Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

c

c

venerdì 23 marzo 2012

Messaggio di Eva Sandler, moglie del rabbino e madre di dei bambini uccisi a Tolosa

Che altro aggiungere?

Il mio cuore è spezzato. Non riesco a parlare. Non c'è un modo per esprimere il dolore divorante che risulta dall'assassinio del mio caro marito, rav Jonathan, e dei nostri figli, Aryeh e Gavriel, e di Miriam Mononego, figlia del preside della scuola Ozar Hatorah, rav Yaakov, e della sig.ra Monsonego.
Che nessuno debba più soffrire in questa maniera!
Siccome molti di voi, cari fratelli e sorelle in Francia e nel mondo, state chiedendo cosa potete fare per me, per mia figlia Liora e per le anime dei miei cari marito e figli, sento che, per quanto possa essere difficile, ho il dovere di rispondere alle vostre richieste.
La vita del mio marito era dedicata all'insegnamento della Torah. Ci siamo ritrasferiti al suo paese di nascita per aiutare la gioventù a scoprire la bellezza della Torah. Era un uomo veramente buono, affettuoso e altruista. Era sensibile a tutte le creature di D-o, sempre cercando il modo di trovare la bontà negli altri.
Lui ed io abbiamo allevato Aryeh e Gavriel nel vivere le vie della Torah. Chi avrebbe potuto sapere quanto brevemente avrebbero vissuto su questa terra, quanto breve sarebbe stato il tempo in cui sarei stata la loro madre?
Non so come io, i miei suoceri e la sorella di mio marito troveremo la consolazione e la forza per continuare, ma so che le vie di D-o sono buone e che Lui ci mostrerà la strada e ci darà la forza per andare avanti. So che le loro anime sante rimarranno con noi per sempre e se che molto presto arriverà il momento in cui ci riuniremo con la venuta del Mashiach.
Credo con tutto il cuore alle parole del verso "D-o ha dato, D-o ha preso; benedetto sia il nome di D-o". Ringrazio D-o per il privilegio, quanto breve sia stato, di poter allevare i miei figli assieme al mio marito. Ora il Sign-re li vuole vicino a Lui.
A tutti coloro che desiderano portare consolazione alla nostra famiglia e compiacimento alle anime di coloro che ci hanno lasciato: Portiamo avanti la loro vita su questa terra.
Genitori, baciate i vostri figli. Dite loro quanto li amate e quanto è vicino al vostro cuore il desiderio che siano degli esempi viventi della Torah, impregnati del timore del Cielo e dell'amore per il prossimo.
Perfavore, aumentate il vostro studio della Torah, da soli o con parenti e amici. Aiutate coloro che hanno difficoltà a studiare da soli.
Perfavore, aumentate la luce nel mondo tramite l'accensione dei lumi di Shabbat questo e ogni venerdì sera. (Perfavore, anticipate un po' l'orario pubblicato per aumentare ancora i momenti di santità nel mondo).
Si avvicina la festa di Pesach. Perfavore, invitate un'altra persona nelle vostre case per far sì che tutti abbiano un posto ad un Seder per celebrare la festa della nostra libertà.
Assieme al ricordo amaro delle difficoltà in Egitto tanti anni fa, raccontiamo ancora quanto "in ogni generazione si sono messi contro di noi per annientarci". E tutti insieme annunceremo con voce alta e chiara: "D-o ci salva dalle loro mani".
Lo spirito del popolo ebraico non può mai essere spento, il suo legame con la Torà e le mitzvòt non potrà mai essere distrutto.
Che sia la volontà di D-o che da questo momento in poi conosceremo solo la gioia.
Invio le mie sentite condoglianze alla famiglia Monsonego per la perdita della loro figlia Miriam, e prego per la guarigione di Aharon ben Leah, che è rimasto ferito durante l'attacco.
Vi ringrazio del vostro supporto e amore.



