Parashat Lech lechà: Bereshit (Genesi) 12,1-15,10
Haftarah: Isaia 40,27-41,16 (sef.)
Isaia 40,25-41,17 (it.)
Isaia 40,25-41,17 (it.)
“Non temere, - gli disse, - io ti
proteggo come uno scudo.
La tua ricompensa sarà grandissima”.
Ma Abram rispose:
“Signore, mio Dio, cosa mai potrai
darmi,
dal momento che non ho figli?
Ormai sto per andarmene e l'erede
in casa mia
sarà Eliezer di Damasco
Ecco, tu non mi hai dato nemmeno
un figlio,
- continuò a dire Abram,
- e così un servo della mia famiglia sarà mio
erede!”
Il Signore rispose:
“No! Non il tuo servo,
ma uno che
nascerà da te sarà il tuo erede.
Poi lo condusse all'aperto e gli
disse:
“Contempla il cielo e conta le
stelle, se le puoi contare!”
E aggiunse:
“I tuoi discendenti
saranno altrettanto numerosi”.
Abram ebbe fiducia nel Signore
e
per questo il Signore lo considerò giusto.
Rav Eliahu Birnbaum
Parashat Lech lechà
Va' verso ciò che sei
Va' verso ciò che sei
La Torà adotta un approccio deduttivo della
Creazione. Mentre progrediamo nei suoi capitoli si specifica sempre di più
l’oggetto della sua attenzione. Quando giungiamo alla parashà di Lech lechà,
dove ci troviamo adesso, tutto sembra dire che ciò che precedeva era preparato
per introdurci alla scena dell’apparire di Abramo. Il Talmud spiega che il
padre di Abramo era un fabbricante di idoli, oggetti di culto materiale, e che
contro questi idoli Abramo focalizza la sua ribellione. Abramo non accetta il
culto “orizzontale” e l’idolatria estremamente diffusa nella sua epoca e di
fatto cerca di superarla, scegliendo per se stesso la ribellione e la
spiritualità e, a sua volta, è scelto da Dio per “trovare” il monoteismo.
Il Signore disse ad Abramo: «Vai via dal tuo
paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti
mostrerò»”.Prima di tutto: “Vai via”, vai per te, cerca te stesso e la tua
identità. Per poter raggiungere ciò dovrai abbandonare “la tua terra”, la terra
dei tuoi beni materiali, “il tuo parentado”; dovrai separarti da tutto ciò che
hai ricevuto per via emozionale, dalla matrice che ti è stata impressa sin
dall’istante della fecondazione e dai tuoi legami affettivi; dalla “casa di tuo
padre”, dalla cultura, dalla civiltà e da tutta la struttura morale ed
intellettuale in cui sei vissuto fino ad adesso.
Abramo fu il primo olé, il primo immigrato in
terra di Israele che ha certamente affrontato difficoltà ben superiori di
quelle incontrate da un immigrato dei nostri giorni. Abramo parte da Ur Casdim,
uno dei maggiori centri culturali ed economici della sua epoca, e si dirige
verso se stesso, per “incontrarsi”. Abramo, nato nel seno di una famiglia
“agiata”, non parte a seguito di una persecuzione politica e tantomeno a causa
di una crisi economica. Nella sua situazione, separarsi dalle proprie radici è
una delle più grandi prove che una persona possa affrontare. Senza radici
culturali, familiari, sociali, spirituali né tantomeno geografiche, l’uomo non
ha un universo di riferimento con il quale identificarsi: Abramo si forza a
vivere al massimo livello della solitudine esistenziale.
Abramo si trasforma in un “eletto” quando
intraprende il suo cammino di solitudine. Pensare in maniera differente
rispetto alla società e al potere costituito e osare denunciarlo pubblicamente,
è un atto di grandezza ed onestà che richiede una straordinaria coerenza
intellettuale. Abramo osa intraprendere un nuovo cammino, assumendo su di sé i
rischi, i dilemmi e le difficoltà. Crede in una idea, forgia un ideale e percorre
con determinazione la strada che porta alla loro realizzazione. La grandezza di
Abramo non è fondamentalmente filosofica, ma affonda le proprie radici nel suo
coraggio e nel suo valore.
