Parashat BeReshit: BeReshit (Genesi) 1,1-6,8
Haftarah:Isaia 42,5-21 (sef);
Isaia 42,1-21 (it)
Isaia 42,1-21 (it)
Da Moked (9 ottobre 2015)
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino:identità…
Ricordo con frustrazione profonda i giorni dopo le
feste di Tishri quando, maestro in una piccola comunità ebraica d’Italia,
vedevo la sinagoga svuotarsi dei tanti volti e dei tanti passi e tornare al suo
essere luogo consono per pochi. Ricordo le ansie rispetto a tutti coloro che
non avrei rivisto se non in capo a un anno e che erano figli del mio popolo, ma
le cui vite erano altrove, destinate ed educate verso “l’altrove.” Ricordo i
giorni di tristezza per tutti coloro che sarebbero dovuti essere e che non
erano, per tutto il futuro che sarebbe dovuto essere parte di quella piccola
comunità (così come di altre) e che non lo era. Ricordo che come Ignazio Silone
in Fontamara mi chiedevo incessantemente: “Che fare?” Di fronte a questo mare
di gente nostra eppur lontana, che fare? Di fronte a chi non ha voluto o saputo
o potuto educare ebraicamente, che fare? Di fronte a quello che altro non è se
non assimilazione, che fare? Ricordo uno Shabbat Bereshit quando mi cadde tra
le mani una poesia di Kavafis, “figlio di ebrei”: “ Fu pittore e poeta, corridore
e discobolo,
Iante d’Antonio, bello come Endimione. / Cara alla
Sinagoga la sua gente. / “Quelli sono i miei giorni più preziosi, / quando
abbandono la ricerca estetica / e lascio l’ellenismo ardito e bello, con la
sovrana cura / delle bianche, perfette, corruttibili membra, / Allora sono
quello che vorrei / essere sempre: figlio d’Ebrei, dei sacri Ebrei.” /
Dichiarazione troppo ardente: “Sempre figlio di Ebrei, dei sacri Ebrei.” / Non
fu così. Non fu così. Chè l’Arte e l’Edonismo d’Alessandria l’ebbero / Loro
figlio, iniziato, consacrato.”
E forse in quello Shabbat Bereshit con la poesia di un
goy che esaltava la bellezza della perdita di sé nel mare della cultura
ellenica, non conoscendo la bellezza di ciò che siamo e del nostro mare, fui
portato a pensare che bisogna fare di tutto affinché gente come Iante d’Antonio
sia sempre “figlio di Ebrei, dei sacri Ebrei.”
L’uomo creatore - Parashat Bereshit, Rav Eliahu Birnbaum
Questa parashà dà inizio alla lettura
della Torà, offrendoci l’opportunità di un nuovo ciclo di studio e di
apprendimento dei testi biblici.
Bereshit è il libro della Creazione del
Mondo e del primo Uomo così come della nascita del primo ebreo. E’ il libro nel
quale il Creatore si manifesta, dando forma e movimento al suo sguardo
tridimensionale sul mondo e generando una creatura primordiale che si
caratterizza per essere fatta a Sua immagine e somiglianza: l’uomo è creativo
per definizione, rispetto a colui stesso che lo ha creato.
La prerogativa dell’impulso creativo non
appartiene a nessuna altra creatura all’infuori dell’uomo. I lavori di tipo
creativo compiuti da diverse specie animali sono prevalentemente di tipo
utilitaristico e volti a conseguire un vantaggio immediato: gli animali possono
costruire una tana ed accumulare cibo per l’inverno, ma la loro creazione non
supera i limiti della soddisfazione dei bisogni basilari. L’uomo creato “ad
immagine e somiglianza” del suo Creatore, è spinto verso una vita di costante
azione e creazione. L’uomo rispecchia il suo Dio nella creazione, nella
costruzione, nella formazione e nell’ azione che attua nel corso di tutta la
sua vita.
L’uomo deve essere effettivamente
cosciente della propria condizione di creatore sia nell’ambito materiale che in
quello spirituale; ciò è ben lontano dal trasformalo in Dio, ma lo rende degno
della sua condizione umana. La missione dell’uomo sulla terra consiste nel
perseguire la perfezione archetipica del progetto del Creatore. Noi siamo
creatori a nostra volta, proiezioni temporali della Sua Maestà, strumenti
temporali dell’Assoluto.
