Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

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venerdì 24 ottobre 2008

Nedo Fiano a Lamezia

Mi dispiace non aver visto e segnalato il primo appuntamento di questa interessante serie di incontri che si tiene a Lamezia. Avrei proprio bisogno di informatori...

Lamezia Terme: Al complesso monumentale di San Domenico
quattro appuntamenti con i testimoni dell’olocausto

Maria Arcieri dalla
Gazzetta del Sud - 4 ottobre 2008

Testimoni dell’olocausto. Questo l’inquietante nome dei quattro appuntamenti che iniziano stamattina alle 9,30 al complesso monumentale di San Domenico. Duecento i posti a sedere. Un iniziativa per ricordare l’inferno di Auschwitz dalle parole di quattro sopravvissuti. Saranno loro i protagonisti di questa rassegna storica che si terrà da ottobre a gennaio, con la coordinazione scientifica di Raffaele Gaetano. Venezia, Fiano, Terracina e Modiano, sono i cognomi di coloro che hanno visto l’inferno da vicino e che sono sopravvissuti e raccontano. Tre di loro hanno sempre parlato dell’Inferno di Auschwitz-Birkenau rivivendo nelle parole i campi di concentramento. Uno è rimasto in silenzio con se stesso perchè non riusciva a darsi e a dare spiegazione di quell’orrore. Sono persone con il numero sul braccio. Sono testimonianze viventi, ancora raccapriccianti, ma reali. Sono famosi a coloro cha hanno seguito i documentari sulla "Shoah"e le loro vite saranno sicuramente rimaste impresse nella memoria di chi non vuole dimenticare. Deportato nel campo di Auschwitz, Shlomo Venezia, è un ebreo italiano arrestato a Atene con la famiglia, è tra i pochi testimoni sopravvissuti nel mondo, unico in Italia e che inizierà la serie di incontri. Anche lui ebreo italiano, Nedo Fiano, arrivò nel 1944 con gli undici componenti della famiglia ad Auschwitz, e rimase l’unico. Racconterà la sua storia sabato 25 ottobre. Ha ottanta anni, Pietro Terracina ed è un componente della comunità ebraica internazionale, ha all’attivo numerose pubblicazioni sull’Olocausto. Unico sopravvissuto di una famiglia di otto persone. E’consulente per la memoria della Shoah alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infine Samuel Modiano, che ha soli 18 anni venne deportato, ha raccontato la sua vicenda dopo sessanta anni e proseguirà in questo racconto traumatico sabato 17 gennaio. Immediata l’adesione all’iniziativa, di Milena Liotta, assessore alla pubblica Istruzione all’iniziativa, costata 15 mila euro All’amministrazione Comunale. Di rilevante profilo storico ha parlato Gianni Speranza, in conferenza stampa, sull’originale iniziativa. Si occupa di cultura nel senso più ampio del termine, il coordinatore che spazia nell’arco della sua esperienza da Liliana De Curtis, allo sterminio degli ebrei, «perché la cultura è un comune denominatore, e questo sterminio, - dice - non è conosciuto come meriterebbe. Olocausto - ha detto - dà il senso del sacrificio, anche se, gli ebrei preferiscono il termine Shoah perché indica il sacrificio che riguarda l’uomo. Per Giuseppe Vitale, vicesindaco «è importante ricordare questa tragedia collettiva che è ormai entrata nella storia dell’umanità, e che supera ogni possibile immaginazione dell’orrore». Sarebbe bene ripetere questo tipo di iniziativa perchè la storia è piena di errori e, ci insegna a ricordarli altrimenti le società sono destinate, inevitabilmente a ripeterli.


Continua la rassegna "Testimoni dell’Olocausto", sabato Nedo Fiano

È previsto ancora un vasto pubblico sabato 25 ottobre alle ore 9.30, presso il Teatro Umberto di Lamezia Terme, per il secondo appuntamento della rassegna «Testimoni dell’Olocausto» promossa dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Lamezia Terme guidato da Milena Liotta. Il cartellone ideato e diretto da Raffaele Gaetano si è subito imposto per l’originalità e il profondo messaggio che intende portare attraverso le dirette testimonianze dei sopravvissuti della Shoah.
I molti giovani presenti al primo incontro con Shlomo Venezia avranno l’opportunità di ascoltare il racconto di un altro straordinario ospite, Nedo Fiano, anch’egli internato nel più terribile campo di sterminio nazista, Auschwitz-Birkenau. Una testimonianza eccezionale che farà riflettere sul dramma di milioni di ebrei che nei campi di sterminio hanno trovato la morte. E del resto continuano a non esserci parole per chi sente rac-contare gli orrori di uno sterminio che ancora non ha una ragione e di cui non si capisce come sia nato e sia stato perpetrato nel cuore della “civilissima” Europa. Uno sterminio di sei milioni di vite umane cancellate grazie a un sistema studiato scientificamente. Quando Nedo Fiano parla dell’eccidio del popolo ebraico fa venire i brividi, perché lui non racconta, non spiega, lui è un testimone sopravvissuto ai campi di sterminio e quindi grida, piange, rigurgita l’Olocausto da ogni poro della sua pelle.
Ricordiamo che Nedo Fiano, ottantenne, è un personaggio di spicco della comunità ebraica internazionale e a contribuito alla realizzazione di numerose pubblicazioni sull’Olocausto. È stato consulente di Roberto Benigni nella realizzazione del celebre filim “La vita è bella”. La sua storia è stata inserita nel film “Volevo solo vivere” prodotto dalla Rai con la regia di Mimmo Calopresti. Era il maggio 1944 quando Nedo Fiano, ebreo italiano, arrivò con la sua famiglia sulla banchina di Auschwitz-Birkenau. Erano in undici, tornerà soltanto lui. Ha scritto: «Porto con me da sempre l’odore, il buio, l’orrore e la ferita di quel tempo lontano. Lotto ancora e recito la parte di un uomo comune, come tanti altri. Ma sento spesso un inferno dentro, anche se cerco di apparire sereno e felice. Penso, leggo e scrivo, ma sono sempre là, tra i fili spinati e lì resterò fino alla fine della mia vita. Ogni giorno apro gli occhi su un mondo difficile e spesso ostile, ma anche pieno di stimoli e tentazioni. Mi rimbocco le maniche, accetto la sfida e mi batto. Ho tre figli molto più bravi di me, che portano il seme di Auschwitz-Birkenau che ho loro trasmesso. Da sessant'anni le mie mani sono sporche di “quella” terra maledetta, nulla può il sapore quotidiano della vita. Vivo spesso la contraddizione di apparire sereno – come in una scena teatrale – mentre nel mio corpo si agita un travaglio inestinguibile».
Perché, come ha scritto Primo Levi, tutto ciò che Fiano e gli altri sopravvissuti rac-contano è accaduto e proprio per questo non va dimenticato. I tentativi di revisionismo sono sotto gli occhi di tutti come il rischio che certi tragici episodi della storia possano ripresentarsi. Proprio per questo è nata «Testimoni dell’Olocausto» sulla cui importanza l’Assessore alla Pubblica Istruzione Milena Liotta ha dichiarato: «L’Amministrazione Comunale di Lamezia Terme ha inteso promuovere la rassegna “Testimoni dell’Olocausto” nell’intento di richiamare alla memoria una delle più gravi tragedie u-mane, attraverso la testimonianza di quattro superstiti: Shlomo Venezia, Nedo Fiano, Piero Terracina e Samuel Modiano, tutti sopravvissuti al genocidio nazista». Appunta-mento dunque con la storia sabato 25 alle ore 9.30 al Teatro Umberto di Lamezia Terme.


Raffaele Gaetano Nedo Fiano. Auschwitz: il coraggio di vivere
25 ottobre 2008, ore 9.30
Nedo Fiano racconta l’inferno di Auschwitz
Continua la rassegna «Testimoni dell’Olocausto»
dedicata ai superstiti della Shoah

Lamezia Terme - È previsto ancora un vasto pubblico sabato 25 ottobre alle ore 9.30, presso il Teatro Umberto di Lamezia Terme, per il secondo appuntamento della rassegna «Testimoni dell’Olocausto» promossa dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Lamezia Terme guidato da Milena Liotta. Il cartellone ideato e diretto da Raffaele Gaetano si è subito imposto per l’originalità e il profondo messaggio che intende portare attraverso le dirette testimonianze dei sopravvissuti della Shoah.
I molti giovani presenti al primo incontro con Shlomo Venezia avranno l’opportunità di ascoltare il racconto di un altro straordinario ospite, Nedo Fiano, anch’egli internato nel più terribile campo di sterminio nazista, Auschwitz-Birkenau. Una testimonianza eccezionale che farà riflettere sul dramma di milioni di ebrei che nei campi di sterminio hanno trovato la morte.
E del resto continuano a non esserci parole per chi sente raccontare gli orrori di uno sterminio che ancora non ha una ragione e di cui non si capisce come sia nato e sia stato perpetrato nel cuore della “civilissima” Europa. Uno sterminio di sei milioni di vite umane cancellate grazie a un sistema studiato scientificamente.
Quando Nedo Fiano parla dell’eccidio del popolo ebraico fa venire i brividi, perché lui non racconta, non spiega, lui è un testimone sopravvissuto ai campi di sterminio e quindi grida, piange, rigurgita l’Olocausto da ogni poro della sua pelle.
Ricordiamo che Nedo Fiano, ottantenne, è un personaggio di spicco della comunità ebraica internazionale e a contribuito alla realizzazione di numerose pubblicazioni sull’Olocausto. È stato consulente di Roberto Benigni nella realizzazione del celebre filim “La vita è bella”.
La sua storia è stata inserita nel film “Volevo solo vivere” prodotto dalla Rai con la regia di Mimmo Calopresti. Era il maggio 1944 quando Nedo Fiano, ebreo italiano, arrivò con la sua famiglia sulla banchina di Auschwitz-Birkenau.
Erano in undici, tornerà soltanto lui. Ha scritto: «Porto con me da sempre l’odore, il buio, l’orrore e la ferita di quel tempo lontano. Lotto ancora e recito la parte di un uomo comune, come tanti altri. Ma sento spesso un inferno dentro, anche se cerco di apparire sereno e felice. Penso, leggo e scrivo, ma sono sempre là, tra i fili spinati e lì resterò fino alla fine della mia vita. Ogni giorno apro gli occhi su un mondo difficile e spesso ostile, ma anche pieno di stimoli e tentazioni. Mi rimbocco le maniche, accetto la sfida e mi batto. Ho tre figli molto più bravi di me, che portano il seme di Auschwitz-Birkenau che ho loro trasmesso. Da sessant’anni le mie mani sono sporche di “quella” terra maledetta, nulla può il sapore quotidiano della vita. Vivo spesso la contraddizione di apparire sereno – come in una scena teatrale – mentre nel mio corpo si agita un travaglio inestinguibile».
Perché, come ha scritto Primo Levi, tutto ciò che Fiano e gli altri sopravvissuti raccontano è accaduto e proprio per questo non va dimenticato. I tentativi di revisionismo sono sotto gli occhi di tutti come il rischio che certi tragici episodi della storia possano ripresentarsi.
Proprio per questo è nata «Testimoni dell’Olocausto» sulla cui importanza l’Assessore alla Pubblica Istruzione Milena Liotta ha dichiarato: «L’Amministrazione Comunale di Lamezia Terme ha inteso promuovere la rassegna “Testimoni dell’Olocausto” nell’intento di richiamare alla memoria una delle più gravi tragedie umane, attraverso la testimonianza di quattro superstiti: Shlomo Venezia, Nedo Fiano, Piero Terracina e Samuel Modiano, tutti sopravvissuti al genocidio nazista».
Appuntamento dunque con la storia sabato 25 alle ore 9.30 al Teatro Umberto di Lamezia Terme.

lunedì 20 ottobre 2008

Convegno a Catania e Ragusa

Presento qui il programma completo del convegno sulla persecuzione antisemita in Italia e sulle sue conseguenze (ancora oggi) dal punto di vista giuridico ed economico, organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania da mercoledì 29 ottobre a venerdì 31 ottobre a Catania e Siracusa, dal titolo "Razza Diritto Esperienze. A settant'anni dalle leggi razziali", del quale avevo già parlato in un precedente post.
Invito a consultare tutto il sito, che è molto interessante e ben fatto: contiene tutti gli atti giuridici relativi alla materia (tra cui i testi delle leggi razziali), e vi verranno anche pubblicati gli atti.

Mercoledì 29 ottobre - ore 15.30 Facoltà di Lettere e Filosofia, Monastero dei Benedettini, Auditorium "G. De Carlo"
Indirizzi di saluto
Presiede Laurent Mayali (Univ. of California, Berkeley)
Michael Stolleis (Max Planck Institut für europäische Rechtsgeschichte e Univ. Frankfurt a. Main) Comprendere l'incomprensibile. L'Olocausto e la storia del diritto
Aldo Mazzacane (Univ. Napoli "Federico II") Una questione controversa a proposito delle leggi razziali. Genesi autoctona o convenienze politiche di importazione?
Alessandro Somma (Univ. Ferrara) «Coincidenza di assoluta spontaneità di vedute». Razza e diritto all'ombra dell'Asse culturale Roma-Berlino

Giovedì 30 ottobre - ore 9.00 Facoltà di Giurisprudenza, Aula Magna
Presiede Michael Stolleis (Max Planck Institut für europäische Rechtsgeschichte e Univ. Frankfurt a. Main)
Paolo Cappellini (Univ. Firenze) Razzismo totalitario? Un percorso 'giuridico' di riflessione
Paolo Caretti (Univ. Firenze) Il corpus della legislazione razziale del 1938
Ferdinando Treggiari (Univ. Perugia) Legislazione razziale e codice civile: un'indagine stratigrafica

Giovedì 30 ottobre - ore 15.30 Rettorato, Aula Magna
Presiede Rosario Mangiameli (Univ. Catania)
Silvia Falconieri (Univ. Napoli "Federico II" e Goethe Univ. Frankfurt a. Main)T ra «silenzio» e «militanza». La legislazione antiebraica nelle riviste giuridiche italiane (1938-1943)
Ruggero Taradel (Univ. of Washington, Seattle, WA., USA) La Santa Sede e le leggi razziali in Italia e in Europa
Antonella Meniconi (Univ. Roma Sapienza) Il mondo degli avvocati e le leggi antiebraiche

Venerdì 31 ottobre - ore 9.00 Camera di Commercio, Auditorium, Ragusa
Presiede Angelo D’Orsi (Univ. Torino)
Giuseppe Speciale (Univ. Catania) «Rimane ferma la regola». I giudici e le leggi razziali (1938-1943)
Silvano Di Salvo (Corte dei Conti) Risarcire gli ebrei. Leggi razziali e Costituzione nelle decisioni dei giudici (1956-2008)
Michele Sarfatti (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano) Le vicende della spoliazione degli ebrei: la relazione Anselmi (2001)

Conclusioni: Angelo D’Orsi(Univ. Torino) Laurent Mayali (Univ. of California, Berkeley)

Alcune osservazioni sulla cartina

Ho pubblicato recentemente una cartina (in via di aggiornamento e arricchimento), sulle presenze ebraiche in Calabria, e vorrei qui proporre alcune osservazioni, tenendo naturalmente dei limiti che presenta questa mappa:
Limite di completezza: essendo quello dello studio della presenza ebraica in Calabria un settore relativamente nuovo, ci possono essere molte presenze che non sono ancora state rilevate, e quindi l'avanzare degli studi potrà apportare modifiche di analisi.
Limite temporale: la cartina indica indistintamente le presenze ebraiche senza distinguere, ad esempio, quelle dell'era imperiale romana da quelle dell'epoca bizantina, che probabilmente sono collocabili in aree geografiche diverse; inoltre, mentre per alcune località abbiamo documentazioni di presenze ebraiche che coprono un ampio arco temporale, per altre risultano pochissime fonti e in un periodo limitato, senza che questo ci permetta di accertare o di escludere che tali presenze siano iniziate prima e si siano protratte successivamente.
Limite quantitativo: la cartina non dà conto dell'ampiezza degli insediamenti, per cui è segnalata allo stesso modo una località in cui c'era una sola famiglia ebraica (o in cui nell'unica fonte magari superstite viene citato un solo ebreo) da quelle in cui invece gli ebrei erano centinaia, senza dimenticare che di alcune località non abbiamo nessuna indicazione quantitativa.
Limite qualitativo: per alcune località c'è un'abbondante massa di documentazione, ma per alcune ce ne può essere solo una o due, e per di più di tipo diverso, come elenchi di tasse e tributi, documenti giudiziari, iscrizioni funebri, e così via.

Pur tenendo presenti questi ampi limiti, credo che alcune provvisorie analisi se ne possano estrarre.

La prima, di carattere generale, che (almeno a me) salta all'occhio è una concentrazione relativamente maggiore, seppure non uniforme, nella parte meridionale rispetto a quella settentrionale (provincia di Cosenza).
Questo è senz'altro dovuto a motivi "esterni" (la Calabria Citeriore è sempre stata meno popolosa di quella Ulteriore, con la presenza di zone popolate poco densamente, come la Silea e il massiccio del Pollino; inoltre quest'ultima presenta un'urbanizzazione costituita da centri più numerosi ma più piccoli), ma probabilmente dà anche ragione agli studiosi che sostengono delle relazioni più strette tra ebrei calabresi e Sicilia, Africa e Oriente, rispetto a quelle con il Nord, Campania, Puglia, Roma e resto d'Italia, con una diffusione quindi delle presenze ebraiche in direzione sud-nord rispetto alla direttrice inversa.

Altre osservazioni si possono trarre osservando i "pieni" e i "vuoti" della cartina.

Alcuni "vuoti" sono facilmente spiegabili per ragioni orografiche, come si accennava prima: il Pollino, la Sila e l'Aspromonte non hanno centri ebraici perché quelle stesse zone erano scarsamente popolate anche da cristiani.

La stessa spiegazione vale parzialmente per l'area delle Serre a ridosso dello Jonio tra Stilo e Squillace, come per la costa antistante, anch'essa scarsamente popolata; in più qui (ipotesi personale!) potrebbe aver influito l'appartenenza di gran parte del territorio agli "Stati" ecclesiastici della Certosa di Santo Stefano del Bosco e di San Domenico di Soriano, probabilmente poco propensi ad accogliere un numero "eccessivo" di ebrei.

C'è però un'area la cui scarsità di presenze ebraiche è stata per me la fonte di maggior meraviglia: si tratta della costa tirrenica cosentina (le cui due uniche attestazioni sicure sono molto tarde) e del suo entroterra, che comprende la celebre Costa dei Cedri.
Mi sarei atteso qui una presenza ebraica molto più diffusa, proprio per la coltivazione e il commercio del prezioso frutto.
Mi sembra se ne possano dedurre due elementi: il primo è che i rapporti con Napoli e la Campania fossero poco frequenti; il secondo, che la coltivazione dei cedri qui non è antichissima, ma che, come sembrano attestare alcune testimonianze, la Costa dei Cedri "originaria" fosse quella basso-jonica intorno a Reggio. Che la coltivazione dei cedri a scopo cultuale sia stata "importata" qui dagli ebrei siciliani dopo la loro espulsione dall'isola? Ovviamente devo ribadire che si tratta di ipotesi del tutto personali...

Dai "vuoti" passiamo ai "pieni".

Una delle zone più fittamente caratterizzate da presenze ebraiche è quella intorno a Reggio, e questo è facilmente comprensibile, tenendo presente il fatto che in questa area abbiamo i più antichi rinvenimenti archeologici che mostrano un antico insediamento, oltre alla vicinanza con la Sicilia e l'esposizione della costa verso l'Africa e l'Oriente.
Immediatamente a nord, sul Tirreno, è fittamente punteggiata la zona della Piana di Gioia; oltre che dalla vicinanza di Reggio e della Sicilia, tale presenza può essere motivata dall'abbondanza delle coltivazioni di questa area.
Questa fitta densità (altra ipotesi del tutto personale!) mi rafforza la convinzione che la sinagoga Qyana, scissasi in Grecia dalla sinagoga Calabria, potesse essere formata da esuli provenienti da quest'area, piuttosto che dalla Lucania.

Ancora più a nord, sempre sul Tirreno, sono fitte le presenze intorno a Vibo, questo può essere dovuto sia all'addensarsi di centri minori intorno alle grandi città, sia alla presenza di centri portuali quali Tropea, Pizzo, Vibo Marina/Hipponium).

Andando ancora verso nord, è normale l'addensarsi di nuclei ebraici intorno a Cosenza, ricca di vita economica e culturale, e dei suoi casali.

Notevole è la diffusione di centri ebraici intorno a Crotone e nel Marchesato, dove costituiscono una rete fittissima.

Ci sono infine due zone che non rientrano né tra le aree particolarmente vuote né tra quelle particolarmente piene.
Una è l'area intorno a Catanzaro, che pur avendo vicino alcuni centri popolati da ebrei, non presenta quella rete così fitta come intorno agli altri attuali capoluoghi di provincia: probabilmente ciò è dovuto alla funzione accentratrice esercitata da Catanzaro, dove gli ebrei godettero di numerosi privilegi grazie al ruolo esercitato nella lavorazione e nel commercio della seta.

Mi stupisce invece la scarsità di insediamenti ebraici nella costa jonica settentrionale, tra Cariati e la Basilicata; pur considerando che erano presenti in alcuni grossi centri come Rossano, Corigliano, Cassano, Amendolara, mi meraviglia che non ci siano più insediamenti in questa zona, che pure è quella dove sono attestati fin dall'epoca bizantina a Bisignano e a Rossano.
Probabilmente in epoca successiva i rapporti con la Puglia erano più rarefatti, ed influisce la concentrazione della popolazione anche cristiana in questi grossi centri, senza considerare la presenza di ampie zone paludose nella Piana di Sibari.

venerdì 17 ottobre 2008

Violenti e stupidi

Proprio di recente avevo parlato di antisemitismo in Calabria, ed ora giunge dalla comunità ebraica di Trani la notizia di una aggressione (in Puglia) verso studenti colpevoli di essere... israeliani.
Un episodio che, se si è svolto in questi termini, oltre che criminale è anche stupido, in quanto gli aggrediti sono sì israeliani, ma arabi, e quindi membri di quel popolo palestinese in nome del quale l'aggressione potrebbe essere stata fatta.
Nulla di nuovo: antisemitismo (anche quando mascherato da antisionismo) e stupidità sono sempre andati a braccetto!


Comunità Ebraica di Napoli - Sezione di Trani
segretariato via dell’Industria 93 – 70051 Barletta
tel/fax 0883950639 cell 3402381725
La comunità ebraica tranese (Sezione della Comunità di Napoli) apprende sgomenta la selvaggia aggressione perpetrata due giorni fa a Foggia nei confronti di giovani studenti universitari israeliani e senza indugio condanna con tutte le forze possibili tale barbara aggressione.
Le notizie comunicateci ieri indicavano genericamente che si trattava di studenti con passaporto israeliano senza specificarne la nazionalità ebraica o araba.
La festività di Sukkoth in corso sino al tramonto di oggi 15 ottobre, tra l'altro, impediva materialmente sia alla comunità tranese che agli organi ebraici nazionali competenti di approfondire la notizia.
Nel primo pomeriggio ci giungeva la conferma che si trattava di studenti arabi con passaporto israeliano e la nostra condanna rimane unanime e ancor più compatta.
La comunità ebraica del territorio non fa alcun distinguo in merito e si schiera a fianco di questi studenti e delle loro famiglie, trattandosi di cittadini dello Stato d'Israele e condividendo con gli ebrei della comunità ebraica tranese (molti dei quali con passaporto israeliano e numerosi parenti in Israele) storia, cultura e sentimenti largamente condivisi.
Siamo a competa disposizione di questi studenti e confidiamo nell'egregio lavoro sin qui svolto dalle forze dell'ordine e dalla magistratura per far luce su questo terribile episodio.
Confidando che esso rimanga un unicum in una regione come la Puglia che è l'esempio più eclatante e visibile di multiculturalità e serena coesistenza tra religioni e nazionalità diverse.

La Sezione Ebraica di Trani

Sukkot calabro-romana

I bambini cominciano ad arrivare sotto la sukkah

Come avevo anticipato, la Sukkah della scuola ebraica di Roma è stata allestita con le palme portate dal Giardino dei Giusti di Cittanova, e ieri sono venuti a Roma a portare il saluto e l'augurio della Calabria ai bambini della scuola elementare "Vittorio Polacco" e alla Comunità ebraica don Nino Pangallo, responsabile della Diocesi di Reggio - Bova per il dialogo interreligioso, Alessandro Cannatà, consigliere provinciale ed ex sindaco di Cittanova, Antonio Sorrenti, organizzatore dell'evento, e l'archeologo e studioso di storia ebraica in Calabria, professor Enrico Tromba.
Particolarmente accogliente e caloroso è stato Emanuele Di Porto, gentilissimo Segretario della Comunità, che ha passato con noi quasi tutta la giornata, a cui va tutta la nostra riconosenza, come grande apprezzamento vanno al Rabbino Capo, Riccardo di Segni, e al Presidente della Comunità ebraica romana, che, in una giornata densa di impegni come è stata quella di ieri, hanno avuto il tempo di regalarci il loro tempo e la loro squisita cordialità.

Nella mattinata, sotto la Sukkah sul tetto della scuola, la direttrice, professoressa Milena Spizzichino, e le maestre hanno spiegato il senso della festa, con l'aiuto dei bambini, mentre Antonio Sorrenti ha illustrato i legami della Calabria con la storia ebraica; Rav Ariel Di Porto (ormai calabrese ad honorem!) ha tenuto un insegnamento chiaro e illuminante per grandi e piccini, ed infine, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, ha portato il suo saluto ai bambini e alla Calabria (ci auguriamo di poterlo presto ospitare tra di noi!), invitando, nella ricorrenza del 65mo anniversario della razzia del ghetto ad opera dei nazisti, alla solidarietà con chi è "diverso", illustrando in particolare i progetti della Comunità riguardo ai Rom.
Dopo il canto dell'Allelujah (eseguito con grande entusiasmo dai bambini, che hanno mostrato grande serietà e pazienza...) si è potuto finalmente adempiere alla mitzwah di mangiare sotto la sukkah, con lo scambio di dolci calabresi e romani, e la distribuzione a tutto spiano di cedri provenienti dagli alberi piantati presso la Sinagoga di Bova Marina.

Nel pomeriggio, c'è stato invece l'incontro con il Rabbino capo della Comunità, Rav Riccardo Di Segni.
Si è trattato di un incontro molto caldo, amichevole ed informale, in cui abbiamo esposto i progetti che abbiamo in mente nel campo degli studi e delle iniziative sull'ebraismo in Calabria.
In particolare, Antonio Sorrenti ha espresso l'impegno della cura dei settori dei cimiteri di Cosenza e Ferramonti dove sono sepolti gli internati morti negli anni della guerra, e più in generale si è accennato ad una serie di iniziative che si vogliono mettere in campo da qui al 2011, 5oomo anniversario della cacciata definitiva degli ebrei dal Meridione.
Rav Di Segni si è mostrato estremamente interessato (se posso permettermi un piccolo orgoglio personale, si è soffermato a lungo sulla cartina delle presenze ebraiche in Calabria, la stessa che ho pubblicato qui sul sito, della quale ho consegnato una copia), ha molto apprezzato l'impegno e la buona volontà, assicurando la collaborazione della Comunità, ed anche lui speriamo di poterlo accogliere presto nella nostra terra: intanto, entro breve, dovremmo avere un nuovo incontro per illustrare più ampiamente idee e progetti, e poter cominciare a concretizzarli.


Nella foto, da destra a sinistra:

la Direttrice Milena Spizzichino
ed una maestra,
Don Antonino Pangallo,
Alessandro Cannatà,
Enrico Tromba (con la kippah amaranto),
Riccardo Pacifici,
Antonio Sorrenti,
Rav Ariel Di Porto (con la kippah bianca).

mercoledì 15 ottobre 2008

Un primo quadro generale

Chiedo scusa per la latitanza di questi giorni: un po' non sto molto bene (la vecchiaia incombe!), un po' sono molto impegnato in varei ricerche di vario genere.
Voglio qui presentarvi un primo frutto dell'elaborazione di questi giorni: una cartina (piuttosto grande!) della Calabria con l'indicazione delle località dove ci sono state presenze ebraiche.
In rettangolo blu con accanto la Stella di David sono indicate le località dove le presenze sono assolutamente sicure, grazie a documentazioni archeologiche, archivistiche o letterarie.
Entro un triangolo rosso sono invece segnate le località in cui la presenza ebraica è attestata da elementi toponomastici, tradizioni popolari, documenti da verificare, o, semplicemente, località in cui la presenza è sicura, ma non ho trovato io il testo in cui veniva dato il riverimento documentario; devo dire che, onestamente, per circa il 90% delle località segnate in rosso si può comunque presumere che la presenza era certa, ma, non potendo produrre "pezze d'appoggio" sicure, le lascio in dubbio.
Il lavoro è ancora in corso, e già ho ci sono una quindicina di località più di quelle indicate in questa cartina: spero entro breve di poterla completare, fermo restando che, con l'avanzamento delle ricerche degli studiosi, prevedo che tra qualche tempo sarà impossibile disegnare una cartina leggibile!
Ovviamente, per poter leggere bene i nomi delle località, bisogna cliccarci su e ingrandirla.
Le collocazioni di alcuni posti sono leggermente imprecise, perché, man mano che li aggiungevo, dovevo disegnare in aree già "piene", e quindi inevitabilmente il nome e/o il disegno dovevo metterlo dove trovavo spazio.
Conto, dopo averla completata, rifarla dall'inizio, in modo da poter collocare i vari luoghi con maggiore precisione.
Un'ultima precisazione: parecchi luoghi in realtà non risultano in nessuna fonte letteraria, non perché non ci siano stati ebrei, ma perché sono luoghi che hanno cambiato nome (esempio: Steccato, tra Botricello e Isola Capo Rizzuto, è, o dovrebbe essere, l'antica Tacina o Torre di Tacina, dove è certa la presenza ebraica) oppure hanno perso di rilevanza, e sono diventati frazioni di altri comuni (esempio: nella cartina è segnata, tra Montalto e Torano, Lattarico; in realtà la segnalazione si riferisce a Regina, attualmente frazione di Lattarico, dove vi fu una vivace e rilevante presenza ebraica).

lunedì 13 ottobre 2008

Cittanova e Reggio giugno 2008

Concludo (finalmente, eh?) la rassegna stampa sulla dedica di una parte della Villa comunale di Cittanova ai Giusti diplomatici con questo bellissimo articolo pubblicato su la Riviera on line domenica 29 giugno.

