TORNANDO DA FERRAMONTI
di
Miriam Rebhun
Non
ero mai stata a Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Certamente ne conoscevo il
nome, legato al grande campo di concentramento prontamente allestito nel 1940
dal governo fascista per internare ebrei, apolidi, antifascisti italiani e
stranieri presenti sul territorio, ma non di più, perché, come molti, per anni
e per ragioni familiari, ho focalizzato la mia attenzione e le mie ricerche sui
ben più tristemente noti campi di sterminio tedeschi. Ora che ci sono stata, in
occasione del convegno legato alla Mostra “La Brigata Ebraica in Italia,
1943-1945”, in una mezza giornata ed in quel poco che resta del campo, mi si è
aperto un mondo, ho avuto sotto agli occhi un altro e particolarissimo
serbatoio di Memoria che chiede di essere custodito, valorizzato ed
approfondito.
Nella
breve visita al Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia, ho avuto come guida
la dott.ssa Simona Celiberti che, mentre illustrava la struttura, parlava con
passione della conservazione e del futuro del sito. La stessa determinazione a
fare del campo di Ferramonti un luogo di conoscenza e di approfondimento
storico traspariva, durante il convegno, dagli i interventi dei rappresentanti
delle Istituzioni, il Comune, rappresentato dal sindaco Roberto Amoruso, la
Regione dall’on. Franco Sergio, il Ministero dal prof. Francesco Fusca, il
mondo della scuola dalla dirigente Maria Virginia Veltri.
Roque
Pugliese, referente per la Calabria della Comunità ebraica di Napoli, portando
ai presenti il saluto del rabbino capo Umberto Piperno e della presidente Lydia
Schapirer, con il suo breve ed incisivo intervento metteva in luce l’apporto
dei volontari del Palestine Regiment che il 10 ottobre 1943 liberavano, primo
in Europa, un campo di concentramento e Leone Paserman, già presidente della
Fondazione Museo della Shoah di Roma, e figlio di un internato, ricordava tutte
le tappe che avevano portato alla formazione della Brigata Ebraica ed il
consistente contributo alla vittoria dato dai giovani ebrei venuti dalla
Palestina e da quelli presenti nelle truppe inglesi ed americane.
Ed
io? Io sono andata a raccontare la storia di due ragazzi della Brigata, due
volontari, mio padre ed il suo gemello, due berlinesi rifugiati in Palestina,
che in quegli stessi terribili mesi contribuivano con tutte le loro forze alla
vittoria delle forze alleate e, nello stesso tempo, si prodigavano per i
profughi, per gli ebrei sopravvissuti e collaboravano alla ripresa delle
Comunità ebraiche così duramente provate. Piccole storie di una grande Storia.
Nomi, vicende, luoghi, amori, dolori che danno concretezza e colore ai dati
storiografici. Anche per il campo di Ferramonti questo deve avvenire. Quante
più storie degli internati si riusciranno a ricostruire, tanto più ci si potrà
compenetrare in quella babele di lingue, in quel senso di sradicamento, in
quell’incertezza dell’avvenire, in quell’istinto di conservazione, in quello
sforzo di non perdere la dignità che sicuramente erano il pane quotidiano delle
persone trasferite in questo remoto angolo dell’Italia.
Consultando
l’elenco dei circa duemila internati, alla lettera R ho letto con emozione due
nomi: Guglielmo e Markus Rebhun. Parenti? Omonimi? Non lo so, ma questo mi ha
fatto sentire il campo di Ferramonti ancora più vicino ed anche mio. Scorrendo
l’elenco si nota con sollievo che tra quanti si trovavano a Ferramonti non c’è
stato nessun deportato, mentre con raccapriccio si leggono i nomi di tanti
trasferiti al centro e al nord che da lì sono stati deportati nei campi di
sterminio. Le vite degli internati erano soggette ai regolamenti, alle
decisioni e agli atteggiamenti dei dirigenti, al tipo di accoglienza della
popolazione
del luogo. Il mix di questi tre elementi hanno fatto di Ferramonti, a detta di
molti internati, un campo piuttosto speciale. Rileggere queste testimonianze,
raccoglierne delle nuove anche dalla seconda e terza generazione, oltre che a
conoscere meglio il passato, può farci comprendere quanto sia dura , anche in
situazioni completamente diverse, la condizione dei profughi attuali che
rischiano la vita per fuggire da guerre e povertà . Anche il loro futuro
dipende dalle leggi, dai regolamenti, dalla sensibilità di chi li mette in
atto, dall’atteggiamento accogliente o respingente della popolazione. Temi,
questi, con cui noi tutti oggi ci dobbiamo confrontare.
DUE DELLA BRIGATA
di
Daniele Coppin
Gli
eventi storici determinano le scelte ed il destino degli individui le cui
storie personali possono contribuire a comprendere meglio la portata di
cambiamenti epocali. Il libro “Due della Brigata”, di Miriam Rebhun, racconta
le vicende che hanno portato due giovani gemelli della borghesia ebraica
tedesca prima all’aliyah e poi all’arruolamento nella Brigata Ebraica, facendo
immergere il lettore nell’atmosfera di quel periodo del XX compreso tra
l’avvento del Nazismo in Germania e la nascita dello Stato di Israele. I
timori, i dubbi, i contrasti, le gioie sempre troppo brevi di Heinz e Gughy, i
gemelli Rebhun, vengono raccontati con delicatezza e, nel contempo, ma senza
mai edulcorazioni. La prima parte è incentrata sulla scelta dei due fratelli di
lasciare l’Europa per la nuova vita in Eretz Ysrael. Dapprima la decisione di
lasciare la famiglia e affrontare la sfida di andare a vivere nel luogo
agognato da generazioni ma così diverso da quello in cui i due gemelli erano
cresciuti, con tutte le difficoltà di adattamento ad un ambiente naturale e ad
un
contesto umano e sociale tanto diversi da quelli della tradizione ebraica
europea; poi l’angoscia per la drammatica situazione degli Ebrei europei
perseguitati; infine la decisione di arruolarsi nella Brigata Ebraica,
aggiungendo un nuovo importante tassello al processo di autodeterminazione del
popolo ebraico attraverso la lotta armata al nazifascismo. La seconda parte si
svolge tra l’Italia ed Eretz Yisrael. In Italia, durante l’avanzata degli
eserciti alleati lungo la penisola, Heinz giunge a Napoli e aiuta la comunità
ebraica a riassestarsi dopo gli anni delle leggi razziali e i danni subiti
dalla città partenopea nel corso della guerra e dove conosce la giovane
Luciana. In Eretz Yisrael, divenuto ormai teatro degli scontri armati
preliminari a quella che sarebbe stata la guerra del 1948-49, i novelli sposi
vanno a vivere con la prospettiva di un domani incerto e tutto da costruire per
loro e per la piccola Miriam. “Due della Brigata” è un tributo alla memoria di
chi accettando una sfida imposta dalla Storia, ha contribuito alla liberazione
dell’Italia
e
alla nascita dello Stato di Israele. Un tributo a persone normali capaci di
realizzare una missione straordinaria non per giovanile spirito di avventura ma
per poter vivere e aiutare altri a vivere, in nome di quell’etica della
responsabilità intrinseca nell’Ebraismo che consente ad ogni essere umano di
migliorarsi e migliorare la vita degli altri. A loro, a questi uomini e a
queste donne, va tutta la nostra riconoscenza per l’esempio che hanno
rappresentato e per il sacrificio che hanno compiuto.
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