Venosa,
in provincia di Potenza, al confine tra la Puglia e la Lucania, al margine di
un pianoro dominante la fiumara omonima, affluente di destra dell’Ofanto, è
l’antica Venusia, patria del
poeta latino Orazio.
È una
delle più antiche presenze ebraiche nel Meridione d’Italia, con attestazioni
all’inizio del IV secolo, ed una delle più peculiari, con le sue celebri
catacombe.
L’articolo
che segue è interamente tratto dalla voce “Venosa” dell’ottimo sito Italia judaica.
Affresco in
un arcosolio delle catacombe ebraiche
Dal sito
dell’Istituto di istruzione superiore “Enrico Fermi”
di Muro
Lucano (PZ)
Nella città, che possedeva
un territorio estesissimo ed era al centro di una raggiera di strade
importanti, tra cui l'Appia Antica e l'Erculia, gli ebrei appaiono all’inizio
del IV secolo assai numerosi ed affermati. La più antica documentazione è
costituita da un complesso catacombale, venuto alla luce nel 18531,
scavato nel fianco di mezzogiorno della collina della Maddalena, ad un miglio
circa da Venosa, in direzione Nord-Nord/Est. Grosse frane hanno distrutto od
ostruito buona parte del settore sinistro della catacomba. Qui le gallerie
sovrastavano tutto un sistema di ipogei disposti su più piani, che i crolli
hanno in alcuni punti reso comunicanti. Nel corso di una esplorazione effettuata
nel 1974 fu scoperto un settore inedito, che riservò la sorpresa di un
arcosolio riccamente affrescato. Nella lunetta è dipinto il candelabro ebraico
a sette bracci, affiancato a destra dal corno e da un ramo di palma e a
sinistra da un cedro e da un'anfora. L'intradosso è tutta una festa di tralci
di rose e ghirlande. Il secondo, e ancor più importante rinvenimento, interessò
la datazione della catacomba. Infatti, proprio accanto all'arcosolio
affrescato, fu rinvenuta un'inscrizione fornita di data consolare,
corrispondente all’anno 521. L’epigrafe è dedicata ad una Augusta, figlia di Isas,
padre della comunità di Anciasmos, nipote di Simonas, padre della
comunità di Lypiae, e moglie del venosino Buono. Questi è decorato del
titolo di vir laudabilis, che lo dimostra membro della curia cittadina e
quindi ricco possidente. L'epigrafe menziona per la prima volta ebrei di altre
comunità presenti a Venosa, o che erano in rapporto con essa. Anciasmos,
infatti, da cui la defunta proveniva, è l’attuale Saranda, in Albania, e
Lypiae. Lypiae è Lecce, nella Puglia meridionale2. Nel corso di lavori di consolidamento
eseguiti negli anni ’90 nel settore franato è stata rinvenuta graffita sulla
copertura di un piccolo loculo l’iscrizione “Tomba di Mercurio”3.
La catacomba ebraica era parte di una serie di
ipogei sepolcrali scavati lungo il fianco meridionale della collina e sul
versante orientale. Alcuni di questi sono cristiani4 ed un altro grosso complesso, sottostante a quello
ebraico, è stato portato alla luce nel 1981 in seguito ad un saggio di scavo5.
La sua ubicazione fa supporre che anch'esso sia appartenuto alla comunità
ebraica, come sembrerebbe confermato da un frammento di stele funeraria con
resti di due epitaffi ebraici finito in una tomba scavata nel suolo all’inizio
di un corridoio6.
Di estrema importanza è
anche un ipogeo scoperto nei primi decenni del ‘900, a poca distanza dalla
vecchia catacomba, che fu indicato come “catacomba nuova”. L'onomastica delle
epigrafi rinvenute - tre in greco e una in latino- e la titolatura dei defunti,
lo dicono appartenente alla locale comunità ebraica7.
Le lingue usate nelle
iscrizioni della grande catacomba sono la greca, la latina e l'ebraica, e a
tali lingue e culture appartiene anche l’onomastica dei defunti. Molti epitaffi
sono bilingui, ma il bilinguismo è spesso rappresentato da una semplice eulogia
in ebraico. Da notare che mentre nei pressi dell'ingresso sembra esclusiva la
lingua greca, man mano che si procede verso l'interno il latino si alterna al
greco sino a prevalere nettamente. Uno degli epitaffi più recenti, forse della
fine del VI secolo, dedicato a un “Secondino presbitero”, è in greco ma in
caratteri ebraici8.
