E’ morta, all’età di 103 anni
inoltrati, Serafina Mauro, nata a Tarsia e vissuta a Ferramonti, dove ebbe modo
di vedere le sofferenze degli internati e prestare loro aiuto, per misere che
fossero le sue possibilità.
Vogliamo renderle omaggio
ricordandola, innanzi tutto con le parole di Tommaso Orsimarso, autore del
libro “Con altri occhi”, edito da Pellegrini, che la conobbe personalmente e ne trasse ispirazione
per un personaggio del suo romanzo, e poi con altre parole prese da internet.
Uno dei sassolini di Eretz Yisrael che abbiamo ricevuto in questo Pesach per gli ebrei dei cimiteri di Tarsia e Cosenza sarà per questa piccola grande donna di Calabria.
Uno dei sassolini di Eretz Yisrael che abbiamo ricevuto in questo Pesach per gli ebrei dei cimiteri di Tarsia e Cosenza sarà per questa piccola grande donna di Calabria.
LA TERRA LE SIA LIEVE!
Le parole che mi ha scritto
Tommaso Orsimarsi
Serafina Mauro, scomparsa ieri
all'età di 103 anni,è nata a tarsia il 18 settembre del 1908, da sempre vissuta
nella campagne di Ferramonti, quando nel 1940 aprì i battenti, o meglio si
chiusero alle spalle dei primi internati, il campo di concentramento di
Ferramonti di Tarsia, come tanti abitanti del posto provò, da subito curiosità,
lontani come erano da affari politici, e peraltro costruito in quel posto anche
per questo. Serafina li vide arrivare uno ad uno e riempire quelle 92 baracche
di legno. Il campo posto sotto il paese di Tarsia, da una parte aveva la
ferrovia e dall'altra aveva il fiume Crati. Proprio in una grande vasca sul
fiume gli internati venivano scortati per le abluzioni. La Serafina Mauro
insieme ad una amica poté di nascosto vedere per la prima volta quelle persone
e la colpì subito la loro magrezza, cosi estrema al punto che a suo dire
avrebbe potuto contare ogni singolo osso.
Decise così di fare qualcosa, e
con la complicità di una delle guardie del campo, alla quale aveva aiutato a
prendere moglie, Serafina si reca segretamente nel campo per portare quel poco
cibo che si levava dalla bocca.
Era proprio così: aveva già
quattro dei sette figli, ma quanto aveva visto non poteva essere ignorato,
d'accordo con lei anche il marito Umile Zazzaro.
E' strano pensare a tanto, se una
delle internate del campo mi ha confidato di come la cosa che la sorprese fu
proprio la miseria che c'era intorno, per tutte le cose viste, mi raccontò di
una immagine che aveva ancora in mente. Un uomo addentava appena fuori dal
campo un tozzo di pane, appena bagnato ad una fontana, e un pomodoro
sgocciolante. In seguito, e con l'opera di benefattori del mondo ebraico e con
la visita di Pacifici, altri contadini vendettero derrate agli internati.
Serafina ricordava le urla di disperazione nella notte e di come fossero
ammassati, ma sopratutto non si spiegava cosa facessero là. Quando il campo fu
liberato Serafina festeggiò col marito e figli facendo, come si usa da queste
parti, i maccheroni. Rimase poi sempre li, anzi occupò una baracca, quella
destinata all'amministrazione, ed e là che nacque una la figlia che ora abita
sopra l'appartamento, a pochi metri dal recinto del campo, o meglio di quello
che ne rimane. Fu sempre pronta a rievocare quei giorni con racconti sempre
lucidi e puntuali, di quei gesti di generosa quotidianità dirà che era normale
aiutare chi aveva bisogno, e ne rifiutava il carattere eccezionale che era
portato a dare l'ascoltatore. Ho voluto per tanto con il nome di "zia
Teresa", averla nel mio romanzo anzi far parlare lei stessa con le parole
che mi rimasero in mente, quando qualche tempo fa la visitai. Ora andando via
non la si può vedere sentire ma quanto ha a tanti consegnato continuerà a vivere
e a testimoniare.
