Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

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lunedì 21 novembre 2016

Shavei Israel: Palermo accoglie i Benè Anousim

Palermo accoglie i Benè Anousim italiani
per lo Shabbaton sponsorizzato da Shavei Israel

Più di 50 ospiti da tutta Italia sono scesi a Palermo, la pittoresca capitale siciliana, lo scorso fine settimana per uno Shabbaton organizzato da UCEI e Shavei Israel.
Mentre l’UCEI già organizza Shabbaton comunitari del genere, due volte l’anno in Italia, questa è stata la prima volta che veniva organizzato a Palermo - in gran parte come riconoscimento per il lavoro che Shavei Israel e il suo emissario Rav Pinhas Punturello stanno svolgendo nella regione dal 2013.
Lo scopo di Shavei Israel in Italia meridionale è di rafforzare le comunità locali Bnei Anousim nelle piccole cittadine di Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.
I Benè Anousim del sud Italia sono i discendenti degli ebrei sefarditi forzati a convertirsi al cattolicesimo nel 1492 o a fuggire dall’Inquisizione. Ma quando i monarchi spagnoli invasero la regione un secolo più tardi, una serie di persecuzioni iniziò, incluse più conversioni forzate ed espulsioni. I Benè Anousim, tuttavia, rimasero legati alla loro identità, passandola di generazione in generazione. Shavei Israel è stata fondamentale per la rinascita ebraica nell’Italia meridionale.
Lo Shabbaton è iniziato giovedì sera con un seminario speciale sul concetto di tzedakà presso l’Università di Palermo.
Il seminario comprendeva pannelli, presentazioni e discussioni con Rav Roberto della Rocca, direttore culturale presso l’UCEI; Gadi Piperno, che rappresentava anche lui l’UCEI; Rav Umberto Piperno, rabbino capo di Napoli; Leonardo Samonà, capo del dipartimento umanistico presso l’Università di Palermo; e Rav Punturello. L’incontro è stato moderato da Luciana Pepi - una dei membri più attivi della comunità ebraica palermitana.
Il venerdì sera vi sono state preghiere, una cena di Shabbat e un pannello dove i membri della comunità hanno parlato delle loro storie personali.
“E’ stato molto commovente”, ha detto Rav Punturello. “Quasi tutti hanno sottolineato come, senza l’aiuto di Shavei Israel, la comunità che abbiamo costruito qui, non sarebbe mai diventata reale”.

La Havdalà di sabato sera

I partecipanti allo Shabbaton hanno anche pregato nell’infauste prigioni dello Steri, già prigione del Tribunale dell’Inquisizione. Da qualche anno Rav Punturello vi celebra la cerimonia dell’accensione delle candele di Hannukà.

martedì 15 novembre 2016

Le sfide della Palermo ebraica

Le sfide della Palermo ebraica
Gadi Piperno
Da Pagine ebraiche 24 15 novembre 2016

domenica 13 novembre 2016

Shabbaton di rinascita a Palermo

Pagine ebraiche 24, la newsletter dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia, ha parlato recentemente dello Shabbaton che si è svolto a Palermo nei giorni scorsi.
Su Moked dell’11 novembre 2016, si trova un breve cenno:

È in svolgimento l’intenso Shabbaton “Radici di Sicilia” organizzato a Palermo dall’Area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretta dal rav Roberto Della Rocca in collaborazione con la Comunità ebraica di Napoli. Momenti di studio, approfondimento, incontro con la città. Nell’immagine l’intervento del vicepresidente UCEI Giulio Disegni.

È invece di oggi un articolo più esteso:



