In località S. Pasquale nei pressi di Bova Marina (contrada Deri), negli anni 1983-1987, si è rinvenuta fortuitamente e scavata una struttura che è stata chiaramente riconosciuta come una sinagoga ebraica (1). La sinagoga sorgeva in una località interessata da altre strutture. L'area non è ancora a tutt'oggi completamente esplorata, ma dovrebbe trattarsi con ogni probabilità di un piccolo villaggio in prossimità della strada costiera che, in antico, collegava Reggio con le altre località poste lungo la costa ionica. Con buona probabilità il sito è identificabile con l'antica Scyle, indicata, con diverse varianti, negli Itineraria antichi (2). Già il Catanea-Alati notava che accanto alla contrada Deri si conserva in un luogo il toponimo Scillàca o Scilliàca (3).
L'itinerario dell'Anonimo Ravennate segna in due diversi passi il toponimo di Sileon (4) dopo di quello di Leucopetra, muovendosi da Reggio lungo la via ionica.
L'itinerario Guidonense, epitome del precedente, conferma il nome del sito, dandone due varianti: Scilleum (5) e Sileum (6). La seconda riprende il nome dato dal Ravennate. La variante Scilleum è invece seguita da una fonte che supera le altre per importanza, la Tabula Peutingeriana, che dopo Regio e Leucopetra pone Scyle (7). La Tabula pone però un altro problema, rappresentato dalle distanze che sono segnate tra i nomi dei siti. Tra Regio e Leucopetra, separate da un fiume, si pone una distanza di 5 miglia. 20 miglia separano Leucopetra da Scyle, e altre 60 separano Scyle da Lucis. Ora se teniamo come punti fermi Reggio e Lucis = Locri, e accettiamo l'identificazione di Leucopetra con Lazzàro e di Scyle con Bova Marina, possiamo osservare che le distanze tra i primi tre siti (Regio, Leucopetra e Scyle) sono sostanzialmente esatte (8). Un problema sorge però dall'indicazione di LX posta tra Scyle e Lucis. In effetti la distanza tra Bova Marina e Locri è molto minore. La Crogiez, pur notando che "le problème des distances trop importantes de la Table, qui indique LX milles de Scyles à Locres, n'à pas été résolu" (9), non offre alcun tentativo di soluzione, pur concludendo che "on propose de reconnai^tre la station Scyle dans l'ensemble découvert dans la contrada Deri (loc. S.Pasquale)" (10). Ci sono tre possibili soluzioni del problema. Il Kahrsted tentava di risolvere l'aporia correggendo il LX della Tabula con XL (11). Il Catanea-Alati riteneva invece che si può pensare ad una deviazione dell'itinerario stradale, che, abbandonando la costa dopo Scyle, doveva internarsi per un certo tratto per poi nuovamente tornare sulla costa più avanti e toccare infine Lucis-Locri, facendo così aumentare la distanza fino a quella indicata fra Scyle e Lucis (12). Potrebbe essere un segno di questa deviazione verso l'entroterra la linea stradale della Peutingeriana, che dopo Scyle sembra fare una rientranza a sinistra fino a Lucis. Su tale ipotesi non concorda il Givigliano, che nota come "dal Torbido a Reggio i maggiori e più importanti addensamenti archeologici si trovano proprio sulla costa" (13). Una terza soluzione sta nel ritenere il LX indicato in quel punto della mappa non come l'indicazione della distanza tra i due siti di Scyle e Lucis, ma come un'indicazione della distanza complessiva tra Regio e Lucis; un po' come si fa in talune carte autostradali moderne, in cui i numeri di un colore indicano le distanze parziali tra alcuni punti, e altri numeri indicano le distanze tra altri punti più importanti. Nel nostro caso si tratterebbe della distanza tra due città, Reggio e Locri, indicate con il nome e con il disegno che lo accompagna.