Antonio Orlando
Il giardino dei Giusti

Dedica di una porzione della Villa Comunale di Cittanova
ad alcuni “Giusti tra le Nazioni”

Qual è il posto dei Giusti sulla terra? Un giardino, naturalmente, meglio ancora un giardino dell’Eden affinché ognuno possa facilmente riconoscere la grande opera salvifica che queste persone hanno espletato. Come si riconoscono i Giusti? Chi è Giusto? “un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire…chi è contento che sulla terra esista la musica…” rispondeva Jorge Luis Borges, e proseguiva
* Chi scopre con piacere un’etimologia
* Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio a scacchi
* Il ceramista che intuisce un colore e la forma
* Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace
* Una donna ed un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto
* Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto
* Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson
* Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
concludendo che “Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”.
I Giusti, dunque, che non sanno di essere tali, sono uomini comuni che, per di più, ignorano l’esistenza l’uno dell’altro e vengono a loro volta, ignorati. In quanto uomini comuni conoscono solo l’esistenza di altri uomini comuni e certamente nel momento in cui compiono la loro azione di salvezza non sanno che stanno salvando il mondo. Il mondo ha bisogno, ha sempre avuto bisogno, ha bisogno continuamente, di essere salvato è non ne sa nulla. All’apparenza è semplicemente paradossale, ma la ragione, che in questo caso è sorella di utopia, ciascuno la trova da se.
Sono oltre quattrocento gli italiani, che pur ignorandosi tra di loro, durante gli anni cupi e bui della seconda guerra mondiale, mentre infuriava la persecuzione antiebraica, hanno salvato migliaia e migliaia di vite umane. E’ semplicemente splendido che 34 palme della villa comunale di Cittanova, da domenica scorsa, siano intitolate ad altrettanti “Giusti tra le nazioni” facendo così diventare la villa “il giardino dei Giusti”. Si deve alla lungimiranza, alla sensibilità e alla cultura di Antonio Sorrenti, eclettico operatore culturale e studioso della civiltà ebraica, questa lodevole iniziativa, che proietta Cittanova in una dimensione cosmopolita, contribuendo a ri-collocare la nostra provincia al centro del Mediterraneo, suo luogo naturale e d’elezione. Di fatto la manifestazione ha aperto la strada verso uno strettissimo gemellaggio con Gerusalemme dove la Fondazione Yad Vaschem ha dedicato un giardino agli oltre ventimila “Cha sidei Umot HaOlam”, Giusti tra le Nazioni. La manifestazione si è articolata in due momenti, il primo diretto a chiarire il significato culturale, religioso e sociale del “giardino dei Giusti” in rapporto al “giardino dell’Eden”, l’altro, con una suggestiva e toccante cerimonia, aperta dal suono dello shofar, è stato caratterizzato da una sorta di ri-appropriazione del luogo, elevato così a simbolo di pace, di fratellanza, di solidarietà tra i popoli.
Rappresentanti religiosi – l’arciprete Borelli ed il rabbino Ariel Di Porto –, rappresentanti istituzionali – il sindaco di Cittanova dr. Cannatà e l’on. Angela Napoli e rappresentanti diplomatici - il console generale di Germania Angelica Volkel, l’ addetta culturale dell’ambasciata israeliana Rachel Feinmesser ed il console onorario della Svizzera Leonardo Vitetta – hanno avuto la possibilità di incontrarsi su uno dei terreni più difficili, più accidentati, più controversi, più terribili e più tragici della storia del ‘900. Lo sterminio degli Ebrei ( e non solo di questi, bisognerebbe non dimenticarlo), chè di vero e proprio sterminio si è trattato, cioè del tentativo di cancellare definitivamente dalla faccia della terra l’intera popolazione ebraica, è uno dei nodi irrisolti che riverbera ancora i suoi effetti sulla nostra vita attuale e per quanto si tenti di rimuoverlo, pesa come un enorme macigno sulla coscienza dell’Europa intera dall’Atlantico agli Urali.
Fortissime e coraggiosissime le parole della d.ssa Volkel : “L’Olocausto…rappresenta un’estrema vergogna per la Germania. Noi tedeschi abbiamo fatto uno sforzo per superare questo passato di barbarie. Proviamo gratitudine per il fatto che questo sforzo trovi un qualche riconoscimento in Israele, m un qualche riconoscimento lo sottolineo; noi siamo consapevoli che molti ebrei non sono ancora in grado di perdonare”.
I tedeschi stanno cercando di comprendere fino in fondo l’origine del nazismo, non sono alla ricerca né di alibi né di complici e alcune conclusioni cui sono giunti possono sicuramente essere condivise. Il nazismo non nasce dalla estremizzazione, ma dalla decomposizione della modernità, esso non è e non può essere una filosofia realizzata perché, come dice Foucault, “…è già una biologia realizzata”. Se si vogliono mettere a confronto comunismo e nazismo in quanto ideologie e movimenti totalitari, si può notare che mentre il trascendentale del comunismo è la storia, il soggetto è la classe ed il lessico l’economia, il trascendentale del nazismo è la vita, il soggetto è la razza ed il lessico la biologia. La frase “il nazionalsocialismo non è altro che la biologia applicata” pronunciata da Rudolfh Hess è da prendere fortemente sul serio perché non faceva altro che tradurre in espressione politica quello che i ricercatori, i genetisti ed i medici tedeschi dell’epoca pensavano del nazismo.
Per loro Hitler era “il più grande medico tedesco”, colui che sarebbe stato capace di muovere “…l’ultimo passo nella sconfitta dello storicismo e nel riconoscimento di valori puramente biologici”. “Il nazionalsocialismo, affermava il medico Rudolfh Ramm, a differenza di qualsiasi altra filosofia politica o di qualsiasi altro programma di partito, è in accordo con la storia naturale e la biologia dell’uomo”. Gli Ebrei dovevano essere sterminati in quanto costituivano dei parassiti, degli insetti, dei microbi, dei virus sul corpo sano del popolo e dello Stato tedesco. Questa è la terribile verità che a distanza di sessant’anni non riusciamo neanche ad immaginare perché spalanca un abisso talmente profondo di abiezione che la nostra ragione si rifiuta di accettare. Gli Ebrei, come gli zingari, gli omosessuali, gli storpi, gli handicappati, i deformi, i malati, i delinquenti abituali, i mendicanti, i vagabondi, i miseri, i testimoni di Geova ed ancora, in un crescendo continuo, i polacchi, i comunisti ed ogni tipo di oppositore rappresentavano “la vita indegna di essere vissuta, “la vita che non vale la pena di essere vissuta” e perciò tutti costoro andavano semplicemente eliminati come si fa con gli insetti. Per gli Ebrei poi, appositamente per loro, era pronta la “Soluzione finale”.
“Per eseguire la propria missione terapeutica – scrive il filosofo Roberto Esposito – essi [ i nazisti] si fecero carnefici di coloro che reputavano o inessenziali o nocivi all’incremento della salute pubblica….è stato il risultato non dell’assenza, ma della presenza di unìetica medica pervertita nel suo contrario… solo assassinando quante più persone possibili, si potevano risanare coloro che rappresentavano la vera Germania”. Per i nazisti gli Ebrei non somigliano ai parassiti, non si comportano come batteri, lo sono! E come tali vanno trattati. Perciò il termine corretto per indicare il loro massacro non è quello di “olocausto”, che è una parola sacrale, bensì quello di “sterminio” esattamente quello che si usa per gli insetti, i ratti o i pidocchi.
“Pidocchio, è la tua morte” era scritto su un lavatoio di Auschwitz; e sempre nello stesso lager, un cartello appeso nei gabinetti intimava: “Dopo la latrina, prima di mangiare, lavati le mani, non dimenticare”. In un discorso del febbraio 1942 Hitler afferma: “la scoperta del virus ebraico è una delle più grandi rivoluzioni di questo mondo. La battaglia in cui siamo oggigiorno impegnati è uguale a quella combattuta nel secolo scorso da Pasteur e da Kock…riacquisteremo la nostra salute solo eliminando gli ebrei”. La rielaborazione di parte israeliana ha chiamato lo sterminio “Shoah”, che significa distruzione o, in altra accezione, “desolazione” o “calamità” nel senso di una sciagura improvvisa ed inaspettata. Questo termine viene strettamente collegato con la parola “Olocausto”, che ha un significato altamente religioso e sacrale in quanto indicava i sacrifici di animali bruciati sull’altare del tempio. Nessuna delle due parole esprime la gravità delle atrocità commesse dai nazisti e, tanto per rendere l’idea, i Rom usano la parola “porajmos”, che vuol dire “grande divoramento” oppure “samudaripen”, che vuol dire genocidio. Rachel, mi piace chiamarla solo per nome, con grande senso di umanità e con spirito di serenità, ci ha tenuto a precisare che la villa di cui giustamente i cittanovesi vanno fieri, continua a rimanere un parco, un giardino “…un luogo all’aperto, frequentato dalle famiglie e dai bambini ai quali i genitori potranno spiegare il significato dell’impegno civile e morale di questi Giusti”. Nelle parole di questa gentile e garbata giovane signora s’intravede quella voglia di “normalità”, di serenità, di pace di cui tutti gli israeliani sono alla ricerca da oltre sessant’anni, dalla fondazione del loro Stato e da molto tempo prima, forse da sempre, ma certamente fin da quando Theodor Herzl, alla fine dell’800, gettò le basi del movimento sionista mondiale.
E noi italiani che cosa abbiamo fatto? Non molto, in verità, con in più l’aggravante che, a più riprese ed in periodi diversi, si è tentato, dapprima, di far dimenticare (a cominciare dal famigerato “armadio della vergogna) un passato scomodo e poi di mistificare, di occultare e di revisionare la nostra storia all’insegna dello stereotipo, falso e bugiardo, “italiani brava gente”. Con immensa faccia tosta abbiamo cercato di ridimensionare la nefandezza delle leggi razziali; siamo arrivati a negare le nostre responsabilità per le guerre di aggressione (Albania, Grecia, Jugoslavia, Francia) ed infine abbiamo preteso di liquidare i nostri trascorsi coloniali, (Libia, Somalia, Etiopia, Dodecaneso), brutali e vergognosi, come, del resto, qualsiasi passato colonialista, all’insegna del paternalismo e del macchiettismo. Fin adesso l’Italia ha rivelato una chiara debolezza di senso storico, ha manifestato forti difficoltà a fare i conti con la sua storia, ha evidenziato una netta subalternità, sul piano internazionale, di fronte agli Stati europei, che, sia pure a costo di laceranti divisioni, di forti contrapposizioni e con qualche contraddizione ( si veda il dibattito sul collaborazionismo in Francia e sul franchismo in Spagna) sono riusciti a rimarginare parte delle ferite inflitte dal nazismo e dalla guerra.
Un’iniziativa come questa contribuisce a tracciare un sentiero di pacificazione, che non vuol dire perdonismo buonista ad ogni costo, ma ammissione e riconoscimento di responsabilità sul piano storico, politico ed internazionale. Dentro tale contesto l’azione dei Giusti rifulge ancor di più in tutto il suo splendore perché è la riaffermazione della vita sulla morte, della ragione sulla politica, dell’etica sul diritto. Nel giardino dell’Eden (cito a memoria per come lo ricordo) dice il rabbino Di Porto, gli alberi crescono rigogliosi perché vengono continuamente innaffiati dalle azioni dei Giusti; sarà per questo che da qualche giorno, le palme della villa di Cittanova le vediamo più alte, più lussureggianti e più verdi.