Uno shabbaton che apre una finestra su di una realtà ebraica che sta rifiorendo e che ha molto da raccontare: quella di Palermo. In questo fine settimana infatti il vivace gruppo ebraico palermitano è stato al centro di diversi incontri nel capoluogo siciliano, a cui hanno partecipato, tra gli altri, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni, il direttore dell’area Cultura e Formazione dell’UCEI rav Roberto Della Rocca, rav Pierpaolo Pinhas Punturello e Gadi Piperno, responsabile per l’Unione del Progetto Meridione.
Tra gli eventi dello Shabbaton, una serata densa di storie personali e di emozioni che ha caratterizzato l’intero appuntamento. Tre donne di diverse provenienze – ma tutte accomunate dall’aver trascorso una parte della loro vita nel capoluogo siciliano – Fausta Carli Finzi, Maria Antonietta Ancona ed Evelyn Aouate, hanno raccontato le loro storie, che coincidono in qualche modo con la storia della rinascita di un nucleo ebraico a Palermo dopo gli anni della Seconda guerra mondiale.
Fausta Carli Finzi arriva a Palermo con i genitori e il fratello nel 1948 e quello che subito la colpisce, e poi la coinvolge, è vedere la madre cercare di scoprire chi sono e quanti sono gli ebrei in una città dove non esiste una Comunità e così si hanno i primi incontri assolutamente casuali, anche semplicemente con ebrei che si trovano in città per lavoro o per turismo (come musicisti che vengono a suonare al Teatro Massimo o al Politeama, o professori con incarichi universitari), che vengono invitati e “catturati” nel salotto della mamma di Fausta, Fiorenza Della Pergola.
Sono questi contatti, che iniziano a porre le basi di un primo nucleo ebraico anche se non strutturato a Palermo.
E poi l’incontro casuale con il padre di Maria Antonietta Ancona, nata a Roma, ma di famiglia ebraica padovana, che viene a Palermo dopo la guerra. I racconti del padre, ma anche i molti silenzi, danno la forza e la motivazione alla figlia per andare alla ricerca delle radici ebraiche paterne e per iniziare un percorso che si concluderà nel 1989 con la sua conversione all’ebraismo.
Da allora, per la signora Ancona sarà un non-fermarsi incessante per capire a conoscere e soprattutto cercare di condividere con altri le proprie radici.
Infine, a raccontare la storia forse più emblematica di ebrea errante, è Evelyn Aouate (nell’immagine), nata in Algeria e costretta a lasciare il paese d’origine con padre, madre e due fratellini piccoli e a rifugiarsi alla volta di Parigi dove la famiglia va a vivere: il suo ebraismo si svilupperà nelle tradizioni e nella conservazione di una ritualità sentita e vissuta. Poi i casi della vita la portano a Palermo e qui avviene quasi una sorta di “miracolo”: dopo lunghi anni di vita siciliana in cui Evelyn credeva di essere l’unica ebrea di Palermo, ad eccezione di un’altra signora che incontra casualmente perché sua cliente, viene a conoscerne altri e parallelamente cresce il suo interesse per approfondire la storia della presenza ebraica in Sicilia.
Nel 2013 riceve una proposta di un convegno sull’Ebraismo da organizzare a Palermo: la richiesta arrivava da rav Punturello.
La presenza del rav in un dibattito pubblico alla Libreria Broadway segna l’inizio di una vera e propria svolta per il nucleo ebraismo palermitano: da quel momento, la signora Aouate si fa promotrice con altri di diversi eventi e incontri e dell’organizzazione delle feste ebraiche. Cene, feste e funzioni hanno luogo a casa Aouate, che diventa, insieme alla professoressa Luciana Pepi, docente all’Università di Palermo, il motore e il riferimento del gruppo ebraico palermitano. Gli eventi pubblici invece sono ospitati in palazzi che il Comune di Palermo volentieri concede alla realtà ebraica locale che fa capo alla Comunità ebraica di Napoli e che fonda anche l’ISSE (Istituto Siciliano di Studi Ebraici).
Tre storie straordinarie di confine, che danno la misura di quale sia stata la vita degli ebrei a Palermo negli ultimi decenni.
Nel frattempo vi sono stati alcuni ghiurim (conversioni) e sono continuate lezioni di ebraismo e l’organizzazione di eventi, a cura della Comunità di Napoli e di Shavei Israel.
Ora gli ebrei palermitani desiderano una sede dove trovarsi e meglio organizzarsi come gruppo e una sinagoga per le funzioni. Temi importanti, messi sul tavolo nel confronto tenutosi ieri coordinato dal vicepresidente Disegni, e a cui hanno partecipato rav Roberto Della Rocca, rav Pierpaolo Pinhas Punturello e Gadi Piperno.
Nell’immagine, la targa apposta posta all’Università di Palermo in memoria di Emilio Segre, Camillo Artom, Maurizio Ascoli, Mario Fubini e Alberto Dina, i cinque professori ebrei espulsi nel 1938 dall’accademia siciliana in seguito all’entrata in vigore delle infami leggi razziste.

giovedì 10 novembre 2016

Lech lechà 5777

שבת שלום!
SHABBAT SHALOM!

