Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

IN PRIMO PIANO: eventi e appuntamenti

27 gennaio 2019: Giorno della memoria

c

c

giovedì 22 settembre 2016

Ki Tavo 5776

(immagine da Chabad.org)





שבת שלום!
SHABBAT SHALOM!

Shabbat 21 Elul 5776 (24 settembre 2016)

Parashat Ki Tavo: Devarim (Deuteronomio) 26,1-29,8
Haftarah:Isaia 60,1-22 (sef.); Giosué 8,30-9,27 (it.)
Istruzioni di Moshè, leggi della decima, resoconti e...
Nell'era messianica si vedrà come il male in realtà è bene e come le maledizioni in realtà sono benedizioni
La missione di Israel nel mondo è quella di dare esempio di spiritualità e proprio questo merita il rispetto altrui
Il destino di Israel, quello di essere la nazione spiritualmente più elevata, si avvererà con o senza l’adesione volontaria da parte del popolo stesso
L'importanza della dedizione di questa tribù allo spirito e non alla materia era tale da causarla di non partecipare alla distribuzione della Terra
Un agricoltore non avrebbe potuto gioire pienamente per il raccolto della terra che aveva già ricevuto, se un altro collega ne era ancora privo


Parashat Ki Tavo – Onestà verso le proprie origini
Rav Pierpaolo Pinchas Punturello
Il senso profondo del proprio cammino e l’onestà verso le proprie origini permeano profondamente l’apertura della parashà di Ki Tavo.
La cerimonia dell’offerta delle primizie, bikkurim, che si portavano al Tempio e si consegnavano al cohen era accompagnata da una dichiarazione che era allo stesso tempo un preghiera di ringraziamento, un momento di onestà identitaria e la presa di coscienza dei propri limiti umani.
Deuteronomio 26, 4: 
Allora il sacerdote prenderà il paniere dalle tue mani e lo deporrà davanti all’altare dell’Eterno, il tuo DIO; e tu rispondendo dirai davanti all’Eterno, il tuo DIO: “Mio padre era un Arameo sul punto di morire; egli scese in Egitto e vi dimorò come straniero con poca gente, e là diventò una nazione grande, potente e numerosa.
Ma gli Egiziani ci maltrattarono, ci oppressero e ci imposero una dura schiavitú.
Allora gridammo all’Eterno, il DIO dei nostri padri, e l’Eterno udì la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro duro lavoro e la nostra oppressione. Così l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con potente mano e con braccio steso, con cose spaventose e con prodigi e segni; ci ha poi condotti in questo luogo e ci ha dato questo paese, paese dove scorre latte e miele.
Ed ora, ecco, io ho portato le primizie dei frutti del suolo che tu, o Eterno, mi hai dato!”.
Il percorso che porta al ringraziamento per i frutti raccolti inizia con una dichiarazione di onestà verso le proprie origini: “ Mio padre era un arameo…”. Non c’è epica, non c’è mito in una sana memoria ebraica, non c’è il racconto di una lupa che allatta due gemelli o di divinità che partoriscono figli semidei: mio padre era un arameo, un nomade, una persona in pericolo di vita. Non era un nobile, non era un banchiere, non era un possidente.
Una volta stabilito un equilibrio sano verso il ricordo di ciò che eravamo, entra il gioco il ricordo di ciò che è accaduto, della persecuzione: l’Egitto.
Nel tragico momento della schiavitù e della persecuzione il nostro grido è stato ascoltato ed arrivata la libertà per mezzo dell’intervento divino ed a Lui che va il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine che diviene quindi un elemento identitario che accompagna l’offerta del nostro lavoro.
L’ebreo nel Tempio, nel momento esatto in cui offriva le primizie all’Eterno, idealmente ripercorreva le tappe della propria storia, in maniera trasparente ed onesta, così come onestamente ringraziava Dio per il prodotto del lavoro dei campi, che pur passando per le mani umane, restava e resta un dono di Dio.







