine, chiedendogli scusa per il ritardo con il quale pubblico queste sue
informazioni)
Quella che oggi si chiama Via Cesare Beccaria,
meglio conosciuta come strada dell’orologio, un tempo era il quartiere ebraico
( strada della Judea) della città di Ferrandina. Il quartiere ebraico si trovava in una zona centrale vicina alla piazza
del Largo che era il cuore della vita della città. La collocazione della Judea
dava agli ebrei la possibilità di essere sempre presenti nella dinamica della
vita economica di Ferrandina.
La storia degli ebrei di Ferrandina si lega alla
storia della presenza ebraica in Basilicata. Questa storia può essere divisa in
due periodi: il primo è quello che parte dal II secolo dopo Cristo fino ad
arrivare agli Angioini, il secondo inizia con il periodo aragonese per finire
con l’inizio del Viceregno spagnolo. Sul primo periodo, a differenza di comuni
come Melfi e Venosa, non ci sono notizie importanti che riguardano la comunità
ebraica di Ferrandina. Ci sono soltanto alcune testimonianze che riguardano
l’ultimo periodo angioino. Quello che possiamo dire di questo periodo è che,
come in tutto il Sud dell’Italia, la vita della comunità ebraiche sotto gli
Angioini non fu semplice, per via di numerose repressioni e discriminazioni.
Con l’arrivo degli Aragonesi, il Regno di Napoli,
in controtendenza con gli altri regni europei, divenne più tollerante nei
confronti della popolazione ebraica. Il Sud Italia divenne un posto sicuro per
i molti ebrei fuggiti da Germania, Francia, Portogallo.
Dal 1492 la Basilicata ospitò molte comunità
ebraiche, come stava avvenendo anche con le comunità albanesi. In quasi tutti i
centri abitati della Basilicata si crearono le Giudecche (quartiere abitato
dagli ebrei). La maggior parte delle fonti dove si può studiare l’aspetto
demografico della presenza ebraica a Ferrandina e in tutta la Basilicata si
trovano nel fondo delle “Partium” (sono dei registri contabili), quasi tutti questi dati
riguardano aspetti economici, liti per restituzioni di prestiti, ricorsi per la
restituzione di tasse non dovute, controversie per le quote di contributi da
versare.
Le attività economiche e sociali degli ebrei di
Ferrandina riguardavano prevalentemente il commercio, l’artigianato e
l’esercizio della medicina. Molti ebrei nel Sud Italia praticavano l’esercizio
della medica, Re Ferrante I aveva assunto come suo medico personale e di
famiglia il maestro ebreo Abraham de Balmes. Queste attività produttive vennero
inserite nei registri delle tasse. Nel 1458, gli ebrei di Ferrandina e di tutta
la Basilicata furono chiamati a partecipare ad una colletta per l’incoronazione
di Ferrante I. Gli ebrei lucani parteciparono ad altre collette, come quella
del 1480 per provvedere alle spese militari nella guerra d’Otranto contro i
Turchi. Questo accanimento fiscale nei confronti degli ebrei ferrandinesi
suscitò molte lamentele nella comunità ebraica locale. Proprio per via di
queste lamentele, nel 1492 Ferrante I esentò gli ebrei dal pagamento di diverse
tasse, tutto questo venne fatto anche per favorire l’integrazione degli ebrei
nel Regno di Napoli, quindi in questo periodo fu favorito l’aumento della
presenza ebraica a Ferrandina.
Federico d’Aragona, nel 1491 fece avviare dei
lavori per la costruzione delle mura della città e l’ampliamento delle chiesa
matrice, questo fu possibile anche grazie al contributo economico della
comunità ebraica ferrandinese. Il contributo maggiore che diede la comunità
ebraica di Ferrandina fu quello della costruzione delle case. Gli abitanti dei casali
di Uggiano, invogliati e in molti casi costretti a lasciare le loro dimore, per
favorire la crescita della città di Ferrandina, avevano bisogno dell’aiuto e
della competenza degli ebrei.
