Calabria judaica - Sud ebraico

Calabria judaica ~ Sud ebraico
Storia, cultura e attualità ebraiche in Calabria
con uno sguardo al futuro e a tutto il Meridione

Secondo una leggenda, che attesta l'antica frequentazione orientale della nostra regione, Reggio fu fondata da Aschenez, pronipote di Noé.
La sinagoga del IV secolo, ricca di mosaici, di Bova Marina, è la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica; a Reggio fu stampata la prima opera in ebraico con indicazione di data, il commento di Rashì alla Torah; Chayim Vital haQalavrezì, il calabrese, fu grande studioso di kabbalah, noto anche con l'acronimo Rachu.
Nel Medioevo moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria, aumentando fino alla cacciata all'inizio del XVI secolo; tornarono per pochi anni, richiamati dagli abitanti oppressi dai banchieri cristiani, ma furono definitivamente cacciati nel 1541, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della Calabria, in particolare nel settore legato alla lavorazione della seta.
Dopo l’espulsione definitiva, gli ebrei (ufficialmente) sparirono, e tornarono temporaneamente nella triste circostanza dell’internamento a Ferramonti; oggi non vi sono che isolate presenze, ma d'estate la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione di Sukkot (la festa delle Capanne).
Questo blog è dedito in primo luogo allo studio della storia e della cultura ebraica in Calabria; a
ttraverso questo studio vuole concorrere, nei suoi limiti, alla rinascita dell'ebraismo calabrese; solidale con l'unica democrazia del Medio Oriente si propone come ponte di conoscenza e amicizia tra la nostra terra e Israele.

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giovedì 12 aprile 2012

Una Giusta di Calabria


E’ morta, all’età di 103 anni inoltrati, Serafina Mauro, nata a Tarsia e vissuta a Ferramonti, dove ebbe modo di vedere le sofferenze degli internati e prestare loro aiuto, per misere che fossero le sue possibilità.
Vogliamo renderle omaggio ricordandola, innanzi tutto con le parole di Tommaso Orsimarso, autore del libro “Con altri occhi, edito da Pellegrini, che la conobbe personalmente e ne trasse ispirazione per un personaggio del suo romanzo, e poi con altre parole prese da internet.
Uno dei sassolini di Eretz Yisrael che abbiamo ricevuto in questo Pesach per gli ebrei dei cimiteri di Tarsia e Cosenza sarà per questa piccola grande donna di Calabria.

LA TERRA LE SIA LIEVE!

Le parole che mi ha scritto Tommaso Orsimarsi
Serafina Mauro, scomparsa ieri all'età di 103 anni,è nata a tarsia il 18 settembre del 1908, da sempre vissuta nella campagne di Ferramonti, quando nel 1940 aprì i battenti, o meglio si chiusero alle spalle dei primi internati, il campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, come tanti abitanti del posto provò, da subito curiosità, lontani come erano da affari politici, e peraltro costruito in quel posto anche per questo. Serafina li vide arrivare uno ad uno e riempire quelle 92 baracche di legno. Il campo posto sotto il paese di Tarsia, da una parte aveva la ferrovia e dall'altra aveva il fiume Crati. Proprio in una grande vasca sul fiume gli internati venivano scortati per le abluzioni. La Serafina Mauro insieme ad una amica poté di nascosto vedere per la prima volta quelle persone e la colpì subito la loro magrezza, cosi estrema al punto che a suo dire avrebbe potuto contare ogni singolo osso.
Decise così di fare qualcosa, e con la complicità di una delle guardie del campo, alla quale aveva aiutato a prendere moglie, Serafina si reca segretamente nel campo per portare quel poco cibo che si levava dalla bocca.
Era proprio così: aveva già quattro dei sette figli, ma quanto aveva visto non poteva essere ignorato, d'accordo con lei anche il marito Umile Zazzaro.
E' strano pensare a tanto, se una delle internate del campo mi ha confidato di come la cosa che la sorprese fu proprio la miseria che c'era intorno, per tutte le cose viste, mi raccontò di una immagine che aveva ancora in mente. Un uomo addentava appena fuori dal campo un tozzo di pane, appena bagnato ad una fontana, e un pomodoro sgocciolante. In seguito, e con l'opera di benefattori del mondo ebraico e con la visita di Pacifici, altri contadini vendettero derrate agli internati. Serafina ricordava le urla di disperazione nella notte e di come fossero ammassati, ma sopratutto non si spiegava cosa facessero là. Quando il campo fu liberato Serafina festeggiò col marito e figli facendo, come si usa da queste parti, i maccheroni. Rimase poi sempre li, anzi occupò una baracca, quella destinata all'amministrazione, ed e là che nacque una la figlia che ora abita sopra l'appartamento, a pochi metri dal recinto del campo, o meglio di quello che ne rimane. Fu sempre pronta a rievocare quei giorni con racconti sempre lucidi e puntuali, di quei gesti di generosa quotidianità dirà che era normale aiutare chi aveva bisogno, e ne rifiutava il carattere eccezionale che era portato a dare l'ascoltatore. Ho voluto per tanto con il nome di "zia Teresa", averla nel mio romanzo anzi far parlare lei stessa con le parole che mi rimasero in mente, quando qualche tempo fa la visitai. Ora andando via non la si può vedere sentire ma quanto ha a tanti consegnato continuerà a vivere e a testimoniare.