Da Newz.it
Tarsia. Morta l’eroica centenaria Serafina Mauro
Tommaso Orsimarsi
Cosenza. L’angelo degli
internati, Serafina Mauro, classe 1908, ci ha lasciato oggi. E’ stata testimone
oculare del campo di concentramento fascista Ferramonti di Tarsia, dove, con la
complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli amico avendolo aiutato
a prendere moglie, si recava appena poteva per portare qualcosa da mangiare.
Quando, a gruppi di cinque, i detenuti si portavano scortati presso una grande
vasca sul Crati, per le abluzioni, lei, nascosta, ne aveva constatato la
magrezza estrema. Da questo l’impegno di privarsi giornalmente di qualcosa, per
offrirla a quelle persone rinchiuse in quel campo dal 1940 in seguito alle leggi
razziali. E’ rimasta da allora sempre là, a pochi metri di distanza da quello
che resta di quel campo, raccontando, a chi volesse ascoltarla, di quegli
ebrei, di quegli zingari, quei politici polacchi, dei prufughi del piroscafo
Pentcho, delle loro grida di disperazione nella notte, delle loro paure. L’ho
incontrata anni orsono, portandola nel cuore con ammirazione, per quanto fatto
e per il pericolo corso in quel frangente storico. Di lei colpiva la modestia
di quei gesti di generosità, che lei diceva partiti in modo naturale da quella
umana comprensione e condivisione della sofferenza, le sue risorse erano
esigue, ma non le impedirono di privarsene, è per questo che l’ho voluta nel
mio romanzo “Con altri occhi”. Lei sì, che ha saputo guardare con altri occhi,
quelli del cuore, addio zia Serafina.
Da Paese24.it
Cosenza, si è spenta a 104 anni Serafina Mauro. Allievò le sofferenze
degli internati di Tarsia
Mariacarmela Latronico
Si è spenta a Cosenza nel giorno
del Lunedì dell’Angelo Serafina Mauro. Nata nel 1908 è stata testimone oculare
del campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza (nella
foto). E’ stato questo, il principale tra i numerosi luoghi di internamento per
ebrei, apolidi e slavi aperto dal regime fascista nel giugno del 1940 e
liberato dagli inglesi nel settembre del 1943. La Mauro, riuscì grazie alla
complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli amico dopo averlo
aiutato a prendere moglie, a portare qualcosa da mangiare a tutti gli
internati. Ne aveva constatato la magrezza e la condizione di estrema
sofferenza, quando un giorno nascosta, vide a gruppi di cinque, quella gente
condotta alla grande vasca delle abluzioni, sul fiume Crati. Da qui iniziò il
suo impegno.
Si privò quotidianamente di
qualcosa per offrirlo a chi, invece, era privato di tutto. Il campo di
internamento di Ferramonti fu chiuso ufficialmente nel dicembre del 1943 ma
Serafina Mauro è rimasta sempre lì, a pochi metri di distanza da quello che
restava di quel luogo, ricco di ricordi, di paure, di grida di disperazione che
spezzavano il silenzio della notte, che raccontava a chiunque volesse
ascoltarla. Dell’angelo degli internati, come è stata definita Serafina dallo
scrittore calabrese Tommaso Orsimarsi che la cita nel suo romanzo “Con altri
occhi”, resta il ricordo della sua modestia nonostante e dei suoi piccoli ma
allo stesso tempo grandi gesti di generosità.
Tarsia piange zia Serafina, "l'Angelo degli internati"
di Emanuele Armentano
TARSIA – La cittadina di Tarsia
ha dato ieri pomeriggio l'ultimo saluto a zia Serafina Mauro, una ultra
centenaria conosciuta ed apprezzata dall'intera comunità. La celebrazione delle
esequie, presieduta dal parroco della comunità don Pompeo Tedesco, ha stretto
attorno alla famiglia di zia Serafina una moltitudine di persone che hanno
voluto dimostrare, con la propria partecipazione, il segno di gratitudine per
aver avuto come concittadina una donna “così speciale”. Era nata nel 1908 ed
aveva attraversato il periodo della Seconda guerra mondiale “da protagonista”,
essendo lei stessa residente nell'area del campo di concentramento di
Ferramonti. E proprio qui la giovane Serafina aveva portato il proprio aiuto
agli internati. Di lei, ancora oggi, colpiva molto la sua bontà e generosità e
dall'alto dei suoi 104 anni (che avrebbe festeggiato il prossimo mese di
settembre) era disarmante la lucidità con cui ricordava fatti e si relazionava
con la gente. La figura di Serafina è stata un punto di riferimento per tanti e
lo stesso scrittore calabrese Tommaso Orsimarsi aveva scelto di inserirla fra i
suoi personaggi nel libro “Con altri occhi”. Ed è proprio quest'ultimo a
ricordare la sua esperienza con zia Serafina e i momenti in cui la donna ha
trascorso ad aiutare gli internati. Di lei scrive: «L’angelo degli internati.