L’uomo ha la capacità di “creare” la
luce, estraendo energia dalla materia per illuminare le tenebre. Per completare
la sua missione, può e deve governare le forze del mondo minerale, vegetale e animale
al fine di organizzare il cosmo, partendo dal caos primordiale nel quale è
stato posto. Così, secondo le capacità e le inclinazioni di ciascuno, siamo
capaci di creare in ambito intellettuale, nell’arte e nella scienza applicata,
dando dignità alla vita della nostra specie, imparando a trasformare la natura
in strumento di armonia, in tecnologia e in mezzo per superare le barriere che
sono state poste al nostro intelletto e nella natura, proprio al fine di
stimolarci a superarle.
La scelta si impone ad ognuno di noi e,
più ampiamente, alla cultura alla quale apparteniamo ed al cui sviluppo
contribuiamo, anche con le azioni più banali dell’agire quotidiano. Possiamo
essere meramente guardiani del mondo, ponendoci su una torre solo per osservare
il regno su cui esprimiamo una sterile maestà. Oppure possiamo adottare
l’attitudine contemplativa di uno spettatore intelligente e apprendere
scientificamente i meccanismi che regolano il mondo nel quale viviamo, evitando
tuttavia un nostro intervento che potrebbe modificarlo. Ma la collocazione che
ci renderà chiaramente umani in armonia con le capacità che possediamo non è
tra quelle precedenti: lo spirito dell’ “imitatio dei”, imitazione di Dio,
consiste nel trascendere lo stadio primordiale ed intervenire responsabilmente
per controllare la natura e guidarla verso l’obbiettivo che solo noi, tra tutte
le creature che ci circondano, siamo capaci di individuare e di perseguire.
Da Torah.it
♫ La prima chiamata, rito romano, rav Haiim Della Rocca
♫ La prima
chiamata, rito
fiorentino, Manuel Ventura
di Rav Riccardo Pacifici
Le prime pagine della Torà espongono la genesi del
mondo e quella dell'Umanità. Sono pagine dense di significato e dense di
insegnamento, sono, forse tra le più profonde di tutta la Bibbia, perché
affermano e proclamano quelle idee e quelle verità che sono poi diventate le
idee e le verità fondamentali dell'ebraismo. Alla mente del lettore o dello
studioso attento, queste prime pagine rivelano una serie di problemi e di argomenti
che ugualmente si impongono all'esame per la loro importanza: la creazione, la
funzione dell'uomo nel mondo, il Sabato, il peccato, il primo omicidio,
l'Umanità adamitica ecc., sono tutti argomenti che richiedono uno studio ed un
commento a sé. Cominciamo dal primo argomento, ossia dal primo capitolo, da
questo grande e superbo capitolo che ad ogni lettura rivela nuovi significati.
E questo il vero capitolo che parla della genesi, della creazione del mondo, ma
ne parla con un linguaggio così solenne ed elevato che difficilmente si
riuscirebbe ad immaginare come la prima pagina della Torà potrebbe aprirsi su
un quadro più solenne e maestoso. E, ho detto, il capitolo della Creazione:
"Nel principio creò Iddio il cielo e la
terra". E qui occorre subito un'osservazione preliminare. Chi credesse di
trovare in questo racconto l'esposizione scientifica, direi geologica, delle
origini del nostro pianeta e delle sue vicende, potrebbe senz'altro chiudere il
libro, subito dopo il primo verso. La Torà non è un libro scientifico; non
parla cioè di verità ricercate o scoperte dagli uomini, attraverso il loro
lavoro intellettuale e le loro indagini razionali: la Torà non parla di verità
che oggi sono accettabili e domani sono respinte dalla stessa scienza che prima
le aveva proclamate. La Torà parla di verità assolute che, come tali non temono
il confronto con la scienza. Quando la Torà parla della creazione del mondo,
intende soprattutto affermare verità che erano attuali ai tempi di Mosè e dei
nostri padri e che sono parimenti attuali per noi: verità che non invecchiano,
verità che non si superano, perché appartengono ad una sfera ove non ha
interferenza il processo delle teorie dell'umana scienza.