Tarsia. Morta l’eroica centenaria Serafina Mauro
Tommaso Orsimarsi
Cosenza. L’angelo degli internati, Serafina Mauro, classe 1908, ci ha lasciato oggi. E’ stata testimone oculare del campo di concentramento fascista Ferramonti di Tarsia, dove, con la complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli amico avendolo aiutato a prendere moglie, si recava appena poteva per portare qualcosa da mangiare. Quando, a gruppi di cinque, i detenuti si portavano scortati presso una grande vasca sul Crati, per le abluzioni, lei, nascosta, ne aveva constatato la magrezza estrema. Da questo l’impegno di privarsi giornalmente di qualcosa, per offrirla a quelle persone rinchiuse in quel campo dal 1940 in seguito alle leggi razziali. E’ rimasta da allora sempre là, a pochi metri di distanza da quello che resta di quel campo, raccontando, a chi volesse ascoltarla, di quegli ebrei, di quegli zingari, quei politici polacchi, dei prufughi del piroscafo Pentcho, delle loro grida di disperazione nella notte, delle loro paure. L’ho incontrata anni orsono, portandola nel cuore con ammirazione, per quanto fatto e per il pericolo corso in quel frangente storico. Di lei colpiva la modestia di quei gesti di generosità, che lei diceva partiti in modo naturale da quella umana comprensione e condivisione della sofferenza, le sue risorse erano esigue, ma non le impedirono di privarsene, è per questo che l’ho voluta nel mio romanzo “Con altri occhi”. Lei sì, che ha saputo guardare con altri occhi, quelli del cuore, addio zia Serafina.

Cosenza, si è spenta a 104 anni Serafina Mauro. Allievò le sofferenze degli internati di Tarsia
Mariacarmela Latronico
Si è spenta a Cosenza nel giorno del Lunedì dell’Angelo Serafina Mauro. Nata nel 1908 è stata testimone oculare del campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza (nella foto). E’ stato questo, il principale tra i numerosi luoghi di internamento per ebrei, apolidi e slavi aperto dal regime fascista nel giugno del 1940 e liberato dagli inglesi nel settembre del 1943. La Mauro, riuscì grazie alla complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli amico dopo averlo aiutato a prendere moglie, a portare qualcosa da mangiare a tutti gli internati. Ne aveva constatato la magrezza e la condizione di estrema sofferenza, quando un giorno nascosta, vide a gruppi di cinque, quella gente condotta alla grande vasca delle abluzioni, sul fiume Crati. Da qui iniziò il suo impegno.
Si privò quotidianamente di qualcosa per offrirlo a chi, invece, era privato di tutto. Il campo di internamento di Ferramonti fu chiuso ufficialmente nel dicembre del 1943 ma Serafina Mauro è rimasta sempre lì, a pochi metri di distanza da quello che restava di quel luogo, ricco di ricordi, di paure, di grida di disperazione che spezzavano il silenzio della notte, che raccontava a chiunque volesse ascoltarla. Dell’angelo degli internati, come è stata definita Serafina dallo scrittore calabrese Tommaso Orsimarsi che la cita nel suo romanzo “Con altri occhi”, resta il ricordo della sua modestia nonostante e dei suoi piccoli ma allo stesso tempo grandi gesti di generosità.