Il primo uomo, Adam HaRishon ed i suoi figli,
furono i primi monoteisti. Quando gli uomini cominciarono a considerare le
stelle e gli altri segni come “rappresentanti” o “intermediari” di Dio e,
attraverso la loro adorazione, dimenticarono il culto dell’Unica divinità,
Abramo ritorna alla Fonte Primordiale. La rivoluzione di Abramo è più umana e
sociale che filosofica. Il concetto di “scelto”, nato con Abramo, si giustifica
con le caratteristiche specifiche dell’uomo. Abramo si mostra come un “libero
pensatore” che non accetta in maniera coatta le concezioni della vita
predominanti nella sua epoca. E’ un guerriero anticonformista che non si
arrende di fronte all’altare classico dei comuni valori.
Abramo è un uomo che ha posto una domanda e che
desidera comprendere; è il prototipo del rivoluzionario onesto che dista molto
dall’immagine che abbiamo del pastore “anziano con la barba” che porta suo
figlio al sacrificio, sentendosi impotente. Abramo è un uomo la cui grandezza
morale e spirituale è rivelata dai valori che la sua fede sostiene.
Da Torah.it
RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ
LECH LECH. LA VOCAZIONE DI ABRAMO
Le
vicende dell'umanità anteriori e posteriori al diluvio che sono state oggetto
dei primi capitoli della Genesi, formano quasi una grande introduzione alla
storia successiva che è quella delle origini della famiglia di Israele.
L'umanità secondo la Bibbia ha seguito varie fasi nello sviluppo storico dei
suoi primi tempi; queste fasi sono come contrassegnate dal sorgere di alcuni
personaggi di eccezione che segnano come le tappe del faticoso cammino umano:
da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo. La Torà sorvola sulle vicende che
intercorrono tra il sorgere dell'uno o dell'altro di questi personaggi e
preferisce soffermarsi sulla vita, sul significato della vita di essi, perché è
questo significato che deve imprimere il carattere alla storia del periodo,
dell'epoca o della gente cui quel personaggio appartiene. E così che dopo la
narrazione del diluvio e della vita di Noè, giungiamo con questa Parashà alla
storia di Abramo e della sua famiglia.
Qui
noi entriamo propriamente nel terreno della storia di Israele o, se vogliamo,
della preistoria d'Israele.
Abramo
è il primo padre, è anzi il grande padre d'Israele, è il creatore dell'idea
monoteistica, è colui che getta le basi granitiche dell'idea d'Israele. Abramo
è dunque il primo padre spirituale della gente Ebraica, è colui che forma il
primo modello della vita d'Israele, ma Abramo è anche uomo che vive in mezzo ad
altri uomini ed ha quindi le sue vicende personali che non si astraggono, ma
anzi si collegano e si intrecciano con la sua vita ideale e spirituale, sì da
formare tutta una meravigliosa trama di episodi che gettano una chiara luce
sulle caratteristiche di questo eccezionale personaggio della storia ebraica.
La presente Parashà contiene appunto la narrazione di un primo gruppo di questi
episodi della vita abramitica e ci guida attraverso tutto l'intreccio delle
complesse vicende della vita di Abramo per condurci poi su quella terra di
Canaan che sarà il teatro scelto per lo svolgimento di quelle vicende.
La
partenza dalla originaria terra di Ur - Casdin per ubbidire alla volontà di Dio
e alla missione da Lui affidatagli, le prime peregrinazioni in terra di Canaan,
la temporanea avventurosa dimora in terra d'Egitto, i rapporti col nipote Lot e
i dissensi tra il suo clan e quello di lui, la guerra dei quattro re contro i
cinque e la partecipazione ad essa di Abramo, il solenne annuncio della futura
schiavitù di Israele, attraverso la simbolica visione degli animali ecc., sono
tutti temi di altrettanti episodi, ciascuno dei quali offre di per sé materia
per lo studio e l'approfondimento della personalità del patriarca.
Dall'esame
di questi episodi emerge anzitutto un fatto, una verità, una caratteristica che
dà fin d'ora un'impronta originale alla storia religiosa d'Israele; il fatto è
questo: Abramo non è un mistico, non è un visionario, non è un uomo che è
pervenuto alla conoscenza dell'Unico Dio attraverso l'ascesi o il distacco dal
mondo, no. Abramo è un uomo che vive in mezzo al mondo in mezzo agli uomini, è
un uomo che vive in un'epoca e in un mondo in cui gli uomini erano molto
lontani da quell'idea che egli andava proclamando, egli vive in quell'epoca
successiva alla generazione che aveva costruito la torre di Babele, e che
quindi viveva nel culto dell'ambizione e della forza, rinnegando i più alti
valori umani e Divini: ebbene, Abramo è la vivente protesta contro questo
mondo, Abramo è il primo isolato, è il primo ad annunciare un nuovo verbo che
non sarà mai più destinato a mutarsi; Abramo sente di ricevere da Dio la
missione di annunciare in un mondo avverso, la verità di Lui, la unicità di
Lui, la fede in Lui. È perciò che la Parashà si inizia con quella che si
potrebbe chiamare la vocazione di Abramo e l'esordio solenne di essa, traccia
già a grandi linee la figura di Abramo, la posizione di lui di contro al mondo:
"Lekh Lekhà", Va per conto tuo dalla tua terra, dalla tua città,
dalla casa di tuo padre, va verso la terra che ti mostrerò (Genesi, XII, 1).