Io credo
con fede assoluta
nella venuta del Messia, io credo
credo nella venuta del Messia
nella venuta del Messia, io credo
credo nella venuta del Messia
e sebbene egli ritardi
io lo attendo
e sebbene egli ritardi
io lo attendo
ciò nonostante, io lo attendo
lo attenderò ogni giorno
ciò nonostante, io lo attendo
lo attenderò ogni giorno

lunedì 12 marzo 2012

Il Maharal di Praga

Martedì 13 marzo ore 10
Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” - Centro di Studi Ebraici
in collaborazione con la Comunità Ebraica di Napoli

“Il Maharal di Praga”
Incontro di studio su Rabbi Yehuda Loew (1520-1609)

Interventi di Scialom Bahbout, Ottavio Di Grazia, Giancarlo Lacerenza, Marco Cassuto Morselli, Luciano Baruch Tagliacozzo

Palazzo Corigliano, IV piano, Biblioteca “Taddei”
Piazza S. Domenico Maggiore 12, Napoli

Da Wikipedia

Judah Loew ben Bezalel, anche noto come Yehudah ben Bezalel, o Jehuda Löw, o come Maharal di Praga (Poznań (?), 1520, o 1512, o 1526 – Praga, 17 settembre 1609), è stato un rabbino e studioso del Talmud.
Il nome Maharal con cui è anche noto, deriva da un acronimo in lingua ebraica (מהר"ל - MaHaRaL, per "Moreinu ha-Rav Loew, "Il nostro maestro il rabbino Loew").
È conosciuto per i suoi lavori sulla filosofia e la mistica ebraica e il suo commento al commento del rabbino Rashi alla Torah, noto come Gur Aryeh al HaTorah. Il suo nome è inoltre legato alla leggenda del golem, pubblicata oltre due secoli dopo la sua morte, secondo la quale, per proteggere gli ebrei del ghetto di Praga da attacchi antisemiti, egli avrebbe creato un essere vivente fatto di argilla, utilizzando le conoscenze esoteriche riguardo alla creazione di Adamo.
Nacque probabilmente a Worms (Germania) o Poznań (Polonia), in data indicata diversamente dalle fonti (1512 , 1520 o 1526). Suo zio Jacob Friedberg rivestiva la carica di "rabbino dell'impero" (Reichsrabbiner) nel Sacro Romano Impero. Tradizionalmente la sua famiglia si riteneva discendesse dalla dinastia davidica.
Fu educato in diverse yeshivot (scuole talmudiche) e grazie ai successi delle imprese commerciali paterne era ricco e indipendente. Nel 1553 divenne Landesrabbiner di Moravia a Mikulov (oggi Nikolsburg).
Nel 1588 lasciò la carica e si trasferì a Praga, dove divenne rabbino della città al posto di Isac Hayoth. In questa veste incontrò il 23 febbraio 1592 l'imperatore Rodolfo II e nel quale si trattò di mistica ebraica.
Nello stesso anno si trasferì a Poznań, dove era stato eletto rabbino capo della Polonia.
Verso la fine della sua vita, si trasferì di nuovo a Praga, dove morì nel 1609 e fu sepolto presso il Vecchio cimitero ebraico di Praga dove si conserva tuttora la sua tomba con la pietra tombale intatta e dove i turisti lasciano le loro intenzioni scritte.
La tomba di Jehuda Löw ben Bezaleel a Praga
Leggende
Secondo la leggenda nel 1580 plasmò dal fango della Moldava il Golem, con l'aiuto del genero Jizchak ben Simson e il discepolo Jakob ben Chajim Sasson. Un altro episodio che lo riguarda è quello della proiezione, molto probabilmente usando una lanterna magica, all'imperatore Rodolfo d'Asburgo e ai suoi convitati di una processione degli antenati d'Asburgo, che atterrì i convitati nel castello di Praga, dando origine a un'esplosione di paura e confusione, che portò anche a un incendio.