Si noti ancora come l'altro importante itinerario dell'antichità, l'Itinerarium Antonini, non cita affatto la località. Anzi la toponomastica stradale della zona è alquanto diversa per tutta la zona, ponendo dopo Regio le località di Decastadium, Hipporum e Altanum, prima di Subsicivo=Locri. Secondo Catanea-Alati questo segnerebbe il passaggio tra una fase, testimoniata dall'Itinerarium Antonini, in cui vi erano alcune tappe stradali, che vennero a decadere nella tarda antichità in favore di altre, tra cui appunto Leucopetra e Scyle (14).
La presenza di un asse viario romano nei pressi del sito in questione è confermata da un ritrovamento archeologico degli inizi del secolo, avvenuto in contrada Amigdalà, consistente in un miliario (15). Il cippo, di "calcare granitico locale", fu rimodellato probabilmente da una colonna, e presenta due iscrizioni contrapposte. Le due iscrizioni testimoniano due momenti diversi di costruzione e di restauro della strada (16). La prima cita l'imperatore Massenzio, ed è databile agli anni 307-312 (17). La seconda viene datata al triennio 364-367, sotto gli imperatori Valentiniano e Valente (18). Altri due miliari rinvenuti ad alcuni chilometri a nord del sito di S.Pasquale, a Melito Porto Salvo (19), confermano che una strada romana passava lungo quel tratta costiero in età tardo antica.
Un'altra fonte epigrafica, il famoso Lapis Pollae, cita le popolazioni che offrirono il loro contributo finanziario nella costruzione della strada Popilia-Aquilia. Si citano "Napetinei, Hipponiatei, Mamertinei, Rheginei, Scyllacei, Cauloniatai, Laometicei, Terinaei, Temsanaei, Locren..., Thuriat..." (20). Ora è evidente il criterio topografico che elenca le popolazioni da nord verso sud fino a Reggio, quindi prosegue lungo la litorale ionica risalendo verso Thuri. Sono identificabili le popolazioni che da Napitia (Pizzo) si snodano via via verso sud fino ai Reggini. Sono evidentemente fuori posto, nell'ordine geografico, i Locresi (21). Ma resta il problema degli Scyllacei. Sono anch'essi fuori posto nell'elencazione? Non sarebbe così se li identificassimo con gli abitanti della Scyle posta fra Reggio e Locri. Sono altrimenti identificabili con gli abitanti di Scolacium, importante città romana individuata nei pressi di Catanzaro Lido.
Se accettiamo l'identificazione di Scyle con la zona di S.Pasquale di Bova Marina, siamo di fronte ai resti archeologici di un punto di sosta lungo una strada romana (22). Si trattava probabilmente di una mansio. Sappiamo che spesso tali mansiones e stationes, che erano nate in origine per il cambio dei cavalli del cursus publicus, divennero spesso, nella tarda antichità, agglomerati urbani. Sorgevano inoltre talvolta in posizioni strategiche nell'economia delle comunicazioni, presso punti di approdo quando si trattava di vie costiere. E' questo il caso di alcune stationes della Calabria. Potremmo pensare che il sito che sorgeva presso Bova Marina era un punto di approdo per i traffici importanti che avvenivano con l'Africa settentrionale. Contatti confermati, per tutta l'antichità e per la tarda antichità dalla ceramica.
Il sito ebbe una sua prima fase di vita già in età ellenistica, documentata solo dalle rilevanze ceramiche (23).
LA SINAGOGA
La sinagoga sorgeva in una zona periferica dell'insediamento, che, seppur inesplorato, si estende verso sud-est e verso nord-ovest (24). La memoria storica locale ricorda diversi rinvenimenti nella zona che potrebbero essere relativi al sito in questione (25). Il più importante riguarda probabilmente una serie di costruzioni (26) e quello che fu identificato come un impianto termale (27), ritrovati negli anni 60 ed in seguito interrati ed obliterati dalla costruzione del villino Nesci. La preziosa descrizione del Catanea-Alati, testimone oculare dei rinvenimenti, non è purtroppo corredata da piante o fotografie.