La manifestazione di Cittanova che ha cercato di fare il punto sulla storia delle presenze ebraiche in Calabria è stata preceduta dal convegno: “I sentieri delle pietre” che si è tenuto a Reggio Calabria presso la Biblioteca “De Nava” il 16 Giugno scorso

Dal messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano:

“…la presenza secolare delle comunità ebraiche in Calabria, dai tempi più antichi fino al XVI secolo, fu significativa e merita di essere ricordata. La vostra iniziativa, volta a mettere in risalto i punti di contatto esistenti tra Ebraismo e Cristianesimo, attraverso un excursus storico-archeologico e religioso, risponde allo spirito oggi fortunatamente sempre più diffuso…
…Il mio più vivo augurio di buon lavoro a tutti i partecipanti”

Capanne... calabresi

Tra le feste ebraiche, se ce n'è una che è particolarmente vicina alla Calabria è proprio Sukkoth, la Festa delle Capanne, e questo per vari motivi.

Da Universo cedro
Uno degli elementi caratteristici di questa festa è il frutto del cedro (etrog), che da secoli i rabbini di tutto il mondo (ed anche da Israele) vengono a fine agosto a raccogliere nella nostra Costa dei Cedri, dove si trovano i più belli e i più puri.
Quello che pochi sanno, è che fino ad alcuni decenni fa, un'altra meta della raccolta dei cedri era anche la costa ionica in provincia di Reggio, proprio tra la città che conserva la più antica traccia di presenza ebraica in Calabria (e tra le più antiche in Italia) e Bova Marina, dove sono stati trovati i resti della seconda più antica sinagoga occidentale: e alla base della menorah raffigurata nel pavimento musivo troviamo proprio un cedro, e dall'altro lato il lulav, un mazzetto rituale composto di tre rami di alberi diversi, del quale parlerò alla fine.

Un altro motivo che in questa festa ci parla della Calabria, è che nel Talmud è citato un passo in cui si dice che il Santo costruirà una capanna per i suoi figli nell'Italia greca, e cioè nella Magna Grecia, di cui la Calabria è stata ed è parte essenziale.
Da NonsoloCittanova
Un altro motivo contingente ci rende quest'anno particolarmente cara la festa di Sukkoth.
Infatti (grazie all'iniziativa del pluricitato Antonio Sorrenti, e con l'attiva collaborazione della Chiesa di Palmi), quest'anno una capanna è stata allestita a Roma all'interno della scuola ebraica con i rami di palma che sono stati tagliati dalle palme che a Cittanova ricordano i Giusti diplomatici, e di cui ho parlato di recente (e parlerò di nuovo tra poco!).
Nell'occasione, sono previsti alcuni incontri, sui quali spero di potervi relazionare entro la fine della settimana.


Vorrei aggiungere un'ultima annotazione curiosa, che sarebbe interessante approfondire.
Un'amica conosciuta quest'estate (ciao! so che ti riconosci, se mi leggi... ho perso la tua email: mi scrivi???????? ehm.... scusate l'uso privato di un mezzo pubblico...) mi ha detto che suo nonno le raccontava che a Mammola aveva partecipato ad ottobre ad una festa detta "delle capanne", di cui non ricordava altro se non che si mangiava tanto, in queste capanne che erano state allestite in piazza.
Naturalmente, di passaggio a Mammola, ho cercato di averne informazioni, ma ho avuto due sorprese.
La prima è che questa festa delle capanne si celebra non ad ottobre ma nell'ultimo sabato e domenica prima di Natale (e fin qui nulla di strano: può essere stata spostata in tempi più o meno recenti, oppure il nonno ricordava male e non era ad ottobre).
La sorpresa più... sorprendente, però, è che, chiedendo in giro alla gente, tutti mi hanno detto che era una festa nata qualche anno fa, ad opera della Caritas e della Pro loco.
Questa cosa mi ha molto meravigliato, in quanto invece il nonno di questa ragazza ne parlava come di una cosa di molto tempo fa: possibile che ci sia stata una rimozione della memoria e che nessuno se ne ricordi più?
La cosa non mi meraviglierebbe, dal momento che, girando per i nostri paesi ho potuto constatare che, purtroppo, la memoria storica delle nostre parti è stata in gran parte rimossa, oppure collocata in un passato ed in un contesto che hanno del mitico, e nulla più conservano (o quasi) di vera storia.
Se qualcuno mi dovesse leggere da Mammola... mi piacerebbe avere qualche informazione in proposito!

Il lulav
Il lulav è un ramo di palma (lulàv) a cui sono legati due rami di salice ('aravà) e tre di mirto (hadàs); a questi si aggiunge un cedro (etròg). La palma dà un frutto dolce, ma senza profumo; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo ma non sapore; il cedro ha sapore e profumo.
Le quattro specie di vegetali del lulàv simboleggiano quattro tipi di persone che hanno o non, sapienza e bontà. Alcune sono sapienti e generose, altre sapienti ma non generose, altre generose ma non sapienti, altre ancora né sapienti né generose.
La Tradizione dice che l'etròg (cedro) simboleggia il cuore dell’uomo; il lulàv (palma) la colonna vertebrale, il mirto l'occhio; il salice la bocca. Le quattro specie ricordano quattro periodi storici: il lulàv, il periodo dei Re; il mirto, fragrante, l’era del Talmùd e della saggezza; il salice piangente rappresenta i secoli dell’esilio; l'etròg, saporito e profumato, simboleggia la speranza per il futuro. Comunque, come nel lulàv si riuniscono le quattro specie, così gli uomini devono essere tutti uniti fra loro, volersi bene ed aiutarsi reciprocamente.
Il lulav viene scosso nelle quattro direzioni durante la liturgia di Sukkot, la Festa delle Capanne; nella tradizione, è simbolo appunto di gioia e dell’unione del popolo nelle sue varie componenti che si esplicita sotto la sukkà, la capanna.
Il lulav per il suo significato simbolico può essere visto anche come figura dell'unione tra i popoli nel noachismo!

Sukkoth: Festa delle Capanne

Sempre dal ricco sito di Chabad, ripropongo alcune informazioni sulla festa di Sukkoth, che comincia al tramonto di oggi.

Sukkot
« E vi rallegrerete nelle vostre feste » (Lev. 23). La Torà istituisce la festa di Sukkot, come giorni di ringraziamento e di gioia, giorni dedicati alla manifestazione di gioia interiore ed esaltazione.
L'osservanza della festa di Sukkot e delle sue colorite Mitzvot (buone azioni), che segue così da vicino i grandiosi giorni di pentimento e di espiazione - le solenni festività di Rosh Hashanà e di Yom Kippur =, mostra che subito dopo che ci è stato accordato un buon anno e siamo stati iscritti da D-o nel libro della vita, ci occupiamo attivamente di adempiere ai Suoi comandamenti: entriamo così in un periodo di festa, veramente « un tempo di gioia », in cui manifestiamo il nostro ringraziamento e la nostra gioia.
Storicamente, Sukkot ricorda le capanne che i nostri antenati costruirono durante la loro permanenza nel deserto, come riferisce la Torà (Lev. 23): « Nelle capanne risiederete per sette giorni... perché le vostre generazioni sappiano che in capanne ho fatto stare i figli d'Israele, quando li ho trattati dalla terra d'Egitto ».
NUVOLE DI GLORIA. La Succà ci ricorda anche le « nuvole di gloria » protettrici che circondavano il popolo ebraico nel suo peregrinare per quaranta anni nel deserto, nel viaggio verso la Terra Promessa.
Anche se la liberazione dalla schiavitù e i miracoli relativi sono ricordati soprattutto nella festa di Pesar, tuttavia costruiamola Succà in autunno, per mostrare che non è solo per convenienza stagionale (in primavera) che ci trasferiamo in una capanna, ma piuttosto per ricordare e testimoniare il miracolo di D-o e la Sua provvidenza divina.
Le nuvole di gloria possono aver lasciato il popolo ebraico dopo il suo ingresso nella Terra d'Israele, ma la protezione dell'Onnipotente non ci lascia mai.
IL RACCOLTO DEL PRODOTTO. La festa di Sukkot viene anche dalla fine della stagione agricola, quando i significati agricoli sono molto evidenti e lo spirito di un ringraziamento profondamente sentito permea l'aria. D'altra parte, se il lavoro di qualcuno è stato vano, e la terra non gli ha dato i suoi frutti,
egli può ritrovare forza e speranza nella Succà, nel ricordo che D-o sostenne il popolo ebraico nel deserto per quaranta anni.
« ... Quando raccoglierai il prodotto dai tuoi granai e dai tuoi tini » (Deut. 16). II prodotto dei campi, dei frutteti, delle vigne è raccolto in granai, silos, magazzini. In questo periodo di raccolto, quando il sudore e il lavoro di molti mesi è ampiamente ricompensato dai generosi frutti della terra, l'uomo potrebbe ingrassare e dimenticare D-o « Fu la mia forza e la potenza della mia mano che mi procurò tutta questa ricchezza » (Deut. 8). Per non diventare arroganti a causa di tutto il bene che D-o ci ha accordato, lasciamo le nostre case e conduciamo un'esistenza semplice e vìcino alla terra, sfidando gli elementi e sentendoci vicini a D-o, poiché sappiamo che Egli è la fonte del bene, il dispensatore di doni, il motore della natura e l'autore della sua legge.
IN TUTTE LE VOSTRE AZIONI LO CONOSCERETE. Per sette giorni l'ebreo sposta tutte le sue attività dalla sua casa alla Succà, manifestando Bifachon (fede) nell'Onnipotente, che anche in questa fragile capanna D-o lo proteggerà e lo farà prosperare. In questo modo adempiamo una Mitzvà singolare, poiché mentre ogni Mitzvà richiede l'uso di un arto o organo del corpo (es. la bocca e lo stomaco mangiano il cibo casher, il braccio e la testa indossano i teffillin, la mente studia la Torà, il cuore sente l'amore per un compagno ebreo), la Mitzvà di Sukkot coinvolge la persona nella sua interezza: ogni arto e cellula della persona nella Succà sta adempiendo una Mitzvà, ed ogni arto e cellula è nella Mitzvà, completamente immerso, circondato, coinvolto. Ma non è santificato soltanto il corpo nella sua interezza, perché è nella Mitzvà, ma anche ogni azione che si compie nella Succà diventa parte dell'adempimento della Mitzvà. Pertanto, quando si mangia nella Succà, il mangiare diventa una Mitzvà, e quando si dorme, cammina, parla ecc., tutte queste semplici azioni umane diventano vere Mitzvot, perchè compiute nella Succà.
II grande aforisma idealistico di Re Salomone (Prov. 3:6) « Bechol Derachecha Daehu »: « Lo riconoscerai in tutte le tue vie » diventa all'improvviso reale ed immediato, perché in ogni singola azione fisica ci facciamo più vicini a D-o e alla Divinità.
LE QUATTRO SPECIE. In questo suggestivo insieme di abbondanza e di umiltà, di generosità e di ringraziamento, D-o ci dice di portare le quattro specie (Lev. 23): « E porterete nel primo giorno un frutto dell'albero Hadar e rami di palma e un ramo dell'albero di mirto e salici del ruscello e vi rallegrerete davanti al Signore vostro D-o per sette giorni ».
Noi mettiamo insieme queste piante, che rappresentano il mondo della flora, per dimostrare il nostro attaccamento a D-o e alle Sue leggi. L'« Etrog » o cedro, frutto dell'albero « Hadar » ha un buon gusto e fragrante odore. II « Lulav » è un ramo di palma da dattero, il cui frutto è delizioso, ma non ha odore, ma non un gusto particolare; i salici sono privi di gusto e profumo. Ciascuna delle quattro specie deve essere perfetta e completa in tutti gli aspetti: colore, misura, struttura forma. Nel compiere la Mitzvà noi leghiamo insieme il Lulav (palma), I'Hadas (mirto) e I'Aravà (salice) e li teniamo stretti insieme con I'Etrog. Dicendo la benedizione, scuotiamo questo mazzo in tutte le direzioni, per significare l'onnipresenza di Do e per assolvere i Suoi desideri.
Siccome la festa viene subito dopo i giorni del Giudizio, noi portiamo trionfanti il nostro mazzo di frutta e piante, per mostrare che siamo riusciti vincitori nel Giudizio davanti a D-o.
Discutendo questo aspetto di Sukkot, il Midrash riferisce: « Questo è paragonabile a due uomini che vengono davanti ad un giudice e noi non sappiamo chi ha ragione. Quando uno si allontana portando in mano uno « scettro », sappiamo che egli è stato giudicato retto. Allo stesso modo anche Israele e le nazioni affrontano il giudizio di D-o a Rosh Hashanà; quando gli ebrei escono a Sukkot portando lo « scettro » - Lulav e Etrog - sappiamo che Israele ha vinto » (Vaiykrà Raba 30).
Se cerchiamo una ragione specifica per questa Mitzvà, troviamo che la Torà non ne dà nessuna per le quattro specie. Eppure, simbolicamente, essa ci insegna un'importante lezione di unità e fratellanza, perché il Midrash spiega il significato delle quattro specie in questo modo:
« Come I'Etrog presenta sia gusto delizioso sia aroma fragrante, così allo stesso modo ci sono ebrei istruiti nella Torà e osservanti delle Mitzvot. Così come il Lulav (dattero) è di buon gusto, ma non ha fragranza, così ci sono in mezzo a Israele persone immerse nella Torà, ma incapaci di dare rilevanza alle buone azioni. Come il mirto non ha gusto, ma produce una meravigliosa fragranza, così ci sono ebrei che anche se sono ignoranti sono occupati in buone azioni. E come il salice non ha né gusto né odore, così ci sono Ebrei ignoranti della Torà e privi di Mitzvot.
Solo quando tutti questi ebrei stanno insieme e sono legati strettamente come uno solo, possiamo rallegrarci davanti a D-o.
Quando l'ebreo dotto e osservante troverà il suo posto vicino all'ignorante e al non osservante, allora potremo veramente servire D-o con armonia e purezza di cuore.