I testi delle iscrizioni
superstiti offrono un'immagine abbastanza ricca dell'organizzazione
comunitaria. Vi compaiono, infatti, l'arcisinagogo, i gherusiarchi, uno dei
quali è anche archiatra, un didascalo, i presbiteri, i padri (patres) ed
il padre dei padri (pater patrum). Quest’ultimo titolo indicava forse
una specie di decano o uno dei patres più benemeriti, che erano poi i
benefattori della comunità. La moglie del pater è designata con
l'appellativo di “madre”9.
Lo stesso valore dovrebbe avere il titolo di pateressa con cui è
decorata una Alessandra ed anche la qualifica di presbytera, data ad
alcune defunte, indicherebbe semplicemente che esse erano state mogli di presbyteri.
Circa i rapporti degli
ebrei venosini con la città, due iscrizioni della “catacomba nuova”, databili
alla fine IV- inizi V secolo, attribuiscono a due di essi, Aussanio e Marcello,
il titolo di "patrono”, titolo che era conferito a ricchi e influenti
personaggi della città o del municipio10.
Nella prima metà del V secolo la dignità del patronato cittadino fu interdetta
agli ebrei. I notabili ebrei furono quindi indicati a Venosa come maiures
cibitatis, “maggiorenti della città”. Così vengono, infatti, qualificati in
un epitaffio del VI secolo i congiunti di una defunta quattordicenne di nome
Faustina11.
Ai funerali della fanciulla, appartenente a una delle famiglie più altolocate, partecipò
tutta la città e innalzarono le lamentazioni funebri duo apostuli et duo
rebbites. Gli apostuli erano probabilmente emissari delle comunità
di Giudea o della Galilea venuti alla ricerca di sussidi12.
Da notare che nella prima metà del IX secolo un inviato di Gerusalemme - come
riferisce il Sefer Yuhasin, una cronaca composta nell'XI secolo da
Ahima‘az b. Paltiel da Capua - era a Venosa, dove predicava ogni sabato nella
sinagoga13.
Per l’alto medioevo,
l'ebraismo venosino è documentato da un notevole gruppo di iscrizioni funerarie
e dall'attività del poeta Silano, di cui ci sono giunti alcuni inni sinagogali14.
Gli epitaffi, provenienti da un cimitero a cielo aperto situato tra
l'anfiteatro romano e la chiesa della Trinità, sono in lingua ebraica, ma
l’onomastica è ancora mista: biblica, per la maggior parte, ma anche greca e
latina15. La rinascita
della lingua e della cultura ebraica, a cui molto contribuì la Puglia, aveva
ormai coinvolto la vita comunitaria e la lingua dell’epigrafia funeraria ne è
un riflesso16. Epigrafi
ebraiche, datate al IX secolo, si trovano anche a Matera e a Lavello17. Esse però
non appartengono alle due località, ma vi furono portate da Venosa per essere
riutilizzate, principalmente, come materiale edilizio.
Assai importante una delle
iscrizioni traslate a Lavello in cui è riportata - finora caso unico
nell'epigrafia ebraica fra tardo antico e altomedioevo - una citazione del
trattato Berachot, ossia delle “Benedizioni”, del Talmud Babilonese.
L'iscrizione è dedicata a un Pwt ben Yovianu ben Pwt Levi, originario
della terra dei Kittim. Secondo il Sefer Yosefon, un’opera scritta nel
Mezzogiorno nel X secolo, la terra dei Kittim è la regione compresa tra il
Tevere e Napoli18.
Il magen David nell'abbazia benedettina detta “Incompiuta”
Sulla fiorente comunità di Venosa
nella seconda metà del IX secolo scese il silenzio. La comunità si dissolse,
per ricomporsi, forse, in località più accoglienti come la vicina Melfi e le
città in ascesa della costa pugliese. È possibile che grossi vuoti siano stati
causati dalle guerre che afflissero la regione nei secoli IX e X. È noto che
per Venosa la situazione disastrosa della città spinse nell'867 l'imperatore
Ludovico II, che l’aveva strappata ai musulmani, ad interessarsi della sua
ricostruzione.
Gli ebrei ricompaiono qui
nel XV secolo, forse nel primo decennio come indicherebbe l’espressione nova
iudea introducta in civitate ipsa venusina presente in un documento con cui
nel 1412 re Ladislao di Durazzo conferma le grazie e i privilegi concessi alla
città dalla regina Margherita, sua madre19.