martedì 6 marzo 2012

Memoria e lapidi a Ferramonti di Tarsia


Una delle lapidi, di cui si legge solo il nome, Rudro,
del cimitero di Tarsia


Dalla newsletter dell'Ucei di oggi un intervento interessante sulla situazione dei cimiteri di Tarsia e di Cosenza, dove sono stati sepolti coloro che, internati al campo di Ferramonti negli anni della seconda guerra mondiale, vi trovarono la morte.
Di Cosenza non so, a Tarsia ci sono andato questa estate (ho fatto le foto che illustrano quest'articolo), a portare alcuni sassolini dalla spiaggia del mio paese e la situazione è davvero desolante: è quanto mai urgente che noi che abbiamo a cuore l'ebraismo in Calabria interveniamo di concerto con le autorità ebraiche, le amministrazioni locali e le Fondazioni.
Vorrei solo fare due piccole puntualizzazioni: per anni il nostro Antonio Sorrenti ha organizzato una preghiera nei due cimiteri per Yom Kippur, e quest'anno in occasione del Giorno della memoria si è recato a Ferramonti il Rabbino capo della Comunità di Napoli e del Meridione, Scialom Bahbout.
Vorrei infine dire che (a mio parere) non si può pretendere dalle amministrazioni locali il finanziamento di quello che c'è da fare nei due cimiteri: la cura, l'attenzione, il rispetto sì, ma in particolare la preghiera del rabbino e la terra o i sassi di Gerusalemme, e tutto quello che riguarda gli aspetti più strettamente religiosi dovrebbero essere di competenza (anche economica) dell'ebraismo italiano tutto.
Nel ringraziare Mario Avagliana e il professor Mario Rende per aver proposto questa realtà all'attenzione di tutto l'ebraismo italiano, mi auguro che veramente si possa collaborare tutti insieme perché a questi nostri morti la terra sia realmente lieve.
La lapide di Leo Wellesz, un bambino nato, e morto dopo pochi mesi, a Ferramonti












Mario Avagliano
La lapide che ricorda Rosa Friedmann
La Memoria non è fatta solo di libri e di convegni, spesso retorici o pomposi. Ma si coltiva anche con la cura delle lapidi e con atti simbolici. Ne è un esempio il professor Mario Rende dell’Università di Perugia, autore di un apprezzato saggio, uscito tre anni fa per Mursia, sul campo di concentramento fascista di Ferramonti di Tarsia, città di origine della sua famiglia.
Sulle tracce di un appunto del 2 giugno 1944 del diario di Fra Callisto Lopinot, un monaco cappuccino presente a Ferramonti, il professor Rende è andato alla ricerca delle tombe degli ebrei di varie nazionalità (polacchi, tedeschi, austriaci, cechi, slovacchi, ungheresi, etc) che morirono a Ferramonti nel periodo 1940-1945.
Rende ricorda che, in base ad atti documentali, nel cimitero di Tarsia sono stati sepolti  16 ebrei provenienti da Ferramonti. Attualmente, però, solo quattro tombe sono ancora lì. Le altre 12 furono traslate abusivamente negli anni Cinquanta e Sessanta per fare spazio alle tombe dei cittadini del posto, nonostante che le famiglie degli ebrei scomparsi avessero regolarmente acquistato il lotto di terreno nel cimitero con la garanzia che non venissero esumati i corpi. Questa condizione non fu rispettata dalle autorità locali di allora e molto probabilmente le loro ossa furono collocate nell’ossario comunale e le loro lapidi furono distrutte. Nel cimitero di Cosenza, invece, sono stati sepolti 21 ebrei di Ferramonti morti nel locale ospedale civico e le loro tombe fortunatamente non sono state rimosse, anche se purtroppo sono in stato di completo abbandono. Unica eccezione la tomba di Gustav Brenner, che decise di stabilirsi nella città di Cosenza, dove tuttora vivono i suoi discendenti.
Negli ultimi anni in Calabria vi è stata una riscoperta del tema del tema della persecuzione degli ebrei, sull’onda degli studi sul campo di Ferramonti di Tarsia, ma in entrambi i cimiteri le lapidi degli ebrei morti nel campo sono state lasciate a se stesse, senza che nessuno se ne curi, neppure le due Fondazioni (chissà perché due) sorte proprio per “recuperare e valorizzare la memoria storica del campo”. 
Il professor Rende si è interessato della vicenda e ha provveduto a far ripulire le tombe (vedi foto), per rendere almeno visibili i nomi dei deceduti.  A Cosenza è riuscito anche a far collocare una targa che spiega perché le tombe sono lì e cosa significano i simboli incisi sulle lapidi. Alcuni degli ebrei sepolti erano stati passeggeri del famoso battello “Pentcho”, che nel 1940 aveva tentato invano di raggiungere la Palestina da Bratislava, attraversando tutta l’Europa. 
“Era un dovere morale – mi ha detto Rende -. Gli abbiamo tolto la libertà, sono morti in una terra non loro e gli annulliamo anche il nome per non pulire una volta tanto la loro lapide”.
Attraverso una ricerca negli archivi di Cosenza e di Tarsia,  Rende ha ricostruito un date base con i nomi e le date di morte dei 37 ebrei sepolti nei cimiteri delle due città calabresi e ora vuole metterlo a disposizione di chi sia interessato.  “Ci potrebbero essere discendenti o parenti che magari cercano i loro cari e non sanno che sono sepolti in Calabria”.