La sinagoga presenta almeno due fasi principali. La fase più antica dovrebbe essere, secondo la Costamagna, degli inizi del IV sec. (28). In questo periodo si costruiscono tre ambienti rettangolari affiancati, sul lato sud-ovest, e due ambienti quadrati sul lato nord-est. Gli ambienti rettangolari laterali sono in comunicazione con quelli quadrati. Tutte queste strutture hanno una coerenza di orientamento, lungo l'asse nord-ovest - sud-est, e l'intero edificio ha una forma tendente al quadrato.
L'ambiente principale dell'edificio è ben distinguibile dagli altri per il fatto che è adornato e monumentalizzato in modo precipuo.
Si tratta dell'ambiente quadrato meridionale. All'interno di questo si svolge un tappeto musivo scandito in sedici riquadri da un motivo a doppia treccia. Il perimetro esterno del mosaico è segnato da un bordo con motivo di foglie e frutti. Inscritti nei riquadri dei motivi circolari, al centro dei quali sono posti degli emblemata che alternano nei diversi riquadri il nodo di Salomone e la rosetta. I riquadri lungo la parete di ingresso sono realizzati solo a metà per mancanza di spazio, Questo fa pensare, come nota la Costamagna, che il mosaico è stato eseguito pedissequamente sulla base di un cartone di modello (29). E' possibile che tale modello non fosse stato realizzato espressamente per la sinagoga di Bova, ma provenisse da un'altra località. Questo spiegherebbe il taglio del disegno. Il riquadro al centro della stanza è diverso dagli altri: al centro dell'emblema sta la menorah; sui lati di essa a destra l'ethrog (30) e il ramo di palma, a sinistra lo shofar (31). Si tratta degli elementi tipici del culto ebraico, comunissimi nell'arte ebraica antica.
La menorah (rovinata nella parte centrale).
In basso si notano bene i piedi del candelabro.
Ai lati di questi si simboli della festa di Sukkoth
La menorah ha i bracci costituiti da rami su cui sono infilati melograni e con le estremità superiori raffiguranti le sette lucerne accese. La presenza di simboli relativi al culto giudaico è l'elemento che ha permesso di identificare inequivocabilmente l'edificio come sinagoga. Come nota il Goodenough, tra i diversi simboli ebraici "the sevenbranch "candlestick", the menorah, was far the most frequent, but with it, usually clustered about the lower part of the stem, were often also shown in more or less recognizable form one or all of the following: the bundle of twigs (the lulab), the little citrus fruit (the ethrog) carried in association with the lulab at the Feast of Tabernacles, as well as the shofar or ram's horn blown on New Year's, and a little shovel which it is now generally agreed was used for burning incense" (32). Tali simboli sono molto comuni nelle rappresentazioni figurate dell'arte ebraica, altrimenti povera di raffigurazioni (33), che sono proibite dalla Legge (34). Li ritroviamo nelle catacombe ebraiche, incise su lastre marmoree e dipinte su arcosolia, nei vetri dorati ecc. (35). Essi rimandano al culto principale, quello del tempio di Gerusalemme. Ora siamo in un'epoca in cui il tempio era stato distrutto da alcuni secoli. Si tratta dunque di un richiamo ideale ad un'epoca che i Giudei della Diaspora continuavano a vagheggiare.
Già Goodenough notava come tali simboli facessero riferimento alla festa dei Tabernacoli o Festa di Sukkoth (36).
Un frammento del mosaico
con la decorazione geometrica
del cd. ‘nodo di Salomone’.
Altri studiosi continuano su questa strada, vedendo nei simboli dell'ethrog e del lulab, tipici di questa festa, associati alle menorot e al sacrario della Torah, la rappresentazione della fede messianica (che in quella trovava la sua espressione rituale) (37) e della ricostruzione del Tempio (38), con tutte le relative implicazioni nazionalistiche (39). Dal punto di vista decorativo, il mosaico mostra legami con l'arte musiva dell'Africa settentrionale (in particolare con i mosaici della Tunisia) e con la Sicilia (Piazza Armerina) (40). Il mosaico di San Pasquale appartiene al tipo 3 della classificazione dei pavimenti mosaicati sinagogali dell’Ovadiah (41). La forma della menorah raffigurata nel mosaico appare per la prima volta, secondo il Negev, nelle rappresentazioni del soggetto, tra la seconda metà del IV e l’inizio del V secolo d.C., continuando fino al VII sec. (42).
