Martedì
4 dicembre si è svolto a Reggio l’incontro “Nasha Golda: Golda nostra”,
dedicato a Golda Meir, Premier di Israele, nel 40° della scomparsa (8 dicembre
1978), che ha inaugurato un ciclo di incontri sul tema “Le donne e la storia”.
Ringrazio
Tonino Nocera, che ha gentilmente messo a nostra disposizione il testo del suo
intervento, che ha aperto col video di un dialogo tra Barbra Streisand (che
canta anche lo HaTikvah, l’inno nazionale d’Israele) e Golda Meir.
(si può leggere la notizia dell'incontro su StrettoWEB)
Shalom! Abbiamo aperto con questo dialogo
tra due donne straordinarie che hanno qualcosa in comune: oltre essere ebree.
Barbara Streisand è stata la protagonista
di un film Yentl, tratto da un
racconto di Isaac Singer. È la storia di una ragazza che si finge uomo per
poter studiare in una Yeshivah (scuola
rabbinica).
David Ben Gurion pare che dicesse di Golda
Meir: “È l’unico uomo del mio governo”. Golda osserva che per una donna essere
considerata un uomo dovrebbe essere un complimento e si chiede: vale anche il
contrario? È un elogio dire a un uomo che sembra una donna? In realtà è un modo
per dire: essere uomo è meglio che essere donna. Questo per sottolineare le
differenze di genere: oggi come ieri, quando era ancora più difficile per una
donna affermarsi. Eppure Golda riuscì! Come?
Forse il segreto è racchiuso in queste sue
parole: “Nulla nella nostra vita semplicemente accade. Basta credere in qualcosa
e possedere l’energia necessaria per lottare e affrontare gli ostacoli, perché
si riesca a superarli”. Golda, inoltre, spiega che per un popolo (e anche per
un individuo, aggiungo) ci sono due modi per far fronte ai problemi o meglio
uno solo. Abbandonarsi al lamento (amo definirlo triulismo) o reagire. Lei
reagì!
Nata a Kiev, cresce a Pinsk come Golda
Mabovitch. La famiglia non era particolarmente religiosa, ma l’ebraismo – come
dimostra la sua vita – è qualcosa che va oltre la religione.
Le precarie condizioni economiche e
l’antisemitismo furono la cornice della sua infanzia. Per quegli anni non prova
alcuna nostalgia: ricordando il padre inchiodare le assi alla porta di casa per
difendere la famiglia da un pogrom. Gli ebrei russi hanno un solo modo per
cambiare vita: emigrare in America la Goldene
Medineh la Terra dell’Oro come veniva chiamata in yiddish. Perciò il padre
varca l’Oceano: poi tocca al resto della famiglia. In treno per Vienna, Anversa
e, infine, quattordici giorni di nave verso il Nuovo Mondo: destinazione
Milwaukee.
La città aveva una storia interessante,
dopo il 1848 - Primavera dei Popoli - divenne meta d’esilio per numerosi
liberali e intellettuali tedeschi. Anche qui anni duri. I primi tempi Golda e la
famiglia vivono in una sola camera. Golda studia e aiuta la madre nella
gestione di un negozio, dove si reca a piedi: i soldi dell’autobus risparmiati
saranno utilizzati per l’acquisto di un cappotto. Intanto, la sorella Sheyna
sposa Shamai contro il volere dei genitori. Scrive Golda: “Ma Shamai non solo
amava Sheyna: la capiva”. Per sposarsi i due giovani si trasferiscono a Denver,
dove poi saranno raggiunti dalla giovane Golda. Ma la convivenza con la sorella
non è facile perciò va a vivere da sola contando solo sulla fortuna del matto. Intanto,
conosce Morris Meyerson che così descrive a un’amica: “Non è bellissimo, ma ha
una bellissima anima”.
Morris la convince a tornare a Milwaukee per
riprendere gli studi. La Grande Guerra irrompe nella sua vita: trasformando la propria
casa in un comando di tappa per tutti i giovani ebrei che vogliono arruolarsi
nella Legione Ebraica. Un ruolo sarà svolto dal B’nai B’rith (I Figli del
Patto) associazione ebraica paramassonica cui il padre appartiene. Intanto a Milwaukee
giunge David Ben Gurion: il Garibaldi d’Israele. Golda incontra il sionismo, inizia
a sentir parlare di Tel Aviv e si convince che il suo posto è in Israele. Finita
la Prima Guerra Mondiale e convinto Morris (che nel frattempo aveva sposato): compiono
l’Aliyah. Un lungo viaggio. Nave sino a Napoli; treno per Brindisi; nave sino ad
Alessandria d’Egitto e, infine, treno per Tel Aviv. Anche qui vita dura:
piccolo appartamento senza energia elettrica e bagno.