La parte essenziale della Parashà odierna è occupata dall'ampia e solenne esposizione fatta da Mosè al popolo circa le conseguenze che saranno per derivare ad Israele dall'osservanza o meno ai comandi della Torà. Questa Parashà, come già l'ultima del Levitico, di cui echeggia i motivi amplificandoli, è chiamata popolarmente la Parashà delle Tokhechoth, cioè degli ammonimenti ed è infatti una pagina che per tre quarti è dedicata ai solenni avvertimenti, e ai chiari e gravi presagi su ciò che attenderà Israele se non saprà essere fedele alla parola di Dio. È una pagina biblica che non si può leggere senza rimanere fortemente impressionati, tanto severa si fa la predizione dei castighi in certi passi, da sembrare quasi eccessiva. Ma appunto in tale severità, sta anche la veridicità di quanto la Torà proclama. A nessuno può sfuggire l'importanza enorme di questo poderoso discorso di Mosè, specialmente quando si pensi che in sostanza anche la seconda parte del nostro Shemàespone in brevissima sintesi e accenna ai motivi che qui sono invece più ampliamente e dettagliatamente sviluppati. Non certo senza un profondo significato quella seconda parte dello Shemà è stata scelta dai nostri maestri per la nostra lettura giornaliera e non certo senza un alto fine. Mosè ha riservato proprio ad uno dei suoi ultimi discorsi questo grave e solenne annuncio. Oramai l'esposizione delle Mizvoth è finita, ormai il popolo è giunto al termine del suo lungo viaggio, ormai anche il sommo legislatore è giunto al termine del suo lungo magistero e sente tutta l'enorme responsabilità che grava su di lui in questo momento mentre egli sta per distaccarsi per sempre dal suo popolo. È appunto nella coscienza di questa responsabilità che egli dedica quest'ultima pagina del suo grande libro a una serie di discorsi ammonitori, uno più sublime dell'altro e che culmineranno nel discorso poetico della Parashà di Haazìnu. Il primo di questi solenni discorsi è appunto quello odierno, nel quale ancora una volta vengono prospettati al popolo gli elementi del patto di fedeltà a Dio che Israele ha concluso. Ma a questi elementi si aggiunge anche il preannunzio della benedizione e della maledizione, in caso di obbedienza o di ribellione al patto divino. Due vie sono innanzi ad Israele, due vie sono a lui chiaramente tracciate: la via del bene e del male, della benedizione e della maledizione, della vita e della morte. Israele è libero di scegliere, ma sappia fin da ora che cosa l'attende nel futuro. Ciò che egli ha impegnato in questo patto non è cosa che si riferisce alla vita di ogni giorno, è cosa che trascende il mondo e investe l'avvenire dell'umanità. Israele ha impegnato stesso per essere popolo sacerdote, popolo profeta per le genti: "E il Signore t'ha fatto oggi dichiarare che gli sarai un popolo possesso speciale" (Deut. XXVI, 18). Israele ha impegnato se stesso per essere - ad ogni costo - paladino del verbo di Dio in mezzo ai popoli. Se egli verrà meno a questo suo compito, la sua esistenza terrena quasi non ha più valore, perché viene a mancare il motivo per la vita di questo popolo e quindi le più gravi sciagure si abbatteranno su questo popolo ribelle, recalcitrante ad adempiere la volontà del Signore. Queste sciagure, qui contenute in forma di profezia, comprendono il popolo e la terra, come i due elementi per la realizzazione dell'Idea Divina: queste sciagure si abbatteranno sulla gente ebraica a gradi, ma con un inesorabile crescendo, finché il popolo sarà colpito dalla suprema punizione:
l'esilio, l'allontanamento dalla terra di Dio.
"E ti disperderà il Signore fra tutte le genti, da un estremo all'altro della terra... e in mezzo a quelle genti non avrai requie, e non avrà riposo la pianta del tuo piede e là il Signore ti darà cuore tremante, struggimento d'occhi e languore d'anima ecc..." (Deut. XXIX, 24 e segg.).
Viene da piangere, cari fratelli, a rileggere queste parole, viene da piangere quando si pensa alla realtà della vita di Israele e che è in così impressionante coincidenza con la parola biblica. Quasi una superiore prova di questa divina verità della Torà, che resta incisa, oltre che sulle pagine, sui cuori e sulle carni doloranti del popolo. Viene da piangere, dicevo, e da meditare e forse perciò la Torà ha voluto preannunciare tutto quello che poi si sarebbe avverato, perché, dalla più dura verità della vita e dal pianto di essa, Israele potesse risorgere all'altra verità più alta e sublime, a quella nuova vita che ogni giorno, ogni ora egli può instaurare nel mondo.

Nessun commento: