Ricchissima di significati è la festa di Rosh haShanah (Capodanno), che comincia domani, o meglio (visto che “fu sera e fu mattina”) stasera al tramonto. Molto bello e molto ricco è il sito di Chabad, da cui traggo solo alcuni brani, che potrete esplorare personalmente.
Rosh Hashanà
Rosh Hashanà
Il Signore parlò a Moshé dicendogli così: Parla ai figli di Israele dicendo loro così: Nel settimo mese, il primo del mese, avrete un giorno di astensione dal lavoro, in ricordo del suono (dello Shofàr), non eseguirete nessun lavoro e presenterete un sacrificio da ardersi sul fuoco in onore del Signore (Vayikrà 23,25).
Rosh Hashanà tocca il cuore di ogni ebreo; è un giorno solenne in cui intensifichiamo e riaffermiamo la nostra relazione con Dio, che ci giudica per le azioni commesse durante l'anno passato. Molti cibi ed usanze si collegano a questa festività: si mangia il melograno, come simbolo di speranza che i nostri meriti si moltiplichino e diventino numerosi come i grani di questo frutto. Fichi, datteri e kiwi sono sul tavolo accanto alla challà. Intingiamo il pane e la mela nel miele, prepariamo e gustiamo torte e panini al miele, per ribadire il nostro auspicio di trascorrere un anno pieno di dolcezza. Ovviamente, anche andare al tempio, indossare abiti festivi e consumare un pasto abbondante sono riti di questo particolare periodo, formato dal "Capo d'Anno Ebraico" e dai dieci Yamìm Noraìm, giorni solenni. Rosh Hashanà significa appunto "Capo dell'Anno": come la testa contiene il cervello, che controlla tutto il nostro corpo, così Rosh Hashanà racchiude il potenziale per ricevere da Dio un anno pieno di prosperità e benedizioni. Infatti, le azioni compiute a Rosh Hashanà si ripercuoteranno su tutto l'anno entrante: per questo motivo si è particolarmente attenti a tutto ciò che si dice, si fa o si pensa in questi due giorni.
Quando l'ebreo afferma la Regalità Divina è sicuro che le sue preghiere per un anno buono e dolce saranno accolte. Come Adamo, che ha proclamato il Signore Re dell'Universo e ha ordinato alle creature di adorarLo, così noi, a Rosh Hashanà, ribadiamo la volontà di vivere secondo la Sua Regale Volontà. In cambio Dio concederà un anno "buono e dolce". Le speranze sono espresse nell'augurio: "Leshanà tovà tikatèv v'techatèm" "Che tu possa essere scritto e sigillato per un anno buono". La luce di questo periodo ci sosterrà per tutti i mesi a venire.
Rosh Hashanà è l'unica festività che duri due giorni sia in Israele che nella diaspora: le candele vanno accese tutte e due le sere, recitando le appropriate benedizioni, inclusa la benedizione di shehekhianù (ringraziando Dio per essere arrivati a questo momento nuovo). Questo perché Rosh Hashanà è considerato un unico, lungo giorno. Shehekhianù può anche essere riferito ai vestiti nuovi indossati per l'occasione o ai cibi particolari preparati apposta. Le preghiere si differenziano notevolmente da quelle degli altri giorni festivi: la `Amidà contiene alcune aggiunte; la preghiera di mussàf consiste di nove benedizioni. Le preghiere di Shakharìt e Minchà si chiudono con una serie di brevi implorazioni. Questa festa, che introduce un periodo di penitenza, è a sua volta preceduta da un mese (o da alcuni giorni) in cui si recitano le speciali preghiere delle Selichòt, nelle quali si implora il perdono divino. Queste possono essere recitate prima dell'alba, di mattina, di pomeriggio o di sera a seconda della consuetudine.
Lo shofàr, il "corno d'ariete", è lo strumento a fiato più antico e primitivo del mondo. Il suo suono ha parecchi significati: simboleggia l'incoronazione di Dio come Re dell'Universo, risveglia gli ebrei alla penitenza e preannuncia il suono della redenzione, quando gli ebrei sparsi in tutto il mondo si raduneranno in Israele. Altri avvenimenti associati a questo strumento sono: la Torà che Dio ha dato sul Monte Sinai e il Sacrificio di Isacco sul Monte Morià. Per gli uomini è obbligatorio ascoltare lo shofàr, mentre per le donne è facoltativo. I bambini ne sentono suono per fini educativi. Lo shofàr si suona tutti e due i giorni, eccetto di Shabbàt.