La Torà vuole dunque
affermare, e lo afferma solennemente, che il mondo, questo mondo, questa terra,
i cieli e i mondi che vi si aggirano sono opera della volontà creatrice di Dio.
Questa verità che, forse, poteva essere enunciata anche con un solo verso, il
primo verso, è invece oggetto di un intiero capitolo nel quale, in una
successione meravigliosa, si espone in che ordine abbiano avuto origine le cose
che ci circondano. Dalla luce, simbolo più alto di vita, creata nel primo
giorno, ai cieli e alle acque, elementi primordiali, e da questi alla terra e
alle germinazioni arboree in essa poste, dagli astri e dalle stelle destinate a
regolare la vita, i tempi e le stagioni del nostro pianeta, agli esseri animati
che popolano gli spazi acquei e aerei, fino agli esseri animati che vivono
sulla terra e sino all'uomo, è tutta una meravigliosa scala di opere che dalla
luce, dal cielo, scende gradatamente sino all'uomo, creatura ultima in ordine
di tempo, ma prima rispetto allo scopo di tutta la creazione.
E in tutti questi
atti creativi, divisi armonicamente nei sei giorni, è sempre la parola di Dio,
ossia la Sua volontà che domina il quadro grandioso. Ogni atto creativo è
preannunciato dalla parola: Iddio disse, Iddio cioè, ordinò, volle, e la cosa
fu, quasi a ricordare che ciascuno di questi esseri creati, sia delle sostanze
superiori sia di quelle del mondo terreno, ciascuno di questi esseri è dominato
dalla volontà suprema di Dio. Non vi sono esseri, o poteri o divinità
all'infuori di Lui; non vi sono poteri o divinità nascoste nel cielo e nelle
acque e con esse personificate, non vi sono divinità negli astri e nelle
stelle, secondo le credenze dei popoli antichi, non vi sono infine divinità
della natura e del mondo vegetale e animale, ma su tutta la natura, tutti i
mondi e tutti gli esseri sovrasta l'unica divinità dominatrice di Dio, che
tutto ha chiamato all'esistenza con un atto del suo volere.
Tutto è stato da
Lui voluto e così creato, con quelle determinate leggi, con quei determinati
principi di sviluppo che giustificano la Sua approvazione; tutto ha una sua
via, una sua legge, un suo "perché", tutto è così perché così doveva
essere nei piani armonici della Creazione di Dio; tutto quello che esiste nel
mondo e sopra il mondo, tutta questa natura, tutto questo meraviglioso creato,
è così perché Egli lo volle; tutto ed anche noi, anche l'uomo così fu da Lui
creato per un fine superiore anzi per un fine che giustifica tutta la
Creazione. Appunto perciò l'uomo fu creato a "immagine di Dio" cioè
ha avuto da Dio il dono di uno spirito illuminato e immortale, il dono di una
volontà libera e buona che egli deve mettere in atto nella vita del mondo:
l'uomo sarà veramente la creatura eletta da Dio se manifesterà le divine virtù
che in lui si nascondono, sarà signore della natura, se saprà innalzarsi dalla
materia organica al mondo dei valori assoluti ed eterni, al mondo del bene che
egli può creare con la sua volontà. Tutta la natura ha uno scopo, tutta la
creazione ha un fine: far prevalere sulle cose create l'idea di Dio, l'idea del
bene e della volontà morale che deve permeare la vita del mondo: questo fine
della creazione che è poi il fine del mondo, è meravigliosamente espresso con
l'idea del Sabato. Tutto è creato, tutto è preparato per il Sabato; i sei
giorni formano un mondo a sé, il mondo della creazione materiale; dopo di essi
il settimo giorno, che è il mondo dello spirito, dell'assoluto, nel quale
l'uomo deve riconoscersi creatura di Dio che ha un limite alla sua attività,
come il mondo ha avuto un limite dalla mano dell'Artefice Sommo.
Nessun commento:
Posta un commento