In
questo Yom haShoah vehaGevurah (Giorno della catastrofe e
dell'eroismo), voglio ancora una volta ricordare Emilio Sacerdote,
ebreo nato a Vibo, eroico partigiano, ucciso nella Shoah nel
lager di Bergen Belsen
Ne
traggo una biografia dal sito dell'ICSAIC,
Istituto
calabrese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporaneaLe immagini a corredo dell'articolo sono tratte da “Ebraismoin Calabria”, lavoro degli studenti del Liceo scientifico “G. Berto” di Vibo Valentia.
Devo segnalare due errori nei testi della prima immagine: Emilio Sacerdote si dimise dalla Magistratura nel 1938, poco prima dell'emanazione delle leggi razziste del fascismo, infatti da quelle leggi furono “dimessi” d'autorità; tanto meno potè essere chiamato alle armi nel 1940, dal momento che a seguito delle stesse leggi gli ebrei già dall'autunno del 1938 non potevano svolgere il servizio militare. Un errore forse perdonabile agli studenti, meno agli insegnanti che li hanno seguiti, sebbene in molti siti abbia letto le stesse informazioni errate
Articolo
di Michele La Rocca ©
ICSAIC
Nato
a Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia) il 9 gennaio 1893, figlio
di Lazzaro, ufficiale dell’esercito, e di Virginia Pugliese, di un
ramo della famiglia dei Cohen. Il suo atto storico di nascita
riporta, a sinistra del documento, una glossa con una preghiera
ebraica. Lo zio era il rabbino di Alessandria, Moise Zecut Levi.
Compiuti
i suoi studi classici presso il Real Liceo Vibonese, si laurea in
Giurisprudenza. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale come
ufficiale di collegamento col grado di capitano, viene nominato
magistrato come sostituto procuratore del Re, incarico che svolge a
Treviso, Udine, Biella, Alessandria. A Milano nel 1938, insultato
come ebreo in una pubblica udienza, si dimette da procuratore dopo 19
anni di onorata carriera. Decide di svolgere la professione di
avvocato penalista e apre uno studio nella città meneghina.
Un’attività destinata a durare un breve lasso di tempo, la deriva
antisemita in Italia e le leggi razziali lo colpiscono duramente.
Appena sei mesi dopo, Emilio Sacerdote è costretto a sospendere
l’attività e a chiudere lo studio. Nel 1940, per effetto delle
leggi razziali viene cancellato addirittura dall’Albo degli
avvocati.
Lo
scoppio della seconda guerra mondiale lo coglie in una posizione di
perseguitato razziale che diviene drammatica con l’occupazione
tedesca del centro nord dell’Italia. Quando i nazifascisti iniziano
la caccia agli ebrei, Emilio non fugge in Svizzera ma decide di
lottare e, dopo l’armistizio del 8 settembre 1943, entra nella
formazione autonoma partigiana della Valle di Viù, vicino Torino,
con il nome di battaglia di “Dote”. Anche la moglie Marina
Traversi e la figlia Consolina, nata a Torino nel 1919, lo seguono
nella Resistenza, come staffette partigiane.
Per
la sua alta formazione giuridica viene nominato presidente del locale
Tribunale partigiano e capo di Stato maggiore. Incarichi che mantiene
anche quando passa alla XIX Brigata Garibaldi e poi alla IV divisione
Giustizia e libertà. Il 30 settembre 1944 viene arrestato dai
fascisti a Lemie e rinchiuso alle Carceri Nuove di Torino. È una
delazione a farlo scoprire. La sua condizione di ebreo viene nel
frattempo scoperta sempre per denuncia dello stesso delatore,
pertanto viene destinato al campo di Gries a Bolzano.Da alcune
lettere clandestine che riesce a scambiare con i suoi familiari
grazie all’aiuto di un autista della Lancia emerge l’aggravarsi
della sua situazione a Bolzano: «Soffro moralmente tanto, tanto,
tanto come non potete immaginare, e patisco anche la fame, proprio
così, la fame». E ancora in una lettera del 14 dicembre 1944, pochi
giorni prima del trasferimento in Germania, ignaro dell’orrore cui
sarebbe andato incontro, scrive: «Carissime, lascio oggi Bolzano e
parto per la mia nuova residenza. Di salute sto benissimo, vi ho in
cuore con me; non posso scrivere di più; cari baci mie adorate -;
tutti i miei baci. Emilio». Queste poche righe, vergate con grafia
malferma sono le ultime pervenute alla moglie e alla figlia.