Shabbat 11 Cheshvan 5777 (12 novembre 2016)

Parashat Lech lechà: Bereshit (Genesi) 12,1-15,10
Haftarah: Isaia 40,27-41,16 (sef.)
Isaia 40,25-41,17 (it.)

Il Signore parlò in visione ad Abram:
“Non temere, - gli disse, - io ti proteggo come uno scudo.
La tua ricompensa sarà grandissima”.
Ma Abram rispose:
“Signore, mio Dio, cosa mai potrai darmi,
dal momento che non ho figli?
Ormai sto per andarmene e l'erede in casa mia
sarà Eliezer di Damasco
Ecco, tu non mi hai dato nemmeno un figlio,
- continuò a dire Abram,
 - e così un servo della mia famiglia sarà mio erede!
Il Signore rispose:
“No! Non il tuo servo,
ma uno che nascerà da te sarà il tuo erede.
Poi lo condusse all'aperto e gli disse:
“Contempla il cielo e conta le stelle, se le puoi contare!”
E aggiunse:
“I tuoi discendenti saranno altrettanto numerosi”.
Abram ebbe fiducia nel Signore
e per questo il Signore lo considerò giusto.

Rav Eliahu Birnbaum
Parashat Lech lechà
Va' verso ciò che sei

La Torà adotta un approccio deduttivo della Creazione. Mentre progrediamo nei suoi capitoli si specifica sempre di più l’oggetto della sua attenzione. Quando giungiamo alla parashà di Lech lechà, dove ci troviamo adesso, tutto sembra dire che ciò che precedeva era preparato per introdurci alla scena dell’apparire di Abramo. Il Talmud spiega che il padre di Abramo era un fabbricante di idoli, oggetti di culto materiale, e che contro questi idoli Abramo focalizza la sua ribellione. Abramo non accetta il culto “orizzontale” e l’idolatria estremamente diffusa nella sua epoca e di fatto cerca di superarla, scegliendo per se stesso la ribellione e la spiritualità e, a sua volta, è scelto da Dio per “trovare” il monoteismo.
Il Signore disse ad Abramo: «Vai via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò»”.Prima di tutto: “Vai via”, vai per te, cerca te stesso e la tua identità. Per poter raggiungere ciò dovrai abbandonare “la tua terra”, la terra dei tuoi beni materiali, “il tuo parentado”; dovrai separarti da tutto ciò che hai ricevuto per via emozionale, dalla matrice che ti è stata impressa sin dall’istante della fecondazione e dai tuoi legami affettivi; dalla “casa di tuo padre”, dalla cultura, dalla civiltà e da tutta la struttura morale ed intellettuale in cui sei vissuto fino ad adesso.
Abramo fu il primo olé, il primo immigrato in terra di Israele che ha certamente affrontato difficoltà ben superiori di quelle incontrate da un immigrato dei nostri giorni. Abramo parte da Ur Casdim, uno dei maggiori centri culturali ed economici della sua epoca, e si dirige verso se stesso, per “incontrarsi”. Abramo, nato nel seno di una famiglia “agiata”, non parte a seguito di una persecuzione politica e tantomeno a causa di una crisi economica. Nella sua situazione, separarsi dalle proprie radici è una delle più grandi prove che una persona possa affrontare. Senza radici culturali, familiari, sociali, spirituali né tantomeno geografiche, l’uomo non ha un universo di riferimento con il quale identificarsi: Abramo si forza a vivere al massimo livello della solitudine esistenziale.
Abramo si trasforma in un “eletto” quando intraprende il suo cammino di solitudine. Pensare in maniera differente rispetto alla società e al potere costituito e osare denunciarlo pubblicamente, è un atto di grandezza ed onestà che richiede una straordinaria coerenza intellettuale. Abramo osa intraprendere un nuovo cammino, assumendo su di sé i rischi, i dilemmi e le difficoltà. Crede in una idea, forgia un ideale e percorre con determinazione la strada che porta alla loro realizzazione. La grandezza di Abramo non è fondamentalmente filosofica, ma affonda le proprie radici nel suo coraggio e nel suo valore.
Il primo uomo, Adam HaRishon ed i suoi figli, furono i primi monoteisti. Quando gli uomini cominciarono a considerare le stelle e gli altri segni come “rappresentanti” o “intermediari” di Dio e, attraverso la loro adorazione, dimenticarono il culto dell’Unica divinità, Abramo ritorna alla Fonte Primordiale. La rivoluzione di Abramo è più umana e sociale che filosofica. Il concetto di “scelto”, nato con Abramo, si giustifica con le caratteristiche specifiche dell’uomo. Abramo si mostra come un “libero pensatore” che non accetta in maniera coatta le concezioni della vita predominanti nella sua epoca. E’ un guerriero anticonformista che non si arrende di fronte all’altare classico dei comuni valori.