Tarsia piange zia Serafina, "l'Angelo degli internati"
di Emanuele Armentano
TARSIA – La cittadina di Tarsia ha dato ieri pomeriggio l'ultimo saluto a zia Serafina Mauro, una ultra centenaria conosciuta ed apprezzata dall'intera comunità. La celebrazione delle esequie, presieduta dal parroco della comunità don Pompeo Tedesco, ha stretto attorno alla famiglia di zia Serafina una moltitudine di persone che hanno voluto dimostrare, con la propria partecipazione, il segno di gratitudine per aver avuto come concittadina una donna “così speciale”. Era nata nel 1908 ed aveva attraversato il periodo della Seconda guerra mondiale “da protagonista”, essendo lei stessa residente nell'area del campo di concentramento di Ferramonti. E proprio qui la giovane Serafina aveva portato il proprio aiuto agli internati. Di lei, ancora oggi, colpiva molto la sua bontà e generosità e dall'alto dei suoi 104 anni (che avrebbe festeggiato il prossimo mese di settembre) era disarmante la lucidità con cui ricordava fatti e si relazionava con la gente. La figura di Serafina è stata un punto di riferimento per tanti e lo stesso scrittore calabrese Tommaso Orsimarsi aveva scelto di inserirla fra i suoi personaggi nel libro “Con altri occhi”. Ed è proprio quest'ultimo a ricordare la sua esperienza con zia Serafina e i momenti in cui la donna ha trascorso ad aiutare gli internati. Di lei scrive: «L’angelo degli internati. E’ stata testimone oculare del campo di concentramento fascista Ferramonti di Tarsia, dove con la complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli amico avendolo aiutato a prendere moglie, si recava appena poteva per portare qualcosa da mangiare.
Quando a gruppi di cinque, i detenuti si portavano scortati presso una grande vasca sul Crati, per le abluzioni, lei nascosta ne aveva constatato la magrezza estrema. Da questo l’impegno di privarsi giornalmente di qualcosa, per offrirla a quelle persone rinchiuse, in quel campo dal 1940, in seguito alle leggi razziali. E’ rimasta da allora sempre la, a pochi metri di distanza da quello che resta di quel campo, raccontando, a chi volesse ascoltarla, di quegli ebrei, di quegli zingari, quei politici Polacchi, dei profughi del piroscafo Pentcho, delle loro grida di disperazione nella notte, delle loro paure. L’ho incontrata anni orsono, portandola nel cuore con ammirazione, per quanto fatto, e per il pericolo corso in quel frangente storico. Di lei colpiva la modestia di quei gesti di generosità, che lei diceva partiti in modo naturale da quella umana comprensione e condivisione della sofferenza,le sue risorse erano esigue ma non le impedirono di privarsene».

