Con il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, Papa Benedetto XVI reintroduce la possibilità di utilizzare la formula liturgica pre-conciliare, in lingua latina, per la celebrazione eucaristica. A seguito di tale provvedimento, lo scorso 6 febbraio - nella ricorrenza del mercoledì delle ceneri - il Pontefice modifica la preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo contenuta nel Missale Romanum anteriore al Concilio Vaticano II, sostituendo il riferimento al «popolo accecato [che deve essere] strappato dalle tenebre» con l’espressione «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini». La disposizione del Papa è contenuta in una nota della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Tale modifica giustifica di fatto una preghiera liturgica alternativa e contrapposta a quella vigente, e che a nostro parere è in contrasto con i testi conciliari Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa, e Nostra aetate, sul rapporto fra la Chiesa cattolica e le altre religioni, in cui si afferma che «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. […] gli ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura» (Nostra aetate, 4).
Il provvedimento inoltre sembra contraddire palesemente il magistero precedente, poiché si contrappone a quanto affermato negli Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate, 4 (1975), che al punto I afferma: «condizione del dialogo è il rispetto dell’altro, così come esso è, e soprattutto il rispetto della sua fede e delle sue convinzioni religiose. […] La Chiesa, per la sua stessa natura, deve annunciare Gesù Cristo al mondo. Per evitare che questa testimonianza resa a Gesù Cristo appaia agli ebrei come una violenza, i cattolici dovranno aver cura di vivere e di annunciare la loro fede nel più rigoroso rispetto della libertà religiosa».
La preghiera del Venerdì Santo, nella versione post-conciliare, esprime suppliche indirizzate alla salvezza di tutti gli uomini: nel caso specifico degli ebrei, questo significa pregare perché essi restino fedeli all’Alleanza mai revocata. Per nessun uomo si chiede la «conversione», ma si prega perché tutti seguano lo Spirito nella via che è loro data e che, per Israele, non può che essere la fedeltà all’Alleanza. Poiché, inoltre, il Venerdì Santo è il giorno in relazione al quale è stata rivolta al popolo ebraico l’accusa di deicidio - accusa infondata, ma foriera di abissi di orrore - ritoccare il cambiamento introdotto dal Concilio Vaticano II appare un regresso, pericolosamente prossimo alla teologia della sostituzione di Israele e capace di evocare gli antichi tentativi di conversione. Posizione, questa, che ci pare da respingere in base alla stretta ortodossia cristiana e ad una corretta prospettiva escatologica.
Non possiamo che manifestare il nostro rammarico per una scelta che mette a serio rischio più di quaranta anni di dialogo, in quanto qualunque cosa possa far pensare a un tentativo di conversione è inconciliabile con il riconoscimento ed il rispetto della verità nella fede dell’altro.
Tale modifica giustifica di fatto una preghiera liturgica alternativa e contrapposta a quella vigente, e che a nostro parere è in contrasto con i testi conciliari Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa, e Nostra aetate, sul rapporto fra la Chiesa cattolica e le altre religioni, in cui si afferma che «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. […] gli ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura» (Nostra aetate, 4).
Il provvedimento inoltre sembra contraddire palesemente il magistero precedente, poiché si contrappone a quanto affermato negli Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate, 4 (1975), che al punto I afferma: «condizione del dialogo è il rispetto dell’altro, così come esso è, e soprattutto il rispetto della sua fede e delle sue convinzioni religiose. […] La Chiesa, per la sua stessa natura, deve annunciare Gesù Cristo al mondo. Per evitare che questa testimonianza resa a Gesù Cristo appaia agli ebrei come una violenza, i cattolici dovranno aver cura di vivere e di annunciare la loro fede nel più rigoroso rispetto della libertà religiosa».
La preghiera del Venerdì Santo, nella versione post-conciliare, esprime suppliche indirizzate alla salvezza di tutti gli uomini: nel caso specifico degli ebrei, questo significa pregare perché essi restino fedeli all’Alleanza mai revocata. Per nessun uomo si chiede la «conversione», ma si prega perché tutti seguano lo Spirito nella via che è loro data e che, per Israele, non può che essere la fedeltà all’Alleanza. Poiché, inoltre, il Venerdì Santo è il giorno in relazione al quale è stata rivolta al popolo ebraico l’accusa di deicidio - accusa infondata, ma foriera di abissi di orrore - ritoccare il cambiamento introdotto dal Concilio Vaticano II appare un regresso, pericolosamente prossimo alla teologia della sostituzione di Israele e capace di evocare gli antichi tentativi di conversione. Posizione, questa, che ci pare da respingere in base alla stretta ortodossia cristiana e ad una corretta prospettiva escatologica.
Non possiamo che manifestare il nostro rammarico per una scelta che mette a serio rischio più di quaranta anni di dialogo, in quanto qualunque cosa possa far pensare a un tentativo di conversione è inconciliabile con il riconoscimento ed il rispetto della verità nella fede dell’altro.
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