Nel 1491 la comunità era
costituita da trentotto nuclei, o fuochi, che rispondevano ai seguenti nomi:
Mosè Spagnolo, mastro Leo de Speranza, David Russo, Iacoy Frisco, Mosè Gallo,
mastro Mosè de David, Strucco Frisco, Iacoy Frisco, Michele de Speranza,
Samuele de Speranza, Samuele Frisco, Michele Frisco, David de rabbi Salomone,
Aronne de Senise, Viene de Lecce, Sabatello de Lecce, mastro David, Mordocay
Frisco, mastro Iacoy Sacerdote, Gabriele Solamello, Gabriele Baccalul, Daniele
Sacerdote, mastro Simone Scavetto, Iosep Spagnolo, Consulo de Donna, Iannino de
Senise, Isac de Trani, Ermio de Auro de Speranza, Nisim de Roca, Iosep Bagalo,
Rabin Gallo, David de Bello, Ruben Frisco, Gabriele de Speranza, Daniele de
Speranza, Daniele Frisco, Beniamino de Clara, Simone Levi e David Frisco20. Il cognome
più diffuso, come si vede, è Frisco: nella forma Faci friscu, nata come
soprannome o come deformazione del cognome Frisco, esso è attestato già in un
documento del 1441. In quest'anno, infatti, le monache del monastero barlettano
di S. Lucia diedero a censo in perpetuo a Iacoy Facifriscu, giudeo di Venosa ma
cittadino di Barletta, una notevole estensione di terreno perché fosse
dissodato e piantato a vigna21.
Come nella tarda antichità,
anche nel XV secolo gli ebrei di Venosa strinsero rapporti con quelli di altre
comunità. Così nel 1454 il medico Rafael Frisco di Venosa sposò Bonella, figlia
di Benedetto di Masello Teutonico di Bitonto e nel 1465 Moyse di Iacoy di Venosa
convolò a nozze con Iora, figlia di Matteo Calci di Otranto. Nel 1485 Salomon
b. Nahman copiò, poi, in Lecce per Daniel b. Yaqob Cuduto di Venosa un libro di
preghiere ( Siddur) per tutto l’anno22.
Se nel XV secolo tra gli
ebrei locali c’era qualche agricoltore, gli altri erano prestatori, artigiani,
mercanti. A motivo dell’area agro-pastorale, non c’è da stupirsi che un Consulo
di Venosa, insieme a Davit Sacerdoto di Trani, compaia nel 1468 come mercante
di porci a Tortorella, nel Salernitano. Mastro Leone da Venosa commerciava a
sua volta in bovini: nel 1497 egli non aveva ancora pagato una somma di 5
ducati per vitelli acquistati nel 1492 ad Ascoli Satriano dal duca Alfonso,
l'erede al trono23.
Nel disordine esploso
all'arrivo di Carlo VIII di Francia (1495) molti giudei emigrarono e ci furono
anche delle conversioni al cristianesimo. A Venosa si fece cristiano il medico
mastro Daniele figlio di mastro Mosè medico, il quale prese il nome di
Sigismondo, certamente in omaggio al vescovo della città, Sigismondo Pappacoda.
Appena battezzato, bandì in Venosa e altrove che era pronto a soddisfare
chiunque se sentesse agravato da epso, et che li havesse commisso uxura;
sposò quindi una cristiana e nel 1497 volle esigere dei suoi creditori soltanto
lo capitale24.
La ripresa aragonese, con
Ferrandino prima e con Federico poi, durò poco. La caduta del Regno sotto la
sovranità spagnola (1503) segnò l'inizio della fine per l’ebraismo nel
Mezzogiorno. Nel 1510 una prammatica di espulsione costrinse la quasi totalità
dei giudei e dei cristiani novelli a cercare contrade più ospitali. I fuochi
ebrei che abitavano a Venosa e che dovettero esulare furono undici25.
L'espulsione del 1510 non
fu vantaggiosa per le popolazioni del Regno, specialmente per le più povere e
umili. Le autorità furono quindi costrette a richiamare gli ebrei e così si
ricostituirono parecchie comunità o piccoli insediamenti, che durarono sino
all’espulsione definitiva del 1541. Per la Basilicata, tuttavia, ci è noto solo
il caso di Venosa, dove nel novembre del 1535 l'università stipulò con Sabato
di Daniele la convenzione per l'apertura di un banco di prestito. Tra i patti,
degno di nota quello che stabilì la misura dell'interesse, o usura, fissata
ufficialmente a 3 grana e mezzo per ducato al mese, se i pegni fossero stati in
oro o in argento, e a 5 grana in ogni altro caso26.
Note
1 Sul complesso
e le sue epigrafi, cfr. Ascoli, G., Iscrizioni inedite o mal note, pp.