Per tutte queste ragioni, gli ebrei di Ferrandina
nel periodo aragonese aumentarono la loro influenza nella cittadina. Gli unici
dati demografici certi che abbiamo sulla presenza ebraica della città sono del
1510, dove risulta che la comunità ebraica di Ferrandina era formata da sette
nuclei familiari.
I rapporti tra comunità ebraica e la restante parte
della popolazione ferrandinese erano molto pacifici. Infatti, mentre nel XV
molte giudecche del Regno di Napoli scomparivano, per via di molte tensioni con
gli ebrei, quelli di Ferrandina non subirono ripercussioni, questo perché
godevano della protezione di Federico d’Aragona, che, in qualità di signore di
Uggiano, aveva favorito il loro insediamento. Quando divenne Re di Napoli, tra
le comunità ebraiche del regno si era riaccesa una speranza, ma con la fine di
Federico d’Aragona e la caduta del Regno di Napoli (1505) seguita dall’avvento
del Viceregno spagnolo, si determinò la fine della presenza ebraica al Sud
Italia. Nel XVI secolo ci fu l’espulsione degli ebrei nel Regno di Napoli. Tornarono per pochi anni, richiamati dagli
abitanti dalle varie comunità locali, ma la loro presenza non era molto gradita
a Carlo V, che nel 1541 emanò un nuovo bando che costrinse a tutti gli ebrei di
uscire da regno entrò il 22 settembre di quell’anno.
Molte famiglie ebraiche
di Ferrandina, che si erano convertite al cristianesimo, chiesero di poter
restare nel Regno. Alcune famiglie di origini ebraica si
stabilirono stabilmente nella città, a confermare questo è la presenza di
cognomi di ebraica tra le famiglie ferrandinesi. Con la cacciata degli ebrei
dal Sud Italia, terminò la presenza anche a Ferrandina di una minoranza che
portò molti vantaggi alla città, dal punto di vista economico e culturale.
Informazioni sulla zona intorno a Ferrandina, tratte dal sito Italia Judaica.
Ferrandina, insieme a Matera, il capoluogo, e Miglionico, è uno dei centri del Materano ebraico (alla Basilicata ebraica ho accennato in un precedente post, Ebrei in Basilicata: generalità) gravitanti verso la Puglia; un singolo ebreo è attestato anche a Montescaglioso (vedi di seguito Matera, nota [8]).
Posta nella bassa Valle
del Basento, sulla sommità di un colle argilloso, è l’erede della greca
Troilia, divenuta un importante centro romano e bizantino. Il nome di Troilia
fu poi cambiato da Federico d’Aragona, che volle intitolarla al padre (Ferrante/Fernando),
mentre ad attribuirle in titolo di civitas fu Ferdinando il Cattolico.
Nel frattempo, però, l’insediamento antropico si era spostato nel XV secolo dal
sito di Uggiano (l’antica acropoli di Troilia, Obelanon) alla posizione
attuale.
Nel 1510 la popolazione era
tassata per 409 fuochi cristiani e 7 ebraici e i contributi fiscali dei secondi
dovevano essere riscossi separatamente da quelli dei primi[1].
La presenza ebraica ha
lasciato traccia di sé per alcuni secoli nel toponimo “Giudea”. Dalla platea
della chiesa matrice del 1680 sappiamo che la strada della Giudea, seu
dell’orologio si trovava nella contrada della Piazza, centro delle attività
artigianali e commerciali cittadine[2].
Bibliografia
Palestina, Carlo, Ferrandina, 5 voll., Venosa 1994.
Note
[1] Palestina, C.,
Ferrandina, IV, p. 36, doc. 12.
[2] Ibid., II, p.
88.
La presenza a Matera di
tre iscrizioni ebraiche del IX secolo e.v. aveva fatto pensare che esse
documentassero l'esistenza in quel tempo di una comunità ebraica nella
città[1]. Uno studio più accurato delle lapidi ha ora mostrato che esse
appartengono a Venosa, da dove furono trasportate a Matera negli ultimi decenni
del '700[2].
