Il 27
Nisàn (quest’anno 19 aprile) è Yom haShoah, il giorno della Shoah; da molti
anni fa ormai parte delle ricorrenze religiose dell’ebraismo, a differenza del
Giorno della Memoria che si celebra il 27 gennaio.
La data
ricorda l’insurrezione del ghetto di Varsavia.
Proponiamo
alcune riflessioni e un video su Ferramonti, che rappresentò in Calabria la
resistenza religiosa e culturale degli ebrei che vi furono reclusi, sebbene non
fossero destinati allo sterminio.
Da Radiobombo
Venerdì 27 Gennaio 2012: Giornata della memoria, gli ebrei di Trani:
«Aiutateci a stare insieme a voi»
Francesco Lotoro
Pianista, responsabile culturale
della comunità ebraica di Trani
Il
27 gennaio 2000 venne istituito dal Parlamento italiano il Giorno della Memoria
in ricordo delle vittime della Shoah e del nazifascismo, in coincidenza con la
liberazione di Auschwitz.
Il
27 gennaio 1945 le truppe dell’U.R.S.S. entravano nel Campo di
Oswiecim–Breszinka (Auschwitz Birkenau); quel 27 gennaio era Shabbath, il
sabato ebraico.
Esattamente
quel giorno, mentre l’esercito sovietico liberava gli ebrei dal famigerato
Lager, nelle sinagoghe di tutto il mondo (e in quelle ancora rimaste in piedi
in Europa) venivano lette le pagine della Torà che ricordavano la liberazione
del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto.
Il 27 gennaio non è il “nostro” Giorno
memoriale; esso è il giorno nel quale le Istituzioni governative, accademiche,
scolastiche, ecc. commemorano e riflettono, le comunità ebraiche sono
naturalmente ben disposte a collaborare e interagire con esse.
Il Giorno della Memoria del popolo ebraico
(in Israele come nella Diaspora) cade il 27 Nissàn (marzo–aprile) allorchè
viene celebrato lo Yom haShoah u’mered haGetaot (in breve Yom haShoah), il
Giorno della Catastrofe.
Il
27 Nissàn del 1943 (allora corrispondente al 19 aprile) le Waffen–SS (unità
d'elìte delle SS tedesche) piegarono la resistenza ebraica nel Ghetto di
Varsavia dopo 3 mesi durante i quali gli ebrei riuscirono a tener loro testa
con un coraggio che impressionò gli stessi soldati del Reich.
La
voce della Resistenza ebraica a Varsavia fece il giro d'Europa, numerosi Ghetti
sino ad allora rassegnati alle deportazioni ritrovarono coraggio e
combatterono.
La
caduta del Ghetto di Varsavia segnò non soltanto la fine di ogni speranza di
salvezza per gli ebrei della capitale polacca ma altresì l'inizio delle più
spaventose e sistematiche deportazioni.
Pochi
giorni dopo, Berlino fu dichiarata Judenfrei (libera da ebrei), il famigerato
dottor Mengele arrivò ad Auschwitz dando inizio a orribili esperimenti su cavie
umane; il comandante delle SS Himmler, allo scopo di sedare sul nascere ogni
ulteriore tentativo di rivolta nei Ghetti della Polonia occupata, li liquidò
tutti entro l’11 giugno.
Lo
Yom haShoah si impose subito in Israele come Giorno della Memoria; dopo il
1945, la Shoah consumatasi in Europa giungeva nella Palestina Mandataria
attraverso le ferite del corpo e dell'anima dei sopravvissuti giunti in
clandestinità.
L'esercito
britannico, che durante la Guerra non seppe prevedere la portata mortale della
politica antisemita del Reich, rifiutava l’attracco a tutte le navi di Ebrei
che osassero avvicinarsi ad Haifa.
La
Shoah finì, la tragedia no; perchè in Israele i guai per gli ebrei erano
soltanto all’inizio.
Durante
la Guerra alcuni Paesi del bacino mediorientale appoggiarono e plaudirono
apertamente Hitler (il Gran Muftì di Gerusalemme Hussein inviò sue truppe a
combattere con gli Einsatzgruppen) e a nulla valse l’obiezione che a Dachau il
Reich avesse deportato diversi Imam e nel carcere di San Vittore (Milano) i
fascisti avessero imprigionato i Sufi.
Il
giorno dopo la proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948) i Paesi
confinanti attaccarono lo Stato ebraico, il segretario della Lega Araba Azzam
Pasha disse che i loro Paesi avrebbero scatenato contro gli ebrei “una guerra
di sterminio che sarà ricordata alla pari dei massacri dei mongoli e delle
crociate”.
L’orologiaio
impazzito della Storia rimise le lancette indietro; non fu così, Israele vinse
la guerra del 1948 ma a caro prezzo perché, su seicentomila combattenti ebrei,
seimila rimasero sul campo di battaglia; di questi ultimi, la metà era
sopravvissuta ai Lager per trovare la morte a casa propria.
Gli
ebrei erano diciotto milioni prima della Guerra, nel 1945 quasi sette milioni
di essi (compresi 1 milione e mezzo di bambini) non c’erano più.