La lapide che ricorda un Cohen,
del quale non riesco a leggere il nome
Ecco i loro nomi. Cimitero di Cosenza: Karl Blau, Gustav Eugen Brenner, Enrico Brochis, Israel Choinka, Fritz Fass, Eugen Fellner, Aurelia Fischer, Max Frisch, Jardena Halpern, Adolf Loewy, Natalie Markus, Wolf Monheit, Margherita Neumann, Massimo Pecar, Ferdinad Reinisch, Bela Stein, Fritzi Steiner, Julius Sternfeld, Josef Ungar, Fritz Wahl, Paula Weil. Cimitero di Tarsia (tombe ancora presenti): Rosa Friedmann, Max Manheim, Sigfried Margoniner, Rudolf Muller. Cimitero di Tarsia (registrati nell’elenco dei sepolti, ma tombe non più presenti): Josef Richard Goldstein, Stefan Greiner (o Greiwer), Erwin Guen, Hugo Meitner, Franjo Milic, Kugo Muller, Adolf Robichek, Max Rosenberg, Jetty Steiner, Andrej Umek, Ilona Weiss in Rosinger, Leo Wellesz.
Sempre nel cimitero di Cosenza, ma al di fuori dalla zona ebraica, vi sono le tombe di Nina Weksler (autrice del bel libro “Con la gente di Ferramonti”, Editoriale Progetto 2000) e di suo marito Salman Rotstein.
Il professor Rende propone anche un atto di riparazione da parte dei calabresi: “Sarebbe bello che il comune di Tarsia si facesse carico di un piccolo monumento nel cimitero, ricordando tutti i nomi degli ebrei che sono stati lì sepolti. I comuni di Cosenza e Tarsia potrebbero poi supportare economicamente un piccolo gesto di amore per queste persone: prendere un po' di terra di Israele e metterla attorno alle loro tombe; prendere qualche sasso da Israele e metterlo sopra le loro lapidi; supportare la visita annuale di un rabbino che possa fare una preghiera sulle loro tombe. Che ne pensa? Sono un idealista?”.

Pesach in Calabria!


“La liberazione dalla schiavitù parla all'ebreo, ad ogni ebreo in ogni epoca, giacché ognuno di noi ha l'obbligo di considerarsi personalmente uscito dall'Egitto”

Il primo e il secondo seder di Pesach, la cena e la haggadah con cui ricordiamo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, sarà quest’anno le sere del 6 e 7 aprile (14-15 Nissàn): siamo tutti invitati a partecipare alla celebrazione di Pesach che svolgeremo in Calabria, a Palmi (RC).
Durante il giorno avremo modo di riflettere sul senso di questa festa e ascoltare insegnamenti anche da parte di persone giunte per noi da Israele.