Alcune importanti trasformazioni dell'edificio avvengono probabilmente verso gli inizi del VI sec.
Viene rifatta la parte sudorientale della sinagoga, abbattendola completamente, regolarizzando il terreno con una colmata, e ricostruendo gli ambienti con diverse dimensioni. La stanza rettangolare orientale riprende sostanzialmente la precedente, ma viene pavimentata in laterizi. Il secondo ambiente viene suddiviso in due stanze quadrate. Una fungeva probabilmente da atrio, la seconda da magazzino, per il ritrovamento in situ di parecchi frammenti di anfore. Si aggiunge inoltre sul lato nord-occidentale della sinagoga un altro ambiente quadrangolare, in asse con l'aula principale. All'interno di questo si è ritrovato un grande dolium interrato e un tesoretto monetale all'interno di una brocca (43). Si noti che questo ambiente aggiunto non comunicava direttamente con la sinagoga. Le trasformazioni di questo periodo fanno assumere all'edificio una forma decisamente diversa da quella della prima fase. A livello planimetrico infatti, dalla forma quadrata dell'intero edificio si passa ad una forma di ‘elle’. Anche all'interno dell'aula principale avvengono alcune trasformazioni, che sottolineano maggiormente l'orientamento della sinagoga verso sud-est. Ovvero in direzione di Gerusalemme, secondo l'uso conosciuto per tutte le sinagoghe, sia in Palestina che nella Diaspora (44). Infatti sulla parete orientale dell'aula si apre una piccola abside al centro della parete.
Questa viene monumentalizzata ulteriormente in quanto viene rialzata con un gradone in muratura rispetto al livello dell'aula, e circondata da una balaustra che doveva poggiare su ciottoli di fiume e su una lastra di marmo di reimpiego.
Questa trasformazione va a rompere in quest'area il pristino pavimento a mosaico. Nella zona rialzata e circondata dalla balaustra si costruì un tratto di mosaico che imitava i riquadri del pavimento precedente con il nodo di Salomone e altri motivi geometrici. Tale settore di mosaico pertinente alla seconda fase del monumento è più povero nella fattura del mosaico originario (45).
Si tratta qui della costituzione di una specie di bemah, un punto rialzato nei pressi del tabernacolo della Torah da cui il Presidente della liturgia proclamava la Scrittura o la spiegava (46).
Inoltre nell'angolo est della sala si rompe il mosaico antico per inserire un dolio interrato. All'interno di questo si sono ritrovati frammenti di lampade di tipo palestinese. Ma la scoperta più importante, all'interno del dolio, sono stati "sette sostegni per stoppino, ottenuti ripiegando opportunamente una lamina di piombo" (47). Si tratta probabilmente della parte terminale dei sette bracci di una menorah, il candelabro eptalicne, che abbiamo visto raffigurato nel mosaico al centro della sala (48). Probabilmente il resto del candelabro, che non si è conservato, doveva essere in materiale ligneo o deperibile (49). Il candelabro, insieme alle lucerne conservate nel dolio, doveva adornare la zona absidale della sinagoga. Zona che era senza dubbio l'edicola della Torah, che custodiva i sacri testi biblici (50). Nella stessa fase di trasformazione della sinagoga, databile con buona approssimazione agli inizi del VI sec., fu costruito a Sud-est un edificio con ambienti quadrati e ambienti allungati interpretabili, secondo la Costamagna, come scale, che dovevano quindi dare accesso ad un piano rialzato. Sotto il crollo dell'edificio si sono ritrovate alcune sepolture. Unico elemento datante una moneta piuttosto consunta dell'età di Arcadio. Solamente a livello di ipotesi di lavoro si potrebbe proporre un'interpretazione della struttura come albergo per eventuali correligionari di passaggio e/o ambiente per lo studio della Torah. Presso le varie comunità giudaiche antiche infatti, esistevano di queste strutture adiacenti alle sinagoghe (51). Tra la fine del VI e gli inizi del VII sec. abbiamo tracce di un incendio e di una distruzione violenta dell'insediamento. Il tesoretto ritrovato nell'ambiente settentrionale, con monete di circolazione corrente, testimonia un abbandono improvviso e definitivo del sito. L'elemento datante più tardo è un frammento di ceramica sigillata africana della prima metà del VII sec. (52).
