Torno ancora una volta sulla “filastrocca/esorcismo” di cui ho parlato precedentemente, perché ho trovato un nuovo testo che ne parla, e che mi sembra confermare alcune mie tesi, circa l’origine ebraica del testo, mantenuto in vita, particolarmente in Calabria, nell’ambiente “marrano”; ma ne parlo anche perché è stato al centro degli incontri che si sono svolti in questi giorni in Calabria in varie località, in occasione della Giornata europea della cultura ebraica.
Questo canto, elaborato e rielaborato dal 2012, prima su testi d’archivio e di studi letterari, e poi dalla viva voce di chi ancora ne conservava il ricordo, è stato eseguito più volte, ma, non avendone, purtroppo, a disposizione una registrazione video, ne propongo qui una dell’Italia settentrionale, trovata su YouTube e nota come “Le dodici parole della verità", in attesa di averne a disposizione una versione nostra.
Il testo che ho trovato di
recente (ma di pubblicazione non recentissima, del 2012, proprio quando noi
stavamo studiando ed elaborando la nostra versione) è stato pubblicato dal
professor Paolo Martino su Academia.edu e si intitola Le dodici parole della verità nel ms. Vat. Gr. 1538. Una filastrocca
numerica di origine ebraica.
Lo scritto fa parte del volume
Discontinuità e creolizzazione
nell'Europa linguistica, a cura di Marco Mancini, Luca Lorenzetti, edito a Roma
da Il Calamo.
Ne traggo qui i passi che mi
sembrano più significativi per noi, che evidenzio in grassetto (tra parentesi
quadre in blu due miei appunti personali). Potete consultare il testo completo
(che va da pagina 97 a pagina 127 del volume, più ben 4 pagine e mezza di
biografia) su internet.
A pagina 103 leggiamo: Nella
sequenza σού λου della prima linea, piuttosto che su lu (con
uno stridente accordo ad sensum della
3a persona pl. del verbo con l'articolo al singolare) come
sembrerebbe leggere Pertusi, è da vedere piuttosto l'aggettivo sulu. Un
conguagliamento analogico alle successive occorrenze di σού, 3a
persona pl., è escluso dalla natura stessa della filastrocca, il cui intento è sottolineare l'Unicità di Dio (vedi avanti).
A pagina 109 abbiamo un’informazione
davvero molto interessante: Due diverse versioni della filastrocca provengono
da uno stesso centro, Calabrò, presso Mileto (VV). La prima, definita "Preghiera della cena"
è stata raccolta da R. M. T. Occhiato dalla bocca di una anziana (Colina 'a Pignatareda)
nel 1990.
[Questo nome di “Preghiera
della cena” lo trovo uno degli elementi più significativi di tutto questo
studio. Praticamente si tratta di una “Preghiera del seder”, l’ordine della
cena di Pesach!]
A pagina 119: Il veicolo di una diffusione così capillare
in tutto il continente non può essere che l'Ebraismo della diaspora, mentre
il percorso inverso (ricezione di un canto popolare tedesco nelle diverse
tràdizioni ebraiche dell'Haggada), appare nettamente più inverosimile,
soprattutto, come si è detto, in considerazione della sacralità del rituale
della Pasqua ebraica. Inoltre almeno tre argomenti concorrono a fondare la
nostra ipotesi: il primo culturale, 1'origine cabbalistica della triskaidekaphobia; il secondo contenutistico, la struttura
dei significati numerici, tutta ebraica; il terzo l'invettiva finalé contro il Faraone e i suoi "compagnoni".
A pagina 121-122: La filastrocca calabrese è dunque
chiaramente di provenienza ebraica, e in origine era un festoso canto liturgico
che si cantava in una occasione conviviale del tutto particolare: nelle
celebrazioni della Pasqua, durante le quali ogni ebreo di ogni epoca proclama
di essere stato «liberato esso stesso dalle mani del Faraone e dei suoi
cavalieri» nella epica traversata dell'Esodo; ciò spiega la clausola della
filastrocca skiatta Farauni cun
tutti sai cumpagnuni. Il
testo della sequenza è stato perciò recepito e variamente adattato dalla pietà
popolare cristiana [io piuttosto direi dall’inventiva e creatività marrana], probabilmente in epoche e
luoghi diversi. Vista la capillare
diffusione dell'elemento ebraico nell'Italia meridionale bizantina, si può
pensare a un'elaborazione in loco piuttosto che a una importazione dall'oriente
greco-giudaico.
Infine esamina il testo più
problematico della filastrocca, che si trova in riferimento al numero 13. A pagina
124 affronta e (a mio parere) risolve efficacemente quella che definisce “la
sequenza problematica”: Torniamo ora all'enigmatica sequenza conclusiva della
filastrocca italogreca, che
il Pertusi, rinunciando a un'interpretazione, leggeva nel ms vaticano νόν λάλτζου καί ουδητζίρου (non l'algiu
che udigiru). Tale segmento, alla luce di
quanto detto sopra, va letto piuttosto νόν
σάτζου κ αίου δητζίρυ cioè non
sacciu c'aiu (a) dìciri 'non so
che dire' NON SAPIO QUID HABEO DICERE.
1) L’origine ebraica della “filastrocca”
2) La sua conservazione e trasmissione
(almeno da noi) in ambito marrano
3) La filastrocca come sintesi della fede
ebraica ed in particolare del messaggio di Pesach: l’Uno [ripetuto ogni volta], con
la sua potenza ed il suo amore [i 13 attributi] ci libera e ci salva
[skiatta Farauni cun tutti sai
cumpagnuni].
A (parziale) completezza e integrazione riporto alcune
pagine internet in cui si parla della nostra filastrocca:
Una versione proveniente da Platì (RC), sul versante
nord-orientale dell’Aspromonte, sotto forma di contesa tra il diavolo e San
Martino, che trovate a fine pagina.
Una versione forse di Ardore (RC), ma sicuramente della
Locride, una sorta di disputa tra il diavolo e San Biagio; ugualmente a fine pagina.
Le tredici parole della verità (A dekatria loja is alìssia),
Una versione in lingua greca, dalla Puglia, raccolta a Calimera (LC):
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