Abramo è un uomo che ha posto una domanda e che desidera comprendere; è il prototipo del rivoluzionario onesto che dista molto dall’immagine che abbiamo del pastore “anziano con la barba” che porta suo figlio al sacrificio, sentendosi impotente. Abramo è un uomo la cui grandezza morale e spirituale è rivelata dai valori che la sua fede sostiene.

RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ
LECH LECH. LA VOCAZIONE DI ABRAMO 
Le vicende dell'umanità anteriori e posteriori al diluvio che sono state oggetto dei primi capitoli della Genesi, formano quasi una grande introduzione alla storia successiva che è quella delle origini della famiglia di Israele. L'umanità secondo la Bibbia ha seguito varie fasi nello sviluppo storico dei suoi primi tempi; queste fasi sono come contrassegnate dal sorgere di alcuni personaggi di eccezione che segnano come le tappe del faticoso cammino umano: da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo. La Torà sorvola sulle vicende che intercorrono tra il sorgere dell'uno o dell'altro di questi personaggi e preferisce soffermarsi sulla vita, sul significato della vita di essi, perché è questo significato che deve imprimere il carattere alla storia del periodo, dell'epoca o della gente cui quel personaggio appartiene. E così che dopo la narrazione del diluvio e della vita di Noè, giungiamo con questa Parashà alla storia di Abramo e della sua famiglia.
Qui noi entriamo propriamente nel terreno della storia di Israele o, se vogliamo, della preistoria d'Israele.
Abramo è il primo padre, è anzi il grande padre d'Israele, è il creatore dell'idea monoteistica, è colui che getta le basi granitiche dell'idea d'Israele. Abramo è dunque il primo padre spirituale della gente Ebraica, è colui che forma il primo modello della vita d'Israele, ma Abramo è anche uomo che vive in mezzo ad altri uomini ed ha quindi le sue vicende personali che non si astraggono, ma anzi si collegano e si intrecciano con la sua vita ideale e spirituale, sì da formare tutta una meravigliosa trama di episodi che gettano una chiara luce sulle caratteristiche di questo eccezionale personaggio della storia ebraica. La presente Parashà contiene appunto la narrazione di un primo gruppo di questi episodi della vita abramitica e ci guida attraverso tutto l'intreccio delle complesse vicende della vita di Abramo per condurci poi su quella terra di Canaan che sarà il teatro scelto per lo svolgimento di quelle vicende.
La partenza dalla originaria terra di Ur - Casdin per ubbidire alla volontà di Dio e alla missione da Lui affidatagli, le prime peregrinazioni in terra di Canaan, la temporanea avventurosa dimora in terra d'Egitto, i rapporti col nipote Lot e i dissensi tra il suo clan e quello di lui, la guerra dei quattro re contro i cinque e la partecipazione ad essa di Abramo, il solenne annuncio della futura schiavitù di Israele, attraverso la simbolica visione degli animali ecc., sono tutti temi di altrettanti episodi, ciascuno dei quali offre di per sé materia per lo studio e l'approfondimento della personalità del patriarca.
Dall'esame di questi episodi emerge anzitutto un fatto, una verità, una caratteristica che dà fin d'ora un'impronta originale alla storia religiosa d'Israele; il fatto è questo: Abramo non è un mistico, non è un visionario, non è un uomo che è pervenuto alla conoscenza dell'Unico Dio attraverso l'ascesi o il distacco dal mondo, no. Abramo è un uomo che vive in mezzo al mondo in mezzo agli uomini, è un uomo che vive in un'epoca e in un mondo in cui gli uomini erano molto lontani da quell'idea che egli andava proclamando, egli vive in quell'epoca successiva alla generazione che aveva costruito la torre di Babele, e che quindi viveva nel culto dell'ambizione e della forza, rinnegando i più alti valori umani e Divini: ebbene, Abramo è la vivente protesta contro questo mondo, Abramo è il primo isolato, è il primo ad annunciare un nuovo verbo che non sarà mai più destinato a mutarsi; Abramo sente di ricevere da Dio la missione di annunciare in un mondo avverso, la verità di Lui, la unicità di Lui, la fede in Lui. È perciò che la Parashà si inizia con quella che si potrebbe chiamare la vocazione di Abramo e l'esordio solenne di essa, traccia già a grandi linee la figura di Abramo, la posizione di lui di contro al mondo: "Lekh Lekhà", Va per conto tuo dalla tua terra, dalla tua città, dalla casa di tuo padre, va verso la terra che ti mostrerò (Genesi, XII, 1).
Tutta la storia di Abramo e della sua progenie è già racchiusa in questo verso, in questo solenne imperativo che mette subito a dura prova la preparazione di Abramo: lasciare tutto, proprio tutto, la patria, la famiglia, l'ambiente per andar dove? dove egli non sapeva, ma dove Iddio l'avrebbe guidato; non è già questa una prova di illimitata fiducia in Dio?
"Lekh lekhà" vattene per tuo conto, staccati da questo mondo idolatrico e segui la tua vocazione, il tuo istinto, il tuo mondo spirituale: conservalo, accrescilo, siine geloso e, soprattutto, preservalo nonostante l'ambiente avverso. In questo imperativo c'è già tutta la storia di Abramo; comincia la prima di una serie di dure prove alle quali Abramo sarà sottoposto e che si realizzeranno in mezzo al mondo, in mezzo alla vita degli uomini; sono prove in occasione delle quali Abramo dovrà sempre dimostrare di essere fedele al suo isolamento, al suo "Lekh lekhà" che è la prima parola della sua vita. Ed Abramo infatti supererà tutte queste prove, sarà sempre, in ogni occasione, fedele all'idea e fedele a Dio, dimostrerà di essere il primo creatore, il primo artefice di quella "emunà", di quell'abbandono alla volontà del Signore che dovrà essere la forza sua e dei suoi figli; egli sarà davvero il primo uomo religioso, il primo uomo che si appoggia a Dio, e sarà così fonte di benedizione per l'umanità.

Quando, come ci espone la Parashà, Abramo riceve l'annuncio della discendenza che da lui avrà origine, di questa discendenza della quale per legge di natura, egli ormai credeva di essere privo, il Signore gli ordina di uscir fuori dalla tenda e di rivolgere lo sguardo verso il Cielo stellato: là egli dovrà guardare, non alla terra e alle vicende che si svolgono secondo gli umani accorgimenti e le umane leggi, ma al Cielo, alle leggi del Cielo dovrà essere rivolto il suo sguardo, perché la sua discendenza avrà una origine e una storia che sarà fuori dalla legge degli uomini, e sarà creazione diretta di Dio. Questo il comando. Abramo ubbidisce a quel comando e volge il suo sguardo verso il Cielo: il suo cuore - dice la Torà - fu fiducioso e sicuro nella forza di Dio. In quello sguardo, in quella forza sta tutta la vita di Abramo.

Da ChabadRoma
Genesi 12,1-17,27
Genesi 12,1–17,27
Camminare con D-o e procedere dinanzi a D-o sono due espressioni all’apparenza analoghe, ma in realtà esprimono due concetti differenti
Quando l’anima compie questa sua missione tutte le sofferenze e i dolori transitori, collegati alla sua discesa su questa terra
Abramo non aspettava che la gente venisse da lui a chiedere spiegazioni in merito alla sua fede nell’Unico D-o, una fede che, al suo tempo, appariva come qualcosa di nuovo e sorprendente
Conoscendo il rapporto speciale che esisteva tra il nostro primo padre e il Sig-re, forse rimaniamo sorpresi quando leggiamo un po’ più avanti che “Avràm aveva settantacinque anni quando uscì da Charàn”
Come avrebbe potuto Avrahàm mettere Sarà in una posizione di possibile pericolo, permettendole di essere portata al palazzo del faraone, con lo scopo di salvare la propria vita?
Come avrebbe potuto Avrahàm mettere Sarà in una posizione di possibile pericolo, permettendole di essere portata al palazzo del faraone, con lo scopo di salvare la propria vita?
Ora che sei consapevole del potenziale delle tue forze coscienti, 'Vai per te', alla scoperta del tuo vero Io
Essere ebreo significa partecipare in una conversazione a vita con D-o
Essere ebreo significa partecipare in una conversazione a vita con D-o
È scritto nel Talmùd che Avrahàm osservò l’intera Torà, incluse le regole della kashrùt
Il Galùt è comunemente considerato come una punizione la cui intensità dovrebbe diminuire dopo aver espiato il peccato che l’ha provocato
La storia di Avrahàm e Sarà ci mostra che il rapporto con D-o è fatto di entrambi gli elementi e ci insegna anche su quale dei due aspetti fare leva
Il Sign-re ha messo alla prova Avrahàm con dieci prove, e che egli le ha superate tutte
Avrahàm, lo sposo perfetto, e Sarà, la quintessenza della donna ebrea, rappresentano l’esempio della coppia modello
Un essere umano, per definizione, è limitato e soggetto a ripensamenti, D-o invece è onnipotente ed eterno
La Torà non ci racconta altri dettagli riguardo a quest’uomo e al suo rapporto con Avrahàm




Dal sito E-brei.net 
Da Lo Shabbath. Il suo significato per l'uomo moderno
di Abraham Joshua Heschel
Documento realizzato da Paolo Sciunnach nel giugno 1999 e rilasciato sotto licenza CC BY-NC-ND. Per favore trattare questo testo con il dovuto rispetto.

Dall’introduzione a cura di rav Paolo Sciunnach - Parte I

Premessa
Il popolo di Israele ha una magnifica istituzione che gli è propria: è il giorno santo e venerabile di Sua Maestà lo Shabbath.
Nell'immaginazione popolare, lo Shabbath è divenuto una persona vivente, con un corpo, dei connotati, risplendente d'oro e di bellezza. Quando il Santo, benedetto Egli sia, ebbe terminato l'opera della creazione, introdusse nell'universo lo Shabbath "affinché il baldacchino nuziale che era stato appena elevato non rimanesse privo della sposa".
Per lo Shabbath, meraviglia preferita tra tutti i tesori che possiede, il Santo, benedetto Egli sia, non trovò che Israele che formasse con lui una coppia perfetta (Bialik).
Senza dubbio l'idea dello Shabbath, il riposo settimanale, simbolo di libertà e di dignità umana e giorno di rinascita spirituale, è uno degli elementi fondamentali dell'eredità che Israele ha trasmesso all'umanità. Ma per il popolo di Mosè ha mantenuto un carattere, un'atmosfera specifici.
I Maestri hanno scritto: "Chiamerai lo Shabbath tua delizia", "Niente potrà mai uguagliare la benedizione spirituale che l'ebreo osservante trova nel riposo così dolce, nella tranquillità così perfetta dello Shabbath".
Si narra che un generale romano chiese a rabbi Josuè: "Perché i cibi dello Shabbath emanano un profumo così buono?", ed egli rispose: "Noi abbiamo una spezia speciale chiamata Shabbath ed è il suo profumo che tu respiri".
Il generale romano disse allora: "Dammela!", ma Rabbi Josuè di rimando: "Chiunque osserva lo Shabbath può goderne, ma non è di nessuna utilità per chi non l'osserva".
L'osservanza dello Shabbath comprende il duplice aspetto di shamor e zakhor, osserva e ricorda, parole usate all'inizio del quarto comandamento del Decalogo, una volta nell'Esodo, l'altra nel Deuteronomio, e che, secondo la Tradizione orale, furono pronunciate insieme dal Signore sul Sinai.
La prima esprime il lato "negativo" o passivo: l'astensione dal lavoro, il riposo; mentre la seconda si riferisce alla santificazione positiva, a ciò che deve essere fatto di Shabbath: i tre pasti obbligatori, il Qiddush, l'Havdalà, la preghiera e lo studio della Torà, al fine di favorire lo schiudersi e l'espandersi "dell'anima supplementare", neshamà yetherà, di cui gode il fedele in questo giorno.
A tutti i componenti della famiglia ebraica, compresi gli animali, è stata comandata l'astensione completa dal lavoro e la trasgressione di questo comandamento, se voluta e cosciente, equivale a negare l'esistenza del Dio Creatore del mondo e Redentore, in Egitto, del popolo ebraico.
È la Legge orale ad aver stabilito tutti i lavori proibiti, solo una parte dei quali è menzionata nella Legge scritta; la Mishnà ne distingue trentanove principali (avoth melakhoth) la cui caratteristica è quella di essere lavori che furono necessari per la costruzione del Tabernacolo nel deserto. "Osserverete i Miei sabati e rispetterete il Mio Santuario, Io sono il Signore" (Lev. 26,2).
Questi lavori comprendono principalmente quelli che riguardano la preparazione del cibo, dei vestiti, i lavori di casa, l'utilizzazione della scrittura, l'accensione del fuoco, ma anche il compimento di un'opera (l'ultimo colpo di martello) e il trasporto di un oggetto da un luogo privato a uno pubblico.
In ultima analisi abbracciano tutti i settori dell'attività umana in una prospettiva in cui il lavoro non è misurato in base allo sforzo necessario per compierlo, ma è concepito come la realizzazione di un'idea applicata a un oggetto, destinata a creare, a produrre o a trasformare (S.R. Hirsch).
I profeti hanno proibito anche le transazioni commerciali che stricto sensu non rientrano nelle categorie dei trentanove lavori proibiti, ma che sono intrinsecamente incompatibili con lo spirito dello Shabbath. "Se tratterrai di sabato il tuo piede dal fare il tuo interesse nel giorno a Me sacro, e chiamerai il sabato delizia, consacrato al Signore e onorato, e se lo onorerai tralasciando il tuo cammino, dall'occuparti dei tuoi affari e dal parlarne, allora ti delizierai in onore del Signore, e Io ti farò nutrire col retaggio di tuo padre Giacobbe" (Is. 58,13-14). (Vedi anche Nehemia 13,15-17).
Ispirandosi a queste raccomandazioni e nell'intento di circondare le proibizioni divine con una "siepe" invalicabile, i Maestri vi hanno aggiunto alcune proibizioni dette "rabbiniche".
Così sono state proibite diverse attività di carattere profano (uvdane dechol) come la musica strumentale, il nuoto, l'equitazione, l'utilizzo dei mezzi di trasporto.
Di Shabbath tutti gli utensili o strumenti che servono per un "lavoro" sono dichiarati muqtzè e cioè soppressi dal pensiero e dall'uso, ed è proibito prenderli perfino in mano.
Durante queste ventiquattro ore, allo scopo di estendere all'anima il dovere della santificazione, anche la tristezza e le preoccupazioni devono essere messe da parte.
Dice il Midrash: "Dio benedisse il giorno di Shabbath e lo santificò" (Bereshith Rabbà). Egli lo benedisse con lo splendore del volto umano, lo santificò con lo splendore che il volto umano ha durante lo Shabbath.
Nel Cantico dei Cantici, la fanciulla, simbolo del popolo di Israele, esclama: "Sono nera, ma sono bella", e i Maestri hanno dato la seguente interpretazione: "sono nera" durante la settimana, "ma sono bella" durante lo Shabbath.

Il venerdì
Il venerdì, molto prima dell'ora che segna l'entrata dello Shabbath, la casa ebraica è tutta tesa nell'attesa dell'ospite meraviglioso.
Fin dal momento del risveglio, la giornata assume un'atmosfera particolare: vengono fatte grandi pulizie domestiche e la cucina è in grande fermento. Anche il ba'al habbayth, il padrone di casa, seguendo l'esempio di illustri rabbini del Talmud, ci tiene ad avere l'onore di partecipare alla preparazione dei pasti sabbatici.
La tradizione ci tramanda che Ravà salava il pesce, Rav Papà intrecciava lo stoppino, Rabbà e Rav Josef spaccavano la legna. A pranzo è tradizione mangiare di magro in previsione del lauto pasto della sera; spesso nel primo pomeriggio la tavola è già pronta per la sera.
Verso l'imbrunire l'agitazione si calma: il lavoro da fare in previsione dello Shabbath, che sembrava impossibile da terminare nel breve lasso di tempo a disposizione, è stato terminato. La cucina a gas è stata coperta con una lastra sotto la quale brucia una piccola fiamma destinata a mantenere caldi i cibi per la cena e per riscaldare quelli dell'indomani. Nel frattempo ognuno ha indossato i vestiti eleganti per andare incontro alla principessa Shabbath. Questa accoglienza deve aver luogo prima del crepuscolo per aggiungere un po' di profano al giorno sacro.