E’ stata testimone oculare del campo di concentramento fascista Ferramonti di
Tarsia, dove con la complicità di uno dei poliziotti di guardia, divenutogli
amico avendolo aiutato a prendere moglie, si recava appena poteva per portare
qualcosa da mangiare.
Quando a gruppi di cinque, i detenuti si portavano scortati presso una grande vasca sul Crati, per le abluzioni, lei nascosta ne aveva constatato la magrezza estrema. Da questo l’impegno di privarsi giornalmente di qualcosa, per offrirla a quelle persone rinchiuse, in quel campo dal 1940, in seguito alle leggi razziali. E’ rimasta da allora sempre la, a pochi metri di distanza da quello che resta di quel campo, raccontando, a chi volesse ascoltarla, di quegli ebrei, di quegli zingari, quei politici Polacchi, dei profughi del piroscafo Pentcho, delle loro grida di disperazione nella notte, delle loro paure. L’ho incontrata anni orsono, portandola nel cuore con ammirazione, per quanto fatto, e per il pericolo corso in quel frangente storico. Di lei colpiva la modestia di quei gesti di generosità, che lei diceva partiti in modo naturale da quella umana comprensione e condivisione della sofferenza,le sue risorse erano esigue ma non le impedirono di privarsene».
Quando a gruppi di cinque, i detenuti si portavano scortati presso una grande vasca sul Crati, per le abluzioni, lei nascosta ne aveva constatato la magrezza estrema. Da questo l’impegno di privarsi giornalmente di qualcosa, per offrirla a quelle persone rinchiuse, in quel campo dal 1940, in seguito alle leggi razziali. E’ rimasta da allora sempre la, a pochi metri di distanza da quello che resta di quel campo, raccontando, a chi volesse ascoltarla, di quegli ebrei, di quegli zingari, quei politici Polacchi, dei profughi del piroscafo Pentcho, delle loro grida di disperazione nella notte, delle loro paure. L’ho incontrata anni orsono, portandola nel cuore con ammirazione, per quanto fatto, e per il pericolo corso in quel frangente storico. Di lei colpiva la modestia di quei gesti di generosità, che lei diceva partiti in modo naturale da quella umana comprensione e condivisione della sofferenza,le sue risorse erano esigue ma non le impedirono di privarsene».
La gente di Ferramonti di Tarsia
ha sempre esercitato una grande solidarietà con gli internati del campo di
concentramento. Il più grande campo di sterminio per ebrei costruito in Italia
dopo le leggi razziali dove vissero, tra il 1940 e il 1943, più di duemila
persone che nonostante la vita difficile del lager vi trovarono un “eden”
grazie all’aiuto della brava gente del posto. E’ con grande sensibilità e
commozione che nonna Serafina, una centenaria di Ferramonti, nata il 18
settembre del 1908, ci racconta il rapporto che lei in quegli anni instaurò con
alcuni internati. Un viso tenero, solcato dal sole, una donna simpatica che con
il suo spirito ha colorito una domenica fredda e con i suoi racconti ci ha reso
partecipi di quegli anni segnati dall’orrore. Ogni anno il 27 gennaio si
ricorda, attraverso diverse iniziative culturali la Shoah per non dimenticare
le tante vittime del popolo ebraico. Una vita la sua, passata nei campi, ma
anche vissuta nel clima cruento della Guerra. Sposata con Umile Zazzaro, per
sessantanni, madre di sette figli, non dimentica i sacrifici della guerra. Un
episodio in particolare riaffiora spesso nella sua mente. Da Tarsia per una
questione urgente, doveva raggiungere Cosenza. In compagnia di una sua amica
arrivò in città col treno, fino alla stazione di Castiglione Cosentino,
all’improvviso si trovò coinvolta in un conflitto a fuoco. I soldati spararono
all’impazzata, “quanti morti” dice la signora Serafina, “io mi salvai ma non so
ancora come. Che orrore!”. “E quei cacciabombardieri quanto rumore che
facevano, sorvolavano così vicino...eravamo terrorizzati che subito andavamo a
nasconderci, a pochi passi da quelle 92 baracche”, dove furono rinchiusi, tra
gli altri, ebrei, zingari, anarchici, profughi del Pentcho, apolidi e quanti
fossero ritenuti indegni dal regime.