Adam, Il Primo Uomo
Il primo venerdì del mondo, il sesto giorno della Creazione, quando tutto era innocente e puro, Adamo ed Eva vivevano nel Giardino dell’Eden, appena creato dalle mani di D-o.
A loro fu dato il compito di coltivare il Giardino e di proteggerlo e D-o comandò: «Dall’albero della conoscenza voi non mangerete, nel giorno in cui lo farete, morirete». Avevano una scelta: trattenersi dal mangiare il frutto dell’albero e vivere per sempre nel Giardino oppure mangiarlo ed essere cacciati nel mondo esterno. Non erano trascorse che tre ore dalla loro creazione, quando mangiarono dall’albero. D-o permise loro, tuttavia, di trattenersi là per lo Shabbàt, ma quando il santo giorno passò furono cacciati dal Giardino dell’Eden per sempre.
È una storia curiosa che fa sorgere spontanee alcune domande. D-o creò due esseri umani perfetti, privi di alcuna malizia. Egli in persona, l’Altissimo, comandò loro direttamente di non mangiare il frutto di un determinato albero. Che cosa fecero allora queste due anime innocenti, che non erano mai state esposte a influenze tali da esserne corrotte? Disobbedirono al Signore in poche ore. C’era forse qualche difetto nella loro creazione? O, cosa impensabile, avevano qualche cosa da ridire con D-o? Un maestro i cui insegnamenti non vengono ascoltati è una cattiva guida. Se D-o parlasse a voi e dicesse: “Non mangiate da un certo albero”, mangereste? A questo punto conviene chiedersi: era veramente l’intenzione di D-o che Adamo ed Eva vivessero per sempre nel Giardino dell’Eden in uno stato di divina rettitudine, innocenza e immortalità? O forse il suo scopo era creare un mondo in cui il male esista e in cui noi possiamo sia obbedire scrupolosamente alle sue leggi e andare in cielo, sia disobbedire e andare all’inferno?
Nell’insegnamento chassidico questa domanda è posta in altri termini: perché D-o volle instillare in noi un po’ di sé, l’anima Divina e l’espose a un mondo di tenebre?
Secondo l’insegnamento della Cabalà, la più precipitosa discesa conduce alla più grande ascesa. D-o creò l’universo seguendo uno scopo ben preciso: crearsi una dimora nel mondo inferiore. Questo è il significato più profondo dell’espressione: qualcosa che si origina dal nulla, com’è descritta la Creazione. Nulla significa che non c’è alcuna cosa che concerne l’universo fisico che giustifichi di per se stessa la sua mera presenza, esiste e ha valore solo il volere di D-o di fare del nostro mondo una dimora per lui stesso, di rendere ospitale per lui questo nostro mondo di carne e pietra, di farne un luogo in cui Egli sia conosciuto e gli venga reso merito. Eva capì che D-o desiderava che il mondo più basso, un mondo che è contaminato dalla morte e dal peccato, avrebbe dovuto elevarsi per unirsi a lui. Ella capì che gli uomini devono lasciare il Giardino dell’Eden e discendere in quel mondo inferiore e là creare la dimora di D-o. Ella comprese il compito di elevare i sei giorni della settimana che ci innalzano portandoci fino alla santità dello Shabbàt e i sei millenni che ci elevano fino alla redenzione ultima.
Così ella mangiò dall’albero e convinse Adamo a fare la stessa cosa. E quando D-o domandò all’uomo: «Hai mangiato dall’albero?» non fu in tono di rimprovero, piuttosto Egli ammirò la saggezza dell’uomo che aveva preso la decisione giusta. Adamo, d’altro canto, nella sua innocenza, ammise che la saggezza derivava da Eva, non era merito suo ciò che era avvenuto. «Lei mi diede dall’albero e io mangiai»; in risposta D-o disse: «Poiché avete fatto questo morirete, mangerete il pane a prezzo del sudore delle vostre fronti e partorirete con dolore». In realtà, questa non fu una punizione per il peccato, ma la giusta conclusione della via che Adamo ed Eva avevano volontariamente intrapreso. Il mondo, in questo modo, sarebbe diventato una dimora confortevole per il Creatore, poiché le cose stesse che lo definiscono - le mitzvòt - sono messe in pratica solo a queste condizioni. Nel fare ciò noi prepariamo il mondo per la redenzione finale.
Rosh Hashanà tocca il cuore di ogni ebreo; è un giorno solenne in cui intensifichiamo e riaffermiamo la nostra relazione con Dio, che ci giudica per le azioni commesse durante l'anno passato. Molti cibi ed usanze si collegano a questa festività: si mangia il melograno, come simbolo di speranza che i nostri meriti si moltiplichino e diventino numerosi come i grani di questo frutto. Fichi, datteri e kiwi sono sul tavolo accanto alla challà. Intingiamo il pane e la mela nel miele, prepariamo e gustiamo torte e panini al miele, per ribadire il nostro auspicio di trascorrere un anno pieno di dolcezza. Ovviamente, anche andare al tempio, indossare abiti festivi e consumare un pasto abbondante sono riti di questo particolare periodo, formato dal "Capo d'Anno Ebraico" e dai dieci Yamìm Noraìm, giorni solenni. Rosh Hashanà significa appunto "Capo dell'Anno": come la testa contiene il cervello, che controlla tutto il nostro corpo, così Rosh Hashanà racchiude il potenziale per ricevere da Dio un anno pieno di prosperità e benedizioni. Infatti, le azioni compiute a Rosh Hashanà si ripercuoteranno su tutto l'anno entrante: per questo motivo si è particolarmente attenti a tutto ciò che si dice, si fa o si pensa in questi due giorni.
Quando l'ebreo afferma la Regalità Divina è sicuro che le sue preghiere per un anno buono e dolce saranno accolte. Come Adamo, che ha proclamato il Signore Re dell'Universo e ha ordinato alle creature di adorarLo, così noi, a Rosh Hashanà, ribadiamo la volontà di vivere secondo la Sua Regale Volontà. In cambio Dio concederà un anno "buono e dolce". Le speranze sono espresse nell'augurio: "Leshanà tovà tikatèv v'techatèm" "Che tu possa essere scritto e sigillato per un anno buono". La luce di questo periodo ci sosterrà per tutti i mesi a venire.
Rosh Hashanà è l'unica festività che duri due giorni sia in Israele che nella diaspora: le candele vanno accese tutte e due le sere, recitando le appropriate benedizioni, inclusa la benedizione di shehekhianù (ringraziando Dio per essere arrivati a questo momento nuovo). Questo perché Rosh Hashanà è considerato un unico, lungo giorno. Shehekhianù può anche essere riferito ai vestiti nuovi indossati per l'occasione o ai cibi particolari preparati apposta. Le preghiere si differenziano notevolmente da quelle degli altri giorni festivi: la `Amidà contiene alcune aggiunte; la preghiera di mussàf consiste di nove benedizioni. Le preghiere di Shakharìt e Minchà si chiudono con una serie di brevi implorazioni. Questa festa, che introduce un periodo di penitenza, è a sua volta preceduta da un mese (o da alcuni giorni) in cui si recitano le speciali preghiere delle Selichòt, nelle quali si implora il perdono divino. Queste possono essere recitate prima dell'alba, di mattina, di pomeriggio o di sera a seconda della consuetudine.
Lo shofàr, il "corno d'ariete", è lo strumento a fiato più antico e primitivo del mondo. Il suo suono ha parecchi significati: simboleggia l'incoronazione di Dio come Re dell'Universo, risveglia gli ebrei alla penitenza e preannuncia il suono della redenzione, quando gli ebrei sparsi in tutto il mondo si raduneranno in Israele. Altri avvenimenti associati a questo strumento sono: la Torà che Dio ha dato sul Monte Sinai e il Sacrificio di Isacco sul Monte Morià. Per gli uomini è obbligatorio ascoltare lo shofàr, mentre per le donne è facoltativo. I bambini ne sentono suono per fini educativi. Lo shofàr si suona tutti e due i giorni, eccetto di Shabbàt.
