Il 14 (e il 15) Iyar, esattamente un mese dopo Pesach, si ricorda anche Pesach Shenì (la Seconda Pasqua), istituita per dare la possibilità di celebrare la festa anche a chi non lo aveva potuto fare nel mese di Nisan, per motivi di impurità rituale o per causa di forza meggiore.
Quest'anno la ricorrenza è il 6 (e 7) maggio.
Tutti coloro che
nel periodo di Pesach si trovavano lontani dal Bet Hamikdash, l'antico Tempio
di Gerusalemme, o erano impuri (avevano avuto contatti con cadaveri, ecc.) non
potevano fare il Korban Pesach (sacrificio di Pesach) nel giorno prestabilito
dalla Torah; per dare a questa gente una seconda possibilità si è stabilito che
potevano celebrarlo un mese dopo, cioè il 14 di Yiar. Questo giorno prese il
nome di Pèsach Shenì (secondo Pesach).
Oggi, non
esistendo più il Bet Hamikdash, si ricorda questo giorno mangiando un pezzo di
Matzà (pane azzimo).
Da Mosaico-CEM,
sito della Comunità ebraica di Milano
[…] tale giorno è ancora oggi
contrassegnato da qualche manifestazione di gioia poiché è considerato un
giorno sacro; vi è chi usa mangiare in esso un po’ di matzà - pane
azzimo, ed è bene mangiare matzà anche la sera del 15. In quel giorno non si
dice la Techinnà - le suppliche.
Adolfo
Locci, rabbino capo di Padova
Da Moked, sito dell'Ucei
[…] Secondo i maestri, la ‘Avodat Hashem, il culto
al Signore, rappresenta l’essenza del mese di Iyar. Infatti, la Torà sottolinea
che sono le stesse persone, impossibilitate a presentare il Korban Pesach al
tempo stabilito, che chiedono a Mosè di avere un’ulteriore possibilità per
poter adempiere alla mitzwà: “perché dovremmo essere da meno degli altri e non
offrire il sacrificio di Pesach in mezzo ai figli d’Israele, nel tempo stabilito?”
(Numeri 9:7). Per il fatto che quegli uomini abbiano voluto fortemente mettere
in pratica la mitzwà del Korban Pesach, il Signore ha stabilito l’istituzione
di Pesach Shenì trasferendo così il valore della Gheullà - redenzione anche nel
mese di Iyar. L’istituzione del primo Pesach rappresenta la Gheullà che è stata
promossa le’ela - dall’alto; l’istituzione del secondo Pesach rappresenta
invece la Gheullà richiesta letatà - dal basso. Pesach Shenì ci insegna che in
noi c’è una possibile forte volontà di eseguire le mitzwoth, a dimostrazione
del fatto che Israele ha saputo introiettare dentro di se il senso della
Gheullà e che la ricerca costantemente. Auguriamoci che per il merito di coloro
che hanno permesso l’istituzione di questa festa, in tutte le nostre Comunità
si possa sviluppare nuovamente, come allora, la stessa capacità di voler
fortemente osservare le mitwoth - in quanto “sono la nostra vita e la lunghezza
dei nostri giorni” - anche quando potrebbe sembrare di avere il “privilegio”
dell’esenzione.
Nulla è mai
perduto
Quando noi diciamo, secondo l’insegnamento di Pèsach Shenì, che “nulla è
mai perduto,” fondiamo ciò sulla base del legame essenziale che lega l’Ebreo a
D-O, legame che non tiene conto del livello basso che l’individuo può aver
raggiunto e consente sempre una possibilità di riparazione.
Come è noto,
secondo la Chassidùt, l’insegnamento che deriva dalla festa di Pèsach
Shenì (il ‘Secondo Pèsach’), è che “Nulla è mai perduto. La situazione
può sempre essere corretta”. A dispetto di quanto una persona possa trovarsi in
condizione di ‘impurità’ o di ‘lontananza’, essa può sempre correggere il
proprio stato. In origine, questa festa fu istituita per quegli uomini che,
essendosi dovuti occupare di importanti incarichi spirituali, come quello di
trasportare la bara di Yossèf, o di seppellire i figli di Aharòn il Sacerdote,
si erano resi impuri, perdendo così l’opportunità di offrire il loro Sacrificio
Pasquale, per il quale era richiesto uno stato di purità. La loro impurità,
tuttavia, non comportava un difetto, ma era dovuta semplicemente ad un
adempimento della volontà Divina. Pur non essendoci quindi alcuna mancanza nel
loro servizio, essi ebbero ugualmente il desiderio di raggiungere l’ulteriore
elevazione spirituale che sarebbe derivata loro dall’offerta del Sacrificio
Pasquale. Per questo essi chiesero: “Perché noi dovremmo esserne privati?” E la
loro richiesta fu accolta in Cielo, cosicchè D-O aggiunse una nuova mizvà
che permetteva, da allora a tutte le generazioni future, di offrire il
Sacrificio Pasquale nel Secondo Pèsach. Come mai quelle persone non fecero
subito la loro richiesta a Moshè, non appena seppero di doversi rendere impure?