Quello
stesso giorno viene fatto salire sul convoglio della morte n. 20 che
da Bolzano lo conduce a Flossenburg, dove arriva sei giorni dopo.
Sacerdote forse ancora non immagina in quale ulteriore inferno di
disperazione e dolore viene destinato. Nel marzo dell’anno
successivo viene spedito al lager di Bergen Belsen, qui il suo
cammino non si incrocia per poco con quello di Anna Frank, deportata
nello stesso campo e morta qualche giorno prima del suo arrivo. Il
nome di Sacerdote è riportato in una Transportliste dell’8 marzo
1945, un documento, che porta chiara l’indicazione «it. Jude»
(italiano Ebreo), e che resta l’ultima traccia di vita che si ha di
lui.
La
morte per Emilio Sacerdote arriva per gli stenti e le sevizie subite,
forse il 19 marzo 1945, come riportato in un documento del Centro di
documentazione ebraica, forse subito dopo la liberazione del campo.
Le sue condizioni, comunque, appaiono a dir poco precarie già in una
fotografia del febbraio precedente a Flossenburg, scattata dagli
aguzzini per «il loro divertimento…», ritrovata dagli americani e
fatta pervenire alla famiglia, dopo il riconoscimento dell’«avvocato
Sacerdote» quale vittima immortalata dal fotografo da parte di uno
dei pochi superstiti.
Quando
gli inglesi e i canadesi della 11ª Divisione Corazzata fanno il loro
ingresso a Bergen Belsen è il 15 aprile 1945, lo scenario che si
presenta è apocalittico: vi sono stipati oltre 60 mila
prigionieri, gran parte dei quali moribondi o in pessime condizioni
di salute e, accatastati dentro e fuori del campo, migliaia di corpi
insepolti. Le strutture del lager vengono bruciate con il
lanciafiamme per combattere l’epidemia di tifo e l’infestazione
da pidocchi. Servono oltre due mesi per riportare la situazione sotto
controllo, e in questo periodo muoiono oltre 13.000 ex-prigionieri.
Tra questi o tra i mucchi dei cadaveri c’è sicuramente anche
Emilio Sacerdote, il magistrato e l’avvocato che non si è piegato
ai nazisti e che con la testa alta ha combattuto per la giustizia e
per la libertà.
In
una lettera del 17 luglio 1945, firmata Sergio Piperno, dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, arriva la conferma che di lui
si è persa ogni traccia, anche se si invita la madre a non
disperare. Ma Sacerdote non è tra i sopravvissuti e non tornerà più
dalla moglie e dall’unica figlia.
Il
19 maggio 2011 la sua città natale si ricorda di lui e gli viene
intitolata l’aula grande delle udienze del Palazzo di Giustizia,
con l’affissione di una targa che riproduce il suo volto,
impreziosito dalla applicazione di una piccola stella di Davide. Vibo
Valentia gli ha anche intitolato una via.
(Mia
osservazione: vie gli sono state dedicate anche a Cosenza e
Belvedere)
Nota
bibliografica
- D. S., La vicenda di Emilio “Dote” Sacerdote, Magistrato, partigiano, prigioniero del Lager, «ha Kehhillah», n. 2, 2006 (www.hakeillah.com/2_06_20.htm);
- Il Giorno della memoria per il comandante Dote, «Calabria Ora», ed. di Vibo Valentia, 28 gennaio 2008, p. 21;
- B. De Simone, Caro amico ti scrivo dalla persecuzione, «Il Quotidiano della Calabria, 13 febbraio 2011, p. 58;
- Mario Avagliano, Emilio Sacerdote, «Pagine Ebraiche», n. 8, agosto 2011, pp. 32-33;
- Mario Avagliano e Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Einaudi, Torino 2011;
- Mario Avagliano,Emilio Sacerdote, il servitore dello stato che non piegò la schiena e scelse la lotta, «Nuovo Monitore Napoletano», 15 novembre 2011;
- Giacinto Namia e Raffaele Suppa, Liceo Classico Morelli di Vibo Valentia, quattro secoli di storia, Adhoc edizioni, 2012, pag. 73-74.
Nota
archivistica
- Archivio Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), Fondo antifascisti e partigiani ebrei in Italia 1922-1945, b. 17, fasc. 363
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