Ancora lo stato d’Israele non era nato ma
prendevano già forma le prime strutture embrionali che avrebbero costituito
l’ossatura del nuovo stato. Una convinzione pervade Golda: non essere stati
invitati da nessuno a compiere l’Aliyah e non aver ricevuto alcuna promessa per
il futuro li aveva rafforzati nella determinazione della scelta compiuta. Con
il marito Morris decidono di trasferirsi nel kibbutz Merhavia (ampi spazi di Dio): ma la vita è durissima. I bambini
vivono, mangiano, studiano assieme. La giornata comincia andando nei campi alle
quattro del mattino perché poi il caldo rende impossibile lavorare. Ma la
malattia del marito (tra l’altro Morris non ama la vita del kibbutz) li fa
trasferire a Gerusalemme, dove nasceranno i figli: Sarah e Menahem. Gerusalemme
punto di riferimento per l’ebraismo.
Salmo 137:5-7
Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
Gerusalemme sempre unita: tranne per 19
anni, dal 1948 al 1967, quando Ha Kotel, il Muro - finito nella zona giordana -
è inaccessibile agli ebrei. A Gerusalemme Golda comincia a lavorare presso il
Consiglio femminile del lavoro del partito laburista. Inizia anche a viaggiare
per incontrare le comunità ebraiche – in particolare quelle statunitensi – e
rappresenta il partito laburista a vari incontri internazionali. Intanto: la
sinistra ombra di Hitler fa capolino. Per sfuggire alle sue politiche
antisemite aumenta l’Aliyah. Golda partecipa, come osservatore, alla Conferenza
d’Evian organizzata dal Presidente Franklin Delano Roosevelt per dare una
risposta ai profughi ebrei in fuga dalle persecuzioni.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Ben
Gurion pronuncia la famosa frase: “Combatteremo Hitler come se non esistesse
alcun Libro Bianco, e combatteremo il Libro Bianco come se non esistesse
Hitler”. Golda continua la sua vita di dirigente politico e, soprattutto, di
madre. Seguendo una strategia: spingersi oltre quello che ha fatto il giorno
prima e che riteneva fosse il massimo.
Incontra Enzo Sereni, una straordinaria
figura di sionista, figlio del medico di Casa Savoia, compie l’Aliyah ed entra
nell’Haganah. Paracadutato nell’Europa occupata, è fatto prigioniero: morirà a
Dachau. Intanto, tra scontri con gli arabi e repressione inglese, si avvicina
la nascita dello stato d’Israele.
Il 29 Novembre 1947 l’Assemblea delle
Nazioni Unite vota la nascita di due stati: uno ebraico e l’altro arabo. Trentatré
stati a favore (tra cui Stati Uniti), tredici contrari e dieci astenuti,
compreso il Regno Unito. Golda parte per gli Stati Uniti con l’obiettivo di
raccogliere fondi per armare il nuovo stato. Il 14 Maggio 1948 è proclamato lo
stato d’Israele. Immediatamente gli eserciti di cinque paesi arabi lo attaccano
con un obiettivo: distruggerlo e buttare a mare gli ebrei. Nonostante le parole
di Ben Gurion nella Dichiarazione d’Indipendenza: “Noi stendiamo la mano, in
segno di pace e di buon vicinato, a tutti gli stati che ci circondano e alle
loro popolazioni, e li invitiamo a cooperare con reciproco giovamento con lo
stato ebraico indipendente entro i suoi confini. Lo stato d’Israele è pronto a
dare il proprio contributo in uno sforzo congiunto per il progresso dell’intero
Medio Oriente”. Gli USA sono i primi a riconoscere Israele, il Guatemala è il secondo
stato.
La Guerra d’Indipendenza termina il 24
Febbraio 1949: seimila israeliani sono caduti per difendere il diritto
all’esistenza d’Israele. Golda è nominata ambasciatore a Mosca: resta per sette
mesi. Toccante l’incontro con gli ebrei russi. Durante una funzione presso la
Grande Sinagoga di Mosca è acclamata al grido di Nasha Golda, Golda nostra.