È noto che, fintanto che un individuo è occupato in una mizvà, egli è
libero dall’obbligo delle altre mizvòt. Tutte le mizvòt,
infatti, sono intercorrelate, così che ogni mizvà include tutte le
altre e quando si è impegnati nell’adempimento di una mizvà è come si
stesse adempiendo a tutte le altre. Quando però quegli uomini considerarono il
loro futuro e capirono che avrebbero potuto raggiungere un livello spirituale
più elevato, iniziarono a vedere la loro condizione presente come mancante. Per
questo, quando alla vigilia di Pèsach essi videro che ognuno portava il proprio
sacrificio, essi si rivolsero a Moshè, con la loro richiesta.
Un’occasione
per tutti
Secondo la
definizione dell’halachà, Pèsach Shenì è una festa a sè
stante, e non semplicemente un’occasione per compensare l’impossibilità che si
era creata di presentare il primo Sacrificio Pasquale. Esso viene ad aggiungere
quindi una nuova dimensione nella Torà, e non solo per coloro che erano in uno
stato di impurità, ma per tutto il popolo Ebraico. Anche a chi ha portato il
proprio Sacrificio Pasquale, secondo tutte le regole, il Secondo Pèsach offre
l’opportunità di un’ulteriore elevazione spirituale. Pèsach Shenì
contiene quindi due insegnamenti, che coprono due diversi opposti. Da un lato
ci fa comprendere che, per quanto basso sia il livello al quale una persona può
trovarsi, essa può sempre elevarsi. D’altro canto, Pèsach Shenì ci
insegna che anche chi compie il proprio servizio nel modo migliore e più
completo, può aspirare ad una ulteriore elevazione, a raggiungere un livello
superiore, per il quale egli dovrà compiere un “balzo” (secondo la modalità di
elevazione che la festa stessa di Pèsach (‘salto’) ci insegna).
Un
legame essenziale
Questi concetti
trovano una loro espressione nella parashà Bechukkotai, che apre con
il verso: “Se voi procederete nei Miei statuti.” Il termine Ebraico che
definisce ‘statuti’ ci riporta al concetto di ‘scolpito’ (‘Chok’). La Chassidùt
ci spiega la differenza che passa fra le lettere che sono scritte con
l’inchiostro sulla pergamena e quelle che sono scolpite nella pietra. Nel primo
caso si tratta di due entità differenti, che possono essere separate l’una
dall’altra. Nel secondo, invece, le lettere scolpite nella pietra sono parte
della pietra stessa, un’entità unica e inscindibile. Vi è un parallelo di
questo concetto nel servizio Divino dell’Ebreo. Le lettere scolpite nelle
Tavole rappresentano il legame essenziale che unisce l’Ebreo al suo Creatore.
Questo legame non può mai essere spezzato, poiché, nell’essenza, D-O e l’Ebreo
sono un’unica entità. Quando noi diciamo quindi, secondo l’insegnamento di Pèsach
Shenì, che “nulla è mai perduto,” fondiamo ciò sulla base di questo legame
essenziale che lega l’Ebreo a D-O, legame che non tiene conto del livello basso
che l’individuo può aver raggiunto e consente sempre una possibilità di
riparazione. D’altro lato, dato che questo legame essenziale unisce l’Ebreo a
D-O, Che è illimitato, esso consente ad ogni Ebreo, a qualsiasi livello egli si
trovi, di elevarsi nel suo servizio Divino.
(Shabàt parashà
Behar, 15 Iyàr 5749)
Da ChabadRoma
Il secondo Pesach. C’è sempre una seconda possibilità
Di Rav Yanki Tauber, per gentile
concessione di Chabad.org
Introduzione
Un anno
dopo l'esodo dall'Egitto, il Sign-re istruì il popolo d'Israele di portare
l'offerta Pasquale il pomeriggio del 14 di Nissan e di mangiarlo quella sera
dopo averla arrostita, insieme a matzà ed erbe amare. Tuttavia c'erano delle
persone che erano ritualmente impure per aver avuto contatto con corpi deceduti
e che quindi non potevano preparare l'offerta Pasquale in quel giorno. Essi
chiesero a Moshè ed Aharòn: "perchè dovremmo essere deprivati e non avere
la possibilità di portare l'offerta di D-o nel suo tempo, tra i figli di
Israele?" Numeri 9.