Tutta
la storia di Abramo e della sua progenie è già racchiusa in questo verso, in
questo solenne imperativo che mette subito a dura prova la preparazione di
Abramo: lasciare tutto, proprio tutto, la patria, la famiglia, l'ambiente per
andar dove? dove egli non sapeva, ma dove Iddio l'avrebbe guidato; non è già
questa una prova di illimitata fiducia in Dio?
"Lekh
lekhà" vattene per tuo conto, staccati da questo mondo idolatrico e segui
la tua vocazione, il tuo istinto, il tuo mondo spirituale: conservalo,
accrescilo, siine geloso e, soprattutto, preservalo nonostante l'ambiente
avverso. In questo imperativo c'è già tutta la storia di Abramo; comincia la
prima di una serie di dure prove alle quali Abramo sarà sottoposto e che si
realizzeranno in mezzo al mondo, in mezzo alla vita degli uomini; sono prove in
occasione delle quali Abramo dovrà sempre dimostrare di essere fedele al suo
isolamento, al suo "Lekh lekhà" che è la prima parola della sua vita.
Ed Abramo infatti supererà tutte queste prove, sarà sempre, in ogni occasione,
fedele all'idea e fedele a Dio, dimostrerà di essere il primo creatore, il
primo artefice di quella "emunà", di quell'abbandono alla volontà del
Signore che dovrà essere la forza sua e dei suoi figli; egli sarà davvero il
primo uomo religioso, il primo uomo che si appoggia a Dio, e sarà così fonte di
benedizione per l'umanità.
Quando,
come ci espone la Parashà, Abramo riceve l'annuncio della discendenza che da
lui avrà origine, di questa discendenza della quale per legge di natura, egli
ormai credeva di essere privo, il Signore gli ordina di uscir fuori dalla tenda
e di rivolgere lo sguardo verso il Cielo stellato: là egli dovrà guardare, non
alla terra e alle vicende che si svolgono secondo gli umani accorgimenti e le
umane leggi, ma al Cielo, alle leggi del Cielo dovrà essere rivolto il suo
sguardo, perché la sua discendenza avrà una origine e una storia che sarà fuori
dalla legge degli uomini, e sarà creazione diretta di Dio. Questo il comando.
Abramo ubbidisce a quel comando e volge il suo sguardo verso il Cielo: il suo
cuore - dice la Torà - fu fiducioso e sicuro nella forza di Dio. In quello
sguardo, in quella forza sta tutta la vita di Abramo.
Genesi 12,1-17,27
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Genesi 12,1–17,27
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Camminare con D-o e
procedere dinanzi a D-o sono due espressioni all’apparenza analoghe, ma in
realtà esprimono due concetti differenti
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Quando l’anima compie
questa sua missione tutte le sofferenze e i dolori transitori, collegati alla
sua discesa su questa terra
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Abramo non aspettava che
la gente venisse da lui a chiedere spiegazioni in merito alla sua fede
nell’Unico D-o, una fede che, al suo tempo, appariva come qualcosa di nuovo e
sorprendente
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Conoscendo il rapporto
speciale che esisteva tra il nostro primo padre e il Sig-re, forse rimaniamo
sorpresi quando leggiamo un po’ più avanti che “Avràm aveva settantacinque
anni quando uscì da Charàn”
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Come avrebbe potuto
Avrahàm mettere Sarà in una posizione di possibile pericolo, permettendole di
essere portata al palazzo del faraone, con lo scopo di salvare la propria
vita?
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Come avrebbe potuto
Avrahàm mettere Sarà in una posizione di possibile pericolo, permettendole di
essere portata al palazzo del faraone, con lo scopo di salvare la propria
vita?
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Ora che sei consapevole
del potenziale delle tue forze coscienti, 'Vai per te', alla scoperta del tuo
vero Io
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Essere ebreo significa
partecipare in una conversazione a vita con D-o
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Essere ebreo significa
partecipare in una conversazione a vita con D-o
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È scritto nel Talmùd che
Avrahàm osservò l’intera Torà, incluse le regole della kashrùt
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Il Galùt è comunemente
considerato come una punizione la cui intensità dovrebbe diminuire dopo aver
espiato il peccato che l’ha provocato
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La storia di Avrahàm e
Sarà ci mostra che il rapporto con D-o è fatto di entrambi gli elementi e ci
insegna anche su quale dei due aspetti fare leva
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Il Sign-re ha messo alla
prova Avrahàm con dieci prove, e che egli le ha superate tutte
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Avrahàm, lo sposo
perfetto, e Sarà, la quintessenza della donna ebrea, rappresentano l’esempio
della coppia modello
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Un essere umano, per
definizione, è limitato e soggetto a ripensamenti, D-o invece è onnipotente
ed eterno
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La Torà non ci racconta
altri dettagli riguardo a quest’uomo e al suo rapporto con Avrahàm
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Dal sito E-brei.net
Da Lo Shabbath. Il suo significato per l'uomo moderno
di Abraham Joshua Heschel
Documento realizzato da
Paolo Sciunnach nel giugno 1999 e rilasciato sotto licenza CC BY-NC-ND. Per
favore trattare questo testo con il dovuto rispetto.
Dall’introduzione a cura di rav Paolo Sciunnach - Parte I
Premessa
Il
popolo di Israele ha una magnifica istituzione che gli è propria: è il giorno
santo e venerabile di Sua Maestà lo Shabbath.
Nell'immaginazione
popolare, lo Shabbath è divenuto una persona vivente, con un corpo, dei
connotati, risplendente d'oro e di bellezza. Quando il Santo, benedetto Egli
sia, ebbe terminato l'opera della creazione, introdusse nell'universo lo
Shabbath "affinché il baldacchino nuziale che era stato appena elevato non
rimanesse privo della sposa".
Per
lo Shabbath, meraviglia preferita tra tutti i tesori che possiede, il Santo,
benedetto Egli sia, non trovò che Israele che formasse con lui una coppia
perfetta (Bialik).
Senza
dubbio l'idea dello Shabbath, il riposo settimanale, simbolo di libertà e di
dignità umana e giorno di rinascita spirituale, è uno degli elementi fondamentali
dell'eredità che Israele ha trasmesso all'umanità. Ma per il popolo di Mosè ha
mantenuto un carattere, un'atmosfera specifici.
I
Maestri hanno scritto: "Chiamerai lo Shabbath tua delizia",
"Niente potrà mai uguagliare la benedizione spirituale che l'ebreo
osservante trova nel riposo così dolce, nella tranquillità così perfetta dello
Shabbath".
Si
narra che un generale romano chiese a rabbi Josuè: "Perché i cibi dello
Shabbath emanano un profumo così buono?", ed egli rispose: "Noi
abbiamo una spezia speciale chiamata Shabbath ed è il suo profumo che tu
respiri".
Il
generale romano disse allora: "Dammela!", ma Rabbi Josuè di rimando:
"Chiunque osserva lo Shabbath può goderne, ma non è di nessuna utilità per
chi non l'osserva".
L'osservanza
dello Shabbath comprende il duplice aspetto di shamor e zakhor,
osserva e ricorda, parole usate
all'inizio del quarto comandamento del Decalogo, una volta nell'Esodo, l'altra
nel Deuteronomio, e che, secondo la Tradizione orale, furono pronunciate
insieme dal Signore sul Sinai.
La
prima esprime il lato "negativo" o passivo: l'astensione dal lavoro,
il riposo; mentre la seconda si riferisce alla santificazione positiva, a ciò
che deve essere fatto di Shabbath: i tre pasti obbligatori, il Qiddush,
l'Havdalà, la preghiera e lo studio della Torà, al fine di favorire lo
schiudersi e l'espandersi "dell'anima supplementare", neshamà
yetherà, di cui gode il fedele in questo giorno.
A
tutti i componenti della famiglia ebraica, compresi gli animali, è stata
comandata l'astensione completa dal lavoro e la trasgressione di questo
comandamento, se voluta e cosciente, equivale a negare l'esistenza del Dio
Creatore del mondo e Redentore, in Egitto, del popolo ebraico.