Torna in patria per diventare Ministro del Lavoro. Un compito immane: creare
lavoro in uno stato appena nato. Vara, pertanto, un imponente piano di lavori
pubblici in particolare: costruzione di strade e abitazioni, rimboschimento.
Inizia a confrontarsi con il mondo
religioso israeliano. Probabile candidata laburista a sindaco di Tel Aviv è
bocciata da un esponente di un partito religioso. Ma un’altra sfida l’attende:
il Ministero degli Esteri. Secondo Ministro degli Esteri nella storia dello
stato. Si avvicina la guerra del 1956 e spiega “Anche se nessuno voleva farlo:
noi abbiamo riconosciuto i sintomi”. Anche questa volta massima segretezza e
Golda spiega come sia duro mantenere un doveroso segreto di stato.
Golda, Ministro degli Esteri, inaugura una
stagione di feconde relazioni in Africa. A queste nazioni Israele offre
supporto tecnologico - principalmente in campo agricolo - e valori come
giustizia sociale e lotta alla povertà. In Liberia Golda è nominata gran capo
della tribù dei Gola e iniziata ai misteri tribali: non rivelò mai cosa accadde
nella capanna. In Ghana, partecipando a una conferenza dei paesi africani, è
attaccata dal rappresentante algerino perché Israele acquista armi dalla
Francia di De Gaulle.
Replica: “I nostri vicini stanno per
distruggerci con armi ricevute gratuitamente dall’Unione Sovietica e per somme
irrisorie da altri paesi. L’unico paese al mondo disposto, in cambio di valuta
pregiata, e molta, a venderci una parte delle armi di cui abbiamo bisogno per
difenderci è la Francia. Io non condivido il vostro odio per De Gaulle, ma
consentitemi di dire la verità, anche se vi dispiace sentirla: De Gaulle
potrebbe essere il diavolo in persona, ma io riterrei ugualmente doveroso da
parte del mio governo, acquistare armi dall’unica fonte disponibile. E ora
permettetemi di porvi una domanda: se voi vi trovaste nella nostra stessa
posizione, che fareste?”.
Grazie a questi viaggi molte bambine
africane saranno chiamate Golda. In Rhodesia, dinanzi alla richiesta della
polizia: “whites only”; non accetta di essere separata dai leader africani. Un
incontro straordinario è quello con il Negus d’Etiopia, Hailè Selassiè –
discendente, secondo la leggenda, di Re Salomone e della Regina di Saba – esule
per un anno a Gerusalemme durante l’occupazione italiana. Le relazioni con
molti paesi africani vengono meno con la Guerra dei Sei Giorni. Oggi Israele è
tornata in Africa: accolta a braccia aperte.
Complicato il rapporto con la Cina per cui
chiede aiuto a Pietro Nenni. Alcuni esponenti politici cinesi commentarono che
se ogni popolo di tre milioni di abitanti si metteva in testa di creare uno
stato sarebbe stato un male per il mondo. Ottimi rapporti anche con Giappone e
Birmania. Singolare un episodio, durante una visita in Israele di U Nu, Primo
Ministro Birmano, Ben Gurion gli fa vedere con orgoglio gli alberi piantati
lungo la strada da Tel Aviv a Gerusalemme. Un terreno roccioso dove era
difficile farli attecchire ma la “dura cervice” israeliana non si arresta
dinanzi a nulla. U Nu allerta Ben Gurion invitandolo a vigilare perché quegli
alberi sarebbero cresciuti. Per lui, birmano, il problema è controllare l’espansione
della foresta. Per Ben Gurion, israeliano, il problema è l’opposto: favorire la
crescita dei boschi.
Incontrando il primo Ambasciatore della
Repubblica Federale Tedesca in Israele, Golda spiega che non può aspettarsi
un’accoglienza calorosa. Lui, Rolf Pauls, risponde che ne è consapevole e
appena arrivato ha reso omaggio al Yad Vashem. Farà in modo che quella tappa
sia un obbligo per ciascun tedesco che si recherà in Israele. Vi è poi il
processo Eichmann. Sarà impiccato. Il poeta Bialik dirà che neppure il diavolo
in persona potrebbe escogitare una punizione adeguata per chi si è reso
responsabile dell’uccisione anche di un solo bambino.