Adam, Il Primo Uomo
Il primo venerdì del mondo, il sesto giorno della Creazione, quando tutto era innocente e puro, Adamo ed Eva vivevano nel Giardino dell’Eden, appena creato dalle mani di D-o.
A loro fu dato il compito di coltivare il Giardino e di proteggerlo e D-o comandò: «Dall’albero della conoscenza voi non mangerete, nel giorno in cui lo farete, morirete». Avevano una scelta: trattenersi dal mangiare il frutto dell’albero e vivere per sempre nel Giardino oppure mangiarlo ed essere cacciati nel mondo esterno. Non erano trascorse che tre ore dalla loro creazione, quando mangiarono dall’albero. D-o permise loro, tuttavia, di trattenersi là per lo Shabbàt, ma quando il santo giorno passò furono cacciati dal Giardino dell’Eden per sempre.
È una storia curiosa che fa sorgere spontanee alcune domande. D-o creò due esseri umani perfetti, privi di alcuna malizia. Egli in persona, l’Altissimo, comandò loro direttamente di non mangiare il frutto di un determinato albero. Che cosa fecero allora queste due anime innocenti, che non erano mai state esposte a influenze tali da esserne corrotte? Disobbedirono al Signore in poche ore. C’era forse qualche difetto nella loro creazione? O, cosa impensabile, avevano qualche cosa da ridire con D-o? Un maestro i cui insegnamenti non vengono ascoltati è una cattiva guida. Se D-o parlasse a voi e dicesse: “Non mangiate da un certo albero”, mangereste? A questo punto conviene chiedersi: era veramente l’intenzione di D-o che Adamo ed Eva vivessero per sempre nel Giardino dell’Eden in uno stato di divina rettitudine, innocenza e immortalità? O forse il suo scopo era creare un mondo in cui il male esista e in cui noi possiamo sia obbedire scrupolosamente alle sue leggi e andare in cielo, sia disobbedire e andare all’inferno?
Nell’insegnamento chassidico questa domanda è posta in altri termini: perché D-o volle instillare in noi un po’ di sé, l’anima Divina e l’espose a un mondo di tenebre?
Secondo l’insegnamento della Cabalà, la più precipitosa discesa conduce alla più grande ascesa. D-o creò l’universo seguendo uno scopo ben preciso: crearsi una dimora nel mondo inferiore. Questo è il significato più profondo dell’espressione: qualcosa che si origina dal nulla, com’è descritta la Creazione. Nulla significa che non c’è alcuna cosa che concerne l’universo fisico che giustifichi di per se stessa la sua mera presenza, esiste e ha valore solo il volere di D-o di fare del nostro mondo una dimora per lui stesso, di rendere ospitale per lui questo nostro mondo di carne e pietra, di farne un luogo in cui Egli sia conosciuto e gli venga reso merito. Eva capì che D-o desiderava che il mondo più basso, un mondo che è contaminato dalla morte e dal peccato, avrebbe dovuto elevarsi per unirsi a lui. Ella capì che gli uomini devono lasciare il Giardino dell’Eden e discendere in quel mondo inferiore e là creare la dimora di D-o. Ella comprese il compito di elevare i sei giorni della settimana che ci innalzano portandoci fino alla santità dello Shabbàt e i sei millenni che ci elevano fino alla redenzione ultima.
Così ella mangiò dall’albero e convinse Adamo a fare la stessa cosa. E quando D-o domandò all’uomo: «Hai mangiato dall’albero?» non fu in tono di rimprovero, piuttosto Egli ammirò la saggezza dell’uomo che aveva preso la decisione giusta. Adamo, d’altro canto, nella sua innocenza, ammise che la saggezza derivava da Eva, non era merito suo ciò che era avvenuto. «Lei mi diede dall’albero e io mangiai»; in risposta D-o disse: «Poiché avete fatto questo morirete, mangerete il pane a prezzo del sudore delle vostre fronti e partorirete con dolore». In realtà, questa non fu una punizione per il peccato, ma la giusta conclusione della via che Adamo ed Eva avevano volontariamente intrapreso. Il mondo, in questo modo, sarebbe diventato una dimora confortevole per il Creatore, poiché le cose stesse che lo definiscono - le mitzvòt - sono messe in pratica solo a queste condizioni. Nel fare ciò noi prepariamo il mondo per la redenzione finale.
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