La tipologia edilizia dell’ultima fase può essere inquadrata al terzo tipo di sinagoga detta ‘basilica with an apse’ o ‘apsidal synagogue’, secondo la classificazione tradizionale (53). Il Groh, pur basandosi su questa classificazione, tenta di articolarla maggiormente. Egli nota come la presenza di mosaici pavimentali sia ascrivibile all’inizio del IV sec., mentre l’importanza dell’edicola della Torah (54), rivolta verso Gerusalemme, viene sottolineata, anche con la costruzione di bemah, nello stesso secolo (55). D’altro canto il Kraabel nota come “the shape and materials of the Diaspora synagogue will be determined first by local custom and conditions” (56), e che “the primary data for the synagogue Judaism of the Roman Diaspora are scattered and diverse” (57). Orientamento (58) e caratteristiche di alcuni edifici abbastanza simili al nostro presenti nel sud della Giudea sarebbero da ascrivere, secondo l’Amit, alle prescrizione della corrente halachica del Giudaismo post-esilico, ben testimoniata nella letteratura talmudica (59).
Secondo Bouyer inoltre la stessa liturgia vuole fare riferimento al Tempio, per cui “c’est tout un véritable rite qui était lié à l’acte et de prendre les Ecritures dans le coffre et de les lire, un rite en étroite relation avec celui de Temple” (60).
Note
1 Il rinvenimento è avvenuto durante gli scavi per la realizzazione della nuova strada statale 106 Jonica. Lo scavo è avvenuto ad opera della Soprintendenza Archeologica della Calabria (COSTAMAGNA 1991, p. 619). Il riconoscimento della struttura quale sinagoga è legato essenzialmente alla presenza di un pavimento musivo (v. infra) con simboli della tradizione iconografica ebraica. Tali simboli sono talvolta usati, come nota CORNFELD 1977, pp. 329-331, anche in monumenti giudeo-cristiani. Ma la collocazione geografica e cronologica del nostro edificio fa sì che essi siano attribuibili ad una produzione giudaica.
2 Si noti come toponimi simili si ritrovano in altre due località della Calabria centro-meridionale: Scilla e Scolacium, e in una località non identificata della Africa settentrionale (Atti dei martiri scillitani).
3 CATANEA-ALATI 1969, p. 46. GIVIGLIANO 1994, p. 323 segnala come nell'Atlante topografico del Regno di Napoli del Rizzi Zannoni (del 1808) si attribuisca il toponimo di "T.Varrata o sia Pietra Teodosia" a S.Pasquale di Bova.
4 ANONIMO DI RAVENNA IV,31-32; V,1.
5 ITIN.GUIDONENSE 30-31.
6 ITIN.GUIDONENSE 72.
7 TAB.PEUTINGERIANA.
8 Cfr. GIVIGLIANO 1994, p. 323.
9 CROGIEZ 1990, p. 408.
10 CROGIEZ 1990, p. 408.
11 KAHRSTEDT 1960. Già MILLER 1916, che identificava Scyle con Palizzi Marina, proponeva come corrotta l'indicazione della Peutingeriana.