La festa di Sukkòt, prescritta in Vayikrà 23: 39-40, 42, è una delle sheloshà regalìm, le tre feste che comportavano il pellegrinaggio a Gerusalemme per tutti i maschi. Essa cade il 15 di Tishrì e dura sette giorni, di cui il primo (i primi due fuori da Israele) è yom tov, festa solenne, mentre gli altri sono chol hamoèd, mezza festa. L'ottavo giorno (e anche il nono, fuori di Israele) si chiama Shminì Atzerét cui segue Simchàt Torà.
I precetti fondamentali della festa sono la sukkà e il lulàv.
La Torà prescrive che durante i giorni della festa si abiti in una capanna (sukkà) costruita appositamente. Il Talmùd spiega con precisione i criteri secondo i quali deve essere costruita la sukkà e cosa si debba fare per adempiere al precetto di "abitare" in essa. Un ruolo fondamentale a questo proposito è ricoperto dal pasto nella sukkà, preceduto da una speciale benedizione.
Per adempiere al precetto del lulàv, durante la preghiera del mattino si tiene nella mano destra un mazzo formato da un ramo di palma, due rami di salice e tre di mirto, e nella sinistra un etròg (frutto di cedro), su le quali si fa una benedizione speciale; sucessivamente vengono agitati durante la preghiera di Hallèl. Con in mano il lulàv si usa fare poi, dopo la preghiera di mussàf, un giro intorno alla tevà, in ricordo del giro intorno all'altare che si faceva nel Santuario, e si recita la preghiera di Hosha'anòt.

Tempo di gioia
La festa di Sukkot (tabernacoli) viene indicata nella letteratura ebraica con una serie di nomi, ma nessuno di questi sembra rifletterne l'essenza quanto quello attribuito nel libro di preghiere che la chiama «il periodo della nostra allegria». Tale definizione, tuttavia, solleva alcune fondamentali questioni: come può una specifica data del calendario essere stabilita per la gioia? Come si può obbedire all'esortazione di gioire in una certa data, senza tenere conto del proprio umore e della propria condizone?
II fatto che ciò sia possibile, è dimostrato dal modo in cui viene celebrata Simchat Torah, il culmine della festa di otto giorni. Non solo i credenti gioiscono, ma spesso essi riescono a trascinare anche altri nelle loro gioie e danze. È difficile distinguere tra l'allegria obbligatoria e le manifestazioni spontanee di gioia individuale o comune.
II comandamento di gioire a Sukkot, di fatto è solo uno di una serie di obblighi simili che riguardano il proprio stato d'animo. II calendario ebraico stabilisce giorni di contemplazione, di dolore e di gioia. A prima vista potrebbe sembrare un paradosso, si può dire che solo chi riesce a provare dolore il giorno di Tishah b'Av (l'anniversario della distruzione del Tempio e di altre tragedie avvenute nel corso della storia ebraica), è capace di gioire a Simhat Torah. Nonostante l'apparente differenza delle due condizioni, tra di loro esiste un profondo legame, dato che ciascuna di esse fa riferimento alla stessa forza interiore.
L'abilità di gioire in un giorno prestabilito deriva dall'autodisciplina,
che è parte integrante della vita religiosa ed è una caratteristica essenziale dell'ebreo praticante.
Anche quando le mitzvot (comandamenti) vengono osservate in modo superficiale, rimane il bisogno di interiorizzare i valori e le richieste. Una pressione esercitata dall'esterno, non può mai essere totalmente efficace, nemmeno nella più coercitiva delle società. Nessun funzionario di polizia potrebbe controllare le attività di ogni singolo per assicurarsi che vengano osservate tutte le mitzvot. Per questo è necessaria la forza interiore per rispettare le mitzvot in generale e per prendere particolari decisioni collegate con la loro osservanza in varie situazioni e in vari stati d'animo.
L'ebreo osservante, prende questa forza dal mandato di assumersi determinate responsabilità, il quale nel Talmud viene chiamato «il giogo del cielo». La profondità di questo incarico si differenzia chiaramente da una persona all'altra e non si può negare che la religiosità superficiale di colui che esegue senza riflettere ciò che gli è stato insegnato nell'infanzia, non è rara.
Tuttavia, anche quando il compito individuale non è più elevato di così - e una persona del genere è giustamente soggetta a delle critiche - egli possiede, in misura considerevole la capacità di vivere in accordo con la propria coscienza, per quanto possa essere debole e poco sviluppata. L'osservante «semplice», può certamente essere il prodotto dell'indottrinamento avvenuto nella sua educazione; egli può essere in parte il significato e le implicazioni di ciò che afferma e pratica. Egli vive comunque a un certo livello spirituale e la sua vita viene determinata da valori.
Tutto questo può apparire ovvio, e l'enfasi con la quale viene ribadito, piuttosto inutile. L'ebreo osservante di oggi comunque, spesso non è più religioso nel vero senso della parola e la sua personalità è in gran parte influenzata dall'abitudine all'appartenenza ad un certo gruppo o settore della comunità. Malgrado questo, la forza interiore e la disciplina che rendono possibile una vera vita religiosa, possono essere acquisite grazie al «giogo del cielo».
Ogni persona che osserva le mitzvot, porta il giogo del cielo, almeno in parte. Anche il filosofo o il mistico religioso che ha avuto le più profonde ed autentiche esperienze spirituali (con l'eccezione dello Tzaddik, una persona giusta), non ne può fare a meno, perchè non si può sempre identificare completamente con tutte le mitzvot. Anche se può capire e sentire il loro significato, ed è capace di eseguirle senza riserve, per lui non è semplicemente possibile farlo con spontanea e naturale volontà in ogni occasione.
Anche se ci sono alcune attività umane che vengono eseguite spontaneamente, esse sono generalmente associate con specifiche funzioni fisiologiche, come la fame e la sete. Non possono esistere simili comportamenti spontanei per l'osservanza delle mitzvot, dato che essi non vengono generati dai bisogni dell'individuo, ma sono la risposta ad una legge superiore che non si può completamente identificare e capire. Colui che crede, non può aspettarsi che essi provengano spontaneamente dal suo interno, dato che sa che la loro origine è sopra e oltre la sua persona. Quindi egli deve costruire e sviluppare il suo orientamento verso la vita spirituale, e ciò richiede una preparazione. È necessario per lui, portarsi a provare un trasporto per la mitzvà, sia nel complesso che in ogni azione individuale e in ogni singola occasione.
Questa formula non è quella data generalmente, ma è di fatto la base di una gran parte della letteratura contemplativa ebraica, la quale si rivolge alla questione dell'intenzione o dell'orientamento del cuore (in ebraico kavanah). Una persona che ha acquistato un livello superiore, più spirituale, non si preoccupa meno dei precisi dettagli dell'esecuzione della mitzvà, di quanto si preoccupi della preparazione della sua anima per una più intima identificazione con essa. Non è in larga misura noto il fatto che la meditazione come prassi religiosa non è limitata ai seguaci delle religioni orientali. Nel giudaismo essa viene praticata prima, e durante l'esecuzione delle mitzvot.
Queste procedure contemplative (kavanot) esistono in molte forme. Per coloro che hanno questa inclinazione, esistono dettagliati sistemi di esercizi mistici; per altri esistono procedure contemplative a livello intellettuale; e tutti a prescindere dal loro stato spirituale sono tenuti quantomeno a recitare una benedizione prima di eseguire una mitzvà.
Inoltre, esistono molti atti intermedi nella preparazione spirituale, la quale non è vincolata al tempo, e il cui scopo è quello di portare l'individuo ad approntarsi per l'evento momentaneo: la mitzvà. L'azione stessa è ovviamente indispensabile e l'esecuzione fisica comporta sempre qualche tipo di esperienza spirituale. In ogni caso comunque, la preparazione dell'anima all'esecuzione della mitzvà è di primaria importanza. Questa disciplina acquisita, comporta il miracolo del coordinare tutti gli elementi del proprio essere in vista dell'esperienza.
Certe correnti di pensiero contemporanee, saranno senza dubbio contrarie a questo tipo di approccio, ritenendolo un ingiustificabile abbandono dell'esperienza, una perdita di spontaneità emotiva e spirituale.
Un intero mondo romantico, è basato sulla supposizione che si dovrebbe coltivare la spontaneità del sentimento e respingere tutte le anticipazioni rigide o chiaramente definite, di una esperienza spirituale o emozionale. Questo atteggiamento non è limitato solo alla vita religiosa, ma anche ad altri sentimenti come l'emozione romantica, o la creatività artistica. Esso include concetti come I'«amore a prima vista» o ('«ispirazione artistica». Di fatto, è esattamente in questi campi che diviene chiara la illusorietà di questo approccio romantico. L'ispirazione come fonte primaria della creatività artistica, non è altro che una attraente finzione, dato che l'ispirazione ha un ruolo decisamente secondario nell'arte, rispetto a quello svolto dal pensiero scientifico e filosofico. L'attività creativa, risulta generalmente dalla combinazione di numerosi fattori, inclusa la preparazione individuale, l'allenamento professionale e una notevole componente di duro lavoro.
Un'osservazione più critica ed approfondita, rivela che l'esistenza umana, dipende in larga parte dal distanziarsi dalle pressioni della spontaneità fisiologica per focalizzare la consapevolezza di una azione.
Più la creatura è inferiore nella scala evolutiva, più essa è assoggettata alle richieste del suo istinto, cioè alla sua spontaneità naturale. Ogni livello di sviluppo superiore, richiede un maggior distacco da queste pressioni, e il loro superamento per mezzo di processi di apprendimento e di allenamento. Un bambino non può imparare a camminare senza un lungo periodo di preparazione. Questa è solo una semplice attività motoria, ed è evidente che le attività psichiche, che sono più sottili e complesse, richiedono un maggiore allenamento e condizionamento. Ad esempio, una completa spontaneità dell'amore ricorre molto raramente nell'uomo (negli animali essa è una funzione del ciclo sessuale), dato che i sentimenti coinvolti sono troppo complessi, ed in larga parte appresi.
Molti studiosi hanno evidenziato che le parole ebraiche emunah (fede) e emun (allenamento) derivano dalla stessa radice, e hanno interpretato questo fatto come una dimostrazione che è necessario allenarsi per acquisire una esperienza religiosa significativa. Questa necessità di allenamento, non significa tuttavia che non esiste lo spazio per l'esperienza religiosa spontanea, ma piuttosto che una simile esperienza spontanea non può essere la base per una vita religiosa. Solo coltivando la consapevolezza e la comprensione, con una cosciente e perdurante preparazione, è possibile trarre dalle risorse interne la capacità di una esperienza profonda e significativa.
La persona religiosa è confrontata con il dovere di attingere coscientemente alle sue risorse interne per tutta la durata della sua vita; essa deve costantemente mantenere e rafforzare la disciplina interna, la stessa disciplina che mette l'artista in condizione di creare. E ovviamente, essa deve essere capace di ricevere da queste risorse interne, l'esperienza autentica che essa desidera e della quale ha bisogno. Queste esperienze religiose non conoscono la libertà della spontaneità, ma nonostante questo sono genuine, e per la loro virtù di essere guidate e preparate, sono ancora più umane.
Quindi, nella data assegnata dal nostro calendario alla gioia, la persona che si è preparata - la persona la cui vita è più di una serie di riflessi in risposta a stimoli interni ed esterni può ottenere la vera allegria. Essa sa come gioire completamente.