Naturalmente sarà anche un momento di gioia e divertimento, nella bella cornice del residence La Marinella.
Il prezzo è contenuto e il soggiorno (eventualmente prolungabile) può essere un’ottima occasione di vacanza primaverile, oltre che di condivisione spirituale.
Chi è interessato ad avere maggiori informazioni (spero in molti!) mi può contattare scrivendomi a kaulon@yahoo.it


Dopo l’incontro di Belvedere dal 28 ottobre al 1° novembre 2011, questo Pesach costituisce un altro passo importante nel cammino verso la ricostituzione di una kehillah calabrese, nell’ambito della Comunità di Napoli e dell’Italia meridionale.

Hashanah haba'ah b'Yrushalayim!
L’anno prossimo, a Gerusalemme!

lunedì 5 marzo 2012

Visita a Oria di rav Scialom Bahbout

Anche oggi rubo un testo da Sullam, rivista digitale della Comunità ebraica di Napoli, che invitiamo a sottoscrivere gratuitamente inviando la richiesta a sullamnapoli@gmail.com. Si tratta del resoconto della visita a Oria (sede di una antichissima e colta comunità ebraica) del nostro Rav Scialom Bahbout, Rabbino Capo di Napoli e dell’Italia meridionale.

Da YouTube l’intervento di Rav Bahbout nella biblioteca comunale di Oria
per i saluti con gli amministratori comunali (a cura di Oria.info)

Lunedì 20 febbraio 2012, il rabbino capo di Napoli e del Meridione Scialom Bahbout, invitato a Oria dalla sede locale dell’Archeoclub d’Italia, ha visitato il Cimitero ebraico oritano sito nell’area adiacente al parco “Oria-Lorch”
Rav Bahbout era accompagnato dall’avvocato Yehudà Pagliara, membro della Comunita ebraica e residente in Puglia
Tale area, importante testimonianza della fiorente comunità ebraica di Oria, è stata individuata dall’Archeoclub di Oria che ha anche svolto una ricognizione della necropoli, attirando l’interesse della comunità accademica e scientifica nazionale
Tale evento ha rivestito perciò notevole rilevanza per il territorio, coinvolgendo molteplici aspetti di tipo culturale, sociale, religioso e di ricerca
Appena giunto in Oria, rav Bahbout è stato ricevuto dal vescovo di Oria mons
Vincenzo Pisanello nel Palazzo Vescovile; l’importante incontro tra le due alte cariche religiose è stata la conferma dell’antica amicizia che nell’alto medioevo la comunità cristiana oritana intrattenne con i concittadini della comunità ebraica
Il rabbino Bahbout ha poi visitato il Cimitero ebraico di Oria, momento culmine della sua visita
Erano presenti il sindaco di Oria Cosimo Pomarico, il presidente della Provincia di Brindisi Massimo Ferrarese, e il consigliere regionale Toni Matarrelli
L’assessore regionale al Mediterraneo cultura e turismo Silvia Godelli ha inviato una lettera di adesione all’evento
Successivamente rav Bahbout ha visitato il quartiere ebraico di Oria, accolto dal capitano del Rione Giudea Giovanni Lomartire e da una rappresentanza della comunità rionale
La visita si è conclusa con la visita alla biblioteca comunale “De Pace – Lombardi”, dove è custodita la celebre Stele Ebraica altomedievale e con il saluto ufficiale del sindaco Pomarico a nome dell’intera cittadinanza oritana
«La portata storica e culturale di questo avvenimento – afferma Barsanofio Chiedi, presidente della sede di Oria dell’Archeoclub d’Italia – è da ritenersi ampia; sono certo che la venuta in Oria del rav Shalom Bahbout sarà fondamentale per il recupero e la salvaguardia del Cimitero ebraico. Non solo: da qui partirà un nuovo corso nel rapporto tra Oria e la comunità ebraica internazionale
Il luogo dov’è sita la necropoli, avendo alto valore archeologico e sacro, sarà preservato e conservato così come ci appare, con il suo particolare contesto ambientale che presenta sulla collina alberi d’ulivo, terrazzamenti con muri a secco e macchia mediterranea
L’Archeoclub di Oria si attiverà, coinvolgendo i proprietari, perché l’area sia tutelata e fruita nel rispetto totale di quanto è contenuto»
Rav Bahbout ha espresso l’interesse personale e della Comunità per seguire il processo di sistemazione dell’antico cimitero di Oria e della possibilità di includere Oria negli itinerari turistici ebraici, in attesa che le “ossa secche” di Oria tornino a nuova vita

domenica 4 marzo 2012

Purim: Eclissi di Dio o dell’uomo?