Nonna Serafina, l’angelo degli internati di Tarsia
La gente di Ferramonti di Tarsia ha sempre esercitato una grande solidarietà con gli internati del campo di concentramento. Il più grande campo di sterminio per ebrei costruito in Italia dopo le leggi razziali dove vissero, tra il 1940 e il 1943, più di duemila persone che nonostante la vita difficile del lager vi trovarono un “eden” grazie all’aiuto della brava gente del posto. E’ con grande sensibilità e commozione che nonna Serafina, una centenaria di Ferramonti, nata il 18 settembre del 1908, ci racconta il rapporto che lei in quegli anni instaurò con alcuni internati. Un viso tenero, solcato dal sole, una donna simpatica che con il suo spirito ha colorito una domenica fredda e con i suoi racconti ci ha reso partecipi di quegli anni segnati dall’orrore. Ogni anno il 27 gennaio si ricorda, attraverso diverse iniziative culturali la Shoah per non dimenticare le tante vittime del popolo ebraico. Una vita la sua, passata nei campi, ma anche vissuta nel clima cruento della Guerra. Sposata con Umile Zazzaro, per sessantanni, madre di sette figli, non dimentica i sacrifici della guerra. Un episodio in particolare riaffiora spesso nella sua mente. Da Tarsia per una questione urgente, doveva raggiungere Cosenza. In compagnia di una sua amica arrivò in città col treno, fino alla stazione di Castiglione Cosentino, all’improvviso si trovò coinvolta in un conflitto a fuoco. I soldati spararono all’impazzata, “quanti morti” dice la signora Serafina, “io mi salvai ma non so ancora come. Che orrore!”. “E quei cacciabombardieri quanto rumore che facevano, sorvolavano così vicino...eravamo terrorizzati che subito andavamo a nasconderci, a pochi passi da quelle 92 baracche”, dove furono rinchiusi, tra gli altri, ebrei, zingari, anarchici, profughi del Pentcho, apolidi e quanti fossero ritenuti indegni dal regime.
Un luogo di sofferenza e dolore, ci ricorda nonna Serafina, ma lei con tutte le sue forze è riuscita a dare quel poco che poteva a quella “povera gente”, uomini, donne, bambini e ragazzi che soffrivano la fama. La centenaria, aspettava che il “questorino” così lei lo chiama, si allontanava per poter avvicinarsi alla baracca e portare un po’ di cibo in particolare ad una donna con due bambini piccoli. In seguito, la donna fece amicizia con una guardia che sorvegliava queste baracche, e di nascosto, almeno una volta al giorno, gli permetteva di andare a portare un po’ di pane nero, qualche pannocchia appena raccolta, insomma quello che poteva, visto che allora non si avevano tante provviste, anzi, dice nonna Serafina, “con la tessera ci davano pochissima pasta nera, un po’ di pane sempre nero”.
“Sembravano tante mosche ammucchiate dal freddo, nelle baracche c’erano anche donne partorienti. Povera gente.” “I militari portavano gli internati a gruppo di cinque, maschi e femmine, a fare il bagno in una grande vasca”, e nonna Serafina insieme alle sue vicine andava a spiare. La loro magrezza ci impressionò”. Ma un’altra cosa che la centenaria ricorda sono le urla delle tante donne del Campo. “Urlavano e piangevano tutto il giorno”.
Un fatto curioso, ha visto protagonista la centenaria di Ferramonti. Il “questurino”, Gianni M., diventato amico e complice di nonna Serafina, un giorno gli chiese di aiutarlo a trovare moglie. Allora la donna salì in paese e così per caso trova “compare Rafele” in compagnia delle sue due figlie. Nonna Serafina ne approfittò subito chiedendo ad una delle due se fosse interessata a questo militare.
La ragazza acconsentì, e il “questurino” grazie a nonna Serafina si sposò.
Tornando agli ebrei, attraverso la testimonianza della donna centenaria, abbiamo raccolto altri particolari. La donna, attenta e vispa, dalla grande fede e dall’immensa umanità, che ha dimostrato dando sostegno con dei piccoli gesti quotidiani alle vittime di Ferramonti, non dimentica quei treni che di tanto in tanto arrivavano a Tarsia per caricare di volta in volta gli ebrei. “Venivano ammucchiati come delle bestie. Erano così fragili e sciupati che il soffio del vento bastava a stenderli a terra”. E poi c’erano i momenti di preghiera. Serafina Mauro ci descrive una chiesa gremita di gente, che ogni domenica partecipava alla Santa Messa. La Chiesetta si trovava proprio all’interno del Campo di sterminio (in realtà Ferramonti non era un campo di sterminio, ma di concentramento), a celebrare un sacerdore “straniero”, che non era del posto. Raccapriccianti le scene che questa donna ha visto davanti ai suoi occhi fino a quando la deportazione e la prigionia dei perseguitati non terminò.
Quando l’Olocausto finì, nonna Serafina ci confida di aver fatto festa, insieme a suo marito e ai suoi figli, con un bel piatto di “maccarroni”. Nonna Serafina ricorda sempre quei brutti momenti vissuti sulla sua pelle e ricorda nelle sue preghiere tutte le vittime della Shoah. La sera, quando vicino al suo caminetto recita il Rosario, la centenaria di Ferramonti, che sa leggere e sa scrivere, pensa alla sua vita passata, alle amicizie incontrate e con molta mestizia ricorda la disperazione di quella giovane donna che al di là del “reticolato” ogni giorno la chiamava per portale da mangiare. L’ospitalità della centenaria Serafina Mauro, nonostante i suoi 102 anni portati bene, ancora è viva.
da Parola di Vita

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