venerdì 10 ottobre 2008

Antisemitismo in Calabria?

Temo che questa immagine che pubblico possa offendere sia i cristiani (come se dessi a Gesù dello "sporco ebreo") sia agli ebrei (che non riconoscono in Gesù un ebreo).
Chiedo scusa a chi possa eventualmente offendersi, ma ho scelto volutamente un'immagine provocatoria: dal momento che Paolo dice "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre", vorrei ricordare ai cristiani che, di conseguenza "Gesù è un ebreo, ieri, oggi e sempre", e chi avversa gli ebrei in quanto tali, è anche (la Chiesa cattolica ormai ha questa stessa posizione, almeno a livello teologico) contro Gesù.



Affrontare il tema dell'antisemitismo è sempre un discorso a rischio, tali e tante sono le implicazioni politiche, sociologiche, psicologiche, oltre che, naturalmente, quelle religiose.
Oltretutto (per fortuna!), ben pochi sono oggi quelli che si dichiarano apertamente antisemiti, mentre sono più numerosi quelli che si dichiarano antiisraeliani, antisionisti, antigiudei o simili, senza accorgersi (o a volte ben sapendo?) che i loro discorsi coprono o incoraggiano l'antisemitismo.
Naturalmente non voglio generalizzare: a tutti è lecito criticare un qualsiasi Stato o Governo, e quindi anche quello di Israele; a tutti è lecito non condividere una qualsiasi ideologia, e quindi neanche il sionismo; a tutti è lecito, essendo di una certa religione, non condividere le idee di un'altra religione.

Quello che non è ammissibile è (come fa attivamente un signore in un blog che non cito perché non voglio fargli pubblicità) fare affermazioni come "l'ebreo è, è sempre stato e sempre sarà bugiardo": non vogliamo chiamarlo antisemitismo? e chiamiamolo razzismo. Ma dal momento che gli ebrei non sono una razza (del resto lo stesso concetto di razza tra la specie umana non ha più un valore scientifico) vogliamo dargli un altro nome? E sia, ma resta il fatto che scrivere certe cose quanto meno incoraggia razzismo e antisemitismo e si ricollega a fenomeni che hanno causato milioni di morti, e non solo ebrei...

Lo stesso signore si dichiara, in quanto cristiano, non antisemita, ma antigiudeo; posizione anche ammissibile (a parte che, mi pare, il messaggio di Gesù non era un messaggio "anti" ma un messaggio "pro"), purché si dichiari anche antibuddista, antiinduista, antianimista e antimusulmano... cosa che invece non è.

Ma andando a fare le pulci, non si finirebbe più, e quindi mi fermo qui, sul soggetto.

Mentre le posizioni di un singolo individuo non hanno grossa rilevanza, più grave è la posizione della Chiesa, che continua ancora a riconoscere il culto di san Pietro Cathin, che sarebbe stato ucciso da alcuni ebrei perché stava tentando di convertire la moglie di uno di questi; credo che bisognerebbe fare opera di revisione storica (visto che il revisionismo va tanto di moda...) e verificare lo svolgimento dei fatti, visto che già Oreste Dito portava testimonianze quanto meno di dubbio su come si siano svolti gli eventi, e considerando che un modo così macchinoso di uccidere qualcuno (con un elmo arroventato in testa!) pare poco credibile.
Come è stato fatto con il culto di san Simonino (venerato in quanto sarebbe stato ucciso da ebrei per usarne il sangue per impastare le azime), abolito qualche anno fa, è a mio parere necessario procedere anche in questo caso.

Non mancano siti e blog che ripropongono libri, interviste, articoli e interventi di soggetti noti per la diffamazione degli ebrei, e sostenitori di complotti ad opera di ebrei contro il resto del mondo (circolano ancora i Protocolli dei Savi di Sion, o il mito degli ebrei e israeliani che l'11 ottobre del 2001 sarebbero stati avvisati di non andare a lavorare alle Twin Towers!).

C'è poi una forma di avversione agli ebrei più diffusa, più popolare, e dovuta per lo più a diverse forme di ignoranza; come il sito su un comune calabrese che, parlando della leggenda dell'ebreo errante (il famigerato Ahasvero, che, avendo partecipato all'uccisione di Gesù o avendolo insultato sulla croce) viene condannato a non morire mai, e vagare ramingo per tutto il mondo: la leggenda viene fatta passare come leggenda ebraica!
Personalmente non riesco a vedere come pericoloso l'antisemitismo "popolaresco": forse è un mio limite, dovuto al fatto che da questo è nato il mio rapporto con l'ebraismo.
Una vecchietta che mi accudiva quando ero bambino, mi parlava ogni tanto di questi "Giudei chiì ammazzaru u Signuri"... Colpito da questa espressione, ho chiesto a mio padre chi fossero costoro, e lui mi parlò della Shoah, e così la mia curiosità, divenne interesse e, con il tempo, una vera passione per l'ebraismo.

Per fortuna, in questo panorama deprimente, non mancano le luci, e non mancano anche in Calabria gli amici degli ebrei, e con l'avanzare della cultura, delle ricerche storiche e teologiche, della comunicazione e dell'informazione, sono sicuro che ce ne saranno sempre di più, e sempre di più sapranno farsi ascoltare.

giovedì 9 ottobre 2008

Un Giusto tedesco

Facendo seguito al post precedente, pubblico qui il bell'intervento a Cittanova, il 22 giugno 2008, del Console generale di Germania, che ha ricordato l'azione di un diplomatico tedesco, Georg Ferdinand Duckwitz (e non fu il solo), nel salvataggio degli ebrei.