Da Sullam, rivista digitale della Comunità ebraica di Napoli, che invitiamo a sottoscrivere gratuitamente inviando la richiesta a sullamnapoli@gmail.com, una lezione su Purim del nostro Rav Scialom Bahbout, Rabbino Capo di Napoli,
 



Eclissi di Dio o dell’uomo?


Dove figura il nome di Ester nella Torà?
Nel versetto (Deut. 31°, 18): “Ve-anokhì astèr astìr”
(Io oscurerò il mio volto in quel giorno)
Khaghigà 5b

Ai maestri è sempre piaciuto sorprendere gli ascoltatori e i lettori con domande strane e apparentemente assurde e con risposte che — se prese alla lettera — sembrano di una grande ingenuità. Che senso ha chiedersi dove si trova il nome Ester nella Torà? I Maestri non sanno che tra Mosè e Ester passano decine di generazioni (dai sette agli otto secoli)? non si rendono conto che il nome di Ester non figura nel testo citato? Per capire il significato dell’affermazione dei Maestri, bisogna interpretare la loro domanda in questo modo: in quale punto della Torà, anche se in modo allusivo, viene accennato alla salvezza che fu opera di Mordekhài ed Estèr?
Nella Torà è scritta la storia ebraica passata, presente e futura e quindi già in essa, e in particolare nella profezia di Mosè, vi deve essere una qualche allusione al tipo di salvezza che caratterizza Purim e molta parte della storia ebraica. La salvezza può avvenire o in forma palese o in forma nascosta. Nella liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana Dio si manifesta in forma palese, mentre ai tempi di Mordekhài ed Estèr tutto avviene in modo “nascosto”: il volto di Dio si oscurò. Il miracolo che accompagna tutta l’esistenza ebraica, da manifesto diventa celato: l’intervento divino segue altre strade, si umanizza ed è l’uomo che viene caricato di questa missione di liberazione.
A chi legge con attenzione il libro di Ester non possono sfuggire due elementi: in tutta la storia non viene mai menzionato il nome di Dio e tutta la vicenda sembra essere un concatenarsi di eventi del tutto casuali. L’”assenza di Dio” è tra gli elementi che ha fatto discutere molto i Maestri, prima di arrivare alla decisione di includere la Meghillàt Estèr nella Bibbia. I tentativi fatti per trovare nella meghillà allusioni al Nome di Dio non sono convincenti: quindi, cosa hanno voluto insegnarci gli uomini della Grande Assemblea, quando, pur potendo mettere le mani sul testo della Meghillà, hanno preferito lasciarlo così com’è, senza introdurvi il Nome di Dio? La storia di Ester sembra essere una catena di eventi casuali: il Grande banchetto di Assuero, la decisione di chiamare la regina Vashtì e il rifiuto di questa di presentarsi, la scelta di Ester, il tentativo di colpo di Stato di Bigtàn e Tèresh, scoperto “casualmente” da Mordekhai, l’insonnia del re Assuero, l’arrivo di Amàn da Assuero proprio in quella notte.
Mi sembra che i Maestri ci vogliano indicare che sta all’uomo cercare la presenza di Dio nella storia in generale e in quella ebraica in particolare, e che sta all’uomo cogliere il fatto che Purìm è diventato paradigmatico per tutta la storia che inizia con la distruzione del I Tempio e continua con quella del II Tempio. L’eclissi di Dio si è protratta per tutto il periodo del II Tempio, e in particolare, per quello che segue la distruzione del II Tempio, quando l’oscurità si è fatta molto più fitta: “Ma anche quando saranno nelle terre dei loro nemici, Io non li rifiuterò e non li avrò in abominio” (Levitico 26°): non li rifiuterò nei tempi di Aman… e tanto più in quelli seccessivi alla distruzione del II Tempio…”. Dalla storia di Purim i Maestri hanno dedotto che la salvezza non si manifesta in un baleno, ma lentamente per poi risplendere con forza: “Quando starò nell’oscurità il Signore sarà luce per me”: così all’inizio “Mordekhài tornò alla porta del re”, poi “Amàn prese il vestito e il cavallo”, e poi “Mordekhài uscì con un vestito regale dal cospetto del re”, e finalmente “per gli ebrei fu luce e gioia” (Talmud di Gerusalemme Jomà 3:2).
La storia più recente, dall’Olocausto alla rinascita ebraica in Eretz Israel, è una continuazione di Purim, della storia umana dove cioè tutto sembra casuale e Dio sembra essere lontano e dove, soprattutto l’uomo è indifferente e assente. Ma forse qualcuno deve ancora scrivere per noi questa Meghillà.