In
Puglia gli ebrei sono tornati 6 anni fa, la Diaspora degli ebrei pugliesi non è
finita sulle spiagge di Tel Aviv ma a Trani, crogiuolo di ben 6 Diaspore (di
Palestina, della Spagna araba e aragonese, tedeschi scampati alla prima
crociata, baresi e francesi cacciati da Guglielmo il Malo e Filippo Augusto) e
città che, con i suoi grandi Maestri ha insegnato a pregare agli Ebrei di mezza
Europa.
Da
sempre il popolo ebraico ha cercato pacificamente di vivere la propria
diversità culturale e religiosa, gli ebrei sono talmente innamorati della vita
che chiamano persino i loro cimiteri beth ha-chaim (case della vita); e,
soprattutto, oggi possono liberamente pregare anche in Puglia nella più antica
Sinagoga d’Europa (la Scolanova) senza timore di essere disturbati,
infastiditi, additati.
Non
sappiamo tuttavia quanto ciò durerà; migliaia di ebrei francesi, britannici,
svedesi, norvegesi, olandesi stanno andando via per emigrare in Israele.
Sino
a 20 anni fa erano gli ebrei “poveri” a emigrare verso lo Stato ebraico;
etiopi, azeri, yemeniti, kazachi, turkmeni che fuggivano da reali situazioni di
disagio sociale o da un Islam inspiegabilmente resosi intollerante nei loro
riguardi, caricati su aerei che sembravano bare volanti o su voli predisposti
in semiclandestinità dall’aviazione israeliana.
Oggi,
ebrei in giacca e cravatta fuggono dall’Europa su voli di linea; perché, come
ha amaramente scritto pochi anni fa il nostro rabbino Shalom Bahbout, “la Shoah
non ha assolutamente insegnato nulla al genere umano” e sinora non si è visto
né sentito nulla che possa smentire il nostro rabbino.
C’è
un futuro per noi ebrei del Vecchio Continente?
Saranno
i giorni, i mesi a venire a dimostrare quanto l’Europa abbia capito la lezione
di Storia scritta sulle pagine della Shoah.
Perchè
l’ebreo non deve più essere costretto a fuggire o trasferirsi in Israele o
(come in un Paese dell’Unione Europea che non nominerò), pregare a bassa voce a
casa propria con la Sinagoga distante a quattro passi; o, peggio ancora, ad
assimilarsi.
Nel
1980 Rav Tolentino, l’ottantenne rabbino di Dubrovnik (la città croata
gemellata con Trani) desiderò tanto pregare a Trani; spirò senza realizzare il
suo desiderio ma oggi gli ebrei sono tornati nella città del Mabit (il grande
Dottore della Legge tranese), la Stella di David non è più cucita sul petto di
una casacca da deportato ma svetta sull’ex campanile della sinagoga Scolanova
che divenne chiesa e poi nuovamente sinagoga.
È
questa la nostra risposta alla Shoah, è la nostra vittoria su chi ha voluto la
nostra distruzione fisica e intellettuale.
Aiutateci
a stare insieme a voi; dopo la Shoah, solo così potremo proteggerci da ogni
catastrofe, ebrei e non.
Dal
sito della scuola ebraica di Torino
Yom ha Shoà
Il
nome completo del giorno che commemora le vittime ebree delle persecuzione
nazifasciste é “Yom Hashoah
Ve-Hagevurah”, letteralmente “Giorno (del ricordo) della Shoà e
dell’eroismo”.
Il
termine ebraico Shoà si traduce con “disastro, tragedia, distruzione”.
È
invece respinto il termine “Olocausto” che ha un’accezione
religioso-sacrificale ritenuta non adatta.
La
Knesset - il Parlamento israeliano- durante la seduta del 12 aprile 1951 scelse
la data del 27 di Nissan come
giorno dedicato alla celebrazione ed al ricordo di questo evento.
Esso
cade una settimana dopo la fine della festa di Pesach
e una settimana prima di Yom
Hazikaron – in memoria dei soldati di Israele caduti in guerra –.
Quest’
ultima ricorrenza è immediatamente seguita da Yom
Haazmauth – festa dell’Indipendenza dello Stato d’Israele –
Il
27 di Nissan è il giorno (18 aprile 1943) in cui iniziò l’eroica rivolta degli
ebrei confinati nel Ghetto di Varsavia.
Da
Moked
Yom ha-Shoah
David Bidussa, storico sociale delle idee
A
differenza del “giorno della memoria”, Yom ha-Shoah avviene in un clima di
riservatezza. Credo che una differenza consista in questo: nel primo caso si
tratta di riflettere su che cosa si fondi l’autorità e sulle conseguenze
dell’obbedienza e dell’autoconservazione; nel secondo caso si tratta di
riflettere sulla rilevanza delle singole persone, sulla loro storia e sui
legami che ognuno di loro ha con noi. E’ anche per questo, forse, che nel primo
caso al centro stano gli eventi, nel secondo l’elenco dei nomi. Nel primo caso
è importante riflettere su fin dove si può arrivare; nel secondo da dove si
viene. Nel primo caso l’atteggiamento è guardare con occhi aperti e con mente
aperta dentro la storia; nel secondo cercare di ritrovare un passato che abbia
ancora una parte in ciò che diventeremo, senza lasciarsi sopraffare e, perciò,
impedendogli di dominare e farci credere che siamo solo ciò che siamo stati.
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