Nel parlare al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU sulla vicenda Eichmann dichiara: “E costituisce forse una minaccia
alla pace il fatto che Eichmann sia stato tradotto in giudizio proprio da
coloro alla cui totale distruzione fisica aveva dedicato tutte le sue energie, ancorché
le modalità del suo arresto abbiano violato le leggi argentine? O la minaccia
alla pace non risiedeva piuttosto nell’ essere Eichmann libero, impunito, in
grado di diffondere a una nuova generazione il veleno della sua anima malvagia?“.
In un altro discorso all’Onu afferma: “Eppure, Israele esiste, cresce, si
sviluppa, progredisce. Noi siamo un antico, tenace popolo e, come ha dimostrato
la nostra storia, non è facile distruggerci. Dove siamo: rimarremo”. Poi con
tono profetico “Israele esisterà e progredirà anche senza la pace, ma è certo
che un futuro di pace, sarebbe meglio sia per Israele che per i suoi vicini”.
Dopo gli anni al Ministero degli Esteri,
girando il mondo, Golda pensa di fermarsi. Ma un’altra guerra è all’orizzonte:
quella dei Sei Giorni. Ancora una volta lo stesso obiettivo: distruggere
Israele. Ancora una volta Israele vince non avendo alternative: vincere o
scomparire. Gerusalemme è riunificata e quando i paracadutisti israeliani raggiungono
il Muro Occidentale trasmettono un messaggio destinato a restare nella storia e
a infiammare i cuori: “Il Monte del Tempio è nelle nostre mani”. Pare che Moshe
Dayan commentò: “Ora che facciamo di tutto questo Vaticano?”.
I luoghi di culto sono aperti ai fedeli di
tutte le religioni e la spianata delle Moschee data in gestione ai mussulmani. Dopo
la guerra vinta: ennesima offerta di pace di Israele, ancora una volta respinta
al mittente. Con la conferenza di Khartoum sono pronunciati i tre famigerati
no: no alla pace con Israele, no al riconoscimento dello stato di Israele, no a
trattative.
Golda compie settant’anni e il destino le
riserva un altro incarico: Primo Ministro per cinque anni. Un ulteriore
aggravio di lavoro con maggiori limitazioni della propria vita privata per
motivi di sicurezza. Tra le prime indicazioni, Golda chiede di essere
informata, anche nel cuore della notte, dell’esito delle operazioni militari e
in particolare di eventuali perdite. Gli alti ufficiali rispondono che
l’avrebbero informata al mattino: svegliarla sarebbe stato inutile. Ma per lei è
una sofferenza sapere che giovani israeliani rischiano la vita: mentre lei dorme.
Importante in quegli anni la visita a
Washington al Presidente Richard Nixon per rinsaldare le relazioni d’amicizia
tra le due nazioni. Durante una conferenza stampa alla domanda se Israele,
messa alle strette, avrebbe fatto ricorso alle armi nucleari. Risponde che
Israele non se la sarebbe cavata troppo male con le armi convenzionali. Da Primo
Ministro non viene meno la sua attenzione alla giustizia sociale e si impegna
nella costruzione di alloggi e scuole. Intanto si verificano eventi terribili
come il massacro degli atleti
israeliani alle Olimpiadi di Monaco.
Ricevuta in udienza da Paolo VI, all’osservazione
del Papa sulla durezza del comportamento israeliano verso gli arabi replica che
il suo primo ricordo è l’attesa di un pogrom a Kiev e che gli ebrei conoscono
il vero significato della parola durezza. Conferma, inoltre, che tutte le fedi
sono e saranno rispettate a Gerusalemme: capitale d’Israele.
Infine, la guerra dello Yom Kippur. All’inizio
solo un piccolo gruppo di giovani soldati si oppone agli aggressori. Poi,
lentamente, Tzahl riprende l’offensiva. Il presidente Nixon lancia un imponente
ponte aereo con C-5 Galaxis. Gli israeliani varcano il Canale di Suez
costituendo una testa di ponte: accerchiando parte dell’esercito egiziano e giungendo
a un centinaio di chilometri da Il Cairo. Alla Knesset Golda ringrazia gli
Stati Uniti d’America e il presidente Nixon per l’aiuto fornito. Ma vi sono
anche altre incombenze come l’incontro con i familiari dei soldati dispersi.
L’esercito israeliano non abbandona mai: morti, feriti e dispersi.