Autorità,
è con grande piacere che sono venuta qui a Cittanova in Calabria. Purtroppo, fuori dell'Italia l'importante ruolo svolto dalla Calabria nella storia della nostra Europa è praticamente sconosciuto. La Magna Graecia era qui in Calabria, qui giunsero i greci portandovi la loro cultura. Si tratta però anche di un territorio con una presenza troppo poco conosciuta della religione e cultura ebraiche, dall'epoca antica fino ai giorni nostri.
Oggi siamo qui riuniti per inaugurare il Giardino dei Giusti. Come rappresentante della Germania sono ovviamente particolarmente lieta che fra i "Giusti" vi sia anche un diplomatico tedesco e che gli venga dedicato un albero a futura memoria.
L'olocausto, l'assassinio di oltre 6 milioni di ebrei, rappresenta un'estrema vergogna per la Germania, … to say the least.
Noi tedeschi abbiamo fatto uno sforzo per superare questo passato di barbarie. Proviamo gratitudine per il fatto che questo sforzo trovi un qualche riconoscimento in Israele, un qualche riconoscimento, lo sottolineo; noi siamo consapevoli che molti ebrei non sono ancora in grado di perdonare. È troppo pesante e presente la loro sofferenza.
Considerando questo nostro passato, noi tedeschi siamo sempre felici quando si accende una luce in questa spaventosa oscurità.
Luci ve ne erano pochissime, ma per fortuna alcune c'erano.
Una di queste luci fu il diplomatico Georg Ferdinand Duckwitz oppure la sua azione di salvataggio degli ebrei della Danimarca.
Georg Ferdinand Duckwitz nacque nel 1904 a Brema, un'importante città portuaria nel Nord della Germania. Negli anni trenta era il rappresentante a New York della grande compagnia marittima tedesca Hapag e durante la seconda guerra mondiale diventò consigliere navale a Copenaghen.
Duckwitz è considerato il salvatore degli ebrei della Danimarca e per questi suoi meriti è stato nominato "Giusto" a Yad Vashem, un onore reso solamente a pochi tedeschi – non c'è da meravigliarsi – ma per questo il merito è ancora maggiore.
Grazie al suo intervento la maggior parte degli ebrei della Danimarca si sottrasse alla deportazione e alla morte sicura.
Che cosa fece Duckwitz? Tradì, tra virgolette, i piani di deportazione che i nazisti stavano preparando per il primo ottobre del 1943 (mille nove cento quaranta tre). Il 28 settembre avvisò i maggiori rappresentanti della Resistenza danese. Il 29 settembre il rabbino di Copenaghen comunicò alla comunità ebrea questa spaventosa notizia e la esortò a nascondersi. I danesi dimostrano grande solidarietà nascondendo gli ebrei. A Copenaghen non si vedevano più ebrei. Il primo ottobre i rappresentanti tedeschi dei nazisti comunicarono che la Danimarca era "libera da ebrei". "Libera da ebrei" significava che la deportazione era avvenuta.
In realtà gran parte degli ebrei aveva attraversato il mare, a bordo di pescherecci, e aveva raggiunto la costa svedese.
Il 22 settembre Duckwitz si era recato in aereo a Stoccolma e aveva contattato il Primo Ministro svedese Hansson, che gli aveva garantito che la Svezia non avrebbe respinto gli ebrei danesi.
Vennero deportati approssimativamente 500 dei circa 7000 ebrei danesi. Di questi 500 circa 450 fecero ritorno in Danimarca dopo la guerra. Più o meno 50 ebrei danesi vennero uccisi dai nazisti, 50 di troppo. Tuttavia la maggior parte degli ebrei danesi venne salvata. Questa circostanza viene definita il miracolo danese.
Le informazioni che Duckwitz fece pervenire tempestivamente alla Resistenza danese rappresentarono sicuramente solo uno dei tanti elementi. Ma fu l'elemento decisivo. Il suo "tradimento" rese possibile una catena di altre azioni.
Georg Ferdinand Duckwitz dimostrò grande coraggio. Agendo in quel modo mise a rischio la propria vita. Prestò ascolto solo alla sua coscienza. Così Duckwitz è divenuto un esempio per tante situazioni dove la coscienza deve avere il sopravvento su ordini impartiti nel disprezzo dell'uomo. Egli operò nello spirito dell'imperativo categorico del grande filosofo Immanuel Kant: "Agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare in qualsiasi momento legge universale".
In questa occasione desidero tuttavia esprimere il mio rispetto e la mia massima considerazione anche agli altri diplomatici che durante la seconda guerra mondiale hanno rischiato la propria vita per salvare quella degli ebrei. È importante che non vengano dimenticati. È quindi un'idea straordinaria commemorarli in questo Giardino dei Giusti.

I Giusti diplomatici

Il viale dei Giusti diplomatici a Cittanova











Un momento di spiritualità:
il suono dello shofar


















Tempo fa, avevo parlato di Cittanova; ci ritorno ora per parlare (ehm... con un tantino di ritardo!) di un evento che vi si è svolto lo scorso 22 giugno: la dedicazione di un viale della Villa comunale ai Giusti delle nazioni che, nella loro azione come diplomatici, salvarono la vita ad ebrei durante la Shoah. Il viale è fiancheggiato da palme, su ognuna delle quali è affissa una targa che ricorda il nome del Giusto e la bandiera (o le bandiere: alcuni agirono a nome di una nazione diversa di quella di cui erano cittadini; come il nostro Perlasca, che agì come diplomatico della Spagna, o monsignor Angelo Rotta, italiano ma diplomatico pontificio).
L'evento (organizzato da istituzioni civili e religiose, sotto la spinta del vulcanico studioso Antonio Sorrenti), è stato preceduto da un convegno dal titolo "I sentieri dell'Eden. Dal Giardino dell'Eden al Giardino dei Giusti", ed ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Rav Ariel di Porto, da Roma, di Rashel Feinmesser, Capo ufficio stampa dell'Ambasciata israeliana, R.G. Vitetta, console onorario svizzero, don Antonino Pangallo, responsabile della Diocesi di Reggio per il dialogo interreligioso, e Angelica Volkel, Console generale di Germania, al cui bell'intervento dedicherò un post a parte.
Di Cittanova, oltre quanto già detto nel post precedente, posso aggiungere alcune usanze che ci fanno intravedere una antica presenza ebraica: in alcune famiglie la sera di Pasqua si lascia una sedia vuota a tavola, come accade nel rito del Pesach ebraico; il venerdì si usa fare o comprare il pane a treccia, come la challah del sabato tra gli ebrei; sempre la sera di Pasqua, il piatto tipico è lo stocco cu l'amareddi (stoccafisso con le erbe amare!)...

Ferramonti e Punta Stilo

Un progetto che risale a quasi un anno fa: come si vede dalla consulenza affidata dalla Regione Calabria, entro la fine di quest'anno dovremmo saperne qualcosa di più...


Cosenza, 19 nov 2007 - Al via il convegno internazionale del progetto Landscapes of war (Scenari di guerra), promosso dalla Regione Calabria, sotto l’egida dell’Ue, nella Casa delle Culture di Catanzaro.
Il tema ha coinvolto studiosi di storia militare per il recupero dal fondo marino di reperti della seconda guerra mondiale.
I lavori sono stati introdotti dal responsabile del progetto Pasquale Parisi, funzionario della Regione Calabria, e moderati dalla giornalista e manager communication del progetto Alessandra Tuzza. Tra gli altri , hanno dato il loro contributo gli studiosi Christian Muehldorfer Voght, direttrice del Museo storico-tecnologico di Peemünde, Alexandre Klausmeier, dell’università del Brandemburgo (Germania), Joseph Magro Conti, authority all’Ambiente e programmazione di Malta; Linda Klups, presidente del Comitato scientifico internazionale per il patrimonio militare di Varsavia.
Landscapes of war” - ha affermato il sottosegretario agli Affari della Presidenza della Regione Calabria, Vincenzo Falcone - è un progetto transnazionale, cofinanziato direttamente dalla Commissione europea nell’ambito del programma “Cultura 2000”, che si prefigge il compito di valorizzare il patrimonio storico riconducibile alla seconda guerra mondiale. Ferma restando la consapevolezza della delicatezza - ha rimarcato Falcone - che un evento ancora relativamente vicino a noi riveste, per tutte le lacerazioni e i lutti che esso ha provocato nel territorio europeo, questo programma dovrà essere occasione per trasformare siti e residuati bellici del passato in simboli di pace e di convivenza civile per i popoli di oggi e di domani”.
L’attenzione degli interventi è stata prevalentemente assorbita da due elementi storici che hanno coinvolto la regione nella prima metà del XX secolo. E vale a dire il Campo di concentramento fascista di Ferramonti di Tarsia e la battaglia navale di Punta Stilo del 9 luglio del 1940.

Dal sito della "Rivista marittima"

Sul primo, è attiva una fondazione, promossa dallo storico Carlo Spartaco Capogreco, uno dei massimi esperti nazionali in materia di internamento civile nel ventennio fascista, i cui intenti sono quelli di far sì che la memoria di quanto è qui accaduto non vada dispersa. E al tempo stesso affinché la visita a questo sito serva alle giovani generazioni quale occasione di riflessione sui valori di pace e solidarietà fra i popoli.
Ancora in fase di valutazione è la proposta che lo stesso Capogreco lanciò nel 2003 che mira a istituire un Museo-archivio-laboratorio nazionale del confino e dell’internamento, “una sorta di Casa della memoria - precisa il promotore - per ricordare - sono le parole di Capogreco - la solidarietà e la fratellanza di lotta contro il fascismo realizzatisi tra gli individui deportati e le popolazioni civili”.
Lo scontro al largo di Punta Stilo vide contrapporsi la Royal Navy britannica, comandata dall’ammiraglio Cunningham, contro la Regia Marina italiana, sotto le direttive dell’ammiraglio Campioni.
Come è stato rimarcato nel convegno, esso “fu l’evento che registrò la più grande concentrazione di mezzi navali in tutto il Mediterraneo”. Il bilancio finale, limitato alle sole perdite, parla di un cacciatorpediniere (il Pancaldo, che ebbe sedici morti) e di un sommergibile, per la Marina italiana; di un cacciatorpediniere, un piroscafo e di diciotto aerei, per quella inglese.
Al di là di quello che sia stato l’epilogo (la storiografia offre pareri discordanti a riguardo), resta aperto il discorso di una ripresa del lavoro di recupero di reperti e cimeli di quello che è passato alla storia come “il primo scontro navale nel Mediterraneo” nella seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda l’intero territorio europeo, il progetto “Landscapes of war” si prefigge di “dare accesso fisico e intellettuale a una vasta gamma di siti e di testimonianze del conflitto del 1939-’40 per mantenerne vivo l’orrore” nell’Europa allargata e pacificata di oggi.