Un luogo di sofferenza e dolore,
ci ricorda nonna Serafina, ma lei con tutte le sue forze è riuscita a dare quel
poco che poteva a quella “povera gente”, uomini, donne, bambini e ragazzi che
soffrivano la fama. La centenaria, aspettava che il “questorino” così lei lo
chiama, si allontanava per poter avvicinarsi alla baracca e portare un po’ di
cibo in particolare ad una donna con due bambini piccoli. In seguito, la donna
fece amicizia con una guardia che sorvegliava queste baracche, e di nascosto,
almeno una volta al giorno, gli permetteva di andare a portare un po’ di pane
nero, qualche pannocchia appena raccolta, insomma quello che poteva, visto che
allora non si avevano tante provviste, anzi, dice nonna Serafina, “con la
tessera ci davano pochissima pasta nera, un po’ di pane sempre nero”.
“Sembravano tante mosche
ammucchiate dal freddo, nelle baracche c’erano anche donne partorienti. Povera
gente.” “I militari portavano gli internati a gruppo di cinque, maschi e
femmine, a fare il bagno in una grande vasca”, e nonna Serafina insieme alle
sue vicine andava a spiare. La loro magrezza ci impressionò”. Ma un’altra cosa
che la centenaria ricorda sono le urla delle tante donne del Campo. “Urlavano e
piangevano tutto il giorno”.
Un fatto curioso, ha visto
protagonista la centenaria di Ferramonti. Il “questurino”, Gianni M., diventato
amico e complice di nonna Serafina, un giorno gli chiese di aiutarlo a trovare
moglie. Allora la donna salì in paese e così per caso trova “compare Rafele” in
compagnia delle sue due figlie. Nonna Serafina ne approfittò subito chiedendo
ad una delle due se fosse interessata a questo militare.
La ragazza acconsentì, e il
“questurino” grazie a nonna Serafina si sposò.
Tornando agli ebrei, attraverso
la testimonianza della donna centenaria, abbiamo raccolto altri particolari. La
donna, attenta e vispa, dalla grande fede e dall’immensa umanità, che ha
dimostrato dando sostegno con dei piccoli gesti quotidiani alle vittime di
Ferramonti, non dimentica quei treni che di tanto in tanto arrivavano a Tarsia
per caricare di volta in volta gli ebrei. “Venivano ammucchiati come delle
bestie. Erano così fragili e sciupati che il soffio del vento bastava a
stenderli a terra”. E poi c’erano i momenti di preghiera. Serafina Mauro ci
descrive una chiesa gremita di gente, che ogni domenica partecipava alla Santa
Messa. La Chiesetta si trovava proprio all’interno del Campo di sterminio (in realtà Ferramonti non era un campo di sterminio, ma di
concentramento), a celebrare un sacerdore “straniero”, che non
era del posto. Raccapriccianti le scene che questa donna ha visto davanti ai suoi
occhi fino a quando la deportazione e la prigionia dei perseguitati non
terminò.
Quando l’Olocausto finì, nonna
Serafina ci confida di aver fatto festa, insieme a suo marito e ai suoi figli,
con un bel piatto di “maccarroni”. Nonna Serafina ricorda sempre quei brutti
momenti vissuti sulla sua pelle e ricorda nelle sue preghiere tutte le vittime
della Shoah. La sera, quando vicino al suo caminetto recita il Rosario, la
centenaria di Ferramonti, che sa leggere e sa scrivere, pensa alla sua vita
passata, alle amicizie incontrate e con molta mestizia ricorda la disperazione
di quella giovane donna che al di là del “reticolato” ogni giorno la chiamava
per portale da mangiare. L’ospitalità della centenaria Serafina Mauro,
nonostante i suoi 102 anni portati bene, ancora è viva.
da Parola di Vita
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