Ecco ora qualche maggiore informazione su questo libro.
Una ricerca di Falbo si concentra sulla provincia di Cosenza
Quei paesi che accolsero gli ebrei
“Non solo Ferramonti” e il fenomeno degli internati liberi
Uomini, donne e bambini ebrei internati in provincia di Cosenza (156 quelli individuati), il rapporto con le comunità locali e, in alcuni casi (dodici) il drammatico epilogo ad Auschwitz.
Riemerge dall'oblio della memoria collettiva una modalità poco nota della persecuzione antisemita da parte del regime fascista, il cosiddetto “internamento libero” che coinvolse una ventina di località calabresi, per lo più piccoli e isolati comuni del Cosentino, tranne i pochi casi a maggior carattere 'urbano' di Castrovillari, Rossano e Corigliano.
È drammatico lo spaccato che emerge dal volume dello storico Leonardo Falbo dal titolo “Non solo Ferramonti. Ebrei internati in provincia di Cosenza (1940- 1943)”, pubblicato nella “Collana di studi e ricerche dell'Istituto calabrese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea” (Pellegrini Editore, Cosenza 2010, pp. 183, € 15,00).
Il libro colma una lacuna nella ricerca storica calabrese in quanto, attraverso una ricostruzione ben documentata e mette in luce la persecuzione contro gli ebrei, spesso “itine - rante”, che furono isolati in provincia di Cosenza.
Non di rado essigiungevano nellelocalità di destinazione dopo essere stati rinchiusi a Ferramonti o da quei paesini che li accolsero con umanità venivano trasferiti nel campo di Tarsia e in altri paesi ancora. Questi ebrei erano in grande maggioranza provenienti dalla Polonia, manonmancavano gli ebrei tedeschi, austriaci, cecoslovacchi,ungheresi e romeni. La condizione degli “internati liberi” era simile a quella dei confinati politici del fascismo, con in più l'aggravante delle condizioni di vita in tempo di guerra. E il lavoro di Leonardo Falbo punta e mettere in evidenza come nel microcosmo locale possano cogliersi non solo le connessioni con l'ambiente storico di fondo ma anche quegli aspetti umani e sociali che caratterizzano i comportamenti, gli atteggiamenti, l'indole delle popolazioni.
«Il quadro che risulta dalla ricerca - osserva a questo proposito Vittorio Cappelli, docente di Storia Contemporanea all'Unical, nella prefazione al volume - mostra il carattere pervasivo e diffuso della persecuzione antiebraica anche in una remota periferia, dove le parole d'ordine del regime in termini di razzismo e antisemitismo giungono assai smorzate e sfumano infine, fino a scomparire nella dimensione solidaristica delle comunità locali, dove il senso di territorialità derivante dall'antico isolamento aveva il suo reciproco nel culto dell'ospitalità».
La diffidenza nei confronti degli sconosciuti stranieri, evidenzia ancora Cappelli, “era sciolta rapidamente dalla curiosità. E gli ebrei entravano in relazione conle comunitàlocali, disattivando la carica più aggressiva delle disposizioni persecutorie del fascismo» Merito di non poco conto di questa ricerca è la capacità di illuminare, in modo assai più capillare e disteso rispetto al caso ormai noto di Ferramonti, la labilità dei confini tra il comando politico del totalitarismo fascista e la reattività sociale e culturale, anche nell'accezione antropologica del termine, delle molteplici periferie della Penisola.
Non si tratta, beninteso, di riesumare gli equivoci relativi ad una presunta “bontà” italiana. Falbo, da storico attento, non cade nella trappola.
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