giovedì 1 marzo 2012

Purim e digiuno di Ester

Come qualcuno dice, il tema di tutte le feste ebraiche è uno: i nostri nemici ci vogliono sterminare, HaShem ci salva e noi festeggiamo mangiando e bevendo!
Questo è particolarmente vero per Purim, la festa che ricorda il mancato sterminio degli ebrei ad opera di Aman, il malvagio ministro del re di Persia, di cui parla il libro di Ester.
Dopo aver digiunato (elemento anche questo caratteristico di quasi tutte le feste), si mangia (in particolare le dolci “orecchie di Aman”), si beve (è d’obbligo ubriacarsi fino a non distinguere “Sia maledetto Aman” da “Sia benedetto Mardochai”, in realtà non è così, come potete leggere qui), ci si maschera (Purim è conosciuto anche come il carnevale degli ebrei) e si fa “balagan” (soprattutto i bambini, che in sinagoga strillano e agitano i tricchetracche ogni volta che nella lettura della Megillah di Ester si sente il nome di Aman).
Nonostante questi aspetti festosi e “folkloristici”, Purim è una festa di profonda spiritualità, da alcuni dei chachamim considerata addirittura superiore a Yom Kippur, come potete leggere qui.

Promemoria per Purim (da Morasha.it)
Il digiuno di Ester ha inizio all'alba e termina dieci minuti prima dell'uscita delle stelle.
Tutti gli adulti in buone condizioni fisiche hanno l'obbligo di fare il digiuno.
Il sabato precedente (il 3 marzo, quest’anno) è Shabbat zakhòr (il sabato del ricordo), così chiamato in quanto vi si legge il brano della Torà che richiede a ogni ebreo di ricordare ciò che fece il popolo di 'Amelek agli ebrei quando uscirono dall'Egitto. Si adempie a questa mitzwà del ricordo soltanto se si ascolta in pubblico la lettura del brano "Zakhòr" dal Sefer Torà.
Quattro sono le norme fondamentali che ognuno è tenuto ad osservare di Purim (mercoledì sera 7 marzo - giovedì 8 marzo):
Leggere o ascoltare la lettura del libro di Ester dal rotolo (meghillà)
Fare donazione ai bisognosi: vanno fatti doni ad almeno due persone.
Inviare cibi ad amici, parenti ecc. Si adempie alla mitzwà inviando almeno due cibi (dolci, bevande ecc.) a una persona.
Fare un banchetto.
A parte la lettura del libro di Ester che va fatta anche alla sera (sabato) le quattro norme suddette vanno fatte nel giorno di Purim (domenica prima del tramonto).
Nella preghiera delle 18 benedizioni ('amidà) e nella benedizione dopo il pasto (birkat-ha mazhon) si dice 'al ha-nissim (per i miracoli accaduti ai tempi di Mordechai e Ester).
I marrani, le feste ebraiche e il digiuno di Ester
Donatella di Cesare, filosofa (da Moked.it)
Non sorprende che i conversos, per i loro grandi sensi di colpa, la loro afflizione e la loro mestizia, scorgessero in Ester, la “segreta”, capace di rivelare al momento opportuno l’identità a cui era rimasta fedele, il simbolo, splendido e potente, della loro esecrabile condizione. Il più grande poeta marrano João Pinto Delgado ha scritto questi versi nel suo Poema della regina Ester: “lo splendore che sprigiona la sua bellezza rischiara la notte e oscura il giorno”. Sta qui forse il senso dell’esperienza marrana: la vita è giocata nella negatività della notte, mentre il giorno dell’esistenza, nella storia ebraica, affonda fino a scomparire.
Sappiamo che la storia di Estèr simula il nascondersi Divino – “… e Io continuerò a nascondere i Miei volti …”, hastér ’astìr (Deut 31, 18). Ma per l’ebraismo l’assenza è sempre traccia memore della presenza. Il marranesimo trovò invece il suo apogeo nella sola assenza (a cominciare dall’assenza senza gioia del digiuno). Forse per questo suo doloroso dibattersi nel buio quasi privo di tracce fu condannato alla sterilità fin quando i cripto-ebrei non riemersero finalmente alla luce fuori dalla loro Sefarad.