Nei primi decenni del
sec. XIV dimoravano in Matera alcuni cristiani novelli, probabilmente originari
di Taranto. Il 25 aprile 1328 Nicola di Pietro, detto Bacchus, neofito abitante
in Matera, contrasse matrimonio in Altamura, con Rosanova, anch'ella neofita, e
gli fu promessa dalla madre e dal fratello della sposa la dote formata dal
tradizionale corredo e da due once di denaro. Egli si obbligò alla restituzione
del denaro nel caso uno dei due coniugi morisse prima che il matrimonio fosse
consumato. Fideiussori furono il neofita Profeta, abitante anch'egli in Matera,
e alcuni neofiti di Altamura. Nell'atto si dice che il negozio fu fatto secondo l'uso e la consuetudine della città
di Taranto[3].
Nel 1448 "Simone
ebreo, Tristano e soci di Matera" furono condannati a una sanzione
pecuniaria per pascolo abusivo di bovini nel territorio di Colonnella e di
altre località dell'Abruzzo settentrionale[4].
Nella seconda metà del XV
secolo è attesta a Matera una comunità ebraica, i cui membri erano attivi nel
commercio del grano, la cui produzione caratterizza ancora oggi l'agro
materano. Figura di spicco era mastro
David da Tricarico, il quale nel 1482
acquistò per due once da Angelo di Leone di Cassano una fossa granaria sita in
Matera, nel luogo detto "lo Lombardo", nei pressi della chiesa di San
Lorenzo[5]. Contro le pretese della comunità di Lecce, egli ottenne nel 1483 di
pagare i suoi contributi fiscali in Matera, dove abitava. Nel 1487 con i suoi figli
era in lite per questioni di denaro e altro con gli ebrei baresi Leonetto Zizo,
la moglie di questi e il loro nipote Garzone. Nel 1491, dopo il suo decesso, fu
il figlio Azaria che, insieme con i fratelli, si oppose alla comunità di Lecce
che aveva rinnovato le pretese di averli tra i suoi membri e contribuenti[6].
Un controversia sorse nel
1493 tra la comunità e le autorità locali e privati cittadini, che volevano
modificare il regime con cui si
reggevano gli ebrei e che era regolato dai privilegi concessi dal re. La Camera
della Sommaria accolse il suo ricorso e ordinò alle autorità di non innovare
nulla e di osservare alla lettera il contenuto dei privilegi. L'anno seguente
la Sonmmaria intervenne a favore di Samuele de Leone di Lecce, dal quale l'università
pretendeva la consegna di 12 carri di grano[7].
Queste controversie non
incrinarono i rapporti sostanzialmente buoni che correvano tra giudei e
materani, come si vide quando giunsero a Matera i soldati di Carlo VIII di
Francia venuto alla conquista del regno di Napoli. Un Troiano Pappacoda ed un
francese s'impadronirono di 25 carri di grano appartenenti a giudei locali e ad
altri, e ciò solleticò i soldati francesi e gli stessi commissari del nuovo
sovrano a saccheggiare ed espellere tutti gli ebrei della città. Ma il
consiglio cittadino si affrettò a denunciare al nuovo re sia il furto che la
prava intenzione, affermando che se questa si fosse realizzata, sarebbe tornata
a grave danno e pregiudizio dell'intera cittadinanza. Carlo VIII accolse la
denuncia e in data 28 marzo 1495 comandò
al suo luogotenente Gabriele de Albret di far restituire il grano, o il suo
giusto prezzo, e di garantire agli ebrei che abitavano nella città e nel suo
distretto sicurezza nei confronti di
chiunque avesse osato molestarli[8].
La Numerazione ostiaria
eseguita nel 1732 in vista del catasto tramanda il toponimo Il Ghetto del
Seminario, localizzabile fra lo stradone del Seminario e san Nicola la Cupa,
presso l’attuale via Bozzi[9]. Ma sia l’origine che il significato del toponimo
sono andati perduti.