39-64; Lacerenza, G., Le antichità giudaiche di Venosa, pp. 293-418;
Colafemmina, C., Le catacombe ebraiche nell’Italia meridionale, pp.
120-129. 140-146; Leon, H.J., The Jews of Venusia, pp. 267-284; JIWE
I, pp. 61-144, nn. 42-112.
2 Colafemmina,
C., Nuove scoperte nella catacomba ebraica, pp. 369-381; Id., Le
testimonianze epigrafiche, p. 39.
3 Colafemmina,
C., Le testimonianze epigrafiche, p. 39.
4 Colafemmina,
C., Iscrizioni paleocristiane di Venosa, pp. 157-165.
5 Colafemmina,
C., Saggio di scavo in località “collina della Maddalena”, pp. 443-451;
Id., Le catacombe ebraiche nell’Italia meridionale, pp. 126-128; Meyers,
E.M., Report on the Excavations at the Venosa Catacombs, pp. 455-459.
6 Colafemmina,
C., Hebrew Inscriptions, p. 81; Id., Le catacombe ebraiche
nell’Italia meridionale, p. 127.
7 Frenkel, W.,
Nella patria di Q. Orazio Flacco. Guida di Venosa, pp. 190-198; Levi, L., Ricerche
di epigrafia ebraica, pp. 132-151; Id., Le iscrizioni della «Catacomba
nuova», pp. 367-371; Lifshitz, B., Les Juifs à Venosa, pp. 367-371;
Noy, D., JIWE, I, pp. 144-148, nn. 113-116.
8 Colafemmina, C.,
Nova e vetera nella catacomba ebraica di Venosa, pp. 92- 94, tav. II; JIWE,
I, pp. 98-100, n. 75.
9 JIWE,
I, p. 148, n. 116.
10 Grelle, F., Patroni
ebrei in città tardoantiche, pp. 139-158; Colafemmina, C., Le
testimonianze epigrafiche, pp. 37-40.
11 Noy, D., JIWE,
I, pp. 114-119; Colafemmina, C., Le testimonianze epigrafiche, pp.
39-40.
12 Ritiene che
gli apostuli fossero rappresentanti liturgici, o cantori, della locale
sinagoga Lacerenza, G., Ebraiche liturgie e peregrini apostuli, pp.
61-72.
13 Cfr. Klar,
B., Megillat Ahimaaz, pp. 16-17; Colafemmina, C., Ahima‘az ben
Paltiel, Sefer Yuhasin, pp. 82-87.
14 Cfr. Klar,
B., Megillat Ahimaaz, pp. 55-58.
15 Ascoli, G., Iscrizioni
inediti o mal note, pp. 67-79; Cassuto, U., Le iscrizioni ebraiche del
secolo IX a Venosa, pp. 99-120 (ebr.); Colafemmina, C., Hebrew
Inscriptions, pp. 65-77.79-80.
16 Su questa
rinascita, Simonsohn, S., The hebrew revival, pp. 831-858.
17 Ascoli, G.,
Iscrizioni inedite o mal note, pp. 77-81, nn. 32-36; Colafemmina, C., Iscrizione
ebraica inedita di Lavello, pp. 171-176; Id., Tre iscrizioni ebraiche
altomedievali a Matera, pp. 103-116.
18 Flusser, D., The
Josippon, c. 1, 25-26: I, p. 7; Colafemmina, C., Hebrew Inscriptions,
pp. 71-77.
19 Cfr. Nigro,
R. ( a cura di), Achille Cappellano. Venosa, 28 febbraio 1584. Descrittione
della città de Venosa, sito et qualità di essa, pp. 48-49.
20 ASNa,
Sommaria, Partium 32 I, 194rv. Nel 1443 Venosa era tassata per 593
fuochi, nel 1494 per 700.
21 Codice
Diplomatico Barlettano, IV, p. 99, doc. 153.
22 Richler, B.,
Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina, p. 284, n. 1089. M.
Beit-Arié definisce il rito del Siddur «Romanian (South Italian)».
23 Leone, A., Profili
economici della Campania aragonese. Ricerche su ricchezza e lavoro nel
Mezzogiorno medievale, pp. 141-142; Colafemmina, C., Ebrei e cristiani
novelli in Puglia, p. 134.
24 Ferorelli,
N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 193.
25 ASNa, Licterarum
deductionum foculariorum 3/2, 68v; Partium 79,166v.
26 Paladino,G.,
Privilegi concessi agli Ebrei dal Viceré d. Pietro di Toledo, pp. 637-638.
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