Sempre dal sito Moked.it una lezione di Rav Roberto Della Rocca:

Un digiuno in memoria di un digiuno Jonathan Pacifici da Torah.it
Il giorno di Purim, il quattordici del mese di Adar, è in realtà il giorno successivo agli eventi narrati dalla Meghillà. E' il giorno che segue la battaglia, in cui 'si riposarono' - venoach bearbà asar bo. Così anche il giorno di Purim Shushan, il quindici, è il giorno in cui si riposarono a Susa, dove gli scontri continuarono anche il quattordici.
Il giorno stesso degli eventi, il tredici, è giornata dedicata al digiuno. Il digiuno di Ester. Questo digiuno è molto strano. Se mettiamo da parte il digiuno del Kippur che è stabilito dalla Torà, esistono nel calendario ebraico cinque digiuni di istituzione rabbinica. Quattro hanno a che fare con la distruzione del Tempio: il nove di Av, il digiuno di Ghedalià, quello del 17 di Tamuz ed il 10 di Tevet. Sono questi digiuni nei quali ci affliggiamo ancora oggi per la tragedia dell'esilio nel quale siamo ancora intrappolati. Digiuniamo per degli eventi negativi ancora presenti nella nostra vita.
Il digiuno di Ester non ha niente a che vedere con tutto ciò. La sua definizione halachica è taanit zecher letaanit. Un digiuno in memoria di un digiuno. Ossia un digiuno per ricordare. Per ripercorrere gli eventi ed in particolare l'impatto importantissimo della preghiera e del digiuno nel processo di redenzione.
Il digiuno di Ester è allora una parte integrante del processo che ogni anno noi affrontiamo a Purim, un processo di introspezione che ci porta nel Santo dei Santi della nostra anima specularmente a quanto avviene nei giorni di Rosh Hashanà e Kippur. E bisogna proprio pensare al Kippur - Kippurim -KePurim, al giorno che è come Purim, come abbiamo molte volte visto, per capire ciò.
Ester entra da Assuero a digiuno proprio come il Sommo Sacerdote entra nel Santissimo a digiuno.
Secondo Rabbenu Tam però il digiuno che ricordiamo non è quello dei tre giorni di Ester (che in realtà avvenne a Pesach) ma piuttosto il digiuno che fecero nel giorno della battaglia, così come fecero gli ebrei all'epoca di Moshè nella guerra contro Amalek - di cui si parlerà proprio il prossimo Shabbat.
L'idea è proprio quella che il digiuno accompagna sempre i momenti critici, anche quando il Testo non lo dice espressamente.
E' allora importante prima di dedicarci alla gioia e l'allegria di Purim fermarci in digiuno e contrizione per far sì che la nostra gioia sia poi esclusivamente gioia di mizvà.

Su Chabad.org
una guida completa a Purim
(ricette comprese!)