Per portare la pace si mobilita Henry
Kissinger. Golda ebbe con lui rapporti altalenanti ma riconobbe sempre la
statura dell’uomo e le sue qualità. Per Kissinger “Golda Meir era un
personaggio originale. Acuta, simile a una forza della natura, si sentiva la
madre del suo popolo”. Comincia così la diplomazia della navetta con il
Segretario di Stato fare la spola tra le capitali del Medio Oriente. Golda esprime
però tutta la sua indignazione nei confronti degli europei e in particolare dei
socialisti, i quali, per il petrolio, avevano voltato le spalle a Israele.
L’11 Novembre 1973 al chilometro 101 della
strada Il Cairo-Suez è firmato un accordo tra Egitto e Israele. Alla fine della
guerra del Kippur Golda dà le dimissioni e torna a casa.
Per lei essere ebreo ha significato sentirsi
fiera di appartenere a un popolo che ha mantenuto la propria identità per
duemila anni: nonostante le sofferenze e i torti subiti. È consapevole che la
nascita dello stato d’Israele ha mutato per sempre la storia ebraica. Kissinger
scrive nelle sue memorie che in Israele si diceva che Golda soffriva di tanti
di quei disturbi da far sì che a qualsiasi studente di medicina israeliano così
fortunato da visitarla venisse conferita automaticamente la laurea. Aggiunge di
aver provato una profonda tenerezza per Golda. Aveva mantenuto unito il paese
durante crisi terribili; talora sfidandone l’unico amico. Golda dedica a
Kissinger parole affettuose, premettendo che gli israeliani non amano servirsi
di parole che possono sembrare soltanto parole. “Desidero, inoltre,
ringraziarla per la sua pazienza. La saggezza è una dote che ci viene concessa
o meno. Si nasce possedendo oppure no e per questo non si ha alcun merito
particolare. Non è così invece per quanto concerne la sua pazienza, nei
confronti di entrambe le parti, e il lavoro che ha svolto”.
Golda Meir rilasciò a Oriana Fallaci
un’interessante intervista (quattro incontri per un totale di sei ore di
registrazione) che ebbe una strana sorte. In albergo, a Roma, alla Fallaci furono
rubate le bobine. Comunicato l’evento a Golda ottiene una seconda intervista.
La Fallaci sospettò che il furto fosse opera di agenti libici. Per Oriana Fallaci
i tratti caratteristici di Golda Meir erano “una semplicità disarmante, una
modestia irritante, una saggezza che viene dall’aver sgobbato tutta la vita:
nei dolori, i disagi, i travagli che non lasciano tempo al superfluo”. Golda
vive sola. Una ragazza va a riassettare casa. Ma se organizza una cena è lei a
cucinare e sistemare tutto dopo. Accanita fumatrice (sessanta sigarette al
giorno). Nel corso dell’intervista definisce Pietro Nenni uno degli individui
migliori che oggi esistano al mondo. Confessa che per rilassarsi riordina
scaffali. Evidenzia che dare la vita è il privilegio che gli uomini hanno sulle
donne e che per avere successo una donna deve essere molto più brava di un
uomo. Tra l’altro, lei per essere quello che è ha pagato un prezzo altissimo:
il proprio matrimonio. Pur essendo un grande amore: troppi interessi diversi.
Enuncia anche il suo punto di riferimento. “Credo in Israele: punto e basta”. E
riguardo all’età “La vecchiaia è come un aereo che vola nella tempesta. Una
volta che ci sei dentro, non puoi farci più nulla. Non si ferma un aereo, non
si ferma una tempesta, non si ferma il tempo. Quindi tanto vale pigliarsela
calma, con saggezza”. Sulla morte spera non di perdere la lucidità della mente
e di morire con la mente chiara.
Golda Meir è stata interpretata da Ingrid
Bergman nella serie tv Una donna chiamata
Golda. William Gibson scrisse una pièce teatrale Il balcone di Golda interpretato in America da Anne Bancroft e in
Italia da Paola Gassman. Emerge una Golda divisa tra la vita privata e il suo
ruolo pubblico. Costretta a prendere decisioni impegnative e talvolta a scendere
a compromessi con i propri principi come dice nel film Munich con riferimento all’Operazione Ira di Dio. Ricordo, infine l’imitazione di Alighiero Noschese.
Cari amici, mi avvio alla conclusione. Non
è stata, e non voleva essere, un’analisi storica su Golda Meir. Ma solo un mio
personale omaggio a una protagonista della Storia. L’ho chiamata sempre Golda
in segno di affetto; del profondo affetto che nutro nei suoi confronti. Condividendo
il suo sentirsi, come scrisse Kissinger, la madre del suo popolo.
Tonino NOCERA
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