Come risposta alla loro richiesta, il Sign-re stabilì il 14 di Iyar
come il Secondo Pesach, Pesach Shenì, in questa data per chiunque non avesse
potuto portare l'offerta un mese prima. Questo giorno rappresenta la seconda
chance offerta dalla teshuvà, il ritorno e pentimento sincero. Nelle parole di
Rabbi Yosef Yitzchak di Lubavitch: "Il Secondo Pesach significa che non
esiste un caso perso".
L'usanza del giorno consiste nel mangiare matzà, se possibile shemurà.
Una
Seconda Opportunità
“Non è mai troppo tardi. C’è
sempre una seconda opportunità”. Questo il messaggio di Pesach Shenì, il
secondo Pesach, secondo il sesto Rebbe di Lubavitch, Rabbi Yosef Yitzchak
Schneerson (1880-1950). Pesach Shenì è il secondo Pesach menzionato nella Torà,
che fornisce un’opportunità a chi non ha portato il sacrificio Pasquale nel
momento giusto, di farlo ora.
Sicuramente tutti possono
identificarsi con l’affermazione che “c’è sempre una seconda chance”. Esso da
sollievo alle nostre anime afflitte, e si inserisce bene in un blocchetto di
detti inspirational di fine anno…ma come si inserisce nella vita di tutti i
giorni? Ho svolto un piccolo sondaggio nel vicinato.
“Ebbene” disse Sarah L, una
vicina, “ieri sera mentre tornavo a casa dal lavoro ho perso il treno delle
18:22 e ho passato 35 minuti in stazione, leggendo un giornale vecchio di due
giorni; se fossi arrivata a casa in tempo, avrei usato quel tempo per
raccontare una storia a mia figlia. Spero di prendere il treno in tempo oggi,
ma il treno di ieri non tornerà mai più…”
“Insomma” disse Jeffrey H., un
avvocato di successo che si occupa di divorzi, “vent’anni fa ho conosciuto una
ragazza meravigliosa che desideravo sposare. A un certo punto stavo per
chiederle la fatidica domanda, e sapevo che avrebbe risposto di si. Ma il
momento passò senza che io chiedessi la domanda. Non ho nessun rimpianto - oggi
sono felicemente sposato - ma quel momento particolare non tornerà più, almeno
non in questa vita.”
Forrest G. un magnate della
finanza che conosco disse, “quando ero al liceo avevo un amico che mi chiese se
pensavo che era il caso che si dedicasse a una carriera politica. Non era il
tipo di persona che vorrei come capo di stato o come comandante supremo di una
superpotenza. Tuttavia non volevo ferire i suoi sentimenti, perciò dissi, ‘ma
si vai, provaci’. Puoi immaginare il caos che quest’uomo ha fatto durante gli
otto anni che ha governato…ecco una decisione che è troppo tardi cambiare…”
A cosa ci riferiamo quando
parliamo di una seconda chance? Intendiamo la capacità di entrare in una
capsula, di essere trasportati in un tempo precedente, di mettere da parte il nostro
io sbagliato e di fare tutto nel modo giusto questa volta? Ma se in questo sta
la chiave del da farsi, che cosa si ha guadagnato? Si avrebbe potuto farlo nel
modo giusto la prima volta!
Tuttavia, l’opinione della Torà
sulla teshuvà, il ritorno, non è solamente il disfare o l’aggiustare un errore
del passato. Piuttosto, si tratta del trasformare il passato. Significa
toccare il passato per cambiare il significato e le conseguenze di ciò che è
accaduto, affinché il risultato finale sia migliore di ciò che sarebbe
stato se non fosse mai accaduto.
Sarah L: “Onestamente, anche se
non avessi perso il treno avrei letto la storia a mia figlia quanto più
velocemente possibile. Stavo pensando ad altre cose quel giorno. Ma il fatto
che ho perso il treno e quindi non ho potuto mantenere la promessa a mia figlia
mi ha indotto a riflettere quanto mia figlia abbia bisogno di me - non soltanto
la mia presenza fisica, ma la mia attenzione e la mia consapevolezza. Stanotte,
ho intenzione di sedermi sul suo letto e parlare con lei per davvero - una cosa
che non facciamo da troppo tempo…”
Jeffrey H.: “Non c’è nulla al
mondo più importante per me del mio matrimonio. Credo con certezza che la donna
che ho sposato sia la mia anima gemella pre-destinata, colei che è la persona
giusta per me. Più ci penso, più vedo ‘la mancata opportunità’ del mio passato
come una sfida a sentire e superare quel livello di bramosia e speranza nel
nostro rapporto. Mi dico: se sono riuscito a sentire così profondamente in quel
frangente che è poi risultato essere non duraturo, dovrei sentire altrettanto
per la realtà! Quando ragiono in questo modo mi innamoro nuovamente di mia
moglie ogni giorno della mia vita”.
Il mio amico magnate, anziché andare in pensione, come aveva
inizialmente intenzione di fare all’età di 65 anni, lavora giorno e notte per
aggiustare gli errori del vecchio compagno di classe.