12 CATANEA-ALATI 1969, p. 44.
13 GIVIGLIANO 1994, p. 323.
14 CATANEA-ALATI 1969, pp. 44-45.
15 PUTORTÌ 1913, p. 318.
16 Il riutilizzo dello stesso cippo con la duplice iscrizione, oltre che da esigenze di economia, è testimonianza della damnatio memoriae che colpì l'imperatore Massenzio (cfr. COSTABILE 1987A, p. 153).
17 Imp(erator) Caes(ar M(arcus) A(urelius) / Val(erius) Maxentius / p(ius) f(elix) invictus / ac perpetuus / semper Aug(ustus).
18 D(ominis) N(ostris) / invictissimis / imperatoribus / Valentiniano / et Valenti // A[u]g(ustis duobus) bono / r(ei) p(ublicae) natis.
Lo scioglimento delle due iscrizioni seguito è quello di COSTABILE 1987A, p. 153. Per la datazione v. GIVIGLIANO 1994, p. 323.
19 Identificata con la Decastadium dell'Itinerarium Antonini, in quanto uno dei due miliari indica proprio la distanza di 20 miglia da Reggio. Si tratta dei miliari XX e XXI: [C(aius) Flau(ius) Valer(ius) Licinius] / [Licinianus Aug(ustus) bono r(ei) p(ublicae)] / natus m(ilia p.) XX // D(ominis) n(ostris) Crispo [Lic]in[iano] / et Cost[a]ntino / nob[ilissimis] Caes(aribus) (tribus) / m(ilia p.) XX; D(omino) n(ostro) / [C(aio) Fl(auio) Valer(io) [Lici]niano / [Licinio] b[ono] / r[(ei) p(ublicae)] nato / m(ilia p.) XXI // d(ominis) n(ostris) Cri[sp]o [et] / Cons[ta]nt[ino] nobilis(simis) / [Caes(aribus)] (duobus). Pubblicazione in COSTABILE 1987B, pp. 227-228 e 230. Lo studioso (pp. 230-234) data le iscrizioni rispettivamente agli anni 312-324 e agli anni 314-324. La loro collocazione nello stesso luogo non sarebbe a causa di un comune riutilizzo medievale, ma sarebbe avvenuto , secondo il Costabile, già in antico (p. 234 e nota 33).
20 L'editio definitiva dell'iscrizione si trova in ILLRP I 454a; la bibliografia relativa si può vedere in GIVIGLIANO 1994, p. 347 nota 209.
21 Secondo CATANEA-ALATI 1969, p. 42 nota 3, ciò è dovuto al fatto che "nella prima attuazione della strada questa non passava da Locri (...). Ciò non esclude che Locri facesse parte di altra rete stradale che confluiva in quella, diremmo oggi, statale".
22 LATTANZI 1987, p. 109.
23 COSTAMAGNA 1991, p. 623.
24 COSTAMAGNA 1991, pp. 620-621, figg. 1-2.
25 CATANEA-ALATI 1969, pp. 37 ss.
26 "I pavimenti ed i muri basali di una quarantina di case, di cui alcune costruite con calce idraulica rossiccia ed altre con calce bianca grassa, poste in regolari allineamenti, portando alla superficie molto pietrame, abbondanti rottami vascolari, grossi mattoni pavimentali, elementi discoidali di colonnine in cotto, frammenti di tegole piane, qualche arnese (fra cui una bilancina in bronzo ...), ed ossami di scheletri con due teschi umani. Su vasta parte del terreno smosso emerse un polverone carbonioso, segno evidente che l'abitato aveva subìto la distruzione violenta col fuoco" (CATANEA-ALATI 1969, p. 39).
27 "Vari ambienti riscaldati da pavimento e pareti radianti. Bene riconosciuto il laconicum per il bagno di sudore (...) con sotto-pavimento a grosse piastrelle in cotto di cm 60 x 40, sostenute da colonnine pure in cotto, formate da mattoni discoidali (...) Il laconicum era riscaldato anche da calore radiante alle pareti per effetto di condotti ad aria calda verticali ricavati con elementi prefabbricati (...) Agli incastri dei muri restavano ancora i residui del rivestimento marmoreo delle pareti (...) La vasca per il riscaldamento per l'acqua era prossima al laconicum (...) Dalla torre di riscaldamento l'acqua veniva portata alle vasche da bagno a mezzo di tubazioni (...) Furono identificate due stanze da bagno(...) In tre ambienti venne rintracciata la pavimentazione a mosaico policromo" (CATANEA-ALATI 1969, pp. 40-41).
28 COSTAMAGNA 1991, p. 623.
29 COSTAMAGNA 1991, p. 624.
30 Il ramo di cedro.
31 E’ il corno d’ariete che serviva per l’adunanza.
32 GOODENOUGH vol. XII, 1965, p. 78; cfr. OVADIAH 1995, p. 313.
33 OVADIAH 1995, p. 318 nota che “over and above the unique character of the Jewish motifs - the Torah Shrine, the menorah, the shofar, the machta, the lulav and the ethrog occasionally appear on reliefs and mosaic floors- the ornamentation of ancient synagogues draws its inspiration from decorative, iconographic and stylistic sources of the non-Jewish Greek-Roman world and the Orient”.
34 L'esempio più noto ed importante di deroga dal divieto legale di rappresentazione, specialmente di figure animate, viene dalla sinagoga di Doura Europos, in Siria. Le numerose pitture parietali dell'edificio, databili agli anni 244-245, sono tratte da soggetti biblici (la sua letteratura è molto vasta: cfr. KRAELING 1956; GOODENOUGH voll. IX-XI; GUTMANN 1973; BRILLIANT 1990, pp. 80-83).
35 Un discreto numero di testimonianze possono vedersi in I tal Ya (v. bibl.).
36 GOODENOUGH vol XI, p. 78.
37 Cfr. BRILLIANT 1990, p. 74.
38 ST.CLAIR 1966, pp. 5-15 (cfr. BRILLIANT 1990, p. 79).
39 Il NARKISS 1987, p. 185 nota come “in addition to the Temple and Tabernacle implements, other symbols that adorn the synagogues, appearing either in stone reliefs or in mosaic floors, can be identified as Jewish national symbols: the four or seven species symbolizing the Temple festival of Sukkoth”.
40 COSTAMAGNA 1991, p. 625; FIACCADORI 1994, p. 747.
41 L’Ovadiah propone la seguente classificazione: 1) scene bibliche; 2) Zodiaco; 3) Arca della torah con menorot e altri simboli (OVADIAH 1995, p. 310).
42 Si tratta delle fasi 3 e 4 proposte per la classificazione delle menorot da NEGEV 1967, p. 74*. Nella terza fase le menorot sono “with horizontal plates atop the branches, bringing about an end to the staging of the branches. This plate srved as a base for the lamps. The accompanying symbols are quite frequent during this period”. Nella quarta fase tale tipo diviene comune, come comune diviene la presenza dei 4 simboli che lo accompagnano (ethrog, lulab, shofar e pala dell’incenso) insieme ad altri. I primi tre sono presenti nel mosaico di San Pasquale.
43 La presenza di “collection box with coin in it” è tipica di molti edifici sinagogali, come Beth- Alpha, Ma’on, En-Gedi (SAFRAI 1995, pp. 198-199), in quanto la sinagoga svolge il compito anche di deposito bancario della comunità.
44 Cfr. GOODENOUGH vol. XII, p. 41. Riguardo al posizionamento nei pressi del mare dell'edificio, si noti come è anch’esso tipico delle sinagoghe della Diaspora. Con SQUARCIAPINO 1961, pp. 335-336 noteremo infatti che l'unica disposizione che regolava il posizionamento delle sinagoghe era presente nel Talmud, dove veniva indicata come preferibile la parte alta delle città. Ma, specialmente per quanto riguarda le sinagoghe della Diaspora, la posizione preferita era quella presso il mare o corsi d'acqua (come si può vedere a Delo, Egina, Mileto). Flavio Giuseppe (Ant. XIV,10,23 par. 258) nota che gli Ebrei di Alicarnasso costruirono la loro sinagoga presso il mare "come era loro costume", mentre S.Paolo visita la sinagoga di Filippi "presso il fiume" (At 14, 13).
45 COSTAMAGNA 1991, pp. 626-627.
46 Nota il FOERSTER 1987, p. 140 come “Jewish liturgical requirements in the synagogue were simple and did not involve the rich and complicated processions and ceremonies that characterize Christian liturgy. Thus, the main features of the prayer hall are one or two aediculashaped ahrines, intended to house the Torah scrolls (...). The reading of the Law must have taken place not too far from this spot”. Sulla liturgia sinagogale v. anche COHEN 1987.
47 COSTAMAGNA 1991, p. 627.
48 Gli editori del monumento non fanno cenno di questa possibilità di interpretazione. LATTANZI 1987, p. 110 nota che tali stoppini sono "usati con le lampade in vetro di forma conica, assai diffuse in Oriente, come confermato dal prof. Foerster dell'Università di Gerusalemme".
49 Si noti che il dolio fu "oggetto di distruzione violenta" (LATTANZI 1987). La sua presenza accanto all'edicola della Torah e il suo contenuto ci fanno ipotizzare che doveva trattarsi di una specie di sacro ripostiglio, un contenitore per gli arredi dell'edicola stessa (una sorta di favissa).
50 Letteralmente la Torah ("la Legge") comprendeva i primi cinque testi della Bibbia, il Pentateuco. Per estensione però indicava tutta la Bibbia (ovviamente, per gli ebrei, l'Antico Testamento), quello che era "la Legge e i Profeti".
51 Cfr. SQUARCIAPINO 1961 p. 336; KRAABEL 1995 p. 120 nota come “the Diaspora ‘synagogue’ will be a complex of several rooms (...). The Synagogue may include a school, a hostel, a dining hall, even a kitchen and, as at Stobi, the donor and his family may live upstairs”. Riguardo alla presenza di tali tipi di strutture anche nelle sinagoghe della madrepatria cfr. SAFRAI 1995, pp. 190-191 e passim.
52 COSTAMAGNA 1991, p. 628 nota 49.
53 Si distinguono tradizionalmente tre tipi: 1) tipo basilicale o galileo; 2) tipo ‘broadhouse’; 3) tipo basilicale absidato (cfr. URMAN 1995, p. XXVI). Tale classificazione, considerata utile ai fini della datazione, almeno per le sinagoghe palestinesi, è oggi rivista, almeno per quanto riguarda i caposaldi cronologici (cfr. GROH 1995).
54 BOUYER 1973, p. 139 afferma che “Dans la synagogue, le coffre placé près du bêma et dans lequel les Ecritures étaient conservées était appelé l’”arche”. Cela donne donne immédiatement à penser qu’on l’assimilait au coffre antique qui portait ce nom et que, dans le saint des saints au Temple de Jérusalem jusqu’au temps de l’exil, on avait cru être le lieu même de la présence de Dieu”.
55 GROH 1995, p. 69, punti 5-6.
56 KRAABEL 1995, p. 119.
57 KRAABEL 1987, p. 50.
58 L’orientamento delle sinagoghe palestinesi analizzate (AMIT 1995, p. 129 punti b-c) è ovviamente diverso per questioni geografiche: arca della Torah a Nord (guardando verso Gerusalemme), ingresso a Est. La rotazione rispetto alla posizione reciproca tra Italia meridionale e Gerusalemme mantiene invariate le prescrizioni in questione. BOUYER 1973, p. 140 nota come “”l’audition solennelle de la parole de Dieu praparait là (nella sinagoga) le sens d’un contact établi avec la présence divine sur le Mont Sion, devenait le signe et le gage de l’alliance, par lesquels le rite consacrait le peuple à son Dieu. L’audition de la parole devient ainsi le centre d’un rite nouveau conçu comme un prolongement de celui du Temple”.
59 AMIT 1995.
60 BOUYER 1973, p. 139.
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