(Un ebreo di Matera è citato anche a Nola)
[1] Volpe, Esposizione di
talune iscrizioni, pp. 3-5. 29-33; Ascoli, Iscrizioni inedite o mal note, pp.
79-81, nn. 34-36.
[2] Colafemmina, Tre
iscrizioni inedite altomedievali a Matera, pp. 103-116.
[3] Pupillo, Un
matrimonio tra neofiti ad Altamura, pp. 17-22. Ancora nel 1511 c'era in questa
città un cristiano novello chiamato Baccho de Baccho. Cfr. Colafemmina,
Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, p. 265, doc. 288.
[4] Berardi, Per la
storia della presenza ebraica, pp,279-280.
[5] Pedio, Le pergamene
di Matera, p. 389, n. 307.
[6] Colafemmina,
Documenti per la storia degli ebrei in Puglia, pp. 45-46, doc. 21; p. 62, doc.
40; p. 83, doc. 67.
[7] Ib. , pp. 117-118, doc. 113; pp. 171-172,
doc. 181.
[8] Volpe, Esposizione di
talune iscrizioni, pp. 17-20. Nel 1509 la popolazione della vicina
Montescaglioso constava di 338 fuochi ordinari e di 38 fuochi di albanesi e di
slavi. Tra questi era annoverato un
Radonza iudio: ASNa, Licterarum deductionum foculariorum 1, c. 31r-v.
[9] Cfr. R. Giura Longo e
altri, in Il Centro Storico di Matera,
Matera 1973,pp. 12-13.
Il 15 marzo 1446 la Camera della Sommaria ordinò alle autorità
di Principato Citra e di Basilicata di assistere Iacobo Serrano nel recuperare
nelle due province i residui fiscali dovuti dai giudei e dalle concubine del
clero. I residui fiscali dei giudei di Miglionico ammontavano a 15 tarì[1].
Anche nel 1459, in occasione della colletta imposta per l’incoronazione di
Ferrante I d’Aragona (1458) e per la conferma di alcuni privilegi, i giudei di
Miglionico erano un po’ in ritardo nel completare il versamento della loro
quota[2]. Furono invece puntuali nel 1475 per il donativo disposto dagli ebrei
per il matrimonio di Beatrice d’Aragona, figlia di Ferrante I, col re
d’Ungheria. In questa occasione la comunità
versò, insieme con quelle di Tricarico, Senise, Montemurro e Tursi, 103
ducati, 2 tarì e 10 grana.[3]
Per l’età aragonese,
degli ebrei di Miglionico sono noti il provenzale Gaudio de Elia, acquirente di
panni a Bitonto nel 1447[4], e mastro David, incaricato dal re, insieme con
Sabatino di Cosenza e Spina di Lecce, di distribuire tra le comunità giudaiche
il carico della tassa straordinaria di 5000 ducati imposta nel 1468[5].
Nel 1510 i fuochi ebrei a
Miglionico erano tre, su 414 fuochi cittadini, e i loro titolari si chiamavano Moyses Tabo, Salvator Habuit,
Magister Gabriel. Nel 1511 essi lasciarono la località in forza dell’espulsione
decretata da Ferdinando il Cattolico. In data 2 marzo 1512 la Camera della
Sommaria ordinò al commissario provinciale di sgravare l’università del loro
carico fiscale, dopo essersi bene accertato della loro partenza[6].
[1] Bari, Biblioteca
Provinciale «De Gemmis», Carte Beltrani 5/4/119.
[2] Ferorelli, Gli ebrei
nell’Italia meridionale, p. 163.
[3] Colafemmina,
Minoranze: gli Ebrei, pp. 74-76.
[4] Carabellese, La Puglia nel secolo XV, I, p. 96.
[5] Colafemmina, Documenti per la storia degli ebrei in
Puglia, pp. 28-29, doc. 4; Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp.
164-165.
[6] Colafemmina,
Minoranze: gli Ebrei, p. 74.
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