È
la Legge orale ad aver stabilito tutti i lavori proibiti, solo una parte dei
quali è menzionata nella Legge scritta; la Mishnà ne distingue trentanove
principali (avoth melakhoth) la cui
caratteristica è quella di essere lavori che furono necessari per la
costruzione del Tabernacolo nel deserto. "Osserverete i Miei sabati e
rispetterete il Mio Santuario, Io sono il Signore" (Lev. 26,2).
Questi
lavori comprendono principalmente quelli che riguardano la preparazione del
cibo, dei vestiti, i lavori di casa, l'utilizzazione della scrittura,
l'accensione del fuoco, ma anche il compimento di un'opera (l'ultimo colpo di
martello) e il trasporto di un oggetto da un luogo privato a uno pubblico.
In
ultima analisi abbracciano tutti i settori dell'attività umana in una
prospettiva in cui il lavoro non è misurato in base allo sforzo necessario per
compierlo, ma è concepito come la realizzazione di un'idea applicata a un
oggetto, destinata a creare, a produrre o a trasformare (S.R. Hirsch).
I
profeti hanno proibito anche le transazioni commerciali che stricto sensu non rientrano nelle
categorie dei trentanove lavori proibiti, ma che sono intrinsecamente
incompatibili con lo spirito dello Shabbath. "Se tratterrai di sabato il
tuo piede dal fare il tuo interesse nel giorno a Me sacro, e chiamerai il
sabato delizia, consacrato al Signore e onorato, e se lo onorerai tralasciando
il tuo cammino, dall'occuparti dei tuoi affari e dal parlarne, allora ti
delizierai in onore del Signore, e Io ti farò nutrire col retaggio di tuo padre
Giacobbe" (Is. 58,13-14). (Vedi anche Nehemia 13,15-17).
Ispirandosi
a queste raccomandazioni e nell'intento di circondare le proibizioni divine con
una "siepe" invalicabile, i Maestri vi hanno aggiunto alcune
proibizioni dette "rabbiniche".
Così
sono state proibite diverse attività di carattere profano (uvdane dechol) come la musica strumentale, il nuoto, l'equitazione,
l'utilizzo dei mezzi di trasporto.
Di
Shabbath tutti gli utensili o strumenti che servono per un "lavoro"
sono dichiarati muqtzè e cioè
soppressi dal pensiero e dall'uso, ed è proibito prenderli perfino in mano.
Durante
queste ventiquattro ore, allo scopo di estendere all'anima il dovere della
santificazione, anche la tristezza e le preoccupazioni devono essere messe da
parte.
Dice
il Midrash: "Dio benedisse il giorno di Shabbath e lo santificò"
(Bereshith Rabbà). Egli lo benedisse con lo splendore del volto umano, lo
santificò con lo splendore che il volto umano ha durante lo Shabbath.
Nel
Cantico dei Cantici, la fanciulla, simbolo del popolo di Israele, esclama:
"Sono nera, ma sono bella", e i Maestri hanno dato la seguente
interpretazione: "sono nera" durante la settimana, "ma sono
bella" durante lo Shabbath.
Il venerdì
Il
venerdì, molto prima dell'ora che segna l'entrata dello Shabbath, la casa
ebraica è tutta tesa nell'attesa dell'ospite meraviglioso.
Fin
dal momento del risveglio, la giornata assume un'atmosfera particolare: vengono
fatte grandi pulizie domestiche e la cucina è in grande fermento. Anche il ba'al habbayth, il padrone di casa,
seguendo l'esempio di illustri rabbini del Talmud, ci tiene ad avere l'onore di
partecipare alla preparazione dei pasti sabbatici.
La
tradizione ci tramanda che Ravà salava il pesce, Rav Papà intrecciava lo stoppino,
Rabbà e Rav Josef spaccavano la legna. A pranzo è tradizione mangiare di magro
in previsione del lauto pasto della sera; spesso nel primo pomeriggio la tavola
è già pronta per la sera.
Verso
l'imbrunire l'agitazione si calma: il lavoro da fare in previsione dello
Shabbath, che sembrava impossibile da terminare nel breve lasso di tempo a
disposizione, è stato terminato. La cucina a gas è stata coperta con una lastra
sotto la quale brucia una piccola fiamma destinata a mantenere caldi i cibi per
la cena e per riscaldare quelli dell'indomani. Nel frattempo ognuno ha
indossato i vestiti eleganti per andare incontro alla principessa Shabbath.
Questa accoglienza deve aver luogo prima del crepuscolo per aggiungere un po'
di profano al giorno sacro.
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